(... VI.11b   L’ermeneutica di Gadamer...)

            Con tali spiegazioni, basate sulla ‘esegesi’ della sacra Scrittura, la teoria estetica di Gadamer non è ‘compatibile’.

            Anzitutto, perché la ‘Tradizione della Parola’, sia nella versione ‘scritta-orale’ che in quella ‘non scritta-opere d’arte’, non ammette che sia il singolo  ad interpretare il “depositum fidei” trasmesso - come si è detto or ora -, conferendogli (ritiene Gadamer) sempre ‘nuovi significati’, col solo vincolo che ‘il di più’, in quanto tale, possa assommarsi in qualche modo al senso della ‘tradizione’ (Überlieferung), anche se a questa non omogeneo (cfr. VI, 4-6).

            L’opera d’arte intuìta nella Fede e costruita nella Fede è certamente ‘aperta’ alla ‘libera’ ricerca del nuovo e del di più nello scrutare il senso ‘insondabile’ della Parola divina. Tuttavia, l’esegesi scritturistica: quella che si esercita sul testo sacro e quella che chiarifica la Tradizione non scritta, è polisemica ma non ‘opera aperta’ in  indefiniti significati (cfr. VI, 4-6).

            La polisemia della Parola di Dio nella Scrittura e nella Tradizione è ‘vincolata’ ai ‘quatro sensi’: storico, morale, allegorico, anagocico, ‘regolati’ - e quindi ‘vincolati’ - dal senso storico (il letterale), che è il fondamento (Grund) sul quale deve poggiare ogni tipo di ermeneutica. (Cfr. V, 2).

            Si rilegga il testo di Tommaso, che spiega con precisione la dialettica della polisemia dei ‘sensi scritturali’. “La molteplicità di tali sensi non produce alcuna confusione nella sacra Scrittura, perché tutte le significazioni si fondano su un solo senso, quello letterale, dal quale soltanto è lecito argomentare. [...] Né per questo viene a mancare qualcosa alla sacra Scrittura, perché niente di necessario alla fede è contenuto nel senso spirituale, che la sacra Scrittura non esprima chiaramente in senso letterale in qualche altro testo” [205]. (Cfr. III, 2 e V, 2).

            La teoria ermeneutica di Gadamer ha invece come sfondo il presupposto: “l’opera d’arte come tale non è un documento storico”, sia perché non ne ha “l’intenzione”, sia perchè non pertinente “a quel significato che essa acquista nell’esperienza estetica” [206].

            Pertanto, la teoria della ‘tradizione’ gadameriana (cfr. VI, 6), non è ‘compatibile’ con la accezione classica della ‘Tradizione’ nel dominio ermeneutico teologico, cioè regola-modello nell’ascolto della Parola e nella sua interpretazione ed esperienza  della vita di Fede, formulata da Vincenzo da Lerino (450ca).

            Nel “Commonitorium”, che il Lerinense ha composto, troviamo formulato il rapporto libertà e vincolo - così fondamentale nella teoria di Gadamer - nella trasmissione della Fede. La comprensione (Verstehen) e e la esegesi (Auslegung) del mistero rivelato cresce di continuo nella cognizione dei ‘fruitori’ (per usare il linguaggio di Gadamer). Però, il ‘progresso: profectus’ ‘esplicita’ ed ‘amplifica’ l’apprendimento sempre nel rispetto del vincolo di  quanto appartiene al dogma, custode fedele e permanente della verità rivelata che, dunque, dev’essere ritrovata e riconosciuta nella sua genuità in ogni momento del percorso storico dei credenti [207].

            Tommaso spiega il motivo dello sviluppo anche dal punto di vista ‘pedagogico’. “Lo sviluppo del sapere può dipendere da due motivi. Primo dal fatto che l’insegnante, uno o molti che siano, progredisce nella scienza con l’andar del tempo, E questo è il motivo dello sviluppo nelle scienze umane. Secondo, per causa del discepolo: perché un maestro che conosce perfettamente una disciplina non l’insegna subito tutta da principio al discepolo, che non potrebbe capirla, ma prima un po’ per volta, adattandosi alla sua capacità. E per questo motivo gli uomini progredirono nella conoscenza della fede nel corso dei tempi. Infatti l’Apostolo [Lettera ai Galati 3, 24 e ss.] paragona all’infanzia lo stato dell’antico Testamento” [208].

            Inoltre, chi nega (alla maniera di Gadamer) all’ordito visivo di un’opera d’arte espressione-iconica del testo della Bibbia (cfr. VI, 7) - testo storicamente formato e volutamente trasmesso -, deve anche rifiutargli il valore interpretativo che gli compete in quanto ‘interpretazione comprendente’ (appunto), che (insegna Gadamer) abbraccia “ogni comprensione (Verstehen) ed esegesi (Auslegung)” [209].

