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Religione: insegnamento di Stato
o catechesi ecclesiale?

«Vita sociale» 43 (1986) 150-52.

1  Repubblica Italiana > Santa Sede > CEI
2  Il soggetto contraente: controparte statuale o ministero ecclesiale?

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 Evangelizzazione e catechesi: unici luoghi legittimi ed efficaci della vita cristiana
 

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1. Il 14 dicembre 1985 il presidente della Conferenza episcopale italiana (CEI) e il ministro della pubblica istruzione della Repubblica italiana hanno firmato il Testo dell’Intesa sull’«insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado» (Premessa). Tale insegnamento viene impartito «secondo programmi che devono essere conformi alla dottrina della chiesa e collocarsi nel quadro delle finalità della scuola» (art. 1.1). I programmi d’insegnamento sono adottati «con decreto del presidente della repubblica, su proposta del ministro della pubblica istruzione previa intesa con la CEI, ferma restando la competenza esclusiva di quest’ultima a definire la conformità con la dottrina della chiesa» (art. 1.2). L’intesa determina le modalità di organizzazione e partecipazione a tale insegnamento (art. 2), i criteri di scelta dei libri di testo (art. 3), le qualifiche professionali degl’insegnanti di religione (art. 4).

Le parti contraenti sono la Repubblica italiana e la CEI. È vero che la premessa dell’Intesa dichiara di voler attuare l’art. 9, n. 2, «dell’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica italiana del 18.2.1984 che apporta modificazioni al Concordato lateranense», ma il testo conferma alla CEI, quale controparte degli organi statali, e la competenza a giudicare in ultima istanza la conformità dell’insegnamento con la dottrina della chiesa (art. 1.2) e l’approvazione dei libri di testo (art. 3.2) e a riconoscimento d’idoneítà degl’insegnanti (art. 4.1.b). In verità il rapporto giuridico tra CEI e Repubblica italiana non è della medesima natura che corre tra Santa Sede e Repubblica italiana. La revisione del Concordato lateranense del 1984 fu stipulato dalla Santa Sede quale stato indipendente e sovrano, e dette luogo a un trattato di diritto internazionale. Tale non è il Testo dell’Intesa. Il presidente della CEI nella dichiarazione susseguita alla fine dell’Intesa esprime compiacenza del riaffermato impegno alla reciproca collaborazione «nel pieno rispetto dell’indipendenza e della sovranità dello stato e della chiesa cattolica, ciascuno nel suo ordine». Sovranità «della chiesa cattolica»? o ci si attendeva «della Santa Sede», in simmetrica reciprocità con «sovranità dello stato»? Il paragrafo immediatamente precedente annunciava la firma dell’Intesa quale «primo atto formale di collaborazione tra competenti autorità dello stato e la CEI, nel quadro della corretta e costruttiva attuazione dell’Accordo di revisione del Concordato lateranense stipulato tra la Santa Sede e la Repubblica italiana». L’attrazione sintattica di «CEI», delegata all’accordo sulla scuola, con «Santa Sede», contraente in piena sovranità, ha generato la contaminazione «sovranità della chiesa cattolica»? Rispetto a chi e a che cosa la chiesa di Cristo potrebb'essere sovrana?

2. A ben considerare, l’inadeguata distinzione dei termini non necessariamente è mero frutto d’improprietà di linguaggio, improbabile del resto in documenti di tale impegno diplomatico. La storia dell’Europa latina aveva prodotto da lunghissima data una profonda commistione tra comunità dei credenti (chiesa) e comunità civile; le prime elaborazioni d’istituzione pubbliche statali, dopo il dissolvimento dell’amministrazione romana e l’anarchia dell’invasione delle popolazioni nordiche, trovarono più congruo soggetto nell’organizzazione gerarchica della chiesa che in unità civili. A sua volta il dissolvimento dell’assetto della res publica christíana del medioevo latino fu decretata dall’emergenza delle unità nazionali che via via si vennero costruendo in stati sovrani. La vasta comunità di credenti che sostanziava dal basso la «repubblica cristiana» medievale fu sottratta al residuo assetto statale decantandosi nel Patrimonio di San Pietro prima e negli Stati pontifici poi; cosicché la statualità sperimentata dalla chiesa cattolica si restrinse negli Stati pontifici fino all’unità d’Italia e nella Città del Vaticano dopo che questa venne riconosciuta, nel diritto internazionale, territorio d’uno stato indipendente e sovrano. I rapporti tra chiesa cattolica e società civile si sviluppano e s’intricano tra credenti (cittadini tra cittadini d’una medesima comunita politica), stato, Santa Sede e gerarchia locale. Il linguaggio, anche quello giuridico, fotografa la reale inadeguata distinzione dei soggetti. Collaborazione e conflitti si collocano su terreni a doppia competenza istituzionale. Tipico il caso del diritto familiare: sul medesimo soggetto (credente e cittadino) legifera, contemporaneamente e differentemente, e stato e chiesa.

