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ALBERT Nolan O.P.

L'attuale situazione in Sudafrica,

«Vita sociale» 43 (1986) 187-93.

Traduzione anglo-italiana di Emilio Panella

 

Prezioso e profetico, questo testo del 1986, se lo rileggiamo oggi, dopo le novità accadute in Sudafrica pochi anni dopo. Crollo del sistema dell'apartheid 1991; prime elezioni democratiche aprile 1994, con suffragio esteso ai neri, eletto il leader dell'ANC Nelson Mandela.

Relazione tenuta alla comunità domenicanca di Santa Sabina di Roma. L'autore è un frate domenicano, sudafricano bianco, di quarta generazione.

§ Premessa
1 Natura degli attuali bagni di sangue
2 Natura del conflitto
3 Le forme dell'oppressione
4 Natura della resistenza e sua direzione
5 Risposta della chiesa
 

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La stampa ha molto parlato del Sudafrica in quest'ultimi tempi. Voi probabilmente avrete veduto più di noi che siamo sul posto, perché molto di quanto viene trasmesso dalle vostre tv è ignorato in Sudafrica. Difatti le notizie più importanti del Sudafrica vengono diffuse più in Europa e Nordamerica che nel mio stesso paese; delle sommosse, in particolare, non si dà notizia così spesso nella nostra tv.

Voglio dirvi della natura della lotta in corso in Sudafrica perché suppongo che da quanto vediate in tv debba talvolta risultarvi molto difficile capire esattamente che cosa stia succedendo e perché stia succedendo. Perché un tal governo in Sudafrica? La situazione da una parte è molto complessa, dall'altra risulta molto semplice. Per quanti non vivono nel paese, è più difficile intendere la semplicità della situazione. Se sei sul posto, la situazione d'oppressione ora ti manifesta il volto palese ora ti nasconde le ragioni recondite. È necessaria pertanto una qualche analisi. Vorrei qui proporla con l'intento d'offrirvi un sussidio alla comprensione della situazione. Cinque i punti: natura degli attuali bagni di sangue; natura del conflitto; natura dell'oppressione; natura della resistenza e sua direzione; risposta, infine, delle chiese.

1. Natura degli attuali bagni di sangue

Dico bagni di sangue anziché violenza perché questa in Sudafrica è stata sempre di casa. L'apartheid è una reale forma d'oppressione. La si chiama «violenza istituzionalizzata», ma non amo quest'espressione perché «istituzionalizzata» non suona così male come la realtà. La nostra permanente violenza è molto peggiore degli spargimenti di sangue che vedete in tv.

Da lungo tempo la gente viene conculcata bastonata torturata; peggio ancora, ridotta sempre più a miseria. Chi non è stato abbattuto dal fucile è stato affamato a morte. Parte della popolazione è stata sradicata dal luogo d'origine e trapiantata altrove. Per un africano essere strappato dalle tombe dei propri antenati e scaricato altrove è un'altra forma di violenza. Sei condannato a morte quando non coltivi più i tuoi campi, quando non puoi trarre sussistenza dalla terra, quando sei privato del lavoro. Ecco un esempio del tipo di violenza che è stato sempre esercitato. Difficile per europei e nordamericani capire tutto ciò. Sei vittima d'una violenza che non lascia spazio a diritti costituzionali, a ricorsi d'appello, a chi possa proteggerti o a chi ti faccia giustizia. Nessuno che ti presti aiuto o denaro, come accadrebbe in Europa o Nordamerica. I bianchi - e io sono uno di loro in quanto sudafricano di quarta generazione - sono resi violenti dal sistema; sono diventati popolo violento non per qualche colpa personale ma a motivo del sistema che genera gente violenta.

Siamo violenti sulle strade: il Sudafrica detiene il record mondiale di guida sconsiderata. Siamo violenti nelle case; neri e bianchi si assaltano a vicenda; i mariti uccidono le mogli; i bambini soffrono maltrattamenti. Il sistema crea inoltre la violenza del crimine. Se tieni in povertà molta gente, senz'alcuna assistenza sociale, produci crimine, che spesso comporta violenza. Non voglio generalizzare - dirò tra poco di persone eroiche - ma vorrei farvi capire come il sistema sia violento e come generi violenza, prima d'accennare alla presente situazione.

