VI.11   L’ermeneutica di Gadamer non è ‘compatibile’ con l’esegesi della sacra Scrittura e con la critica ‘iconoteologica’ dell’opera d’arte

            L’ermeneutica filosofica di Gadamer, per il fatto stesso che non è in grado di sceverare il lógos ‘voluto’ e ‘detto’ dall’artista, che lo ha impresso-espresso nell’opera-Werk, si qualifica (e a maggior ragione) impari a scrutare e discernere il ‘théo-lógos’ delle opere d’arte. Queste, infatti, hanno come segno-signficato specifico - si ricordi il ‘Merkmal’ del critico C. Fiedler (cfr. VI, 10) - l’impronta espressiva della sacra Scrittura, descritta dal Concilio di Nicea II come raffigurazione ‘iconica’ di un ritratto: “ê tês eikonikê anazographéseos anatyposis-ektyposis” (cfr. IV, 2).

            Riprendendo quanto già accennato sulla ‘reductio’ operata da Heidegger del linguaggio-rivelazione della Parola-di Dio - ‘Wort-teologico’, dunque - al linguaggio-svelamento della Parola-dell’uomo - ‘Wort-umano’ - (cfr. VI, 7), accennerò ad alcuni ‘fondamenti: Gründe’ che, mutuati dalla sacra Scrittura ed elaborati da Heidegger, hanno ricevuto tale stra-volgimento nell’applicazione della teoria interpretativa gadameriana, da renderne ‘incompatibile’ l’esercizio nella critica delle opere d’arte, che nella loro verità di visione dipendono dall’ascolto verbale  del Libro-Wort, e/o dalla visione ‘autonoma’ di precedenti composizioni bibliche: si riconsiderino le “due vie” proposte dal Concilio di Nicea II (cfr. IV, 1-3).

            In realtà, non si può rinunziare a chiederci di fronte ad un’opera con il contrassegno della Fede: “che cos’è? - tì estín?”: domanda che Heidegger reputa necessaria, perché “si tratta di quella forma di domanda in-cammino che Socrate, Platone e Aristotele hanno sviluppato. Questi filosofi domandano per esempio: che cos’è ciò - il bello? (Was ist dies - das Schöne? [185].

            Ora, lo statuto dell’ermeneutica di Gadamer, che - nell’esegesi del “sta scritto” della Bibbia aveva trovato il modello-Ursprung per la teoria del suo sistema filosofico (cfr, VI, 7 -, ha vanificato la ‘domanda-risposta’ dell’ascolto della ‘parola di Dio’ (Gottes-Wort).

            Egli, infatti, che pure ammette che “nei testi della religione rivelata” v’è un “appello” che esige “risposta”, e che l’uno e l’altra scaturiscono dall’impegno (Zusage), che i credenti hanno assunto di assentire (zusagen) alla Parola “scritta”, non  svolge tale riflessione sulla Parola della sacra Scrittura quando questa “sta” in un’opera visiva, e si manifesta e chiama e impegna il fruitore, il quale la intra-vede nella ‘luce ombrosa’ della Fede dei mezzi artistici, si  lascia modificare e ‘risponde’ dicendone il significato [186].

            Insomma Gadamer, che sembra conoscere i testi del Concilio di Nicea II, non ha ‘pensato’ la sua ‘teoria estetica’ così da renderla proporzionata ad ‘interpretare’ quell’intreccio dell’immagine acustica della Parola e dell’immagine visiva del Mistero cristiano, che l’artista, anche contemporaneo, attua nella struttura dell’opera d’arte  (cfr. IV, 3).

            L’ascolto della s. Scrittura è possibile ed efficace quando si ha ‘coincidenza’ dell’udire/vedere  (hören/sehen) e del credere  (glauben) il mistero di Dio e dell’uomo in Dio.

            Di contro, l’’ascolto della ‘parola dell’uomo’ (Menschen-Wort) eviene (secondo Heidegger-Gadamer) nel puro comprendere (verstehen) e nell’approfondimeto-riflessione del pensiero (Denken), che - se inteso come forma cognitiva assoluta ed esclusiva - non può ‘trascendersi’ e non si lascia proporzionare al ‘dialogo’ (Gespräch) esegetico con la sacra Scrittura, in quanto (direbbe Tommaso) sapere che non si presta al ‘servizio ancillare’ della sacra dottrina [187]: della ‘iconoteologia’, dunque.

