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 Il Concilio e l'Islàm (|),

«Missioni domenicane» 40/4 (1966) 1-4.

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testo prossimo ma non identico a
Le religioni non cristiane: l'Islam,
 «Il Rosario» 1966, pp. 167-70.

Le cose di casa nostra son sempre quelle che c'interessan di più. E a ragione. Per questo abbiamo diviso con i Padri Conciliari il nostro interesse per i grandi temi della Chiesa in Concilio: liturgia, Chiesa, laici, vita familiare... Ma quando si ritorna con calma sui documenti conciliari si resta colpiti da testi apparentemente di second'ordine. I testi sull'lslàm, per esempio.

La Chiesa ha avuto a che fare con i Musulmani fin dal loro primo apparire. Non sono stati, per lo più, rapporti di buoni amici. È vero che dalla decadenza dell'impero ottomano e dalla soppressione del califfato c'è stata una schiarita. Ma ciò non ci dispensa dall'interessarci all'Islàm.

Si tratta di un mondo in piena rinascita religiosa, sociale e politica. I Musulmani si aggirano attualmente intorno ai 450 milioni. Sono in continuo aumento. Nell'Africa nera è in atto un ampio movimento di conversione all'Islàm. La Chiesa in missione incontra, come prima barriera, l'Islàm. E con esso deve fare i conti.

Per questo il Concilio si è interessato ai Musulmani e ha redatto due testi che certamente segneranno una data storica per il futuro deUe relazioni Cristianesimo-Islàm. Ogni esperienza e attività missionaria presso i Musulmani dev'esser ripensata e ristrutturata sulla linea tracciata dal Concilio, pena l'inautenticità cristiana dell'apostolato miissionario in terra d'Islàm e l'insuccesso più deludente.

Ricostruiremo qui in breve la storia della formazione dei testi nel lavoro del Concilio. In un prossimo articolo raccoglieremo considerazioni e riflessioni a partire dai medesimi testi conciliari.

LA STORIA DEI TESTI SULL'ISLAM

Storia breve perché in Concilio si pensò di parlare dell'Islàm solo nel corso della seconda sessione; ma interessante per cogliere lo spirito nel quale i testi furono pensati e le preoccupazioni teologico-pastorali che li portarono alla stesura definitiva. Nella fase preparatoria, dunque, del Concilio e nella prima sessione (ott.-dic. 1962) nessuna intenzione di parlare esplicitamente delle religioni non-cristiane e dell'Islàm.

Nella seconda sessione (sett.-dic. 1963) gli schemi sulla Chiesa e sull'Ecumenismo sensibilizzarono i Padri al problema dei non-cristiani. Fu presentato un capitolo (schema sull'Ecumenismo) in cui si accennava ai rapporti della Chiesa con gli Ebrei. I vescovi orientali reagirono con vigore e osservaono che non si poteva parlare degli Ebrei senza far parola nello stesso tempo delle religioni non-cristiane e soprattutto dell'Islàm.

Si pensò d'inserire un paragrafo sui Musulmani nello schema sulla Chiesa, e nel periodo dell'intersessione del 1964 una commissione lavora per la redazione del testo. Contemporaneamente alcuni grandi avvenimenti sottolineano l'intenzione della Chiesa di spingere avanti le cose. Paolo VI, durante il pellegrinaggio in Terra Santa, ha occasione d'incontrare e di rivolgere fraterne parole ai Musulmani (Ammàn). è istituito il secretariato per i non-cristiani a cui si aggiunge, il 1° marzo 1965, un sotto-secretariato per l'Islàm. Nell'Enciclica Ecclesiam Suam (6 ag. 1964) il Papa parla con simpatia dell'Islàm.