Si assiste attualmente al fenomeno di gente che rivendica i propri diritti. Vengono uccisi o feriti a centinaia. Riprendono con coraggio la lotta contro il sistema, sfidando, se necessario, morte e tortura. La lotta è andata avanti da molto tempo; ora si è intensificata ed è approdata alla notorietà della tv.

Molti da tempo lavorano a ciò che chiamano «soluzione pacifica». Conoscete il vescovo Tutu. Con altri ecclesiastici ha lavorato per anni a una soluzione pacifica in Sudafrica. Non ha avuto successo, né lui né altri. Molti di noi si sono convinti da tempo che il progetto d'una soluzione pacifica deve fare i conti con una realtà improbabile e umanamente impossibile. È impossibile che tale violenta forma d'oppressione, che genera violenza dappertutto, possa esser cambiata per via pacifica e ragionevole. L'apartheid non è ragionevole, è fondamentalmente irragionevole. Chi detiene le ricchezze cura i propri interessi e non è facilmente inducibiIe a cambiare. Da tempo si presentiva il bagno di sangue; ma quello che molti non prevedevano è il modo in cui ora si manifesta: una sorta di guerra tra polizia e bambini; taluni non hanno 12 anni.

Nel bagno di sangue in corso è necessario anzitutto capire che gli aggressori sono polizia ed esercito. Questi provocano la gente interrompendo pacifici incontri, pacifiche proteste, pacifiche marce e pacifici funerali. Arrestano bastonano uccidono gente indifesa e innocente. C'è chi viene ucciso dalla polizia mentre passeggia per le strade, nei cortili; bambini sono uccisi o picchiati nelle aule scolastiche. Ci son casi di bambini di tre o quattr'anni uccisi con pallottole a caucciù. È la polizia e l'esercito che dà il via ai disordini. Perché? Si è introdotta una sorta di «voglia d'uccidere» e di genocidio. Vogliono uccidere. Ci sono troppi neri. Se si presenta l'occasione, ne uccidono alcuni. Non tutti della polizia e dell'esercito sono cosi, ma molti si.

Viviamo in Sudafrica in un bizzarro mondo all'ingiù, dove sono i poliziotti a diventar criminali. Dovrebbero prevenire i crimini, e son loro a perpetrarli, ad ammazzare gente. Arrestano bastonano torturano a morte. E non sempre per strappare informazioni, talvolta unicamente per punire e far vendetta. La polizia stupra le donne e deruba la gente nelle strade. La situazione attuale, come l'intendiamo noi, è quella d'un governo che dà licenza alla polizia d'uccidere punire stuprare e derubare, con garanzia d'immunità da qualsiasi querelante. Perché la polizia è cosi? Le cose hanno radici nella nostra storia. Anche quand'ero ragazzo la polizia si comportava alla stessa maniera con la gente. Ho ricordi di persone gettate nel camioncino della polizia come un sacco di patate. Tutti noi abbiamo veduto cose simili in Sudafrica. Ma perché?

Suggerisco due ragioni di tale realtà: un particolare tipo di mentalità autoritaria, che voi potreste non conoscere in Europa ma che risale all'istituzione dell'apartheid. Che cosa intendo per mentalità autoritaria? L'autorità comanda e tu ubbidisci. Scorre nella nostra famiglia, nella scuola e in tutte le nostre pubbliche istituzioni. In una certa misura è nera e bianca. La mentalità dell'autorità che dà ordini e di chi ubbidisce. Non ubbidisci? Vieni punito finché non sarai ridotto a ubbidienza. La nostra società è stata retta in questa maniera per molto tempo. Conseguentemente la polizia deve intervenire e punire i ragazzi che non ubbidiscono. Che altro faresti con dei ragazzi? Le punizioni corporali sono una delle più gravi lamentele dei bambini delle scuole del Sudafrica. La punizione è regola, cosicché gl'insegnanti non conoscono altro mezzo che la verga. I rapporti coi lavoratori sono gli stessi che nella tenuta agricola. Non lavorano? Li bastoni. Ma ora il lavoro dipendente è entrato in crisi perché i giovani rifiutano simili trattamenti. Più li picchi e più disertano il lavoro. La polizia si sente frustrata, visto che conosce un solo modo per tutto controllare. Picchia più forte e talvolta ammazza qualcuno. Ma non si arrende. Ecco quel che chiamo mentalità autoritaria. La polizia ha perso il controllo.

