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Archivio SMN I.C.102 B 74r Locutus est Dominus (resp. dom. Quinquag., la fede d'Abramo). Racconto per immagini della historia salutis dall'alto in basso lungo il tracciato verticale della L, muovi a destra nella base, e richiudi verso l'alto a sinistra. I - Un’interpretazione dell’islàm  alla luce del Cristo

1. Punto di partenza: «Se l’islam è veramente il mistero abrahamitico concernente la benedizione per la discendenza d’Ismaele, deve realmente avere le misteriose relazioni col mistero di Gesù Cristo» (Reint. p. 29).

2. Gli arabi discendono etnicamente da Abramo nella linea d’Ismaele. I musulmani, ricevendo la benedizione ismaelitica, si riallacciano alla fede di Abramo e sono inseriti nella rivelazione abramitico-cristiana. Prove:

a) Bibbia: Gen. 16,1-16 (la schiava Agar partorisce ad Abramo il figlio Ismaele); 21, 10-13: (Sara) disse allora ad Abramo: «Caccia questa schiava e suo figlio, perché il figlio di questa schiava non deve essere erede con Isacco mio figlio ». ( ... ) Ma Dio disse ad Abramo: «Non dispiaccia questo ai tuoi occhi, per riguardo al fanciullo e alla tua schiava: in tutto quanto ti dice Sara, ascolta la sua voce, perché per Isacco tu darai nome a una discendenza. Ma io farò diventare una grande nazione anche il figlio della schiava, perché è tua discendenza»; 21, 14-19: (peregrinazione nel deserto di Agar ed Ismaele); 21,20: «Dio fu con il fanciullo, che crebbe, abitò nel deserto di Paran e sua madre gli diede una moglie della terra d’Egitto».

Accanto al figlio della promessa (Isacco), «con parallelismo simmetrico, l’autore ha presentato il mistero della separazione ed esclusione d’Ismaele...» (Dial. 67). Accanto al ciclo biblico d’Isacco, c’è il ciclo d’Ismaele: «A lui e alla sua discendenza è riservata una missione di corattere bellico» (ib.). E’ quanto inteso da Dio nella replica all’intercessione d’Abramo (ib. 67-68). Tutto l’episodio dell’espulsione di Agar-Ismaele «è riferito dall’autore sacro con tratto veramente patetico» (ib. 68). «Ismaele grida e piange. Sono queste le prime lacrime che la Bibbia ricordi. E’ il primo pianto dell’umanità che lo Spirito Santo ha creduto opportuno ricordare; ciò non è senza profondo significato» (ib. 69). Valore «religioso profetico» (ib. 70) degli episodi biblici del ciclo d’Ismaele: «Sino ad oggi questo importantissimo fatto non è stato preso in considerazione per riconoscere le lontane radici bibliche dell’Islam» (ib.).

b) «Nelle bolle pontificie con le quali vengono indette le crociate... erano sempre citate le parole: «ejice ancillam et filium eius» (Reint. 31). Tutta la tradizione ebraica e cristiana parla degli arabo-musulmani come «ismaeliti» «agareni» (Reint. 31-32; Dial. 76-84).

3. Valore teologico della discendenza degli arabi da Abramo: «Una maggiore riflessione della coscienza ebraica e cristiana su questi testi biblici pregnanti di mistero, oggi potrebbe più facilmente aiutare a comprendere il significato religioso dell’Islam nella storia della salvezza» (Dial. 71). «La riflessione sulla convergente coscienza della tradizione giudaica e cristiana concernente i testi della benedizione abramitica per Ismaele e la sua discendenza aiuterà sempre i teologi a scoprire le lontane basi bibliche per l’interpretazione cristiana del fenomeno religioso dell’Islam, nell’insieme della storia della salvezza. L’esempio dello spirito e della azione di san Francesco non mancherà di aiutare coloro che sono sinceramente impegnati nel dialoge cristiano-musulmano in una più profonda e soprannaturale riflessione sul mistere abramitico dell’Islam» (ib. 84).

