VI.9   Il concetto di ‘imitazione’ assunto da Gadamer non raggiunge la validità e l’applicabilità di ‘criterio universale’

            Gadamer sottovaluta il criterio ‘universale’ della ‘imitazione-mimèsi’, sia essa imitazione della natura o della prassi rappresentativa (o riproduttiva), cioè della mimesi tragica effettrice di catarsi, come proposta da Aristotele (cfr. V, 1).

            “Il convincimento - afferma Gadamer - che nell’opera d’arte compiuta si manifestino dinanzi al nostro spirito le forme naturali stesse nel loro aspetto più puro, la fede nella forma idealizzante dell’arte che offre alla natura il suo compimento più vero, tali sono le nostre rappresentazioni legate al termine ‘imitazione della natura’ [149].

            Queste chiarificazioni di Gadamer non sembrano tenere in conto che l’imitazione della natura, in quanto ‘imitazione’ (appunto) rimanda non al puro dato naturale ma alla ‘interpretazione’ della natura. L’artista la ‘idealizza’ (è vero), ma così facendo la ‘metamorfosa’ con la propria creatività, e supera con tale ‘artisticità’ la imitazione puramente speculare o da semplice ‘copia’. L’analisi gadameriana, pertanto, si denota insufficiente quanto al  ‘comprendere il senso’, che è intrinseco e necessario alla nozione di ‘immagine’ (cfr. VI, 8).

            Tommaso d’Aquino spiegava che la ‘ratio imaginis’ sta nella ‘similitudine esemplare’ e nella ‘similitudine esemplata’. “Per avere l’immagine è richiesta la somiglianza. [...] Si dice immagine in senso proprio quella cosa che deriva da un’altra rassomigliandola. La cosa invece da cui fu presa in somiglianza propriamente si dice esemplare, e sola impropriamente immagine” [150].

            E somigianza è anche la ‘metafora’.  Quintiliano la descrive: “In generale la metafora è una similitudine abbreviata: similitudo brevior”; nella quale distingue la similitudine-paragone e la similitudine-metafora: “la similitudine fa un paragone con la cosa”, mentre la similitudine-metafora  “prende il posto della cosa stessa” [151].

            Gadamer, di contro, trova enigmatica la nozione di ‘mimèsi’ ed il suo ‘riconoscimento’. Egli ritiene che se la mimèsi consiste, come si ha in Aristotele, “nel far vedere nel rappresentante il rappresentato stesso”, e se il riconoscere “non vuol dire vedere di nuovo una cosa già vista una volta”, ma vuol dire vedere “come ciò che è stato già visto”, allora  “proprio in questo come sta tutto l’enigma[152].

            Tale affermazione non appare convincente. Il ‘riconoscere’ è il ‘comprendere’ del fruitore mediante il processo interiore che dall’opera ‘metamorfosata-interpretata’ (dall’artista) risale per anamnèsi alla forma letteraria e/o visiva, e da queste alla ‘fonte che è origine: Ursprung-Quelle [153].

            L’anamnèsi, di fatti, è - e mi servo della terminologia di Gadamer - una ‘significazione indicativa: Deutung’ di un referente, che (specifico ancora una volta) è distinto dalla ‘forma’ letteraria o visiva, ma non estraneo ad esse, perché queste ‘forme’ hanno in sé  (l’esse-in; Heidegger direbbe: sono determinate dalla ‘è’) nella loro peculiare presenza il riferimento (l’esse-ad)  o pròs tì (come si esprime Aristotele): che è ‘referenza a qualcosa che è relatio ad aliquid’, cioè all’altro termine della relazione. Più che un ‘ri-conoscere: wieder-erkennen’ è un ‘presentare: stellen’, che è ‘mettere su e qui: stellen auf-da’, cioè ‘porre dinanzi agli occhi: vor Augen stellen’ il  referente principe, che s’incarna (per così dire) sia nella forma sonora che nella forma visiva.

