VII

 METODO ERMENEUTICO DELLA STORIA DELL’ARTE
CHE HA IL REFERENTE NELLA STORIA DELLA SALVEZZA

VII.1   Autorità ed attualità di Dionigi Areopagita nella forrmulazione della teologia dell’estetica  e del metodo conoscitivo delle ‘tre vie: causalità, eminenza e negazione’, metodo ermeneutico pertinente alla storia dell’arte

           Riprendo il discorso sul metodo critico, che reputo pertinente alla comprensione dell’iconoteologia (cfr. I-III), con l’ausilio della ‘stella rectrix’ delle analisi di Dionigi Areopagita, sviluppate poi dal ‘commentatore’ Tommaso d’Aquino, e proseguìte dai teologi fino ad oggi (cfr. IV, 1-3), al fine di mettere in risalto l’essenzialità delle considerazioni di Fede, lasciate fuori dalla cultura della ‘sola ratio’ degli illuministi, ed impraticabili dall’ermeneutica estetica di Gadamer (cfr. VI, 10), eppure ‘attuali’, perchè ‘presenti’ e colloquianti  nella storia della ‘via visiva-via della bellezza del Mistero cristiano (cfr. IV, 3).

            Dionigi Areopagita - anzi, “il grande Dionigi: o mégas Dionysios”, come lo stimavano i Padri del Nicea II[1]-, il teologo del “De divinis nominibus”, è stato (ed è, lo si è accennato) maestro dell’Oriente e dell’Occidente cristiano, e  non soltanto sull’uso e valore del linguaggio quando si parla di Dio, ma anche - se non altro per analogia e per connotazione -  sull’uso  e valore delle immagini quando gli artisti ‘fanno vedere’ il mistero di Dio e delle Gerarchie celesti.

            Possiamo, infatti, seguendo la dottrina dionisiana, stabilire la seguente equipollenza: qual’è la conoscenza che riusciamo ad esprimere attraverso il suono dei nomi-di-Dio (e più in generale del testo: immagine acustica della sacra Scrittura), tal’è la conoscenza che ci è dato manifestare mediante la impressione-espressione delle immagini-di-Dio e della storia della salvezza, e nelle opere d’arte che ne sono ‘iconìa’.

            È Dionigi che ha insegnato l’equiparazione dei ‘sancta signa’ con i ‘sancta velamina’ [2], forse sotto l’influsso dei ‘santi veli’, che nascondevano l’altare agli occhi dei fedeli nei momenti più alti delle celebrazioni liturgiche[3].  È lui che ha indicato le possibilità ed i limiti del ricorso alla metafora in forza della “similitudo-conditio corporalis”, che la rende ‘conoscenza estetica’ efficace  (cfr. V, 2) [4].

            Si pensi allo sforzo della ‘inventio’ e della ‘tecnica’ nel figurare i sacri-segni della Fede, perché apparissero nel loro simbolismo(-collatio) le  ‘illuminazioni belle ed illuminanti: clarificationes pulchrae-pulchrificantes’ del mistero dell’Incarnazione e della liturgia (sacramenti-sacramentali), e delle devozioni (o ‘pietas’), sia nell’architettura, a cominciare dalle ‘domus ecclesiae’, ai battisteri, alle basiliche, alle cattedrali e al loro ‘sito’ all’interno della città medievale [5], sia nello ‘ornato’ nei modellati delle sculture, di frontoni e di capitelli, e nel gioco di luce-colori-minio sulle pareti, nelle vetrate, nelle ancóne e nei codici [6].

            È Dionigi, dottore dei teologi sia di tendenza platonica che di ispirazione aristotelica (a cominciare da Alberto Magno), che ha  insegnato l’uso ancillare della ‘sapienza secolare’ delle nozioni speculative su Dio (cfr. III, 1 e n. 37), ‘causa dei rapporti armoniosi, delle amicizie e delle comunicazioni di tutte le cose’, e perciò ‘belle’ nel loro ordine reciproco e nei confronti di Dio:  “Principio d’ogni cosa”, ed il Bello quale causa fattrice, cioè il Bello che tutto muove e tutto contiene “per amore di pulcritudine sua” [7].