All'inizio della terza sessione conciliare (sett. 1964) ci si rende conto del cammino fatto, nel giro di un anno, nella questione dell'Islàm. In questo clima è presentato ai Padri il primo testo sui Musulmani. Non mancano forti critiche, soprattutto all'espressione «figli d'Ismaele» con cui vengono designati i seguaci di Maometto. Si fa osservare che la discendenza da Ismaele dei popoli arabi (e i Musulmani non s'identificano con gli arabi) è tutt'altro che evidente e gli stessi studiosi d'islamologia fanno al riguardo forti riserve. L'espressione inoltre sembra avallare la dubbia interpretazione teologica che alcuni studiosi cattolici hanno proposto della religione islamica: questa sarebbe il secondo ramo, rispetto a quello israelitico, a ereditare parte della rivelazione abramica per la discendenza d'Ismaele. L'espressione «figli d'Ismaele» fu tolta e si ebbe cosi il testo definitivo inserito nel paragrafo 16, cap. II della Costituzione sulla Chiesa (21.XI.1964):

«Il disegno della salvezza abbraccia anche quelli che conoscono il Creatore, primi tra tutti i Musulmani i quali, dichiarando d'aver la fede d'Abramo, adorano con noi il Dio unico, misericordioso, giudice futuro dell'uomo nell'ultimo giorno».

* * *

Il secondo testo, incluso in un primo momento nello schema sull'Ecumenismo, venne a far parte di uno schema indipendente che diventò la «Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le Religioni non-cristiane» (28.X.1965). Vi si parla degli Ebrei, del Buddismo, dell'Induismo e dell'Islàm. Quest'ultimo prende tutto il paragrafo 3.

I Padri discussero la terminologia (verrà sostituito muslimus, più fedele all'originale arabo, all'occidentalizzato musulmanus), caratterizzarono l'unico Dio con gli appellativi più cari ai Musulmani - e che risultano in comune con i nomi di Dio nel Vecchio Testamento - accennarono all'atteggiamentao dei Musulmani nei riguardi di Cristo e di Maria. Ne è uscito un testo bellissimo e di grande portata. Eccolo per intero (Nostra aetate n° 3):

traduzione allora circolante

successiva traduzione (ed. àncora 1966)

«La chiesa guarda inoltre con stima ai Musulmani (Muslimos), che adorano il Dio Uno, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, Creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto l’animo agli occulti decreti di Dio, come si sottomise a Dio  Abramo, al quale la fede islamica si riporta volentieri. Venerano come profeta Gesù, sebbene non lo riconoscano come Dio, onorano la sua verginale madre Maria e a volte anche la invocano con devozione. Aspettano inoltre il giorno del giudizio quando Dio retribuirà tutti gli uomini risuscitati. Hanno stíma della vita morale e rendono il culto a Dio soprattutto nella preghiera, nell'elemosina e nel digiuno».

«La chiesa guarda anche con stima i Musulmani (Muslimos), i quali adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, Creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutta l’anima ai decreti di Dio anche nascosti, come a Dio si sottomise Abramo, a cui la fede islamica (fides islamica) volentieri si riferisce. Benché essi non riconoscano Gesù come Dio, lo venerano tuttavia come profeta, e onorano la sua madre vergine Maria, e talvolta anche la invocano con devozione. Inoltre aspettano il giorno del giudizio quando Dio retribuirà tutti gli uomini risuscitati. Così pure essi stímano la vita morale e rendono culto a Dio soprattutto con la preghiera, le elemosine e il digiuno».

Seguiva qui una proposizione soppressa per le critiche fatte nell'ultima discussione sullo schema:

«Essi si sforzano di condurre, in obbedienza a Dio, una vita morale, sia individuale che familiare e sociale».

Il testo conciliare termina:

traduzione allora circolante

successiva traduzione (ed. àncora 1966)

«Se nel corso dei secoli tra Cristiani e Musulmani sorsero non pochi dissensi ed inimicizie, il Concilio li esorta tutti affinché, dimenticato il passato, realizzino sinceramente una mutua comprensione; difendano e promuovano per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali nonché la pace e la libertà» (Nostra aetate n° 3: 28 ott. 1965).

«Se nel corso dei secoli non pochi dissensi e inimicizie sono sorti tra cristiani e musulmani, il sacro concilio esorta tutti a dimenticare il passato e a esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme, per tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori, morali, la pace e la libertà».


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 Il Concilio e l'Islàm (||),

«Missioni domenicane» 40/5 (1966) 1-5.

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Il Concilio Ecumenico ha parlato due volte dell'Islàm: nella Costituzione sulla Chiesa e nella Dichiarazione sulle Religioni non-cristiane.