4. Superate le rappresentazioni polemiche e grottesche della figura di Muhammad, bisogna tentare di scoprire «una nuova immagine della persona di Mohammed» (Dial. 91-95). «Una forza ‘carismatica’ - dono di Dio a questo figlio di Abramo che fu Mohammed - ha forgiato il carattere originale della sua religiosità» (ib. 97). Tutto l’islàm e lo stesso Muhammad sono segnati dall’ansia della “attesa” (Reint. 37). «L’Islam è teso di fatto verso il secondo ritorno di Gesù Cristo, giudice dell’umanità» (ib. 37). Della tensione dell’islàm verso Cristo non si sono avveduti né i musulmani né la teologia islamica (ib. 35) né i cristiani (ib. 38). «Perciò tutto il problema di Gesù Cristo mi appariva in termini assai diversi da quelli nei quali abitualmente lo hanno visto l’esegesi e la teologia musulmana per fini polemici anti-cristiani e gli apologeti cristiani orientalisti, per denunciare le povere informazioni di Muhammad sul cristianesimo» (Reint. 35-36). E’ necessaria perciò «una nuova interpretazione cristiana del Corano “nella luce del Cristo”» (ib. 40). Nel frattempo «nella mia graduale riscoperta della figura di Muhammad e del messaggio coranico mi appariva sempre più chiara la speciale vocazione di san Francesco nell’apostolato cristiano in mezzo ai fratelli musulmani» (Reint. 39; titolo del cap. «S. Franc. d’A. l’intercessore per aiutare i musulmani a riprendere la loro marcia», ib.).

5. La reinterpretazione dell’ islàm deve liberarsi sia dei risultati cui è pervenuta la scienza degli orientalisti (ib. 41) sia delle errate impostazioni dei cattolici e degli stessi musulmani. Bisogna trovare una formula che «possa dare alla chiesa, nonostante che ciò possa sembrare paradossale, la chiave per l’interpretazione coranica, come essa possiede la chiave dell’interpretazione della bibbia... Bisognerà stabilire un giorno che l’esegesi del Corano, come quella dell’antico testamento - dipende pure dalla Chiesa» [da una lettera di C. Ledit all’A.] (ib. 42).

6. La nuova chiave interpretativa proposta dall’A.: «Fu così che tentai di leggere allora il Corano con la chiave cristiana... come un nuovo punto di partenza per la ricerca del senso autentico del messaggio coranico, che al tempo stesso potrebbe essere il modo migliore per aiutare i mussulmani ad intraprendere il dialogo con i cristiani» (ib. 42-43). L’A. si mise all’opera: «Intuii chiaramente che non era stato Muhammad ad imparare dagli ebrei, ma che in vece egli aveva avuto una missione per annunciare agli ebrei della Mecca e di Medina, la verità della vita dell’al di là, della resurrezione di morti, del giudizio, la messianicità di Cristo e la santità di Maria sua madre» (ib. 43). A chi gli contesta, in nome del rigore filologico, la legittimità di leggere il corano «in chiave cristiana», BS controbatte polemicamente: come la “lettura rabbinica” del vecchio testamento non ne coglie tutto il senso, così «durante 13 secoli l’esegesi musulmana non sarebbe riuscita a scoprire tutto il vero significato del Corano, che solamente si aprirebbe completamente con la ‘chiave cristiana’» (Reint. 43, p. 21).

7. In contrasto con l’esegesi musulmana e con degli islamologi (si polemizza con Jacques Jomier: Reint. pp. 111-12), l’A. formula così il suo programma: «Prima di rigettare in blocco il libro sacro dell’islàm, poiché l’ordinaria interpretazione che i musulmani ne danno da secoli, non permette di riconoscervi, da parte della fede cattolica, un’autenticità, perché - io chiedo - non tentare se fosse possibile qualche altra interpretazione ‘con la luce di Cristo’ la quale permettesse di scoprire in profondità ciò che sino ad oggi i musulmani non sono riusciti a scoprire?» (ib. 113).

8. L’esegesi secondo il senso bâtin (nascosto, esoterico: esegesi praticata dai mistici musulmani, per lo più al margine dell’islàm ortodosso) non sarebbe proprio quella condotta alla luce di Cristo? (ib. 114). In fondo «apparterrebbe alla chiesa interpretare il Corano» così come è lei a svelare il senso profondo del vecchio testamento (ib.). Un rammarico: «per il momento, non è facile fare accettare questa idea dai nostri fratelli musulmani; sinora è altrettanto difficile farla accettare dagli stessi cristiani che si occupano dell’islam» (ib.).

9. Ecco, più da vicino, i trapassi del metodo: a) considerare ogni dettaglio testuale (del corano) per coglierne il senso letterale (ib. 117); b) mettersi nel contesto della predicazione ed esperienza religiosa di Muhammad per cogliere, nel testo coranico, il senso inteso da Muhammad (ib.); c) passare quindi a vedere il significato che tale idea o termine ha in terreno biblico-cristiano (ib. pp. 117-18); d) finalmente: «Questo senso [cioè quello biblico-cristiano; e perché non quello rabbinico?] si ‘trasporta nel Corano’ per interpretarlo e leggerlo in chiave cristiana’, rivelandoci così dimensioni più profonde e rimaste nascoste» (ib. 118).

