(... VI.10b   La teoria estetica di Gadamer...)

            Dunque, l’incontro (Begegnung) dell’opera con chi la ‘gusta’ si concretizza in un “libero dialogo con il passato” (Gewesen) che, in quanto libero e soggettivo (ripeto), snerva la ‘tradizione’, che da ‘filo conduttore’ (Leitfaden), che insegna la via che conduce alla ‘unità di senso’, decade a guida ‘incerta’ nell’indicare la ‘direzione-Richtung’, in quanto nel trascorrere i sentieri del bosco (si ricordino gli ’Holzwege’ di Heidegger) coloro che sono in cammino giudicano di volta in volta di dovere cambiare strada (cfr. VI, 6) [167]; e toglie valore al ‘metodo’ - denotato dalla parola greca ‘méthodos’ che sta per ‘strada che indica la direzione da percorrere’ - di coloro che professano la critica d’arte (cfr. sopra), servendosi in ‘coincidenza’ dell’estetica filosofica: il ‘lógos-Wort’ (e talvolta il ‘lógos-Vernunft/ratio’), e delle analisi di concrete opere d’arte, che gli stanno-di-fronte.

            Pertanto, nell’ermeneutica filosofica di Gadamer mancano criteri adeguati per la ‘crisis’ delle opere d’arte; ‘crisis’, che va intesa secondo - lo si è chiarito (cfr. sopra) - il significato originario della ‘parola-Wort greca: ‘krinô.

            Sembra che a Gadamer non interessino le caratteristiche che l’opera possiede come ‘totalità’. Ma la ‘totalità’ - spiego con J. Piaget - è struttura “formata di elementi subordinati a leggi che caratterizzano il sistema come tale; e tali leggi, dette di composizione, non si riducono ad associazioni cumulative, ma conferiscono al tutto, in quanto tale, proprietà d’insieme distinte da quelle degli elementi” (cfr. II, 2) [168].

            Il critico d’arte Erwin Panofsky, iconologo per eccellenza - che ho  presentato come referente massimo di questo saggio, sia pure come ‘filo conduttore’ che non oltrepassa però il ‘lógos-ratio’ per proporzionarsi al ‘lógos-revelatio (cfr. II-III) -, ha distinto nella totalità-unità dell’opera d’arte (Gestalt) tre strati, che ha chiamati schemi formali o ‘preiconografia’, schemi semantici o ‘iconografia’, schemi culturali o ‘iconologia’  (cfr. I-III).

             Questi ‘tre strati’, che si implicano in modo inscindibile l’uno nell’altro - così che stanno tra loro in un gioco di rapporti (Ineinanderspiel), che è reciproco ‘con-appartenersi’ (Zueinandergehören) [169] -, vengono elusi dalla critica ermeneutica di Gadamer.

            Lo ‘sguardo’ che il Filosofo volge all’opera d’arte si arresta alla ‘apparenza che stupisce: Gebilde’ e ‘modifica’ l’osservatore. Tale ‘miopia’ non permette di penetrare con ‘occhio prospettico’ nella struttura dell’opera-Werk (cfr. I, 2), e scorgervi ‘uno ictu’ la ‘volontà d’arte’ dispiegatavi dall’artista (Künstlerwollen) [170].

            Quest’osservazione corrisponde a quanto insegnato da Heidegger - e non completamente seguìta da Gadamer (e talvolta neppure applicata dallo stesso Heidegger) - su “L’orgine dell’opera d’arte: der Ursprung des Kunstwerkes”, vale a dire sulla  ‘pro-venienza del suo stanziarsi’. “L’artista è origine (Ursprung) dell’opera. L’opera è l’origine (Ursprung) dell’artista. Nessuno dei due è senza l’altro. Eppure, nessuno dei due da solo regge l’altro. Artista e opera ogni volta sono, in se stessi e nel loro reciproco  rapporto, in virtù di un terzo elemento, che è invero il primo, vale a dire ciò da cui sia l’artista sia l’opera d’arte traggono il loro nome: l’arte. [...] È chiaro che ci muoviamo in circolo (wir uns im Kreise bewegen). [...] Intraprendere siffatto cammino è la forza del pensiero, e rimanere su di esso è la sua festa” [171].

            Gadamer, di fronte all’immaginazione produttiva del genio sostenuta da Kant, si chiedeva: “Questa teoria rende veramente giustizia alle cose come stanno?”. E rispondeva: “Ascoltiamo quel che dicono gli artisti contemporanei” [172].