Il primo testo - il più breve - ha il vantaggio di presentarci la religione islamica inserita nella visione che il documento traccia della storia degli uomini orientati verso la rivelazione perfetta di Dio che si fa in Cristo. Di questo movimento verso la luce perfetta ogni religione rappresenta una tappa, con un patrimonio più o meno ricco di valori umani e religiosi capaci di porsi come soggetti di grazia, e dunque di salvezza. La Chiesa si rivolge a queste religioni non come a realtà da affrontare e da abbattere ma come a valori da assumere ad una significazione di predicazione pre-evangelica. Non è questione di una «tattica dell'apostolato della conversione», ma è il rispetto per la particella di luce - e cioè di verità ­ di cui pur beneficiano coloro che «sono nelle tenebre e nell'ombra della morte». Per questo «quanto di buono e di vero si trova presso di loro è ritenuto dalla Chiesa come una preparazione al Vangelo» (Cost. sulla Chiesa, II, n. 16).

In questa prospettiva viene situato il fatto storico Islàm:

«Il disegno della salvezza abbraccia anche quelli che conoscono il Creatore, primi tra tutti i Musulmani i quali, dichiarando d'aver la fede d'Abramo, adorano con noi il Dio unico, misericordioso, giudice futuro dell'uomo nell'ultimo giorno» (Cost. sulla Chiesa, II, n. 16).

* * *

Il secondo testo, alquanto più lungo, illustra con chiarezza e con lealtà i punti-cardine della dottrina dell'Islàm e stabilisce i rapporti del cristiano con il musulmano.

«La chiesa guarda inoltre con stima ai Musulmani (Muslimos), che adorano il Dio Uno, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, Creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto l’animo agli occulti decreti di Dio, come si sottomise a Dio  Abramo, al quale la fede islamica si riporta volentieri. Venerano come profeta Gesù, sebbene non lo riconoscano come Dio, onorano la sua verginale madre Maria e a volte anche la invocano con devozione. Aspettano inoltre il giorno del giudizio quando Dio retribuirà tutti gli uomini risuscitati. Hanno stíma della vita morale e rendono il culto a Dio soprattutto nella preghiera, nell'elemosina e nel digiuno».

Seguiva qui una proposizione che, per le critiche fattele nell'ultima discussione dello schema, fu soppressa: «Essi si sforzano di condurre, in obbedienza a Dio, una vita morale, sia individuale che familiare e sociale». Il testo poi conclude:

«Se nel corso dei secoli tra Cristiani e Musulmani sorsero non poche divergenze ed inimicizie, il Concilio li esorta tutti affinché, dimenticato il passato, realizzino sinceramente una mutua comprensione, difendano e promuovano per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali nonché la pace e la libertà» (Dichiar. sulle relaz. della Chiesa con le Relig. non-cristiane, Nostra aetate n° 3: 28 ott. 1965).

Durante la discussione in Concilio si chiese la soppressione dell'appellativo «figli d'lsmaele» dato ai Musulmani. Ma ciò non nega la dipendenza della religione islamica dal patrimonio religioso della rivelazione ebraica. Sarebbe come voler chiudere gli occhi davanti la luce dell'evidenza. Il Concilio tratteggia il Dio predicato da Maometto usando gli stessi attributi coranici. Anche una superficiale curiosità comparativa rileverebbe l'identicità degli attributi divini nel Corano con quelli usati nella rivelazione vetero-testamentaria. Perfino la lingua araba, nei nomi divini ricalca "tout court" etimi ebraici.

Così il Dio comune dei Musulmani e della rivelazione giudeo-cristiana è il Dio Uno, vivente e vivificante, avente in sé la pienezza dell'essere, da lui è l'essere di tutte le cose essendo il «creatore del cielo e della terra»; è onnipotente e nello stesso tempro misericordioso, guida il corso della storia e tutto abbraccia nella sua imperscrutabile provvidenza.

Si dice ancora che Egli «ha parlato agli uomini». Elemento importantissimo (Rivelazione) che caratterizza il Dio dei due gruppi religiosi e che potrebbe essere un punto capitale per l'approfondimento dell'origine storica dell'Islàm.