            Porto alcuni esempi fondamentali, in quanto vertono su i ‘Gründe’ massimi della ‘filosofia’ heideggeriana, seguìti da Gadamer che li ha applicati all’estetica.

            Prospetto dapprima una ‘somiglianza’ tra la parola greca ‘sophía’: il lemma che appella al ‘phileîn: amare’ della parola ‘filo-sofia’ , è la stessa parola ‘sophía’ detta ‘suo modo’ dalla sacra Scrittura e dal cristianesimo [188].

            Sia della ‘sophía’ della lingua greca qua talis, sia della ‘sophía’ scritturistica, si può affermare che ‘ci chiamano’ (rufen uns), quando noi ‘ascoltiamo davvero la parola’ (wenn wir das Wort wahrhafte hören), e quando ‘meditiamo’ (bedenken) ciò che abbiamo ascoltato.

            S ha pertanto che la parola ‘sofia’ ci guida “nella storia dell’origine (Herkunft) greca della filosofia [189]; e la parola ‘sophía’ della sacra Scrittura ci  convoca alla riflessione dell’origine (Herkunft) della storia della salvezza, operata dalla Parola-sapienza, che dice e chiede amore: “La sapienza (sophía)  eleva inni (ymneîtai) in pubblico; nelle piazze ha libertà di parola (parrêsía); in cima alle mura proclama il bando (kêrussetai)” (cfr. Proverbi 1, 20-21) [190]; e “Come il Padre ha amato (êgápêsen) me. anch’io ho amato (êgápêsa) voi: rimanete nell’amore  (agápê) di me” (Giovanni 15, 9).

            La ‘somiglianza’, però, sta nella ‘direzione’ (Richtung), e soltanto in questa indicazione di cammino, intrinseca alle ‘parole-guida’ (Leitfäden):   phileîn-agapeîn, perché il loro ‘che cosa’ (was): il ‘sophón’, è  imparagonabile in quanto del tutto ‘dis-somigliante’.

            Il ‘sophón’ amato dai filosofi - e perciò ‘filo-sofia’ - è l’“Uno tutto: En pánta”, e “dice: ogni essente è nell’Essere: Alles Seiende ist in Sein”; o, esplicitato “in modo più pregnante: l’Essere è l’essente: das Sein ist das Seiende [191].

            La ‘sophía’ detta dalla lingua greca del libro dei Proverbi e dal Vangelo di Giovanni (cfr. sopra) è chiaramente “il mistero di Cristo Gesù, nel quale sono tutti i tesori della sapienza: pántes oi thêsauroì tês sophías” (Colossesi 2, 3). Cristo infatti è la “sapienza di Dio: Theoû sophía” (1 Corinti 1, 24), divenuto “per opera di Dio sapienza: sophia” dei suoi discepoli (1 Corinti 1, 30), i quali  la ricercano con amore (‘agápê’) - quindi, sono ‘filo-sofi’ anch’essi -, ma in un altro ordine, quello ‘sovra-naturale’, quello divino.

            Ed è questo ‘Sapiente-Sapienza di Dio’ - e non l”Uno tutto En pánta- pánta tà ónta’ -, che è ‘meso in luce’ nella materia Ding-Gebilde: colorata o sonora o legnosa o pietrosa che sia, delle opere d’arte “generate nella bellezza” (Platone, Convito, 206 e): opere ‘icono-teo- logiche’, dunque.

            Inoltre, il ‘verstehen-denken’ heideggeriano (e di Gadamer) è un “raccoglimento meditativo” [192] sull’Essere dell’essente, che non porta alla luce né contempla Dio, presente ‘in tutto’, cioè in ogni ente (Seiende), ma per ‘creazione’ - concetto estraneo alla filosofia greca -, e per ‘rivelazione: Apokálypsis-Offenbarung’.

            Gadamer, senza questi due concetti: creazione-rivelazione, fondamentali per l’ascolto della sacra Scrittura del Veccio e Nuovo Testamento e per la visione delle opere d’arte che ne sono iconìa (cfr, IV, 2; VI, 8), non può rendere ‘compatibile’ la sua ‘ermeneutica’  con le opere: ‘create e/o manifestative della Parola rivelata,  per ‘aprire’ il loro ‘esserci-Dasein (sia pure della sola ‘Gebilde’, come vorrebbe Gadamer) al ‘vero: alêtheia’ - si ricordino le parole di Cristo: “Io sono la verità” (Giovanni 14, 6) -, significato dall’hic et nunc e dal presentimento del futuro (cfr. VI, 6).