In conclusione: «Quando Muhammad usava una parola, un dato concetto, sotto l’ispirazione (ipoteticamente) proveniente da Dio, non era necessario che egli percepisse tutta l’estensione del significato... In questo, noi cristiani possiamo comprenderla più profondamente e nel suo vero senso e nel pieno significato, più di quello che non l’abbiano compresa i musulmani. Così la “luce cristiana” fornirà la vera chiave per ri-interpretare il Corano, permettendo di inserirlo in qualche modo, insieme alla missione profetica di Muhammad, nel contesto della storia della rivelazione cristiana» (Reint. p. 118).

Quali i frutti dell’esegesi coranica alla Basetti-Sani? Ne darò alcuni campioni per mettere in risalto il sovvertituento di lettura che la “chiave cristiana” provoca sul testo letterario del corano e le insospettate efflorescenze cristiane che d’incanto vi proliferano.

10. «I destinatari del messaggio coranico» (Reint. p. 119) sono, per BS, pressoché unicamente gli ebrei. Ahl al-kitâb (gente del libro: ebrei e cristiani, nel contesto letterario del corano – cf. 5,65-69 – l’esegesi musulmana e quella degli otientalisti) sono per BS gli scribi ebrei (ib. 140). Muhammad è «il profeta dei gentili» (al-nabî al-ummî di Cor. 2,78; 7,157-58). Sul senso di ummî sono scorsi fiumi d’inchiostro: gentile, non ebreo, arabo, laico e - per l’esegesi musulmana - analfabeta. Per BS “gentili” sta - senza ombra di dubbio - per “arabi-ismaeliti”, i quali rivendicano, contro l’esclusivismo giudeo-cristiano, la rivelazione affidata «agli esclusi e abbandonati da Dio» nella linea d’Ismaele l’escluso (Reint. 151).

Tutto il testo coranico ottiene di conseguenza un’inclinazione semantica che orienta intenzioni e messaggi della predicazione di Muhammad verso gli unici interlocutori, gli ebrei. Questo fa presumere un contenuto iniziale del mistero cristologico annuito nella polemica di Muhammad con gli ebrei, che rifiutavano filiazione divina di Gesù, sua concezione verginale e verginità di Maria. Stando così le cose, «il Corano è altresì la presentazione della figura di Gesù agli arabi pagani; e l’appello agli ebrei di Mecca e di Medina per il riconoscimento di Gesù come messia e della santità della Madonna» (Reint. 155). Operato tale capovolgimento dei termini referenziali e dell’orientamento compositivo del testo coranico, l’A. costruisce il suo libro con capitoli dal titolo: Muhammad annunciatore [del mistero di Cristo] agli ebrei e arabi della Mecca (Reint. 123), Nostalgia di Gerusalemme (128), Iniziale marcia verso il mistero di Gesù Cristo? (153), Il posto centrale di Gesù Cristo nelle liste profetiche (170), Come la lettura cristiana del Corano scopre Cristo nel senso pieno di alcuni testi (175), Appello conclusivo per riconoscere Gesù Cristo (207), L’esplicito annuncio di Cristo a Medina (181), L’islam coranico orientato a Cristo (214) ecc. ecc. Ultimo capitolo: Amor dat novos oculos (232).

11. Alcuni esempi di re-interpretazione del corano alla luce del Cristo.

a) Cor. 90,1: «Giuro per questa contrada! Ed è lecito a te questo paese» (trad. A. Bausani, Il Corano, Firenze 1961; BS si serve anche d’altre traduzioni, ma spesso propone la sua interpretazione avendo cura di annotare «trad. adattata», «trad. accomodata»). Contrada è, secondo tutti gli esegeti, la Mecca. BS: «Non si tratta della Mecca ma della ‘città’ vista in visione, Gerusalemme...» (Reint. 129). «Il suo (di Muhammad) cuore restava sempre pieno di nostalgia per Gerusalemme. Gerusalemme!» (ib.).

b) Cor. 5,72-75. Dal contesto (5,65: «gente del libro», coloro che hanno ricevuto Torah e Vangelo) risulta che la polemica è condotta contro cristiani ed ebrei. Ai cristiani si rimprovera di proclamare la filiazione divina di Gesù (v. 72) e la Trinità (v. 73). Nella reinterpretazione di BS il testo sarebbe un dibattito tra Muhammad ed ebrei, in cui il primo difende i cristiani dall’errata presentazione che gli ebrei fanno dei misteri cristiani. Cor. 5,72-73, è così riscritto da BS (si ricordi che il testo del corano è grammaticalmente composto come discorso di Dio in prima persona):

(Ebrei): Miscredenti sono invero coloro che dicono: «Dio è il messia figlio di Maria!»