            Paul Ricoeur ritiene che occorre prendere la mimèsi-referenziale “in tutta la sua amplitudine, ed affermare con la più estrema veemenza che ogni discorso - potremmo anche dire (aggiungo) ogni lógos o theológos delle immagini -  è in ultima analisi, al soggetto di ..., a proposito di ... In altre parole: il linguaggio non è mai per se stesso”, ma ‘relativo’ (appunto) ad un referente [154], che è stato intuìto come esemplare - o come ‘prototipo’, secondo l’ermeneutica dei Padri del Niceno II (cfr. IV, 2).

            Trovo difficile concertare la posizione di Gadamer sulla ‘mimèsi’. Egli, da una parte afferma con la tradizone che “l’arte è sempre imitazione, cioè essa produce la rappresentazione di qualcosa”; e dall’altra insegna che “l’arte viene contraddistinta piuttòsto dal fatto che ciò che in essa viene rappresentato, sia esso ricco o povero di connotazioni, o addirittura un puro nulla di esse, ci muove all’indugio ed al consenso, come se si trattasse di un riconoscimento” [155].

            Pertanto, stando alla teoria di Gadamer, la relazione, insita nel concetto di ‘rappresentazione: Dar-stellung’ e che fa sì che l’arte “è sempre imitazione”, può essere appresa ed interpretata come un semplice stimolo; anzi, considerata addirittura “un puro nulla”. Eppure, nello stesso contesto Gadamer assicura che “nell’opera d’arte non si rimanda semplicemente a qualche cosa, quanto piuttosto che in essa vi è propriamente (l‘esse-in, dunque, cfr. sopra)  ciò a cui si rimanda” (vale a dire all’esse-ad) [156], quasi che il rimandare non sia ‘re-lazionare’ o paragonare o (nel caso della metafora) ‘stare al posto di’.

            La teoria di Gadamer è dunque sfuggente. E questo anche (o soprattutto?) perché l’ha pensata in funzione di un’ermeneutica consona all’arte astratta, che egli stima “vera e propria rivoluzione”, che s’è imposta “poco prima del primo conflitto mondiale” [157]. Cfr. VII, 2. 4. 6-2. 4. 7.

            Tale arte moderna, continua Gadamer, “in molti dei suoi più grandi esponenti, respinge con particolare incisività l’esigenza del momento figurativo, con cui solitamente l’accostiamo”, e “le tre categorie estetiche [imitazione, espressione e segno] non sono sufficienti a dare una risposta specifica alla novità esperibile nell’arte del nostro secolo” [158] - cfr. nel paragrafo seguente (VI, 10) la indicazione della non ‘validità’ di tale interpretazione dell’arte astratta nella  pittura non figurativa  di W. Kandisky.

            Pertanto, Gadamer ‘guarda’ alla teoria della ‘imitazione’ di Aristotele, “rappresentante principale della teoria classicista dell’imitazione”, e gli “lascia la parola”, ma al solo scopo che “ci aiuti - egli dice - a pensare ciò che accade nella nuova arte” [159] (cfr. VI, 8).

VI.10  La teoria estetica di Gadamer non è ‘compatibile’ con la critica delle opere d’arte che dicono ‘significati  iconologici’

            L’ermeneutica filosofica di Gadamer non permette un approccio all’opera d’arte, compatibile con il discernimento del reale, che si manifesta in essa e dice ed appella il fruitore al dialogo, e quindi alla risposta: come recitano le grandi e fondamentali linee della teoria heideggeriana.

            Osservo anzitutto che Gadamer nel porre la domanda e nell’analizzare la risposta non distingue e non valuta a sufficienza il compito proprio della critica d’arte da quello della coscienza estetitica e dal giudizio di senso prettamente di ordine filosofico, che entrano di diritto, ma ‘una simul’, nella riflessione del ‘lógos’ della iconologia-iconoteologia (appunto), che ‘guardano’ (e non dall’esterno) all’attualità in esse del bello, come titola il saggio principe di Gadamer (cfr. VI, 8-11).