            L’ermeneutica di Gadamer si muove entro ‘i confini: die Grenzen’ della parola dell’uomo, alla maniera di quanto teorizza Kant nella “Critica del Giudizio” per la ragion pura.

            Questo ‘presupposto’ impedisce l’esegesi del mondo biblico, che richiede come proprio ‘presupposto’ la disponibilità ad accostarsi a Dio con la fede nell’esistenza di Dio e nella sua provvidenza, come ‘dice’ il testo della sacra Scrittura. “Senza la fede (pístis) è impossibile piacere a Dio. Chi si accosta a Dio deve credere (pisteûsai) che egli esiste  (óti éstin), e che è rimuneratore (misthapodótês) di quelli che lo cercano” (Lett. agli Ebrei 11, 6).

            E Tommaso commenta. “Secondo l’insegnamento di san Paolo, chi si accosta a Dio deve credere che egli esiste, e che è rimuneratore di quelli che lo cercano. Infatti nell’Essere divino sono incluse tutte le cose che crediamo esistere eternamente in Dio, e nelle quali consisterà la nostra beatitudine; e nella fede nella provvidenza sono inclusi tutti i mezzi di cui Dio si serve nel tempo della salvezza degli uomini, e che preparano alla beatitudine” [193].

            Ora, la teoria ermeneutica di Gadamer, a colui che ‘vede’ e ‘gusta’ l’opera d’arte ‘iconìa’ della s. Scrittura, e che si chiede (come vuole Heidegger) “che cos’è ciò: was ist dies?”,  non presta il filo conduttore (Leitfaden) per darsi la ‘rsposta-Antwort’, perché non è  ‘la forza del pensiero dell’uomo’ ma è ‘la virtù teologale della ‘Fede’, che prolunga il cammino conoscitivo dalle “cose visibili che sono state fatte” - dall’Artista divino e/o dall’artista umano, che ne imita in qualche modo l’atto creativo [194] - alle realtà invisibili del regno di Dio (Romani 1, 20).

            Il puro ‘comprendere-verstehen’ heideggeriano è ‘cammino-Holzweg’ che non imbocca alcun ‘ponte’, che renda possibile il ‘transitare-traghettare’ (überlieferndalle cose che si “scorgono (conspiciuntur) intellettualmente” nel ‘cosmo creato: ea que facta sunt’, alla “verità di Dio, nota soltanto a lui” (Romani 1, 19).

            Gadamer non esamina  il “dissidio della fede: di credere cioè senza poter comprendere” - l’enunciato è di Kierkegaard, che l’ha vissuto drammaticamente [195] -, che il  fruitore esperisce dinanzi ad un’opera d’arte iconìa visiva dell’immagine acustica della Parola di Dio.

            Non troviamo nella “Attualità del bello” la premura di approntare un’ermeneutica ‘compatibile’ ed ‘ancillare’ a “raddrizzare i sentieri” per percorrere  “le vie del Signore” indicate dalla Scrittura (Matteo 3, 3); eppure nella ‘retta’ parola dell’uomo (ed aggiungo ed applico: nella ‘retta’ opera d’arte, sia essa ‘iconologica’ o ‘iconoteologica’) non c’è contrarietà con la Parola di Dio, che ascoltiamo e conosciamo “per fede” [196]. “Le scienze sono dette ancelle della sacra dottrina”, afferma il filosofo-teologo Tommaso [197].

            Gadamer, dunque, non si fa guida dello spettatore, il quale pieno di ‘stupore’ (Erstaunen) sta di fronte all’opera d’arte e si chiede “Dove devo rivolgere lo sguardo?: Wohin soll sich unser Blick wenden?” [198].

            Lo ‘sguardo’ deve elevarsi daldi qua: disseits’ del dire-fare-contemplare il bello entro i paramentri della parola e del pensiero dell’uomo “in puris naturalibus” (direbbe san Tommaso), al’di là: jenseits’ del dire-fare-contemplare il bello , che ha come fonte la Parola che ‘rivela’ la vita intima di Dio.

            Tuttavia, tale trascendenza della Parola, consegnata alla sacra Scrittura, è ‘gustabile’ nell’atto conoscitivo-interpretativo del credente e del fruitore credente - ed anche del fruitore ‘non credente’, che si attiene però alle regole della filologia nell’interpretazione del ‘codice’ del locutore-artista ‘credente’ [199] -, perché “l’atto del credente non si ferma all’enunciato - e si può aggiungere: alla visione dell’opera d’arte (Werk-Gebilde) -, ma si conclude nella cosa stessa: infatti formiamo degli enunciati solo per avere la conoscenza delle cose” [200].