            Né soddisfa la spiegazione, che egli adduce, vale a dire che nell’opera d’arte che è riuscita “e resta” vi sia “l’intenzione di ricordare qualcosa tramite l’esibizione dell’opera d’arte, come avviene nel caso del vero e proprio documento”, perché “l’artista non vuole, tramite una simile esibizione, richiamarci a qualcosa che è stato” [210].

            Ora, l’opera d’arte iconìa della s. Scrittura non è un ‘resto’ o una ‘reliquia’ della Bibbia, perché la Parola rivelata ha nell’opera d’arte una propria, costruita autonomia-che sta, e che le proviene dalla sua sostanza non verbale, di rendere presenti visivamente le ‘opere mirabili: mirabilia Dei’, nelle quali il ‘Dio creatore-Dio salvatore’ ha operato ed agisce, e si è manifestato e si svela nel mondo della storia quando viene il tempo opportuno: “ecce nunc tempus: idoú nûn kairós” (Seconda ai Corinti 6, 2), cioè nella Zeitlichkeit: si ricordi l’Heidegger del “Sein und Zeit”, e nello spazio, vale a dire nella Räumlichkeit’: si abbia presente l’opuscolo “Die Kunst und der Raum”  (cfr. VI, 5), ‘scelti’ da Dio [211]. Cfr. IV, 3.

            È con questo ’creare-fare-agire’ - e ‘portare dalle tenebre alla luce’ (alêtheia) - di Colui che  “In principio creò il cielo e la terra” (Genesi 1, 1), che l’opera d’arte ha nella sua ‘qualità’ (giudizio estetico) e nel ‘significato’ (giudizio di senso) rapporto di reciprocità con la sacra Scrittura e con la Tradizione: rapporto  che va inteso non soltanto quale ‘rapporto-proporzione (Verhältnis)’, ma anche come l’immanente ‘essere-attaccato-insieme  (zusammenhangen)’, come il ‘tutto’ (das Ganze).

            A siffatto ‘tutto’, di cui l’esegesi (Auslegung) della s. Scrittura e della Tradizione’ chiede (fragt) la comprensione (verstehen), l’ermeneutica di Gadamer risponde (antwortet) in modo non adeguato.

            La teoria di Gadamer non salvaguarda la “Parola della Fede: Verbum fidei” (Romani 10, 8), perché l’amore della sapienza della parola dell’uomo non può da sé sola interpretare la parola di Cristo senza rendere vana il mistero della Croce. ”Non sono stato inviato ad annunciare la buona novella (euaggelízesthai) - affermava Paolo - con la sapienza della parola (en sophía lógou) - ovviamente del ‘lógos’ della “sapienza di questo mondo: en tô aiôni toúto ” (Prima Corinti 3,18) -, affinché non sia svuotata (kenôthê) la croce di Cristo” (Prima Corinti 1, 17).

            Infine, l’ermeneutica gadameriana, sviluppata con considerazione prettamente filosofica, non è ‘compatibile’ con la storia dell’arte. perchè fa di questa una ‘storia della cultura artistica’, astratta ed universalizzata, anche se provocata dalla presenza e contemporaneità dell’opera d’arte.

            Il Filosofo dell’ermeneutica, nel passagio dall’estetica trascendentale, che è ‘intuizione: Anschauung’ sottoposta alle condizioni formali dello spazio e del tempo, all’analitica trascendentale, che sottopone il molteplice delle intuizioni all’atto unificante dell’intelletto, perde la presenza immediata dell’opera d’arte e si eleva alla conoscenza intellettuale: il ‘concetto:Begriff’. Ma come ha teorizzato Kant: “i concetti (Begriffe) senza intuizione (Anschauung) sono vuoti (leer)”.

            A tale livello, dunque, resta ‘vuoto: leer’ il “discorso che l’opera stessa conduce” - come vuole l’ermeneutica gadameriana -; che dev’essere il discorso di e su quella singola opera, nell’armonia delle parti-tutto e tutto-parti’, che ne fanno apprendere il ‘senso’ e/o i ‘sensi’, che si risolvono - per dirla con i Padri Niceni - nella iconìa della ‘persona-artista (Künstler)’ e delle ‘intenzioni’ del facitore (Künstlerwollen), ‘modificato’ dalla sacra Scrittura e dalla Tradizione, che sono  ‘Sermo Dei’ (Gotteswort), che dalla ‘fonte rivelata’ scorre nel corso della storia della salvezza.

             Appaiono, pertanto, ‘contraddittorie’ le affermazioni di Gadamer: l’opera d’arte ci parla come opera e non come latrice di un messaggio (das Werk als Werk und nicht als Übermittler einer Botschaft zu uns spricht); e: “l’opera nelle sue varie particolarità è mediatrice sempre e di continuo della stessa ed identica significazione, quella del ‘sacro’: in ihr spricht uns immer und immer wieder und in die verschiedenen Besonderungen, die gleiche Botschaft des Heilen an [212].

