precedente ] successiva ]

 Il messaggio del concilio a tutti gli uomini
"inzuppato nell'acqua santa",

 «Vita sociale» 41 (1984) 21-31.

1  L'idea: Chenu e Congar #  trempé dans l’eau bénite
2  Le tre tappe del testo    Bozza prima e seconda
3  Dibattito conciliare    "Messaggio" conciliare | ë

1. L'idea: Chenu e Congar

«Tre mesi prima dell’apertura del concilio <Vaticano II> ricevemmo <p. Marie-Dominique Chenu e p. Yves Congar> i testi elaborati nel corso di due anni di preparazione. Ne restammo sconcertati. Non tanto per il contenuto dottrinale quanto per la prospettiva d’insieme nella quale i documenti erano stati pensati e redatti: elaborazione astratta, lontana dalle aspirazioni dalle esigenze dalle speranze degli uomini del nostro tempo. Si presentavano come decisioni, dottrinali o pastorali, piovute dal cielo, senz’alcuna considerazione dei problemi che la trasformazione socio-economica, culturale e mentale - estesasi ai paesi del Terzo mondo già in avanzata presa di coscienza di sé - imponeva ad ogni uomo, e più che mai al cristiano. Si aggiunga che i testi conservavano lessico e stile di vecchi formulari, dal tono imperativo e condannatorio».

Così Chenu introduceva in «Informations Catholiques Internationales» (= ICI) n° 577, agosto 1982, la rievocazione d’uno dei testi più sintomatici del concilio Vaticano II: il messaggio dei padri conciliari indirizzato a tutti gli uomini il 20 ottobre 1962, agli inizi dei lavori dello stesso concilio. Sintomatico perché per la prima volta l’organismo supremo della chiesa si rivolgeva a tutti gli uomini di buona volontà, non dunque ai soli cristiani né ai soli cattolici. La chiesa prendeva coscienza d’essere un pusillus grex (= piccolo gregge) nella grande comunità degli uomini, nella vasta scena di popoli e tradizioni religiose estranee all’antica società cristiano-europea, entro cui la chiesa cattolica era assuefatta a modellare il proprio linguaggio e a misurare le proprie e altrui dimensioni.

Ma un discorso rivolto a tutti gli uomini comportava uno sguardo sulla realtà umana che ne assumesse come dato di partenza (e di analisi) la varietà delle situazioni, le dimensioni della laicità (da quella culturale a quella delle istituzioni statuali), l’alterità di tradizioni religiose che i paesi afro-asiatici imponevano sempre più sulla scena internazionale; che individuasse la specificità temporale delle strutture che concorrono agli assetti socio-economici delle nazioni, alle occasioni politiche della pace, alla persistenza di sacche di sottosviluppo, all’istaurazione di rapporti di classe produttivi di giustizia sociale ecc. «Rivolgersi al mondo profano comporta adozione del linguaggio profano, fuori del gergo clericale, se si vuol esser letti e compresi», diceva ancora Chenu nell’articolo menzionato.

A fine estate 1962 un gruppo di teologi animati da Chenu e Congar concepirono tale messaggio e ne redassero una prima bozza (Doc. I); fatta circolare tra vescovi prevedibilmente ben disposti, fu rielaborata in forma più organica (Doc. II) e inoltrata a papa Giovanni XXIII tramite il card. A. Liénart. Il papa si mostrò consenziente col progetto; dovette anzi scorgervi profonde consonanze con gli orientamenti di base che ispirarono la famosa allocuzione d’inaugurazione del concilio (11 ott. 1962). La bozza del messaggio a tutti gli uomini fu affidata a una piccola commissione conciliare, presieduta da mons. Guerry arcivescovo di Cambrai, perché ne redigesse il testo da sottoporre ai padri conciliari. Quest’ultimo testo fu presentato, discusso e approvato nella terza congregazione generale del concilio, 20 ottobre 1962 (Doc. III).