            La teoria gadameriana, infatti, così come esplicata nel discorrere del Filosofo, non percorre col ‘pensiero-riflessione: lógos-Wort’ - e mi astengo dal riferimento al lógos-ratio, per rimanere sullo stesso piano metodologico di Gadamer: cfr. VI, 4 - una via pertinente, capace di ‘comprendere-verstehen’ il ‘lógos’ dell’opera d’arte. La sua ricerca di ‘significati’, infatti, non è in grado di spiegare il ‘significato icono-logico’ dell’opera d’arte, sia quand’egli considera la ‘direzione-Richtung’ della ‘origine: Anfang-Ursprung’,  sia quando si sofferma su l’hic et nunc dello svelamento, che si esperisce nel ‘gusto’, per  dilatarsi poi nel presentimento (Ahnung)  del futuro (cfr. VI, 4).

            All’origine delle difficoltà sta il fatto che Gadamer nell’atto ermenutico  separa nettamente la presenzialità-esserci della ‘forma estetica-Gebilde’ dalla struttura della ‘opera-Werk in quanto tale, e poi del ‘tutto’: Werk-Gebilde dalla ‘intenzione del facitore: intentio auctoris’. Si verifica in tal modo la scissione del ‘tutto: das Ganze dell’opera d’arte, e la conseguente deficienza del ‘conoscimento’ dell’opera, che è: cosa-Ding ‘strutturata’, forma-Gebilde, stupore-Erstaunen, e ‘gusto-Geschmack’.

            In questo cammino (unterwegs) di presa di coscienza, la teoria gadameriana non soddisfa le esigenze dell’esercizio dell’opus criticum, che non sta propriamente nella comprensione della sola esperienza del semplice fruitore che ‘gusta’ la personale ‘modificazione’ insorta in lui, ma anche, e soprattutto, nella riflessione dello specialista della storia dell’arte, che ‘ascolta’ il ‘dire’ da parte dell’opera il suo ‘che cosa’ tenendo conto delle circostanze maturate nell’infra-tempo, che incombono e condizionano de facto nel presente il ‘capire’ (verstehen)  e la  visione   dell’opera - che ‘sta-lì: stellt-da’ -, nella struttura-qualità.

            L’apprendere ermeneutico dell’esperto, infatti, non è tale se non approfondisce la ‘esegesi’ (Auslegung), estendendola in ‘crisis’. Il ‘critico’ cioè - e lo indica il lemma greco ‘krinô’: e “la parola greca, in quanto greca, è un cammino[160] -, deve ‘secernere’ e quasi ‘passare a setaccio’ tutte le parti in equilibrio, carpendone la posizione nel ‘tutto’.

            E  l’opera d’arte è ‘il tutto’ (das Werk als Ganzes). In essa  l’armonia-corrispondeza prende ‘forma’ - e mi servo della riflessione di Heidegger -, in quanto l’armonìa è ciò che caratterizza “l’amare (phileîn)”, che si manifesta nel “fatto che un essere (Wesen) si congiunge all’altro in un rapporto di reciprocità, in quanto sono l’uno per l’altro: sie zueinander verfügt sind[161].

            A me pare che Gadamer non sia coerente con questo ‘pensiero’ della filosofia di Heidegger, perché non ‘congiunge: zusammenfügt’ né ‘mette insieme: zusammenbringt’ “il fatto” che sono le ‘parti’ - che possiamo anche riassumere in ‘Werk-Gebilde’ -, che fanno il ‘tutto’ armonico-appellativo-dialogante dell’opera-tutto.