Ma c'è una seconda ragione delle attività di polizia, la paura. Dovreste esser vissuti in Sudafrica per sapere che cos'è la paura. In Sudafrica la propaganda estremista non ha creato soltanto il pregiudizio razziale, ha anzitutto creato nell'uomo bianco la paura. Ricordo un inglese che, dopo aver visitato il Sudafrica, mi disse sul punto di partire: «Ho fiutato paura dappertutto». I bianchi hanno paura d'esser sopravanzati, d'esser cancellati dal paese e d'essere - come si dice - «rigettati in mare». Ritengo che tale paura sia senza fondamento, è un mito. Non esiste tale pericolo per i bianchi. Delle 600 o 700 persone uccise quest'anno in Sudafrica soltanto 2 o 3 erano bianche. Si tratta d'una paura irrazionale e violenta, ed è comprensibile che molti agenti dell'ordine pubblico ne siano invasi. O noi uccidiamo loro o loro uccidono noi. È il sentimento generato dal sistema dell'apartheid. Ed è proprio l'apartheid che ha creato questo stato di caos emotivo.

2. Natura del conflitto

Vorrei prima dire che cosa il nostro conflitto non è. Non è una guerra razziale. Mi capita in Europa di sentir parlare d'un conflitto di bianchi contro neri. Ora i bianchi detengono il potere, i neri vogliono conquistarlo: ecco la lotta. In nessun senso è una guerra razziale. Il conflitto sussiste tra razzismo da una parte e non-razzismo dall'altra, discriminazione da una parte e uguaglianza per tutti dall'altra, per neri, bianchi, indiani, meticci (coloureds). Qui razzismo significa: la razza bianca costituisce il sistema e domina sulle altre razze. Da noi esiste il termine «plurirazziale» per indicare popolazioni divise in diversi raggruppamenti, ma ciascuna delle quali ha il suo dipartimento, sezione ecc. Cooperano e formano una federazione, ma sono ancora razzialmente divise. Ora la gente non lotta per questo ma per il non-razzismo. Cosicché la faccia d'una persona è irrilevante nella società. Non si mira a sostituire la dominazione bianca col potere nero ma a sostituire la dominazione bianca con una democrazia per tutti, indipendentemente dalla razza.

Non si tratta inoltre di guerra civile. Capisco una guerra civile tra due eserciti o tra due raggruppamenti (esempio del Libano, Irlanda del Nord). Non è questo il caso del Sudafrica, dove abbiamo un conflitto tra un esercito pesantemente equipaggiato e ragazzi con bastoni e sassi. I ragazzi attaccano i carri armati a mani vuote. Come parlare di guerra civile in questo tipo di scontro ineguale?

È una rivoluzione? Non son sicuro se il termine risulti utile, perché normalmente una rivoluzione implica rovesciamento d'un governo. Non vi è speranza alcuna che ragazzi conseguino una vittoria militare. Bastoni e sassi non la spuntano contro siffatta forza militare.

È una sollevazione? Di solito un popolo, dopo lungo periodo di frustrazione, esplode nella rabbia per pochi giorni, ma poi la situazione ritorna alla calma. Non è questo il caso del Sudafrica. Noi usiamo il termine «lotta» per indicare quel che sta accadendo in Sudafrica.

Soffermiamoci sul significato di questo termine. Lotta è intesa come qualcosa che è in atto da lungo tempo contro il razzismo. Lotta contro l'apartheid e lotta per la libertà e la liberazione. Tale lotta si sta intensificando. Iniziò nel 1912. L'ANC (African National Congress) si costitui quando un gruppo di neri - ministri di religione, avvocati, dottori ecc. ­protestò contro l'esclusione dall'Unione del Sudafrica del 1910. In realtà costoro volevano discutere il problema con quelli al potere, ma furono ignorati. Organizzarono una petizione al nuovo governo, si rivolsero all'Impero britannico e alla regina sul fatto dell'esclusione. Vennero ignorati. Iniziarono allora una protesta per l'esclusione e una campagna di sfida alle leggi dell'apartheid. Lo stato rispose con la violenza. L'ANC fu messo al bando. Dopo di che i leader neri cominciarono a pensare che l'unica cosa che i bianchi intendono è la violenza. Rigettarono i metodi di Gandhi, che a quel tempo si trovava in Sudafrica. Dettero vita a una forma limitata di boicottaggio; il bersaglio era la proprietà.