Il lettore ha qui tutti i documenti del dossier. E potrà valutare da sé le trasformazioni del testo. Devo alla gentilezza di Régis Morelon OP d’avermi procurato fotocopie di Doc. I e II in dattiloscritto dalle carte personali di p. Congar (Parigi). Li traduco dall’originale francese.

2. Le tre tappe del testo

Qualche annotazione.

Doc. I porta in calce nota autografa di Congar «copie Congar» e a inizio testo «Chenu». Il che fa pensare che l’estensore della prima bozza sia stato lo stesso Chenu. Di costui, del resto, sia Doc. I che Doc. II portano evidentissime impronte: elementi lessicali inconfondibilmente chenuiani (conjonture, se complaire, complaisance...), afflato di profetismo ottimista, uso lirico di passi biblici... ; mentre l’allargamento del discorso sui fratelli separati in Doc. II § 9 rispetto all’ultima proposizione di Doc. I § 8 (si noti la sottile precisazione «comunità cristiane ancora da essa separate» del secondo documento contro «comunità cristiane ancora separate» del primo) potrebbe far pensare a un contributo di Congar. Il primo documento è già conosciuto perché riprodotto quasi integralmente nel ricordato articolo di Chenu in ICI (e ripreso dalla rivista «La Rocca»). Quasi integralmente: mancano infatti §§ 1, 2, 9, una frase dei §§ 7 e 8, del testo qui pubblicato (la numerazione in paragrafi è stata da me introdotta). Inoltre il testo apparso in ICI presenta, rispetto a quello originale, significativi ritocchi (palesemente introdotti da Chenu in occasione della stesura dell’articolo in ICI) che segnalerò in nota. Una curiosità testuale: la citazione in Doc. I § 8 è rimessa al card. Liénart, mentre nell’articolo di ICI Chenu l’attribuisce a papa Giovanni XXIII; in Doc. II § 3 la proposizione è ripresa ma senza citazione alcuna; non compare nel testo finale del messaggio.

Doc. II. Di esso Chenu non fa menzione nell’articolo di ICI; l’amico Morelon per rintracciarlo ha fatto ricorso a p. Congar, «più diligente» documentarista. Come si può facilmente costatare, mentre Doc. I è ancora una semplice bozza, quasi delineazione di ciò che il messaggio dovrebbe essere, Doc. II è un’elaborazione organica e rifinita. E si deve pensare che il testo inoltrato al papa e passato alla commissione conciliare sia Doc. II, non Doc. I.

Doc. III non è che il testo finale del messaggio approvato dai padri conciliari il 20 ottobre 1962. La traduzione corrente è stata rivista sull’originale latino (guardati dalla traduzioni, spesso anonime e frettolose, dei documenti conciliari diffuse a ridosso dell'edizione ufficiale). C’è soltanto da annotare che testo proposto alla discussione conciliare e testo definitivo sono fondamentalmente identici (Acta Synodalia Sacrosancti Concilii Oecumenici Vaticani II, vol. I, Città del Vaticano 1970, 230-32 testo proposto, 254-56 testo approvato e definitivo). Una sola aggiunta, quella mariana di § 1, e due emendamenti: il primo poco più che formale, il secondo d’un qualche significato per cogliere lo spirito che si faceva faticosamente strada nel concilio sul rapporto chiesa-mondo.

Testo proposto

Testo definitivo

§ 1: «... noi, successori degli apostoli, formanti un solo corpo apostolico...»

§ 5 verso la fine: «Per questi motivi, nello svolgimento dei nostri lavori teniamo in gran conto (magni facimus) tutto quello che compete alla dignità dell’uomo...»

§ 9: «È nostro ardente desiderio che su questo mondo, sempre lontano (semper abest) dalla pace desiderata per la minaccia derivante dallo stesso progresso scientifico, progresso meraviglioso, ma non ancora sottomesso (nondum... subiecto) alla superiore legge della moralità...».

§ 1: «... noi, successori degli apostoli, tutti uniti in preghiera con Maria Madre di Gesù, formanti un solo corpo apostolico...»