            Anche chi scrive si fa la stessa domanda, cui risponde  ‘interrogando’ ed ‘ascoltando’ un grande ‘artista’ e teorico dell’arte contemporanea, Wassily Kandisky  (1866-1940), esponente principe di quell’arte astratta - che Gadamer stimava “vera e propria rivoluzione” (cfr. VI, 9) -, vale a dire della pittura denominata: non figurativa o non oggettiva o non geometrica (cfr. VII, 2. 4. 7).

            Mi limito ad alcuni accenni esemplificativi, pertinenti al dialogo che vado svolgendo sulla ‘compatibilità’ ed ‘applicabilità’ della teoria ermeneutica gadameriana nella visione delle opere e nella critica d’arte.

            Kandisky ha consegnato la sua esperienza speculativo-pratica  di artista nello scritto “Lo spirituale nell’arte: Über das Geistige in der Kunst, insbesondere in der Malerei”, pubblicato nel 1912 [173].

            La ‘riflessione’ di Kandisky inizia con il collocare l’opera nel suo tempo di nascita e nel vedervi le peculiarità che l’hanno costituita ‘forma’, per poter poi rilevare se il trascorrere delle epoche l’abbia resa ‘fatto estetico del passato’, ininfluente o inattivo sul fruitore, che incontra l’opera e la gusta.

            Il Pittore russo, infatti, quasi sottintendendo le domande di Heidegger e di Gadamer: qual’è l’origine (Ursprung) dell’opera d’arte; e qual’è l’influsso che essa esercita su chi oggi la contempla?, risponde con chiarezza: “Ogni opera d’arte è figlia del suo tempo - quello trascorso -, e spesso è madre dei nostri sentimenti” - nel nostro oggi, dunque [174].

            Kandisky, pur rifiutando in linea di principio che si possa pitturare alla maniera degli artisti del passato -  ad esempio, con lo stile degli antichi greci -, perché non ne abbiamo “la sensibilità e la vita interiore”, non esclude che, quando si sperimenta che v’è “somiglianza fra i climi culturali di due epoche”, tale ‘somiglianza “può portare alla ripresa di forme che erano già state utilizzate in passato per esprimere le stesse [attuali nostre] tensioni”.

            Ed esemplifica con un riferimento storico.

            La “somiglianza delle aspirazioni interiori e degli ideali” - dei ‘significati’, quindi - ha fatto sì che negli artisti della prima metà dell’Ottocento - e specifico: i nazareni tedeschi, i puristi italiani, i preraffaelliti inglesi - nascesse la “simpatia” e la “capacità di comprensione per i primitivi”, cioè per gli artisti del s. XIII-XV,  ammirati per la purezza formale e per le aspirazioni di vita religiosa [175].

            Se ‘ascoltiamo’ quello che questa osservazione kandiskiana ci dice, comprendiamo (verstehen) che è possibile mantenere la ‘contemporaneità: Gleichzeitigkeit’ dell’opera e del fruitore, come teorizza Gadamer, senza per questo ‘lasciarsi rinchiudere nell’originario orizzonte dell’opera d’arte, ‘distante’ nel tempo (cfr. VI, 6) [176], perché  reso ‘presente’ dall’artista moderno per la ‘somiglianza’ dell’artisticità ‘significativa’.

            Per Kandisky, dunque, v’è continuità tra ‘presente’ e ‘distante’, perché lo stile ed il significato della ‘forma’ strutturata da un ‘primitivo’ - e riprendo l’esempio di Kandisky - è messa-sù  dal pittore dell’arte contemporanea non perché egli la ‘imita’ o addirittura la ‘copia’ per inedia di forza creativa, ma perché la ‘sente’ e la ‘esperisce’ conforme alle ‘autonome’ e ‘libere’ aspirazioni interiori quanto al ‘senso-significato.sentimento: Sinn-Bedeutung-Gefühl’, che agitano il suo animo.

            Queste “tensioni simili” s’incontrano e si intrecciano come in un ‘continuum’ di armonie - e la forma astratta della pittura di Kandisky è ‘forma musicale’, anzi “suono puro” [177] - di distinti strunenti musici (per così dire), cioè di più ‘volontà d’arte’ (Kunstwollen) di ‘artisti’ (Künstlerwollen), i quali nello spirito, che ha ‘superato’ il tempo, cantano all’unisono - per dirla con i Padri del Concilio di Nicea II (cfr. IV, 1).