            Parimenti, l’ermeneutica di Gadamer è ‘incompatibile’ con l’oblio della ‘intentio auctoris’ (cfr. VI, 5). Nella sacra Scrittura il ‘testo’ è inpensabile ed inscindibile dal suo autore-Dio rivelatore.

            L’apostolo Pietro ne indicava la motivazione: “Non per volere d’uomo fu mai detta alcuna profezia, ma per ispirazione dello Spirito santo, che fece parlare gli uomini mandati da Dio” (2 Pietro 1, 21).

            Pertanto “occorre che si creda all’autorità di coloro ai quali è stata fatta la rivelazione” [201], e non si faccia esegesi scritturistica secondo criteri del tutto personali. “Sappiate anzitutto che ogni profezia contenuta nella Scrittura non va soggetta a “privata interpretazione: idías epilúseôs” (2  Pietro 1,20).

            Il ‘testo scritturistico-Parola di Dio’, infatti, su cui poggia  la fede,  assume ‘storicità’ negli uomini, dei quali abbiamo il ‘nome’: i profeti, gli apostoli, gli evangelisti, ed in coloro che autoritativamente la ‘interpretano’ e ‘tramandano’ (überliefern), vale a dire “il solo vivo magistero della Chiesa, al quale è stato affidato l’ufficio di interpretare autenticamente la Parola di Dio, scritta o trasmessa” [202].

            Dunque. sacra Scrittura e Tradizione vanno ‘insieme: una simul’ e costituiscono “un solo deposito sacro della Parola di Dio: unum Verbi Dei sacrum depositum [203]: sono le ‘due vie’ ermeneutiche definite dal Concilio di Nicea II: la lettera del Vangelo e la Tradizione non scritta (cfr. IV, 1-3), che sono come uno “specchio nel quale la Chiesa contempla Dio” [204].


[185] M. Heidegger, Che cos’è la filosofia?, cit., pp. 16-17.

[186] H.-G. Gadamer, L’attualità del bello, cit., pp. 163-164: ”Ho citato la traduzione luterana: ‘Sta scritto”. Qual’è il senso di questo ‘sta scritto’?. Nell’uso linguistico di Lutero si trova spesso in questa espressione un senso particolare del proferire che vorrei definire impegno (Zusage). [...] Appartiene appunto all’essenza dell’impegno di essere un rapporto reciproco di appello e di risposta. In questo senso i testi della religione rivelata costituiscono un ‘impegno’, essi assumono cioè il loro carattere di appello soltanto attraverso l’accettazione del fedele”.

[187] Thomas Aq., Summa  thelog., I p., q. 1, a. 5: “Scientiae dicuntur ancillae sacrae doctrinae”.

[188] Sul rapporto cristianesimo e lingua greca, cfr. M. Heidegger, Che cos’è la filosofia, cit., pp. i4-15: “L’essenza (Wesen) originariamente greca della filosofia nell’epoca della sua signoria moderna è stata guidata (geleitet) e dominata (beherrscht) da rappresentazioni (Vorstellungen) provenienti dal cristianesimo. Il predominio di tali rappresentazioni ha nel Medioevo il suo terreno di mediazione. Tuttavia non si può dire che grazie a ciò la filosofia sia divenuta cristiana, cioè una questione propria della fede nella rivelazione (eine Sache des Glaubens an die Offenbarung) e nell’autorità della Chiesa”. - Annoto che la lingua greca non doveva affatto divenire ‘cristiana’ in senso specifico. Il ‘cristianesimo’, dalla liturgia dei primi secoli (e non solo nell’Oriente ma nella stessa Roma) ai Padri greci e latini, ha ‘signoreggiatto’ (beherrscht) la lingua greca - come ben detto da Heidegger - come ‘organon’ esegetico del Nuovo Testamento scritto in greco, ed ausilio di ‘pensiero’ nella chiaridicazione della Fede e nell’approfondimento ‘teologico’ della Parola di Cristo. Si abbiano presenti gli effati di Anselmo d’Aosta: “Credo ut intelligam” e “Fides quaerens intellectum”.

[189] M. Heidegger, Che cos’è la filosofia, cit., pp. 16-17.

[190] I lemmata greci sono stati presi dai libri del Vecchio Testamento in greco, detto dei Septuaginta.

[191] M. Heidegger, Che cos’è la filosofia, cit., pp. 22-23.