            In queste considerazioni riscontriamo la ‘sapientia saecularis’ di Vitruvio, l’architetto che precede di secoli il Conc. di Nicea II, vale a dire la ‘euritmia-simmetria’; di L. B. Alberti, l’artista versatile, influenzato dal ‘ritorno’ di Platone e del meoplatonismo nella città di Firenze nel s. XV, con la nozione-principio estetico della ‘concinnitas’, spiegata  (appunto) quale armonia di tutte le parti nel tutto; e la descrizione di Tommaso dell’arte, compendiata nel trinomio: ‘integritas-consonantia-claritas’. (Cfr. II, 2, e n. 22).

            È illuminante il commento di Tommaso. “Il Principio di tutte le cose belle” chiama-a-sé tutto quanto è bello, così che ogni creatura splendente di “bellezza” ritorna alla fine alla sua causa efficiente ed esemplare [8]. Si prospetta il circolo: dal Bello [Deus-causa] al bello [creatura-effectus], e dal bello  [creatura] al Bello [Deus] (cfr. n. 321). Dionigi offre perciò ‘giustificazione’ alla costituzione della civiltà estetica del cristianesimo e al carattere relativo-metaforico di tutte le cose rispetto al ‘Principium pulchrorum’ (cfr. sopra), come Alano da Lilla (ca 1125-1203) - il circestiense ‘Doctor universalis’, rappresentante della scuola di Chartres - ricapitolerà negli scorrevoli versi:

“Omnis mundi creatura:
quasi liber et pictura:
nobis est, et speculum [9].

            Nell’Areopagita sono già le ‘rationes’ che spiegano perché Dio-Padre viene considerato il supremo ‘artifex’, che “tutto fa mediante suo Figlio” (s. Agostino); perché Cristo è presentato come la ‘ars’ dell’Onnipotente-artista (s. Tommaso); il ‘Medium septiforme’ della speculazione del metafisico, del fisico, del matematico, del dialettico, dell’etico, del politico, del teologo (s. Bonaventura); il “fabri filius” (Matt. 13, 55) che nella  vita terrena  assume  e fa in qualche modo esperienza di tutte le arti, sia quelle liberali che quelle meccaniche (fra Remigio de’ Girolami, il ‘lector’ di S. Maria Novella, ascoltato forse da Dante e dai ‘fabri-magistri lapidum-pictores’ di Firenze) [10].

            E queste altissime ‘rationes’ non rimasero senza influsso sulla coscienza degli artisti, che giunsero a stimare se stessi ‘teologi’, cioè “manifestatori agli uomini grossi che non sanno lettera, de le cose miracolose operate per virtù e in virtù della santa fede”, come si legge nel “Breve dell’arte” dei pittori senesi del 1355 [11]; o che sentirono l’orgoglio della propria professione al punto da riconoscersi (come informa Giorgio Vasari) “simili a Dio”, che concede loro “quel divino lume” dell’arte [12].

            Si deve ancora a Dionigi l’indicazione delle ‘vie’ attraverso le quali si arriva alla conoscenza di Dio, a ‘nominarlo’ e quindi - è lecito aggiungere - a ‘rappresentarlo’ visivamente, metamorfosando il ‘suono’ del ‘nome’ in linee, colori, forme pittoriche e plastiche.

            La ‘via della causalità’ denota Dio come ‘Bello-Pulchrum-Kalós / Bellissimo-Pulcherrimus-Págkalós’. Attraverso questa ‘via’ è dato risalire dall’effetto alla causa e perciò affermare che il ‘bello’, che lascia incantati dinanzi alla ‘creatura-effetto’, preesiste nel ‘Creatore-causa’, e costituisce la ‘via pulchritudinis’ che ci conduce a Lui.

            Tale ‘via pulchritudinis’ ci porta alla considerazione delle “cinque vie”, che Tommaso percorre per rispondere affermativamente alla questione: “Se Dio esista: utrum Deus sit”. Si abbia presente la “seconda via”: ‘via’ che parte dalla ‘nozione-ex ratione’ della causa efficiente, vale a dire da “l’ordine tra le cause efficienti, che troviamo nel mondo sensibile” - o ‘estetico’ - la cui spiegazione richiede un processo che non vada all’infinito, che è metodologia assurda, perché “andare all’infinito nelle cause efficienti, equivale ad eliminare la prima causa efficiente, e così non avremo neppure l’effetto ultimo né le cause intermedie: ciò che è evidentemente falso. Dunque bisogna ammettere una prima causa efficiente, che tutti chiamano Dio” [13]. Perciò l’effetto bello è via al riconoscimento della Causa efficiente bella.

            Pertanto il linguaggio, quello verbale e quello visivo, è in grado di porre relazioni positive e/o di comparazione tra il mondo delle perfezioni della natura e degli uomini ed il cosmo misterioso di Dio [14].