            Per Kandisky, infatti, la struttura dell’opera (Werk) e la qualità estetica (Gebilde) non sono ‘separate’ e prive della ‘intentio auctoris’ della filologia classica (cfr. VI, 2) - come nella teoria di Gadamer (cfr. Vi, 5) -; che, anzi, sono immanenti l’una nell’atra per ‘volontà’ (appunto) del loro creatore. Formano “l’armonia d’insieme”, che “è la strada che conduce all’opera d’arte” [178].

            In ogni quadro - scrive Kandisky - l’artista racchiude l’intera sua vita: “una vita piena di dolore e di dubbi, di ore di entusiasmo e di luce”. Lo ‘spituale’ nell’arte, appunto [179].

            Prevenendo il metodo heideggeriano della domanda-risposta, Kandisky si chiede: “Dove va l’anima dell’artista coinvolta nella creazione? Cosa vuole annunziare?”; e risponde: “Illuminare le profondità del cuore umano è il compito dell’artista”  [180].

            Pertanto, fare l’ermeneutica di un’opera d’arte è per il Pittore russo ‘non figurativo’ “capire il punto di vista dell’artista [...], che diventerà madre del futuro   [...], forza profetica, capace di esercitare un’influenza ampia e profonda” [181]; e quindi, specifico, ‘tradizione’.

            Quasi volesse prevenire e confutare Gadamer, Kandisky afferma che non è il fruitore (o almeno non è il solo) che ‘apre l’opera d’arte al futuro’, ma è il ‘volere dell’artista’, che gravida nell’opera, a farla ‘profetizzare’. L’artista, ‘colui che vede’,  guida  e ‘fa vedere”. Per Kandisky l’artista è ‘divino servitore dell’umanità’ [182].

            Per il Pittore ‘astratto’ non  è da  assolutizzare il ‘come: wie’, perché questo ‘mezzo’ ha ‘cuore freddo ed anima addormentata’. Il ‘come’ deve coinvolgere “anche l’attività dell’artista”, e sapere “esprimere le sue più intime esperienze”. Così intuirà nel “che cosa”, che è “contenuto artistico”, “l’anima dell’arte, senza la quale il corpo (il come) non può vivere una vita piena e sana proprio come un uomo o un popolo” [183].

            Con linguaggio da poeta, il Pittore e teorico dell’arte astratta riassume le ‘parti’ che formano il ‘tutto’ dell’opera d’arte, e ne spiega l’efficienza nel circolo del loro peculiare gioco. “Il colore è un mezzo per influenzare direttamente l’anima. Il colore è il tasto. L’occhio è il martelletto. l’anima è un pianoforte con molte corde. L’artista è la mano, che toccando questo o quel tasto fa vibrare l’anima[184].

            La sovrabbondante ricchezza dell’opera, che è il ‘tutto’: tutto: corpo ed anima / come e che cosa / significato e contenuto / artista e mano; e poi: colore e tasto / occhio e martelletto / armonia del colore e vibrazione dell’anima, fa apparire  l’ermeneutica di Gadamer non sufficientemente ‘dis-posta’ a far venir fuori la verità dalla ‘oscurità: Verborgenheit’. Non permette, infatti, di ‘comprendere’  l’immanenza dell’esserci-Dasein ‘nell’in dell’opera d’arte (in-stehen), ed il suo venire alla luce (aus-kommen). Di contro, il metodo-iconologico di Panofsky denota direttamente lo ‘svelamento’, perché con profondità di pensiero scevera la ‘verità di visione’ nell’unum (das Ganze) dei tre strati distinti (ma non separati): negli schemi formali-semantici-simbolici, che ‘formano’ la sinfonia dell’opera d’arte (cfr. sopra, e II, 1-2).


[167] M. Heidegger, Che co’è la filosofia, cit. pp. 16-17.

[168] Cfr. Jean Piaget, Lo strutturalismo, Alberto Mondadori, Milano 1969, p. 40.

[169] E. Panofsky, Il significato nelle arti visive, cit., pp. 31-33. - Panofsky ha descritto  il ‘significato iconologico’ (o ‘significato intrinseco’ o ‘contenuto’) quello che ha immanente "quei principi interni che evidenziano l'atteggiamento fondamentale di una nazione, di un'epoca, di una classe, di una convinzione religiosa o filosofica" (cfr. l. cit.). - Cfr. I, 1-2; II, 1-2, ed E. Marino, L’affresco ‘La Vergine dalla  radice di Iesse, cit., nel “Glossario di particolari lemmi ed enuciati”, ad vocem.