§ 5: «Per questi motivi, nello svolgimento dei nostri lavori, dobbiamo tener in gran conto (magni faciamus) tutto quello... »

§ 9 «È nostro ardente desiderio che su questo mondo, ancora lontano (adhuc abest) dalla pace desiderata per la minaccia derivante dallo stesso progresso scientifico, progresso meraviglioso, ma non sempre ossequente (non semper... intento) alla superiore legge della moralità...»

3. Dibattito conciliare

Quale il tenore degli interventi e del dibattito dei conciliari prima che il messaggio passasse ai voti? Gli Acta Synodalia ci permettono di far capolino nell’aula conciliare, allora coperta dal segreto o appena violata dai comunicati ufficiali (Acta Synodalia.... 234-54, dove sono riportati i testi integrali degli interventi dei padri nella discussione del documento).

Trentotto gl’interventi. In grande maggioranza i padri esprimono compiacimento e gioia per il messaggio a tutti gli uomini (ad eccezione di J. Heenan, arcivescovo di Liverpool, che non ne vedeva l’incidenza e che proponeva di differirlo a un secondo tempo dei lavori conciliari).

Taluni padri sono sfavorevolmente sorpresi che nel testo non appaia il nome della Madonna, propongono varie integrazioni, poi confluite nell’aggiunta mariana al § 1: C. Ferrero di Cavallerleone (It.), G.B. Peruzzo (It.), A. Ancel (Francia). Tre propongono la menzione della «chiesa del silenzio» privata di libertà e perseguitata: G. Ferretto (It.), P. Fiordelli (It.), M. Hermaniuk (vesc. degli Ucraini in Canada); quest’ultimo in particolare dice che a suo parere bisogna «introdurre una menzione chiara, anzi chiarissima, della chiesa del silenzio, qualcosa come: “In questo momento del solenne concilio ci uniamo col cuore e con l’anima a tutta la chiesa del silenzio, dove vescovi sacerdoti e fedeli offrono quotidianamente il proprio sacrificio al Cristo Salvatore per la chiesa e per la salvezza del mondo; preghiamo il Cristo Signore perché abbrevi il loro tempo di prova”». Di parere contrario è A. Hamvas (Ungheria): accuse di persecuzione potrebbero irritare taluni stati e peggiorare la situazione delle chiese locali. Del medesimo parere R. Arrieta Villalobos (Costa Rica). Il testo finale non ne farà menzione. A. Bacci (It.), A. Cicognani (It.), E. Compagnoni (It.) propongono l’emendamento accolto nel testo § 9.

Ma le reazioni più vivaci sono quelle che coinvolgono la natura del testo, la possibilità anzi della chiesa - in dialogo col mondo laico e non cristiano - di saper articolare parole laiche oltreché religiose, di saper formulare un messaggio - come auspicava Chenu - «in lingua profana fuori d’ogni gergo clericale». Di sapersi porre, in altre parole, in radicale fase di evangelizzazione.

M. Lefebvre (Francia) trova il messaggio troppo occupato con i «beni umani e temporali anziché con quelli eterni e spirituali; guarda troppo alla città terrena e non abbastanza a quella celeste». (C’è appena bisogno di ricordare che i giudizi sono espressi sul testo proposto al concilio, fondamentalmente identico a Doc. III, e non su Doc. II). J. Alba Palacios (Messico) in riferimento ai cristiani separati chiede che non soltanto l’espressione «formanti un solo corpo apostolico di cui è capo il successore di Pietro» di § 1 non sia soppressa - come voleva qualcuno - ma che sia ulteriormente esplicitata nella linea della dottrina cattolica: «di cui è capo visibile il successore di Pietro, vicario in terra di Gesù Cristo capo della chiesa». Era stato D. Hurley (Sudafrica) a proporre la soppressione della frase che a inizio messaggio («Per questo motivo... papa Giovanni XXIII », § 1) fissava i termini del potere gerarchico della chiesa. Hurley così motivava la sua proposta: «Poiché il messaggio è diretto a tutti gli uomini, anche a quanti non credono in Cristo nonché ai cristiani separati, sono dell’avviso che quelle parole, benché vere in sé e care al sentire cattolico, non sono necessarie; potrebbero anzi offendere piuttosto che sollecitare simpatia, specie nei riguardi dei fratelli separati. Prendiamo esempio dal sommo pontefice il quale ricevendo in udienza gli osservatori non ha voluto sedere sul trono pontificio». Nella medesima linea, ma a suo modo più radicale, L. Ravoire Morrow (India): si tratta d’un messaggio diretto a tutti gli uomini non ai fedeli cattolici; «i non cristiani non sanno che cosa significhi “In nome di Gesù Cristo, dello Spirito Santo, di Maria Vergine”... ». (Si confronti, per curiosità, la formulazione data da Doc. II § 1 al ruolo del papa).