Alla chiesa cattolica manca il senso dello stato? Di quale stato? Il politico italiano, dal forte senso dello stato laico, trova in fondo poco da ridire quando una forte tradizione cattolica consustanziale alla storia del paese gli si pone come interlocutore o tramite la gerarchia nazionale (CEI) o tramite la Santa Sede. Accede alle trattative con la consueta sperimentata assuefazione a scrutinare il peso politico che lui e la controparte sono capaci d’esprimere. Come con qualsiasi altra parte sociale. E così ha fatto. L’insegnamento della religione cattolica nelle scuole di stato non è che la legittima affermazione d’una macroscopica forza della società italiana, cui il politico deve dar pubblico e statuale strumento d’espressione. Le chiese evangeliche d’Italia hanno declinato pari richiesta presso lo stato. Ma là dove il primitivo «piccolo gregge» ha dilagato nella stessa storia civile e sociale d’interi paesi (chiesa luterana nell’Europa settentrionale, chiesa anglicana in Gran Bretagna) le istanze cònsone al gruppo minoritario cedono il posto a solidi insediamenti nelle pubbliche istituzioni dei rispettivi paesi. Le possibílità di testimonianza evangelica sono misurate sulle riforme storiche della chiesa, e delle chiese.

3. Ora il laico chiede al contraente di stare ai patti. «Pacta sunt servanda», dice alla controparte sovrana. Non puoi stare simultaneamente dentro e fuori lo stato, con e contro lo stato, dice alla gerarchia italiana. Sottoscriví un’Intesa con lo stato e poi contesti gl’installamenti nucleari invitando pubblicamente a detrazioni fiscali? Nomini cappellani militari graduati nell’arma e retribuiti dal pubblico erario e poi denunci le spese militari? Solleciti l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole di stato e poi proclami iniqua la legge sull’aborto varata dal medesimo stato in risposta ad altre componenti del paese?

Il credente, cittadino della chiesa e cittadino dello stato, darebbe poco peso all’obiezione laica. Dalla propria fede attinge ispirazione alla contestazione, dai diritti civili legalità al dissenso. Ma patisce imbarazzo nel cuore della propria fede quando l’istanza ecclesiale più intima - evangelizzazione e catechesi - è tradotta in intesa pattizia con lo stato. La chiesa evangelizza quando con la parola e la testimonianza proclama credibilmente la Buona novella e suscita conversione a Dio. La chiesa fa catechesi quando nutre il credente nella conoscenza della Parola, nella frequentazione dei sacramenti, nella comunione coi fratelli, fino a portarlo alla piena maturazione di fede e alla testimonianza adulta del vangelo nella comunità degli uomini. Solo qui stabilisce in radice e le ragioni della propria legittimità e le misure della propria libertà. Certo il discepolo di Gesù conosce anche i tempi degli uomini e delle cose; conosce i tempi della propria chiesa e i condizionamenti che la lunga storia le ha tessuto. Ha il senso della pazienza e della misericordia. Si astiene perfino dalla denuncia quando la tela fa intravedere per il domani ordini già meno compromissori di ieri. Ma non può rinunciare all’impegno di destatalizzare, dentro e fuori la chiesa, atti specificamente ecclesiali. Non può rinunciare all’impegno di restituire l’evangelizzazione alla forza stessa della proclamazione della Parola e della sua testimonianza; di restituire la catechesi alla comunità ecclesiale riunita nell’ascolto della Parola, nella celebrazione dell’eucarestia, nell’esercizio della carità. Come potrebbero altrimenti, evangelizzazione e catechesi, rivendicare legittimità evangelica ed efficacia sacramentale quando fossero salariate dallo stato, da qualsiasi stato?



finis


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