            La ‘via della eminenza’ o dell’eccesso - lemma, quest’ultimo, che Tommaso impiega per rendere più chiaro il significato di ‘eminentia’ - manifesta l’Essere supremo come il ‘Sovra-bello: Super-pulcher / ‘Yperkalós’. Tale ‘via’ fa intravvedere lo ‘eccesso’ divino nei confronti del ‘genus’ delle creature (Dio “non est in genere”): ‘eccesso’ che richiede che al monema che ne dà  indicazione venga premessa la preposizione ‘sopra-aldilà’, ed alle immagini delle arti figurative, che cercano di porlo in qualche modo dinanzi ai nostri occhi negli schemi formali-semantici, sia data una certa ‘s-proporzione’ o ‘straniamento’ [15].

            Questa ‘via superpulchritudinis’ è indicata da Tommaso nella “quarta via”, che prende inizio “dai gradi che si riscontrano nelle cose. È un fatto che nelle cose si trova il bene, il vero, il nobile e altre simili perfezioni. Ma il grado maggiore o minore si attribuisce alla diverse cose secondo che si accostano  di più o di meno ad alcunché di sommo e di assoluto. Vi è dunque un qualcosa, che è vero al sommo, ottimo e nobilissimo, e di conseguenza qualche cosa che è il supremo ente; perché come dice Aristotele, ciò che è massimo in quanto vero, è tale anche in quanto ente. Ora ciò che è massimo in un dato genere, è causa di tutti gli appartenenti a quel genere. [...] Dunque vi è qualche cosa che per tutti gli enti è causa dell’essere, della bontà  e di qualsiasi perfezione. E questo chiamiamo Dio” [16]; che, percorrendo la ‘via dell’eccesso del bello’ dobbiamo proclamare il ‘Sovra-bello’.

            La ‘via della negazione’ cerca una qualche apprensione dell’Onnipotente purificandola da ogni qualificazione creaturale ed antropomorfica, che per definizione include nella propria nozione limite e deficienza, che permane necessariamente in qualsivoglia sua predicazione, anche se la prospetta in forma superlativa. Pertanto, è più pertinente dire che Dio è ‘Non bello: Non-pulcher: Ou-kalós’ che predicarlo ‘Bello’ (‘via positiva) o ‘Sovra-bello’ (‘via di eminenza’), perché così non solo superiamo e trascendiamo le manchevoli ‘denominazioni e fugurazioni del bello: pulchritudinis nominationes-figurationes’ naturali ed umane, ma evitiamo (“per omnium ablationem”)  qualsiasi riduzione del Creatore a livello della creatura, e lo ammiriamo e lodiamo “casto silentio” quale ‘Il-tutt’altro [17].  Anche questa ‘via cognitionis’ porta ad ammirare Dio che ha una ‘bellezza’ che eccede - e quindi nega - ogni bellezza creaturale, cioè finita.

            Queste considerazioni filologiche: ‘lógos: Wort’, logiche: ‘lógos: ratio’, e teologiche: ‘lógos:Fides’ - sintagmi che ho spiegato nell’excursus su Heidegger-Gadamer: cfr. VI, 1- 10 - sono rese dagli artisti esteticamente sensibili-visibili-percepibili-liriche-gradite nelle opere delle loro mani; ed i fruitori ed i critici le possono sentire-discernere-gustare se sanno sapientemente ‘equipaggiarsi’ nel dominare la  propria intuizione, cioè  lo ‘aspectus-obtutus’  ed il processo critico (cfr. I, 1).


[1] Conc. di Nicea II, Canones, II, in Conciliorum ooecumenicorum decreta, cit., p.140.

[2]  Dionigi Areopagita, La Gerarchia celeste, a c. di Enrico Turolla, Ed. CEDAM (Casa ed. dott. A. Milani), Padova 1956,  cap. I, p. 51: “Non può nemmeno avvenire che per altro modo brilli a noi il raggio tearchico, ma soltanto avvolto e nascosto da varietà di sacri veli, soltanto accennante  alle celesti cose, accomodato come si conviene alle nostre condizioni”.

[3] Thomas Aq.,  In librum beati Dionysii de divinis nominibus expositio, lect. secunda, n. 61, Ed. Marietti, Torino-Roma 1950, p. 20: “Dicit autem per sancta velamina, quia in presenti vita, non possumus per ea quae nobis tradita sunt, ipsam Dei essentiam, prout in se est, videre, sed instruimur de Deo in Scripturis, per similitudinem effectus ipsius, quasi per quaedam velamina, secundum illud 1 Cor. 13, 2: Videmus nunc per speculum in aenigmate”.