Netto nella scelta e articolato nella forma l’intervento di P. Parente (It.): «Ascoltato il testo del messaggio sono rimasto scosso dall’assenza del tema dottrinale. C’è da rammaricarsene e da rimediare: 1) perché la fede è l’inizio della salvezza e fondamento della speranza e carità; 2) perché molti errori e false opinioni serpeggiano, sotto veste di verità, nel mondo odierno; la perversione dei costumi e dell’intero ordine familiare sociale e internazionale dipende a tutta evidenza dalla perversione dei sani princìpi; 3) è antichissima tradizione di tutti i concili trattare in primo luogo questioni attinenti alla dottrina della fede, e conseguentemente della vita e disciplina della chiesa e dell’umana società. Chiedo pertanto che nel messaggio sia inserita in primo luogo la menzione della dottrina o verità cattolica quale efficacissima medicina ai mali della società contemporanea». Si associa in parte G. Carraro (It.). Si dissocia E. Pereira da Costa (Brasile), per il quale l’intento del messaggio non è una dichiarazione dottrinale o di fede.

Se per M. Hermaniuk (Ucraini del Canada) e E.T. Salgueiro (Portogallo) il testo dovrebbe dare più spazio a problemi quali giustizia sociale e pace, al card. V.M. Costantini (It.) il tutto già suona, e con rammarico, «più un’esortazione ai vescovi che un messaggio agli uomini». Sul finire del dibattito E. Guano (It.) conferma l’impressione: «Il tono [del testo] sa più di messaggio ai fedeli che di messaggio a tutti gli uomini». Lo aveva preceduto, negl’interventi, R. Rabban (Iraq) che riassume eccellentemente lo stato delle cose: «Il titolo è I Padri del sacrosanto concilio a tutti gli uomini; meglio sarebbe mutarlo in I Padri del sacro concilio a tutti i cristiani. Soltanto una terza parte del genere umano riconosce Cristo come Signore e ha la fede cristiana, mentre tutti gli altri non capiscono quasi nulla di Spirito Santo, d’intercessione della beata Maria Vergine, della chiesa ecc. Il messaggio dev’esser formulato in tutt’altro linguaggio, tenendo fuori, per quanto possibile, locuzioni cristiane».

A fine dibattito il segretario generale P. Felici (It.) invita al voto per alzata e seduta. Il testo è approvato - con gli emendamenti proposti - a grande maggioranza («fere unanimiter»). Il segretario precisa che il documento «è approvato dai padri del concilio non dal concilio, così come dice il titolo: I padri del concilio a tutti gli uomini».

Quando Chenu ricevette dal vescovo del Madagascar (di cui era perito) il testo definitivo e approvato ebbe un sussulto. «La redazione - racconta - era tutt’altra che quella progettata. Difatti, nella revisione della commissione episcopale, mons. Guerry aveva trovato il testo troppo profano e l’aveva trempé dans l’eau bénite».

Come dire che l’aveva inzuppato nell’acqua santa.

(Documenti)

precedente ] successiva ]