Il
coraggio del futuro. «Vita sociale» 37 (1980) 313-15. |
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Le regard |
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I Cumani, chi sono costoro? |
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La contemplazione della strada |
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... minacciosi gerundi! |
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Vincent de Couesnongle: maestro generale dell'ordine domenicano 1974-1983; † luglio 1992. |
«Non si può prevedere l’avvenire, ma si può inventare il futuro» (Vincent de Couesnongle, Le courage du futur. Messages aux Dominicains, Les Editions du Cerf, Paris 1980, p. 7; tutto il libro pp. 168, s. p.).
Gli aforismi, noialtri italiani, non li abbiamo mai coltivati. Il bizantinismo fila ancora la tela del nostro intricatissimo sistema di segni. Cultura e politica italiana degli anni '60 e '70 hanno messo in iscacco perfino la sagacia di Kissinger. Fr. Vincent de Couesnongle, maestro generale dei domenicani dal 1974, ci spiega in 163 pagine che cosa possa significare non poter prevedere l’avvenire ma sapere inventare il futuro. E c’introduce al gusto dell’aforisma.
Sottotitolo in frontespizio: Problèmes de vie religieuse. Vi sono raccolti messaggi, lettere, conferenze che trattano il problema della vita religiosa nella chiesa e società di oggi, in particolare dell’ordine domenicano.
Da noi si dice, volgarissimamente, sguardo. Ma non è la stessa cosa. Il regard francese (chi non ricorda quello di J.-P. Sartre?) è tra analisi e contemplazione, tra intelligenza e immaginazione. Sufficientemente acuto da penetrare in profondità, sufficientemente rapido da dissuadere coinvolgimento. A differenza di quello sartriano, il regard di fr. Vincent (frequentissimo nelle sue pagine) non soffre i segni dell’angoscia. La recensione lucida dei fatti sollecita la curiosità del futuro. L’analisi puntigliosa dei conflitti di oggi agita la speranza di domani. Il coraggio del futuro, appunto.
Società consumistica e disumana, povertà e strutture d’ingiustizia, cultura delle immagini e dei mass-media, crisi religiosa, disillusioni post-conciliari, calo demografico degli ordini religiosi, decristianizzazione, preti operai, inerzia del «ministero alimentare» (quello, a dire di fr. Vincent, che assicura sussistenza a preti e frati), crisi vocazionale eccetera eccetera. Passano sulla fantasia del lettore come altrettanti fotogrammi, spietati ma veri. C’è qualcosa di nuovo: avete mai visto un superiore religioso di qualsivoglia grado gerarchico che faccia precedere un’analisi rigorosa alla riproposta d’un progetto di vita? che parli senza veli delle difficoltà e limiti della propria istituzione (e non delle sole debolezze delle persone), degli errori e dei ritardi, delle implicanze sociali e culturali, dei raccordi ecclesiastici? e che sul dato di fatto misuri e progetti il domani? Fr. Vincent lo fa. Senza pudori e senza reticenze. E senza acrimonia. È un atto d’onestà. Confessa pure che talvolta ha la tentazione di «grincer des dents» (p. 87), qualcosa come «arrotare i denti». Un’offerta di progetto di vita domenicana nell’oggi della chiesa e del mondo che non è sospetta d’adescamento. Al candidato si dice: oggi siamo così, domani ci proponiamo d’essere cosà. E si sollecita insistentemente, a noi e a lui, «changement», oppure l’italianissimo «aggiornamento».
2. La contemplazione della strada
Questa volta il calco è latino-americano: «contemplation callejera», contemplazione della strada, non nella strada. Fr. Vincent l’ha appreso a Quito in Ecuador.
La contemplazione restaura la comunione con Dio nel Cristo, asse della vita religiosa e del domenicano. Lo spunto è dato dal recente fenomeno di richiesta di contemplazione presso la nuovissima generazione, e dalla diffusione dei gruppi di preghiera, se volete anche dei carismatici (ma fr. Vincent - fa capire - non ha molta simpatia per quest’ultimi). Così il rapido ma lucidissimo confronto tra «preghiera ufficiale» del breviario e preghiera che sgorga dalla strada (e a cui la strada dà parola) sottopone alla riflessione dei frati il problema cruciale del domenicano: quale la fonte quotidiana della sua contemplazione? La preghiera comunitaria, la «Liturgia», non è - si dice - l’edizione «rivista e corretta del vecchio breviario» (p. 49).
3. La contemplazione di Dio nel Cristo si prolunga nella città dell’uomo, nella strada. Bisogni, conflitti, speranze dell’uomo e della chiesa confrontano il domenicano. Saprà questi esser fedele a Domenico da Caleruega? Esser fedele! Non significa forse «render di nuovo presente nel nostro oggi il carisma di Domenico»? Siamo solleciti ad indagare forme e attese degli uomini del nostro tempo? Siamo disposti ad assumerne l’impegno a costo di dover sacrificare forme e attese ricevute in lascito da un mondo tramontato? Il mendicante è «itinerante» per vocazione. Mobilità e trasformazione sembrano le sue carte di sopravvivenza. Domenico, proprio negli anni in cui era assillato dall’organizzazione delle prime comunità dei suoi frati, sogna d’andare a predicare ai Cumani.
I Cumani, chi sono costoro? Gli storici non ne hanno saputo fissare dimora e sembianze. Saprà il domenicano riconoscere chi e dove oggi è il Cumano? Gli metterà a disposizione se stesso, la propria storia, le proprie istituzioni comunitarie? Non abbia timori, non rischierà un nuovo insediamento. Il Cumano, domani, sarà già migrato altrove e avrà cambiato sembianze. Il domenicano dovrà di nuovo rincorrerlo. Il Cumano inabita la memoria itinerante del domenicano.
4. Si leggano e si meditino i messaggi di fr. Vincent. Sono principalmente diretti ai fratelli domenicani, ma il regard raggiunge ogni credente, e a suo modo ogni uomo. Segni e parole sono originalissimi. Ogni traduzione rischia di respingere i messaggi di fr. Vincent alle «Lettere circolari» dei superiori degli ordini religiosi. Mentre qui c’è qualcosa di nuovo. L’arte del linguaggio (e della penna) tradisce nuove forme di pensiero e di relazioni. I destinatari sono «chers frères», né sudditi né religiosi. L’urgenza del messaggio depenna i convenevoli. Il discorso e l’argomentazione sono affrancati dai calchi latini delle subordinazioni (le ipotassi, ahimè!).
Neppure il novizio rischia soffocamento. Le ellissi non ospitano biasimi anonimi. Gli angoli dei periodi non nascondono minacciosi gerundi.