Che cosa si propone tale lotta? Noi usiamo indicarlo con «pressione», esercitare cioè pressione sul governo perché cambi. Pressione è parola-chiave di tutta la lotta e delle sue forme: boicottaggi, scioperi, non collaborazione ecc. L'opposizione si rende ingovernabile quando fa pressione sul governo. Anche appelli a pressioni internazionali sul governo si sono recentemente intensificati. La pressione internazionale è auspicabile. Voi stessi conoscete questi metodi meglio di me.

Anche le attuali agitazioni fanno parte dello sforzo d'esercitare pressione. I giovani sono pronti anche a morire pur di tenere il governo sotto pressione. Lo avrete certamente costatato voi stessi nei fatti recenti. I giovani sentono che non hanno alcunché da perdere e si espongono alla morte nella speranza d'una vita migliore per gli altri. Hanno un coraggio a prova di paura. Non ritorneranno nelle aule di scuola finché non avranno ottenuto libertà e liberazione. Quello a cui mirano è semplicemente democrazia. Che a ogni persona corrisponda un voto. Non si battono per una società comunista, per un bagno di sangue e per il totale potere nero. Si ripone speranza nella democrazia come liberazione del popolo. Così noi parliamo di democratici per intendere quanti sono impegnati al cambiamento. Vi sono democratici bianchi, neri, indiani, meticci, perché stanno dalla parte degli oppressi.

3. Le forme dell'oppressione

La forma dell'oppressione è chiaramente razziale, ma non è altrettanto chiaro il motivo: denaro-profitto. I bianchi del Sudafrica lo chiamano «tenore di vita». Essi beneficiano d'un altissimo tenore di vita dovuto all'apartheid: il basso costo del lavoro. La forma è la divisione sulla base della razza. Sei milioni i bianchi, 2,5 i meticci, 1 milione circa gl'indiani; altri (es. i cinesi) non sono riconducibili a speciali categorie; la maggioranza, d'ascendenza africana e artificialmente suddivisa in tribù, sono circa 20 milioni. Ciascuno vive all'interno del proprio gruppo. Soltanto i bianchi hanno diritto al voto; elemento da non dimenticare.

Di recente il governo ha istituito tre parlamenti: uno per i bianchi, uno per i meticci, uno per gl'indiani. Nessuno per gli africani. La proporzione fra i tre parlamenti è a favore dei bianchi per 4 a 2 a rapporto di 1. Anche se meticci e indiani si unissero, non raggiungerebbero la maggioranza contro i quattro voti dei bianchi. Per i più si tratta d'una beffa. Soltanto il 10% della popolazione ha votato per i nuovi parlamenti. Gli altri hanno boicottato le elezioni perché nuova forma d'apartheid.

Gli africani hanno una patria dallo stato fittizio perché non riconosciuto da nessun paese del mondo. In 13 territori i neri - si dice ­ hanno i loro diritti. Nelle città i consiglieri delle comunità sono controllati dal governo e recentemente a taluni di loro sono state bruciate le case. La gente respinge tale sistema perché vuole un voto pro capite. Se ne fai richiesta sei bollato per comunista. Certo la forma d'oppressione è a base razziale, ma la ragione è il profitto. I bianchi sono in grado d'arricchirsi a motivo del lavoro a basso costo. Abbiamo ricche miniere d'oro e d'altri minerali; il capitale necessario all'estrazione è alto; allora si terrà basso il costo del lavoro per aumentare il profitto. L'oro è in profondità; l'estrazione non darebbe profitto senza lavoro a buon mercato. Il sistema razziale provvede lavoro a buon mercato, dove e quando vuoi. A cose fatte, confini i lavoratori nei loro territori, senza diritti di sorta. La radice dell'apartheid è il profitto. Il livello di vita dei bianchi si abbasserebbe se non disponesse del lavoro schiavistico. Se i bianchi dovessero compe­tere coi neri, non potrebbero mantenere il loro tenore di vita.