            Ora, il concetto del ‘sacro’, che viene descritto da Gadamer in modo vago - è il ‘numinoso’ in quanto tale ?; è il ‘divino razionale’ ?; è ii mistero di Dio, rivelato dai profeti e da Cristo ? [213]; - e che si esperisce nell’amore per il bello [214], si risolve in un’apprensione che connota un contenuto universale, al quale l’ermeneuta può risalire come ultimo referente del ‘che cosa dice’ quell’individua opera d’arte, misconoscendo però i vari gradi di approfondimento che l’opera bella’ (Werk-Gebilde)  ha richiesto all’osservatore, allo storico e soprattutto al critico.

            D’altra parte, però,  per Gadamer questo concetto-significato “non è quello di un’opera d’arte destinata alla fruizione artistica, ma quello di un monumento religioso o profano, che possiede solo secondariamente il carattere di opera d’arte” [215].

            In tal modo l’opera d’arte, che ha un ‘lógos profano’ o  un ‘lógos religioso’ nell’ambito della ‘parola-Wort (e/o della ‘ratio’): che possiamo chiamare ‘iconologico’; o un ‘lógos rivelato e soprannaturale’, che è ‘theológos’ in senso proprio (che Gadamer non distingue esplicitamente dalla teodicea o teologia razionale) e che costituisce il dominio della ‘icono-teo-logia’: non sono pertinenti alla ‘storia dell’arte’ per il carattere utilitario: cioè non ‘interessenloss’ (come si esprime Kant), quasi che il bello-Gebilde che si ‘gusta’ non abbia intriseco il ‘chiamare’: si rifletta sul lemma, che parla greco: bello-kalós’ dal verbo ‘kalléô: chiamo’ (cfr. n. 315),  che è appello (Zuspruch) al ‘tutto’ dell’opera d’arte, anche alla sua ‘funzione’, quando coincide con la forma artis-forma artificis. Lo rilevava  Charles Baudelaire, lo storico critico della ‘pittura modern0a’ esplosa nell’Ottocento, quando  dopo una visita alle chiese di Bruxelles annotava la sua esperienza: “Le culte de Marie, très beau dans toutes les églises” [216].

            Per salvaguardare in qualche modo le opere belle - a cominiciare dal ‘bello di natura’-, e le “variazioni storiche” in cui le epoche consumano il loro “gusto mutevole”, Gadamer escogita “un criterio soprastorico’, che lascia ‘libero  il gusto personale’ di quel tipo di critici,  che prediligono “questo o quell’artista o un determinato indirizzo d’arte” [217].

            Con siffatte ‘distinzioni’ non è possibile ‘guardare’ un’opera d’arte, che ha lo ‘stile: wie’ (schemi formali), ed ‘il che cosa’ (schemi semantici-simbolici) - che Heiddegger spiega alla maniera degli aristotelici-scolastici come ‘ quid’ o “quidditas’, e traduce in tedesco: ‘Washeit’ [218] -, e scoprirvi l’artista che, ‘modificato’ dalla ‘res fidei’ della sacra Scrittura, ha creato l’opera in tutta la sua sovrabbondanza con ‘volontà’, che si effonde nella bellezza della ‘verità della Fede: Glaubens-wollen / Glaubens-Warheit’, messa dinanzi ai nostri occhi (dargestellt). E questa è ‘iconoteologia’.

            L’ermeneutica filosofica di Gadamer, inizialmente ispirata e guidata dall’esegesi della Parola di Dio(-rivelatore), qualificata per la sua perfezione e per la sua forza come ‘teurgica: theourgía’: il lemma è di Dionigi Areopagita  (cfr. VI, 3), si è ‘trasformata’ completamente nella Parola dell’uomo(-che-comprende), al quale tuttavia non compete che la ‘finita energìa’ del pensiero-Denken e del comprendere-Verstehen, guidata dal filo conduttore (Leitfaden) dell’ascolto della lingua greca (e soltanto di questa, a guisa dei primi principi dei metafisici), ha assunto caratteristiche tali che non può prestarsi all’uso metodologico-ancillare dell’esegesi del linguaggio(-immagini acustiche) della Bibbia e dell’interpretazione del ’linguaggio(-immagini visive) delle opere d’arte, che ne sono iconìa.