[4] Thomas Aq.,  In librum b. Dionysii de div. nom., cit., cap. I, lectio secunda, n. 69, p. 21: “Dicit ergo, primo, quod nunc, idest in praesenti vita, sicut supra expositum est, utimur, sicut nobis est possibile, propriis signis ad divina cognoscenda; quae quidem signa sunt tam perfectiones quae procedunt a Deo in creaturis, quam et metaphorae quae a creaturis per similiitudinem transferuntur in Deum. Et huiusmodi quidem signa dicuntur propria  cognitioni rerum divinarum ex parte nostra, quia non est possibile nobis aliter innotescere res divinas nisi hoc modo. Non tamen sic utimur huiusmodi signis in cognitionem divinorum, quod in eis mens nostra remaneat, nihil ultra huiusmodi Deum existimans, sed ex istis signis, rursus extendimur, secundum nostram proportionem ad simplicem et unam veritatem intelligibilium miraculorum, id est admirabilium contemplationem, quae de rebus divinis per huiusmodi signa accipimus”. Cfr. anche Summa th. I p., q. 13, a. 3, ad 3: “quae metaphorice de Deo dicuntur, important conditionem corporalem in ipso suo significato”. - La ‘conditio corporalis’, necessaria nella formazione delle arti visive e nelle espressioni poetiche, rende dunque indispensabile il ricorso alla similitudine-metafora . Cfr. V, 2.

[5] Argan G. C.-Fagiolo M. Premessa all’arte italiana, in “Storia d’Italia”, G. Einaudi ed., Torino 1972, v. I, pp. 735-736: “Nel secolo XII i ‘Pisani cives virtute potentes’ pianificano addirittura la costruzione di una città nuova accanto all’antica, e vogliono che si formi attorno a un nucleo monumentale, anche se a questo concetto tipicamente romano si dà un accento fortemente cristiano, e nei tre monumenti raccordati idealmente e visivamente tra loro si allude al principio della vita (il Battistero), al suo corso (alla Cattedrale), all’esito e alla comunità dei morti o delle memorie (il Camposanto)”.

[6] Sulla civiltà del cristianesimo come civiltà estetica, che valorizza a tal fine ogni ‘materia’ ed ogni espressione di ‘luce’ e di ‘colore’, cfr. Rosario Assunto, Ipotesi e postille sull’estetica medioevale, Marzotti ed., Milano 1975. - R. Assunto ha esaminate con grande acume le teorie estetiche del Medioevo, compreso la ”Schönheit und Kunst bei Thomas”: cfr. R. Assunto: Die Theorie des Schönen im Mittelalter, DuMont Buchverlag, Kôln 1982.

[7] Dionigi Areopagita,  Circa i divini nomi,  Ed CEDAM (cit.), cap. IV, n. 7, p. 231.