            Nell’ermeneutica heideggeriana  il Gebilde è ‘senza padre e senza madre’, per così dire. È qualcosa che è ‘riuscita’ indipendentemente dalla mente e dalle mani dell’artista. In essa, infatti, Gadamer non discerne la ‘intenzione dell’arte’, consapevolmente perseguìta dall’artefice ed in-messa nella sua creazione, come ‘impronta:Künstlerwollen’ della sua personalità - che il corifeo del visibilismo Conrad Fiedler descriveva come “caratteristica contraddistinguente: auszeichnendes Merkmal[162] -, e del proprio ‘gusto’ (cfr. VI, 5) [163].

            E specifico.

            L’opera d’arte ha certamente uno ‘stile: wie’ (cfr. VI, 2). Ma lo stile è ‘schema formale’: linee, disegno, mezzi ‘struttivi’ tecnici, ed è pertinente alla composizione visiva dell’opera (bildetes Werk-Werk gebildetes ), e quindi non è - come ritiene Gadamer - senza rapporto  con la ‘qualità estetica’, che rende l’opera poetica. Il pensiero (Denken) non viene approfondito sufficientemente -  pur avendone la forza intellettiva - fino a questo strato, indispensabile per l’esserci (Dasein-Darstellung) della ‘qualità estetica’.

           Nella ‘Terza tesi’, formulata dal ‘Circolo linguistico di Praga’, è chiaramente affermato quanto compete alla “poeticità della parola” - per rifarmi ad un sintagma heideggeriano [164], che corrisponde al ‘Gebilde’ di Gadamer.

            “La lingua poetica  è una struttura funzionale, e i vari elementi non possono essere compresi al di fuori della loro connessione con l’insieme”. La ‘connessione’ è connotata con evidenza nella ‘rima’ - che (aggiungo) nell’opera d’arte è data (analogamente) dalla ‘dispositio’ nel piano e nello spazio delle ‘forme’ e dei ‘colori’ [165] -, perché mette insieme (zusammenbring) fonologia e semantica. Infatti, spiega il testo della tesi, “la rima non è un fatto strettamente fonologico [...]. La rima è anche strettamente legata al lessico: importanza delle parole messe in rilievo dalla rima, e loro grado di parentela semantica[166].

            L’arte ha un ‘senso: Sinn (‘ciò che è detto’ nel ‘dedans’ della Gestalt artistica) ed una Bedeutung (‘è ciò di cui si parla’, che nella e dalla ‘forma’ ri-manda al ‘dehors’ esistenziale): ‘significati’, dunque, letterale e simbolico, tematico e culturale; ‘significati’ che l’opera d’arte ha ricevuto dall’artefice nel suo ‘atto di nascita: die Geburtskunde’  (per dirla con Heidegger). Tale attività della mente e della mano dell’artista-qua talis non ha  per Gadamer che un vincolo ‘limitato’ - vorrei dire ‘quasi nullo’ - nella ‘tradizione-trasmissione’ (Überliferung) del ‘detto’, perché il significato può essere ‘aperto e senza limiti’, ed in ogni momento, dal fruitore (cfr. VI, 6).

            Faccio notare, però, che la ‘metamorfosi’ di significato - che eviene nell’ermeneutica soggettiva e libera dell’osservatore - può non soltanto attuarsi in semplici chiarificazioni esplicative, ma può andare aldilà della stessa significazione ‘ascoltata’ e ‘vista’, mutandola addirittura in segno contrario, in quanto il di più ed il nuovo trans-forma’ il senso e lo fa tra-passare in un di più qualitativo e differenziale, esigìto non dall’opera-tutto, che dice la sua parola, ma dall’esperienza estetica del fruitore - che, in definitiva, rimane il giudice esclusivo, secondo Gadamer -, vissuta nella ‘contemporaneità: Gleichzeitigkei’, che offre nel qui ed ora dell’‘instans distinguens’ altre circostanze da quelle dell’inizio e della contemporaneità (nel passato) dell’artista e del fruitore, e quindi vanificano il ‘limite’ della ‘tradizione’.


[149] H.-G. Gadamer, L’attualità del bello, p. 90.