[205] Thomas Aq.,  Summa th. I p., q. I, a. 10, ad 1. - Per la ‘allegoria cristiana’ e/o teologica (e aggiungo:  ‘iconoteologica’, quando vi si fa ricorso nelle arti visive), ad evitare un ‘allegorismo’ non proporzionato all’esegesi della sacra Scrittura occorre aver presente l’insegnamento di sant’Agostino, il quale la descrive puntualizzando che per allegoria ‘cristiana’ s’intende “quella che noi crediamo detta per mezzo della sapienza nello Spirito Santo: quae per sapientiam dicta creditur in Spiritu Sancto”; e questo ‘modus’ rende proprie ‘ancillae’  le leggi letterarie e stilistiche. Cfr. Augustinus, De vera religione, c. 50, ed. K. D. Dauer, Turnhout (Belgium) 1962, p. 251, in “Corp. Christ.”, Ser. Lat., t. 32.

[206] H.-G. Gadamer, L’attualità del bello, cit., p. 75.

[207] Vincentius Lerinensis, Commonitorium 23: “Nullusne ergo in Ecclesia Christi profectus habebitur religionis? Habeatur plane et maximus. [...] Sed ita tamen, ut vere profectus sit ille fidei, non permutatio. Siquidem ad profectum pertinet, ut in semetipsum unaqueque res amplificetur, ad permutationem vero, ut aliquid ex alio in aliud transvertatur. Crescat igitur oportet et multum vehementerque proficiat  [...] intelligentia, scientia, sapientia, sed in suo dumtaxat genere, in eodem scilicet dogmate, eademque sententia”, in; Migne, t. 50, col. 667 e ss.

[208] Thomas Aq,, Summa th., II-II p., q. 1, a. 7, ad 2.

[209] H.-G. Gadamer, L’attualità del bello, cit., p. 68. - Gadamer distingue la propria posizione da quella di Giovanni Gustavo Droysen (m. 1884). Questi chiamava  ‘monumenti’: “forma mista di fonti e di resti”; ove per fonti intendeva “annotazioni tramandate allo scopo di ricordare”, e per resti “oltre i documenti, le monete ecc. anche ‘le opere d’arte d’ogni specie’”. Ed il Filosofo commentava: “Ad uno storico può sembrare che le cose stiano così, ma l’opera d’arte come tale non è un documento storico”: cfr. l. cit., p. 75. - Cfr. G. G. Droysen, Sommario di istorica, Traduzione e nota di Delio Cantimori, G. C. Sansoni ed., Firenze 1943, n. 23-24, p. 19: ”Gli avanzi [o reliquie] alla cui produzione per altri scopi (ornamento, utile pratico) cooperò anche l’intenzione della memoria, sono monumenti. [...] Così le opere d’arte d’ogni specie, le iscrizioni, le medaglie, in un certo senso le monete, ecc.  [...] Nelle fonti ci vengono tramandate per memoria le cose passate, come l’intelletto umano le ha concepite e se le è plasmate”.

[210] H.-G. Gadamer, L’attualità del bello, cit., p. 75.

[211] Vattimo annota la “svolta: Kehre” avvenuta tra la scrittura del Sein und Zeit e la conferenza del 1969 Die Kunst und der Raum. Nel primo scritto “era la temporalità la dimensione guida per la riproposizione del problema dell’essere”, mentre nel secondo la nuova attenzione che vien data “alla spazialità” sembra “apportare una precisazione rilevante del concetto di opera come messa in opera della verità, che si riflette anche sulla concezione heideggeriana dell’essere e del vero. [...] L’opera come messa in opera della verità, come inaugurazione di mondi storici, poesia epocale. [...] Il fatto che qui Heidegger pensa la funzione aprente dell’arte in riferimento ad un’arte spaziale chiarifica finalmente che cosa si debba intendere, positivamente, per conflitto tra mondo e terra, e la stessa nozione di ‘terra’. [...] Questo einräumen si eplicita nella sua duplice dimensione: è insieme un disporre località (Ort) e disporre questi luoghi (Ortschafften) in relazione con la ‘libera vastità della contrada (Gegend)’”: cfr. Vattimo G., La fine della modernità, cit., pp. 87-97.

[212] H.-G. Gadamer, Die Aktualität del Schönen, cit., p. 43.

[213]  Cfr. Rudolf Otto, Il sacro. L’rrazionale nella idea del divino e la sua relazione al razionale, Feltrinelli ed., Milano 1966.

[214] H.-G. Gadamer, L’attualità del bello, cit., p.15: “L’esperienza del bello, ed in particolare del bello dell’arte, è l’evocazione magica (Beschwörung) di un possibile ordine sacro, dovunque esso sia”.

[215] H.-G. Gadamer, L’attualità del bello, cit., p. 63.

[216] Charles Baudelaire, Écrits sur l’Art, Éditiones Gallimard, Paris 1971, t. 2, p. 576.

[217] H.-G. Gadamer, L’attualità del bello, cit., pp. 63-64.

[218] M, Heidegger, Che cos’è la filosofia, cit., p. 17.

precedente successiva