Nella redazione definitiva è stato soppresso l'attributo «personale», mancante di un corrispondente nel linguaggio coranico e nella teologia islamica. Non si parla di unione tra Dio e uomo, elemento estraneo all'Islàm e proprio della rivelazione cristiana. Gesù è onorato dai Musulmani come un grande profeta e uomo santissimo. Tutta la tradizione ascetico-mistica dell'Islàm ne farà il modello di ogni perfezione e santità. è ritenuta la verginità di Maria madre di Gesù - una tradizione islamica ne afferma anche l'assoluta santità (immacolata concezione?) - e non di rado i devoti musulmani la pregano con devozione. Il giudizio finale dopo la risurrezione dei morti e Dio rimuneratore del bene e del male fondano un'autentica istanza di vita morale.

L'ultima proposizione del testo conciliare è di certo la più importante e d'immensa portata per il futuro. L'argomento era tutt'altro che facile da abbordare ma i Padri Conciliari ne son venuti a capo con maestria. Brevità e chiarezza, insieme ad una grande onestà. Soprattutto una volontà ferma di stabilire per il futuro con l'Islàm rapporti su tutt'altre basi che nel passato.

Tutti sappiamo questa triste e difficile storia. Un flusso e riflusso d'offensive e d'ostilità da ambo le parti, dove l'istanza religiosa fu, da ambo le parti, inficiata e tradita da interessi politici di potenza e di dominio. La sconcertante conquista araba dei secoli VII e VIII e la risposta delle crociate dei secoli XI-XIV; la spinta ottomana fino alle porte delle città europee e la controffensiva occidentale; la colonizzazione del secolo scorso e il nazionalismo indipendentistico dei paesi arabi di questo secolo. Tutto ciò ha lasciato tracce che non si cancellano con un colpo di spugna. Il nostro linguaggio raccoglie indiscriminatamente parole come "maomettano, musulmano, saraceno, turco", tenute insieme solo da una buona dose d'imparziale disprezzo. Disprezzo - bisogna dirlo - che i nostri amici Musulmani ricambiano cordialmente e con sovrabbondanza. Così noi festeggiamo il trionfo della fede sulla flotta musulmana a Lepanto (1571) [curiosità: rileggiti nella liturgia preconciliare orazione e lezioni II-III della festa di Pio V, 5 maggio] e i Musulmani ricordano con una festa religiosa la loro vittoria sulla flotta bizantina (655), così come da noi si benedicevano le spade dei crociati e i Musulmani scolpivano sulle bocche dei cannoni ottomani "Dio ci aiuti!»... Noi tagliamo corto e diciamo che siamo noi ad avere la verità. Ma siamo sicuri d'essere nella verità quando appendiamo la nostra verità alla punta delle spade?

Il Concilio c'invita a «dimenticare il passato» - un modo garbato per dirci di battere il «mea culpa» nella porzione che ci spetta - e a guardare al futuro. Sì, guardare al futuro. Ma con la necessaria condizione di riconoscerci nei nostri secolari avversari e di tener conto del patrimonio di fondo dell'Islàm che, costituendo il cuore della religione islamica, è nello stesso tempo patrimonio comune della rivelazione giudeo-cristiana.

Da questa revisione del nostro rapporto con l'lslàm può esser ricostruito un nuovo tipo di presenza e di missione della Chiesa in terre musulmane. L'apostolato missionario «della conversione e dell'abiura» incontra - è l'esperienza d'ogni giorno - una barriera insormontabile con l'lslàm; ma soprattutto non ha, forse, una piena e soddisfacente giustificazione evangelica; il che vuol dire che non è, forse, genuinamente e limpidamente evangelico.

l principi dell'lslàm - Dio unico, provvidente, misericordioso, rimuneratore nel giorno del giudizio - sono capaci di generare un valido rapporto religioso tra l'uomo e Dio e un autentico inizio di vita morale, e cioè di salvezza. Assumendo questo valore di base è possibile, dall'interno stesso dell'anima musulmana, produrre un movimento direzionale, che se spinto con generosità e lealtà fino in fondo, terminerà a Cristo, l'unico mediatore tra l'uomo e Dio, l'unico per mezzo del quale si è salvi.

Non c'è dubbio che per la teologia missionaria molti passi restano ancora da fare in questo campo. Ma una esperienza missionaria di marca genuinamente «apostolica» in terra d'lslàm può confermare forse ­ nella linea dei fatti - la validità di questa riconquistata e più evangelica attitudine missionaria.


 Non esiste errata teoria che non contenga un briciolo di verità! (adagio attribuito a s. Agostino o a Beda; cf. Tomm. d'Aq. II-II,172,6)


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