[150] Thomas Aq,, Summa theologia, I p., q. 35, art. 1: “De ratione imaginis est similitudo. [...] Imago proprie dicitur quod procedit ad similitudinem alterius. Illud autem ad cuius similitudinem aliquid procedit, proprie dicitur exemplar, improrie imago”. Gadamer, di contro, ammette una ‘imitazione’ di ‘qualcosa’, che non è propriamente ‘esemplare’, ma soltanto ‘ispirazione’, che l’artista ‘produce’.

[151] M. F. Quintiliani, Institutiones oratoriae libri, VIII, 6, [8]: “In totum methaphora brevior est similitudo eoque distat quod illa comparatur rei, quam volumus exprimere, haec pro ipsa re dicitur”. Cfr. quanto detto in IV, 2: “L’immagine come iconìa di impressione-espressione, e minèsi-anamnèsi, figura-realtà, esemplato-esemplare”. - Sul rapporto ‘similitudine-simbolo-metafora’, cfr. Paul Ricoeur, La metafora viva, Jaca Book, Milano 1981.

[152]  H.-G. Gadamer, L’attualità del bello, p. 95.

[153] Cfr. quanto ho detto nel paragrafo I, 2 sul metodo ‘gnoseologico-critico circolare’ che, correndo sul filo mimèsi-anamnèsi, congiunge il critico con l'artista e l'artista con il critico, ed il processo ri-creativo (quello del critico) con il processo creativo (quello dell'artista).

[154] Paul Ricoeur, Mimesis et représentation, cit., p. 25.

[155] H.-G. Gadamer, L’attualità del bello, p. 39.

[156] Ib., p. 38.

[157] Ib., p. 88.

[158] Ib., pp. 88-89, 92.

[159] Ib., p. 94.

[160] M. Heidegger, Che co’è la filosofia, cit. pp. 12-13: “Das griechische Wort ist als griechiches Wort ein Weg’.

[161] Ib., pp. 22-23.

[162] Conrad Fiedler, Schriften über Kunst, cit., p. 26. Cfr. I, 2. Cfr. anche M. Heidegger, L’origine dell’oprta d’arte, cit. pp. 18-19. Nel concetto della ‘coseità-Dinghafte’ vediamo  “la dosa  come rapporto dei suoi segni distintivi: das Ding als Träger seiner Merkmale”.

[163] La posizione di Gadamer riflette un passo dell’insegnamento di Heidegger: “Il linguaggio nella sua essenza non è né espressione né attività dell’uomo. Il linguaggio parla. Noi cerchiamo ora il parlare del linguaggio nella poesia. Ciò che si cerca è, pertanto, racchiuso nella poeticità della parola”: cfr. M. Heidegger, In cammino verso il linguaggio, cit., p. 33. Al posto di ‘poesia’ e ‘poeticità’ Gadamer scrive ‘Gebilde’.

[164] M. Heidegger, In cammino verso il linguaggio, cit., p. 33.

[165] Faccio presente la riflessione di Heidegger sullo ‘spazio’ che ordina e dispone: “Come accade il fare e lasciare spazio? É il disporre e ordinare [...]. Innazitutto il disporre accorda qualche cosa. E lascia dominare l’aperto che fra l’altro assegna l’apparire delle cose”: cfr. M. Heidegger, L’arte e lo spazio, cit., p.19.

[166] Cfr. Problemi per ricerche intorno alle ‘langues’ delle diverse funzioni. Circolo linguistico di Praga, in “Letteratura e strutturalismo”, a c. di Luigi Rosiello, Zanichelli ed., Bologna 1975, pp. 67-68. - Cesare Segre (a cura), Strutturalismo e critica, Il Saggiatore, Milano 1985. I contributi sono di G. C. Argan, S. D’Arco Avalle, R. Barthes, M. Bortolotto, M. Corti, H. Friedrich, W. Hofmann, C. Lévi-Strauss, S. R. Levin, E. Paci, A. Roncaglia, L. Rosiello, J. Starobinski, V. Strada.

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