(Muhammad): Ma il messia ha detto: «O figli d’Israele, adorate Iddio, Signore mio e Signore vostro!». A colui che associa altri a Dio, è precluso da Dio il Paradiso...

(Ebrei): Miscredenti sono invero coloro che dicono: «Iddio è il terzo dei tre!»

(Muhammad): Non vi è altro dio che un Dio solo, e se non desistono da ciò che dicono, un supplizio doloroso toccherà quelli di coloro che non credono... (Reint. pp. 210-11).

c) Giuseppe (Cor. 12) sarebbe la figura tipologica di Gesù (Reint. 156). La «notte del destino» (Cor. 97) è la notte di natale (ib. 176). Il «libro chiarissimo» di Cor. 44,1 (e cioè il corano) «è il simbolo della rivelazione evangelica, della ‘parola di Dio’, il suo Verbo...» (ib. 177). Cor. 5, 12 «E quando gli Apostoli dissero: O Gesù figlio di Maria, può il tuo Signore far discendere su di noi una mensa dal cielo?», preannuncia l’Eucaristia (ib. 217-18). E così via e così via.

Succo: «Forse Muhammad che annunciava il Corano non ha penetrato tutto il profondo senso delle parole che egli era spinto [da chi? supra n. 9 si dice che egli era «sotto l’ispirazione (ipoteticamente) proveniente da Dio»] a proclamare; né il significato reale e profondo di queste parole è stato compreso, durante i secoli, dalla tradizione musulmana; né dagli orientalisti. Soltanto la ‘chiave cristiana’ può riscoprire il profondo significato di questi testi coranici, i quali quando siano ‘interiorizzati’ ed illuminati dalla luce della rivelazione cristiana, annunciano ai musulmani autentici aspetti del mistero di Cristo» (Reint. 199).

Su queste basi si sviluppa il dialogo islamo-cristiano. E’ quanto profusamente illustrato in Per un dialogo... (= Dial.).

12. Cor. 53, 4-18; 17,1. La tradizione popolare e l'esegesi mistico-allegorica vi hanno visto rispettivamente il mi‘râj o ascensione di Muhammad da Gerusalemme al cielo a cavallo del miracoloso Burâq (il lettore italiano ne ha una versione tra i Testi esemplari in R. Arnaldez, Maometto, Milano 1972, 89-106), e la isrâ o viaggio notturno di Muhammad dalla Mecca a Gerusalemme.

BS dedica all’argomento il cap. IV di Dial. pp. 127-177. «I dati coranici sono unicamente evocativi, come dobbiamo attenderci da un libro che non è storia, ma soltanto annunzio apocalittico profetico» (Dial. 147). Contro gli orientalisti «la logica richiederebbe di accettare anche l’ascensione notturna di Mohammed come un fatto che ha una base storica» (ib. 129). «Per tutto quello che ho fin qui esposto, nessuno si meraviglierà che io accetto come fatto autentico l’estasi miracolosa dell’ascensione notturna di Mohammed» (ib. 147).

13. Alla soglia del divino a cui allude Cor. 53, 15-18, non fu l’angelo Gabriele che Muhammad vide, come vuole la tradizione musulmana; «il corano dà soltanto il pronome ‘lui’, e dal contesto io credo che esso debba essere riferito alla ‘Stella mattutina’ (Apoc. 2,28), a Cristo » (Dial. 157). Così come il non ben identificato «loto del Termine» di Cor. 53,14 è, nell’“interpretazione cristiana”, l’albero della croce (ib. 157).

14. Ma perché tanta importanza all’ascensione notturna di Muhammad? Le attese escatologiche e i significati trans-storici cominciano a dipanarsi.