[8] Thomas Aq., In librum b. Dionysii de div. nom., cit., cap. IV, lect. quarta, n.  340, p. 113: “Quomodo autem Deus sit causa claritatis, ostendit subdens, quod Deus immittit omnibus creaturis, cum quodam fulgore, traditionem sui radii luminosi, qui est fons omnis luminis; quae quidem traditiones fulgidae divini radii, secundum participationem similitudinis sunt intelligendae et istae traditiones sunt pulchrificae, idest facientes pulchritudinem in rebus. Rursum exponit [...] quod Deus sit causa consonantiae in rebus [...] Prima quidem, secundum ordinem creaturarum ad Deum, et hanc tangit cum dicit quod Deus est causa consonantiae, sicut vocans omnia ad seipsum, [...] et propter hoc pulchritudo in graeco cállos dicitur quod est a vocando sumptum. Secunda autem consonantia est in rebus, secundum ordinationem earum ad invicem”. - Sulla ‘pulchritudo’ teologica, intesa come ‘similitudo cum propriis Filii’, vale a dire quale ‘integritas sive perfectio’ (il Figlio ha in sé la natura del Padre in modo integrale), ‘proportio sive consonantia’: il Figlio è immagine perfetta del Padre, ‘claritas sive color nitidus’: il Figlio in quanto Verbo è splendore e luce dell’intelletto, cfr. Thomas Aq.,  Summa th. I p, q. 35, a. 2, ad 3, e q. 39, a. 8.  Tommaso riporta la ‘claritas’ e la ‘proportio’ alla ‘ratio’ e alla ‘vita contemplativa’: cfr. II-II p., q. 180, a. 2, ad 3: “Pulchritudo, sicut supra dictum est qu. 145, a. 2, consistit in quadam claritate et debita proportione. Utrumque autem horum radicaliter in ratione invenitur; ad quam pertinet et lumen manifestans, et proportionem debitam in aliis ordinare: Et ideo in vita contemplativa, quae consistit in actu rationis, per se et essentialiter invenitur pulchritudo. Unde Sapientia 8, 2 de contemplatione sapientiae dicitur: Amator factus sum formae illius”. Siffatta teorizzazione dionisiana-tomista (e poi di Ficino), è stata praticata nel campo dell’arte, ove il ‘brutto’ e/o il ‘cattivo’ e/o il ‘tenebroso’  sono stati plasmati e/o pitturati senza ‘integritas’ (appunto) o ‘perfectio’ o ‘proportio’ o ‘claritas’. San Bernardo, s. Tommaso e Dante (ad esempio) ne hanno fatto esperienza ‘guardando’ alle opere d’arte che abbellivano chiese ed abbazie. Richiamo alla mente la écfrasi di s. Bernardo dell’arte romanica, che vedeva fiorire sotto i propri occhi, e che ‘critica’, però, con liguaggio che non è facile trovare simile nel rendere con ‘immagini acustiche’ le ‘immagini visive’: “Quid facit illa ridicula monstruositas, mira quaedam deformis formositas? Quid ibi immundae simiae? Quid feri leones? [...]”, in “Apologia ad Guillelmum Sancti Theodorici abbatem”, cap. XII: cfr. Migne, Ser. Lat., t. 182, coll. 915-916. - Sulla ékphrasis delle opere d’arte verbali, cfr. VI, 8.

[9] I versi fanno parte della cosiddetta “sequenza della rosa”, attribuita ad Alano da Lilla, che R. Assunto loda per la “consumata sapienza metrica e retorica”, e per  il “giuoco  affascinante di immagini incarnanti concetti [...], di concetti sviluppanti immagini”, capaci di farci penetrare nel gusto estetico auditivo-visivo-intellettuale degli uomini del Medioevo: cfr.. R. Assunto, Ipotesi e postille sull’estetica medioevale, cit., pp. 16-17. - Il domenicano fiorentino Giovanni Dominici  metteva quasi sullo stesso piano Alano ed Ovidio: “Alanum dulciter metro canentem Ovidio non postpono”, in Lucula noctis, a c. di  R. Coulon, Libr. A. Picard, Paris 1908), cap. 45, p. 411.

[10] Thomas Aq., Summa th. III p., q. 59, a. 1. In questo passo Tommaso cita il De Trinitate di Agostino (lib. VI, cap. 10, in.), vale a dire: “etiam Augustinus dicit quod Filius est ars Patris [...]; Pater facit omnia per Filium, in quantum est ars eius”. - San Bonaventura  chiarifica il Cristo come “medium septiforme” della metafisica, della fisica, della matematica, della dialettica, dell’etica, della politica e della teologia: cfr.  Principium sacrae Scripturae, in Opera omnia, Lugduni 1668, t. I, p. 7 B-C. - Remigio de’ Girolami fa la ‘reductio’ di tutte le arti a Cristo nella sua opera “Divisio scientiae”, pubblicata da Emilio Panella, Un’introduzione alla filosofia in uno ‘studium’ dei frati Predicatori del XIII secolo. ‘Divisio scientiae’ di Remigio de’ Girolami, in “Memorie Domenicane”, N. S. n. 12 (1981), pp. 27-126. La ‘Divisio scientiae’ di fra Remigio è stata la fonte letteraria (cioè delle ‘immagini acustiche’), che ha guidata la ‘inventio’ di Andrea di Bonaiuto nella visualizzazione (‘immagini ottiche’) delle scienze in rapporto alla teologia nell’affresco “Trionfo di s. Tommaso’ nella Sala capitolare (ora comunemente detta ‘Cappellone degli Spagnoli’) in S. Maria Novella di Firenze: cfr. E. Marino, Santa Maria Novella e il suo spazio culturale, Estratto da “Memorie Domenicane”, Pistoia 1983, pp. 14-17.

[11] Il “Breve dell’arte” è citato da Pietro Toesca, Storia dell’arte italiana. Il Trecento, UTET, Torino 1971, p. 596.