[192] M. Heidegger, Che cos’è la filosofia, pp 8-9.

[193] Thomas AQ., Summa theol., II-II, art. 7.

[194] Il filosofo Luigi Stefanini (m. 1956), che ha teorizzato l’arte come ‘parola assoluta’, seguendo sant’Agostino, interpreta la ‘imitazione’ del Logos da parte dell’artista: “Nessuna traccia del Logos divino potrà mai essere riconosciuta nell’essere, se non da chi ripeta, nei limiti dell’umana analogia, l’atto del Logos divino. Conceptam rerum veracem notitiam tamquam verbum apud nos habemus, et dicendo intus gignimus (Agostino, De Trinitate, IX, 7). Cfr. L. Stefanini,  Educazione estetica ed artistica,  La Scuola ed., Brescia 1954, p. 86.

[195] Sören Kierkegaard, Breviario, a c. di Max Bense, Linea d’ombra ed., Milano 1959, p. 46.

[196] Thomas Aq., Contra Gentes, lib. 1, cap. VII: “Sebbene la verità della fede cristiana superi la capacità della ragione, tuttavia i princìpi primi della ragione non possono essere in contrasto con codesta verità. [...] Le cose dunque che si tengono per fede, derivando dalla rivelazione divina, non possono mai essere in contraddizione con le nozioni avute dalla conoscenza naturale. / Quamvis praedicta veritas fidei Christianae humanae rationis capacitatem excedat, haec tamen quae ratio naturaliter indita habet, huic veritati contraria esse non possunt. [...] Ea igitur  quae ex revelatione divina per fidem tenentur, non possunt naturali cognitioni esse cintraria”.

[197] Thomas Aq., Summa th., I p., q. 1, a. 5. - Non si confonda la ‘ancillarità’ delle scienze, in quanto ‘strumento-organon’, cioè ‘metodo di conoscenza’, con la ‘ricerca strumentale’, già esclusa da Hegel per salvare la ‘libertà’ dell’arte. “Si verifica senza dubbio che l’arte può essere usata come fuggevole gioco, per servire al diletto e allo svago, per abbellire il nostro ambiente, per dare piacevolezza all’aspetto esteriore dei rapporti della vita, per mettere in rilievo, adornandoli, altri soggetti. In questo modo essa in effetti non è arte indipendente, arte libera nei suoi fini come nei suoi mezzi”: cfr. G. W. F. Hegel, Estetica, cit., t. I, pp. 12-13.

[198] M. Heidegger, Che cos’è la filosofia?, cit., pp. 20-21.

[199]  Cfr. la Costituzione dogmatica “De divina revelatione” del Concilio Vaticano II,  c. III: “De sacrrae scripturae divina inspiratione et de eius interpretatione” (n. 12): “Dio nella sacra Scrittura ha parlato per mezzo di uomini e come costumano gli uomini [...]  Per carpire l’intenzione degli agiografi occorre aver presente tra l’altro i ‘generi letterari’: Cum Deus in sacra Scriptura per homines more hominum locutus sit. [ ..]. Ad hagiographorum intentionem eruendam  inter alia etiam genera letteraria respicienda sunt”: in Conciliorum oecumenicorum decreta,  cit., p. 976.

[200] Thomas Aq., Summa th. II-II, q. 1, a. 2, ad 2.

[201] Thomas Aq., Summa th., I p., q. 1, a. 8.

[202] Cfr. la Costituzione dogmatica “De divina revelatione” del Concilio Vaticano II, cit.,cap. II: De divinae revelationis transmissione, n. 10, p. 975. -  Aggiungo la continuazione del testo citato, in cui è spiegato il ‘ministero’ della Chiesa nell’interpretare, che comporta  l’ascolto (hören), l’esporre (erklären), ed il proporre (vorstellen):l’oggetto della Fede, i credenda. “Quod quidem magisterium non supra Verbum Dei est, sed eidem ministrat, docens nonnisi quod traditum est, quatenus illud, ex divino mandato et Spiritu sancto assistente, pie audit, et fideliter exponit, ac ea omnia ex hoc uno fidei deposito haurit, quae tamquam divinitus revelata credenda proponit”: cfr. l. cit., p. 975.

[203] Cfr. la Costituzione dogmatica “De divina revelatione” del Concilio Vaticano II, cit.,cap. II, n. 10, p. 975.

[204] Cfr. la Costituzione dogmatica “De divina revelatione” del Concilio Vaticano II, cit.,cap. II, n. 7, p. 974.

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