L’ascensione di Muhammad è «il culmine della sua esperienza religiosa» (ib. 175). Muhammad è «rimasto sulla ‘soglia’ rinunciando a inserirsi nella vita divina...» (176), «declinando l’unione mistica» (ib.). Ma «questa estasi incompiuta, che aveva condotto Mohammed... al di là della Gerusalemme celeste…, manifesta la fede ardente... col vivo desiderio di vedere un giorno Iddio in forma angelica, sotto i tratti di un angelo» (176). «Ma il desiderio ardente di Mohammed, rimasto sulla soglia dell’intimità divina, con lo sguardo fisso sull’albero piantato nel centro del paradiso, la croce [= l’arbusto di giuggiolo di cui Cor. 53,14], doveva essere completato e soddisfatto da un altro amante di Gerusalemme. Iddio aveva assegnato a san Francesco d’Assisi il compito di completare e perfezionare la missione di Mohammed» (177). «L’Islam aveva per così dire annunciato e desiderato l’apparizione di Dio in forma di angelo; un serafino crocifisso imprimeva le stimmate a san Francesco» (ib.).

Come si stabiliscono queste «relazioni transistoriche» (387) nella «coordinata delle due vite di Mohammed e di Francesco, provvidenzialmente da Dio poste in relazione»? (383).

15. Cor. 3,61, allude ad una disputa tra Muhammad e la delegazione di cristiani restoriani, riletta da fonti post-coraniche. La disputa verteva sulla natura divina di Gesù. Muhammad propose ai cristiani un’ordalìa (= giudizio di Dio tramite prova del fuoco ecc.) per porre fine alla controversia. I cristiani rifiutarono la prova del fuoco (Mubâhala = ordalìa d'esecrazione) e accettarono una capitolazione che dette lungo al primo trattato politico di Muhammad (cf. L. Gardet, La cité musulmane, Paris 1961, 344-46; Connaître l’Islam, Paris 1958: Muhammad et les chrétiens du Najran, pp. 30-32).

Una testimonianza mancata - commenta BS. Ma «nel frattempo l’Islam aspetta. L’ordalia si trova misteriosamente differita...» (Dial. 222). San Francesco supplisce la testimonianza mancata «soprattutto nei due eventi - paralleli alla vita di Mohammed - dell’ordalia, proposta al Sultano d’Egitto in Damietta (parallela all’ordalia della Mubâhala), e dell’apparizione di Cristo in forma di serafino alato sul monte della Verna (parallela al desiderio di vedere Iddio in figura di angelo, avuto da Mohammed nella sua ascensione notturna)» (222).

16-17. Francesco ripropone lo spirito del Vangelo, sollecitando una missione presso l’islàm all’insegna della predicazione della parola di Dio e della testimonianza d’una vita umile e santa. Francesco in Egitto (1218-20) durante la spedizione militare ordinata da Innocenzo III; propone al sultano Mâlik al-Kâmil l’ordalia per provare la verità del cristianesimo e la falsità dell’islàm. Il sultano rifiuta l’ordalia, ma rimanda Francesco al campo cristiano sano e salvo (Dial. cc. VI-IX).

Quale la portata del fatto? «A me sembra... che le dimensioni trans-storiche dell’evento siano rimaste purtroppo nascoste alla maggior parte, non soltanto degli storici delle crociate, ma degli storici della Chiesa e degli stessi biografi del Santo» (Dial. 362). «La visita di Francesco al sultano non s’inserisce dunque nella cronologia dei fatti umani, ma nello svolgimento del disegno divino della storia della salvezza. Gli uomini non ne compresero allora il significato e la portata... Il fatto trascendeva la storia delle crociate» (365).

18. Come il rifiuto dell’ordalia da parte dei cristiani di Najrân «aveva in qualche modo ‘bloccato’ il cammino di Mohammed e dell’Islam verso la piena conoscenza del mistero di Cristo» (392), così l’ordalia proposta da san Francesco «in riparazione del rifiuto dei cristiani di Najrán » (394) è l’inizio della «sua (di Franc.) missione profetica nell’Islam»; una testimonianza d’amore che, iniziata a Damietta, «culminerà nella mistica crocifissione subìta alla Verna» (ib.) «In questo contesto teologico io vedo il problema delle religioni non cristiane e, particolarmente, il mistero biblico della benedizione d’Ismaele in relazione all’Islam» (383). Francesco «inserito nell’universale piano della storia dell’umanità incentrata in Cristo» sostituisce e completa Muhammad (ib.). Certo san Bonaventura ha annotato che Francesco era «superno illustratus oraculo», ma, «non competente di storia islamica, ignorava le relazioni transistoriche che l’ordalia di Damietta aveva con l’ordalia da Mohammed chiesta ai cristiani di Najrân, la ‘mubàhala’» (387).