[170]  Cf. in I, 2 quanto ho detto sulla possibilità che viene dall’osservazione diligente “di trans-correre, quasi con sguardo prospettico, sia alla com-prensione del senso-significato (‘Sinn-Bedeutung’) della ‘opera-totum’ carpendone l'in-et-extra, cioè l'iconografia, sia l'ambito di riferimento culturale nel quale l'artista si muoveva per azione e/o per reazione (‘Weltanschauung-Gesamtkultur’), cioè la icono(teo)logia”.

[171] M. Heidegger, L’origine dell’opera d’arte, cit., pp. 2-5.

[172] M. Heidegger, L’attualità del bello, cit., p. 65.

[173] Wassily Kandisky, Lo spirituale nell’arte, SE Srl, Milano 1989. Cfr. anche: W. Kandisky, Essays über Kunst und Künstler, Benteli-Verlag Bern, Zürich 1963. Tra i “saggi” si consultino: Malerei als reine Kunst (p. 63 3 ss.), Betractungen über die abstrakte Kunst (p. 144 e ss.), Abstrakte Malerei (p. 182 e ss.).

[174] W. Kandisky, Lo spirituale nell’arte, cit., p. 17. - Si noti che: Croce fa perno sul “sentimento” come “ciò che dà coerenza ed unità all’intuizione’ artistica e, pertanto, descrive la poesia ‘sentimento lirico’ (cfr. B. Croce, Breviario di estetica. Quattro Lezioni, Laterza ed., Bari 1925, p. 36 e ss.); Heidegger, quando si chiede se la filosofia “ha a che fare con il mondo degli affetti e dei sentimenti (Affekte und Gefühle)” si limita a negare che l’estetica possa appartenere al “dominio” della ratio e/o dell’irrazionele, e la include nello ‘stupore-pathos’  (cfr. M. Heidegger, Che cos’è la filosofia?, cit., pp.10-11); Gadamer non fa riferimento al ‘sentimento’ in modo esplicito - come Kandisky -, ma l’include nei ‘significati’, che insorgono dall’esperienza estetica del fruitore.

[175] W. Kandisky, Lo spirituale nell’arte, cit., p. 17. - Cfr. Leonello Venturi, Il gusto dei primitivi, Giulio Einaudi ed., Torino 1972. É stato John Ruskin (1818-1900) il maggiore critico europeo dell’Ottocento, a sostenere il ritorno ai ‘primitivi’, cioè ai pittori anteriori a Raffaello, quando l’arte non era sotto il ‘peccato d’orgoglio’ di ‘attività intellettuale’, ed è dovuto a lui “il sempre maggiore entusiamo per il gusto dei primitivi, nel mondo intero”. Tuttavia, Ruskin “non aveva né la cultura necessaria né il rigore di pensiero sufficiente per criticare il suo concetto dell’arte inadeguato al suo sentire; e tutto il suo ambiente lo spingeva fuori del pensiero filosofico, dentro una concezione religiosa. [...]  Alla concezione logica dell’arte, propria dello Hegel, Ruskin oppone una concezione morale”: cfr. l. cit., p. 140.

[176] H.-G. Gadamer, L’attualità del bello, p. 71.

[177] Kandisky spiega che la sua arte è ‘nata’ dal volere egli esprimere il  suo mondo interiore. “Nasce di qui l’attuale ricerca di un ritmo pittorico, di una costruzione matematica astratta; nasce di qui il valore che si dà alla ripetizione della tonalità cromatica, al dinamismo dei colori, ecc.”: cfr.  W. Kandisky, Lo spirituale nell’arte, cit., p 39.

[178] W. Kandisky, Lo spirituale nell’arte, cit., p. 19.

[179] Ib., p. 19.

[180] Ib., p. 19.

[181] Ib., p. 20.

[182] Ib., p. 21.

[183] Ib., p. 26.

[184] W. Kandisky, Lo spirituale nell’arte, cit., p. 46. - Il ‘far vibrare l’anima’ in forza della ‘emozione’ che l’artista e l’opera d’arte suscitano nell’osservatore è per Kandisky: “l’elemento interiore dell’opera d’arte [...]. L’emozione dell’anima dell’artista  [...] ha la capacità di provocare una corrispondente emozione nell’anima del riguardante: das innere Element [des Kunstwekes] ist die Emotion der Seele des Künstlers. Diese Emotion hat di Fähigkeit, eine im Gründe entsprechende Emotion in der Seele des Beschauers hervorzurufen”: cfr. W. Kandisky,  Essays über Kunst und Künstler, cit., p. 65 [Malerei als reine Kunst].

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