[12] Giorgio Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori ed architettori, a c. di Gaetano Milanesi, Ed. G. C. Sansoni, Firenze 1906, vol. I , Proemio delle  Vite, p. 221: “Io credo non mi essere partito punto dal vero: e penso [...] il principio di queste arti essere stata l’istessa natura, e l’innanzi o modello la bellissima fabbrica del mondo, ed il maestro quel divino lume infuso per grazia singolare in noi, il quale non solo ci ha fatti superiori agli altri animali, ma simili, se è lecito dire, a Dio”.

[13] Thomas Aq., Summa th., I p., q.. 2, a. 3.

[14] Thomas Aq., In librum b. Dionysii de div. nom., cit., cap. IV, lectio quinta: De pulchro et quomodo Deo attribuatur, n. 352, p. 115: “Pulchrum quidem est principium omnium sicut causa effectiva dans esse; et sicut causa movens et sicut causa continens, id est conservans omnia; haec tria videntur ad rationem causae efficientis pertinere: ut det esse, moveat et conservet. Sed causa agens, quaedam agit ex desiderio finis, quod est agentis imperfecti, nondum habentis quod desiderant; sed agentis perfecti est ut agat per amorem eius, quod habet et propter hoc subdit quod pulchrum, quod est Deus, est causa effectiva et motiva et continens, amore propriae pulchritudinis. Quod enim propriam pulchritudinem habet, vult eam multiplicare, sicut possibile est, scilicet per communicationem suae similitudinis”.

[15] Thomas Aq., In librum b. Dionysii de div. nom., cit., cap. IV, lectio quinta: De pulchro et quomodo Deo attribuatur, n. 343, p. 114: “Excessus autem est duplex: unus in genere, qui significatur per comparativum vel superlativum; alius vero extra genus, qui significatur per additionem huius praepositionis super; puta, si dicamus quod ignis excedit in calore excessu in genere, unde dicitur calidissimus; sol autem excedit excessu extra genus, unde non dicitur calidissimus sed super calidus, quia calor non est in eo eodem modo, sed excellentiori. Et licet iste duplex excessus in rebus causatis non simul rebus conveniat, tamen in Deo simul dicitur et quod est pulcherrimus et super pulcher; non quod sit in genere, sed ei attribuuntur omnia quae sunt cuiuscumque generis”.

[16] Thomas Aq., Summa th., I p., q.. 2, a. 3. - Nei testi citati dalla ‘Somma’ di san Tommaso troviamo esplicitamente citato il bene, il vero, il nobile, e non il bello. Questo però è incluso nell’enunciato “e altre simili perfezioni”. U. Eco ha posto esplicitamente la questione: “Il Bello è una di quelle proprietà coestensive all’essere, in modo che consegua universalmente all’essere in tutte le sue manifestazioni?”. Questione suscitata nel semiologo dall’esame del De Veritate (q. I, art. 1), in cui Tommaso, affrontando “il problema dell’essere e delle sue proprietà trascendentali”, elenca l’unum, la res, l’ens, l’aliquid, il bonum ed il verum, e non il pulchrum. A siffatta domanda del prof. Eco risponde il Commento di Tommaso a Dionigi: il Dottore domenicano attribuisce alla prima Causa efficiente la ‘summa pulchritudo’ allo stesso modo con cui  le predica il ‘summum bonum’. La ‘questione’ sollevata da Eco ha però carattere storico-filologico. Egli osserva che sono stati gli ‘apologeti tomisti’ a rendere esplicito il trascendentale pulchrum, mossi “dalla esigenza di riaffermare l’oggettività del Bello, per evidenti ragioni di polemica contro l’estetiche soggettivistiche. [...] Ci sarebbe quindi una eccedenza delle preoccupazioni dottrinali su quelle storico-interpretative; peraltro l’interesse dei tomisti contemporanei - sempre sul piano sistematico - è più polemico e più aderente a una determinata problematica estetica (soggettivismo-oggettivismo) di quanto non fosse quello dei medievali”: cfr. Umberto Eco, Il problema estetico in Tommaso d’Aquino, Valentino Bompiani ed., Milano 1970, pp. 39-42.

[17] Thomas Aq.,  In librum b. Dionysii de div. nom., cit., cap. IV, lectio quinta: De pulchro et quomodo Deo attribuatur, n. 355, p. 115: “Pulchrum et bonum laudantur in Deo per omnium ablationem”. Cfr. anche Summa th. I p., q. 13, a. 1.

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