19-20. Il «serafino dalle sei ali» apparso a Francesco sulla Verna chiude - per BS - la spirale ascendente delle «relazioni transtoriche» tra cristianesimo e islàm, tra Francesco e Muhammad. «Queste corrispondenze appartengono alla storia della salvezza: a quell’ordine di eventi meta-storici, che devono esser veduti nella luce transtorica e soprannaturale di Cristo, re della storia» (59).

a) Il serafino apparso a Francesco è sicuramente Gesù Cristo «per quanto non lo si nomini» (441); anzi «la cristofania della Verna è... l’unica grandiosa cristofania dopo l’ascensione di Gesù al cielo; rievoca la grande teofania dei Sinai» (445).

b) «Si tratta di una reale apparizione di Gesù Cristo, nel suo corpo glorificato» (440).

c) Per comprendere «quello che rappresenta per la storia della Chiesa la miracolosa apparizione di G.C. in figura di angelo serafino crocifisso» occorre metterla in risalto attraverso la «sua relazione con l’ascensione notturna di Mohammed» (438).

21. Mistero della Verna completamento dell’esperienza religiosa di Muhaminad (441). Il desiderio di Muhammad di vedere Dio sotto forma di angelo è realizzato nell’apparizione a san Francesco di Cristo in forma di serafino (444-45; 452). La cristofania della Verna è luce illuminante milioni di anime musulmane (446-47). La cristofania è «provocata in qualche modo dal desiderio di Mohammed di vedere Dio in figura d’angelo» (447), anzi è l’Islam non Israele «a provocare questo misterioso ritorno di Gesù sulla Verna per crocifiggere san Francesco» (449).

22. Conclusioni.

a) «L’avvenimento della Verna, come ‘cristofania’ e ritorno speciale e misterioso di Cristo sulla terra, si inserisce nel misterioso piano che lega le due grandi personilità religiose di Mohammed e san Francesco» (448).

b) «Il mondo musulmano potrà un giorno guardare il mistero della cristofania della Verna» e «scoprire il significato speciale che riveste come ‘inisericordia di Dio per l’Islam’» (451). «I musulmani possono ora guardare al Cristo in veste di serafino...» (452). «Meditando il mistero della cristofania della Verna, essi potranno penetrare il mistero della passione, crocifissione, morte e resurrezione di Cristo...» (452-53).

c) «Le stimmate di san Francesco, prova della realtà della crocifissione di G.C. sul Calvario» (453). «Dalle cinque piaghe di Francesco l’Islam è stato chiamato, mediante la cristofania della Verna, a riconoscere così la realtà delle piaghe di Gesù, realmente crocifisso e morto sulla croce» (454-55).

23. Conferma. «Rivelazione» (457) fatta a santa Margherita-Maria Alacoque (4 ott. 1686). Tre anni prima, in occasione della sconfitta dei turchi a Vienna (1683) si era rinnovata in Europa la speranza della fine dell’islàm. «L’Islam invece non era finito. Il sacro Cuore richiamava alla sua santa MargheritaMaria l’esempio di san Francesco, perché le sue stimmate lo avevano fatto il distributore del tesoro divino» (457).

24. Si arriva alla Conclusione (pp. 460-64) con esclamazione «Muhammed e san Francesco!» (460). Lo stile è eccitato, lievitato da slanci e punti esclamativi.

«Sono da allora passati più di trent’anni! Trent’anni di sofferenze e di studio... per scoprire quelle misteriose e provvidenziali relazioni tra Mohammed e san Francesco!» (460).

«Mohammed e san Francesco!» (461). «Nella visione della storia religiosa dell’umanità tutta incentrata in Cristo, secondo la teologia francescana, i rapporti tra cristianesimo e le religioni non cristiane sono visti, mi sembra, in un orizzonte più vasto. Tutto si svolge in un piano provvidenziale, dove si continuano le relazioni interpersonali. Le corrispondenze trans-storiche possono talvolta reperirsi in questo meraviglioso piano di Dio... L’interpretazione cristiana del ‘rnistero abramitico’ dell’Islam permette di situarlo nel piano generale della storia religiosa; permette altresì di recuperare le corrispondenze personali tra il profeta Mohammed e san Francesco d’Assisi» (461).

«Mi permetto di esprimere il voto che la Chiesa, riconoscendo nelle Stimmate il segno della speciale missione profetica di san Francesco per il dialogo con l’Islam, istituisca quanto prima la festa liturgica dell’Apparizione di Nostro Signore Gesù Cristo sul monte Verna» (464).

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