4. Natura della resistenza e sua direzione

Vi sono due tipi di resistenza in Sudafrica. Taluni si oppongono al sistema ma collaborano col governo. Son detti collaborazionisti. Mirano al cambiamento dall'interno. I non-collaborazionisti rifiutano di venire a patti col sistema perché lo ritengono corrotto in radice. Ritengono che non si debba entrare nel sistema e operarvi. Vi sono poi i leader delle nazionalità, contrari all'apartheid, ma ai quali sono stati concessi posizioni di privilegio all'interno dell'unità etnica. Talvolta sono peggiori dei bianchi. I consiglieri delle comunità e i poliziotti (di cui metà circa neri) lavorano dentro il sistema. Gli uomini d'affari tentano soluzioni d'accomodamento col governo. C'è poi il NCA (National Conventional Alliance). Altri respingono tali opzioni perché del parere che non vi possa esser vero negoziato su base d'ineguaglianza. Come conciliare bene e male, giustizia e ingiustizia, Dio e il diavolo? Il più famoso dei movimenti non-collaborazionisti è l'ANC (African National Congress). L'UDF (United Democratic Front), alleanza eterogenea, ne è un altro. Si son formati circa 500 gruppi che si battono in modo non violento contro l'apartheid. Slogan dell'UDF è semplicemente «Apartheid divide, UDF unisce». L'UDF si è impegnato a rafforzare il ruolo del popolo attraverso forme associative. Negli ultimi sei mesi il governo ha schiacciato le organizzazioni, specie l'UDF. Molti dei leader sono in prigione. Lo spirito non è crollato ma il popolo è rimasto senza guida. Azapo - gruppo nero molto consapevole di sé - è un movimento di potere nero e opera da solo. Molti vogliono una società non-razziale, ma i neri devono spuntarla da soli. La lotta è tra oppressori e oppressi. Capita che dei neri stiano dalla parte degli oppressori e vengano uccisi, come nel caso dei poliziotti. Per questa ragione talvolta neri uccidono neri perché dall'altra parte della lotta. Così nella polizia, tra leader politici ecc. Non la vedono come lotta tra neri. Violenze tra neri sembrano anche attizzate dallo stesso governo.

5. Risposta della chiesa

In Sudafrica abbiamo molti record mondiali, tra questi il numero delle chiese: 4.500 chiese dall'Europa, dagli Stati Uniti, alcune fondate in Sudafrica stessa. Se ci domandiamo «Che cosa fanno le chiese?» sarebbe impossibile dare una risposta, se non che sono divise. Talune appoggiano il governo, talaltre lo combattono; ma la divisione arriva entro ciascuna delle stesse chiese. Ne è esempio il recente documento Kairos che sfida le chiese a impegnarsi di più. Il documento distingue le chiese secondo tre teologie circa il rapporto chiesa-stato.

Una prima teologia giustifica il potere dello stato. Utilizza Rom. 13,1-7, devi ubbidire allo stato. Teologia promossa dallo stato stesso. C'è dunque una teologia dello stato che ci rende unici, una teologia cioè usata per giustificare l'oppressione. Si utilizza il peccato perché la gente non contravvenga alla legge. Grande potere.

Una seconda teologia è quella che chiamiamo «teologia della chiesa». Pronunciamenti e documenti di chiesa in chiave moralistica non sortiscono effetto alcuno. Il popolo, vittima della violenza, della fame, dello stupro ecc., ha bisogno di qualcos'altro che di pie parole.

Una terza teologia, di fatto della vasta maggioranza del popolo, è quella profetica. Tale teologia c'invita a ergerci di fronte al governo e a proclamare che è moralmente illegittimo. Ti manca una base etica perché sei tiranno. Non collaboriamo con te. Le chiese sono spronate a impegnarsi in una prassi conforme al giudizio di fede.

Di critiche al governo e d'appelli al potere bianco perché cambi, il popolo ne ha abbastanza. Dateci un messaggio di speranza nel futuro. Sperare su che cosa? Date possibilità ai bianchi di cambiare; ma date altresì possibilità agli oppressi d'ergersi a rivendicare i propri diritti e a battersi, ché di propria volontà i bianchi del Sudafrica non cambieranno mai. Ecco il problema.

ALBERT NOLAN O.P.

Conferenza o relazione tenuta alla comunità domenicanca di Santa Sabina,
Roma, 9 ottobre 1985

- Traduzione dall'inglese di E. Panella O.P.



finis


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