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La storiografia domenicana delle origini,

«Dizionario degli istituti di perfezione» [=DIP]
9 (1997) coll. 374-78.

 

Andrea di Buonaiuto da Firenze, capitolo SMN_est (1365-67): san Domenico da Caleruega fondatore dei frati Predicatori mostra la "via salutis" Non prenderlo troppo sul serio! Composto in Pistoia 1978-79, titolo originale Spunti di storiografia domenicana delle origini, spedito alla segreteria del dizionario in gennaio 1979, comparso a stampa un ventennio dopo! (che cosa e come avrei scritto vent'anni dopo?). Cf. «Dominican history newsletter» 6 (1997) 34-35, righe penultima e ultima.

Lo ripongo tra quei remotissimi anni. Corressi le bozze durante il periodo romano in Santa Sabina (1993?), senza alcuna innovazione testuale; aggiornai bibliografia; quella dal 1992 è aggiunta dalla redazione DIP.

1 Libellus de principiis 5 De quatuor in quibus
2 canonizzazione di Domenico 6 tabulae e catalogi
3 solidità dell’organismo religioso 7 de viris illustribus
4

controllo delle origini

  fonti e bibliografia
 

   | aggiornamento | Dizionari... | DIP | ë

Il primo documento che testimonìa, nell’ordine dei Predicatori, il bisogno collettivo di riandare le proprie origini è relativamente tardivo: il Libellus de principiis di Giordano di Sassonia (1231-33), a dodici anni dalla morte di san Domenico. Tardivo, se si pensa che la Vita prima (1229) di Tommaso da Celano data due anni appena dalla morte di Francesco d’Assisi. E il confronto è suggerito - e legittimato - dalla prossimità sia spirituale che cronologica dei fondatori degli ordini francescano e domenicano. Ma non ci si lasci sfuggire la diversa ispirazione dei due scritti. La Vita di Tommaso da Celano, composta «per ordine del glorioso signor papa Gregorio» (Prologo), testimonia il primo tempestivo intervento - discreto ma non del tutto dissimulato - di “controllare le origini” tanto rigogliose quanto conflittuali del francescanesimo; il processo si concluderà con la Legenda maior (1263) di san  Bonaventura (cf. S. da Campanola, Francesco d’Assisi nei suoi scritti e nelle sue giografie dei sec. XIII-XIV, Assisi 1977, c. III). Giordano di Sassonia, primo successore dì Domenico alla guida dei Predicatori (1222-37), non appare motivato da simile preoccupazione. Scrive dietro «l’insistente richiesta dei frati desiderosi di sapere come ebbe origine l’ordine dei Predicatori» (Libellus n° 2, in MOPH XVI). Il Libellus - ben diverso dal genere agiografico delle legendae - porta l’impronta d’una ispirazione discorsìva e amicale; come di chi narra cose passate per rivisitarle con stupore e libertà sul filo di legami spìrìtuali e affettìvì (i brani su fra Enrico!), anziché sollecitarle a disciplina delle cose presenti. Domenico trova il suo posto tra i fatti e le persone che vissero la risposta evangelica della praedicatio alla situazione religiosa della Francia meridionale: e là si rivive l’incertezza degli inizi, la fragranza della familiarità, lo stupore della vita «secondo la forma degli apostoli», la santità consueta, la tenacia puntigliosa di Domenico. Il vescovo d’Osma Diego, i primi frati come Reginaldo, Enrico, ecc., hanno un’autonoma consistenza umano-spirituale; nessuna pressione redazionale li costringe a servire la fabrica del “personaggio principale” Domenico. Quando Giordano abbozza il rimprovero circa l’incuria dei frati per la memoria del fondatore, testimonia nel contempo che alla vigilia della canonizzazione (1234) di Domenico - sollecitata peraltro dallo stesso Gregorio IX - non s’era ancora prodotto il trapasso dalla “santità” al “culto” (Libellus nn. 98, 121-125).

La canonizzazione di Domenico accelera il processo, entro un organismo cresciuto e consolidato, dell’uso piú consapevole delle energie ancora annidate nelle “origini”. Nel ventennio 1235-55 l’ordine è ufficialmente impegnato a riordinare e riesprimere le proprie origini tramite i testi liturgico-ufficiali delle Legendae di san Domenico: quella di Pietro Ferrand (1236-39), sostituita nel 1244-46 da quella di Costantino da Orvieto, a sua volta sostituita dalla Legenda definitiva (1256 ca.) di Umberto da Romans, quinto maestro dell’ordine. Gli schemi sono quelli collaudatissimi del genere letterario della legenda tardo-medievale. Scompaiono o sono fortemente ridotti i tratti cronologici, topici, onomastici, personali; si accentua il processo d’isolamento del santo su uno sfondo storicamente indistinto; si sviluppa il topos delle premonizioni e del materiale taumaturgico (quantitativamente documentabile dalla Legenda di Ferrand a quella d’Umberto). La santità evolve in culto. Per iniziativa d’Umberto da Romans (1256), fra Gerardo da Frachet redigerà la popolarissima silloge delle Vitae fratrum (1259-60). La distanza spirituale e storiografica delle Vitae fratrum dal Libellus di Giordano è di gran lunga superiore a quella cronologica.

Del resto, i travagli e gli attacchi cui l’ordine fu sottoposto negli anni 1250-60 (lotta con i secolari all’università di Parigi, conflitti col clero diocesano, alterna politica papale pro o contro i religiosi) avevano prodotto una spinta alla “definizione” ideologica, al consolidamento istituzionale, alla saldezza interna dell’ordine stesso. Ne sono documenti l’attività legislativa del maestro Umberto da Romans (1254-63) e la sua produzione letteraria: sistemazione della Legenda di Domenico, dell’ordinarium della liturgia domenicana, commenti alla regola e costituzioni dell’ordine, ridefinizione degli officia all’interno della vita religiosa, tipologia della predicazione domenicana, ecc.

Andrea di Buonaiuto da Firenze, capitolo SMN_est (1365-67): san Domenico da Caleruega fondatore dei frati Predicatori mostra la "via salutis"La consapevolezza della forza interna dell’ordine permette a Umberto persino di programmare un riflusso della nuova solidità dell’organismo religioso sull’uniformità della figura pubblica del frate Predicatore, benché difficoltà oggettive sembrassero dissuaderlo. Ma la stessa analisi delle resistenze - che Umberto illustra non senza acutezza - e la robusta teorizzazione dell’uniformità derivata dal «cor unum et anima una» del prologo della regola e dall’«unìus professionis voto» documentano la consapevolezza delle proprie forze, così come segnalano novità non insignificanti nell’evoluzione d’una teologia della vita religiosa. Gli ordini monastici - dice Umberto - sono uniformi anche nel colore dell’abito e nella forma delle calzature; da noi, invece, vari sono e colore e forma e misura. Ci sono, certo, delle ragioni; non ultimo il fatto che capitoli generali e definitori hanno creduto bene d’insistere su «problemi piú importanti e necessari per l’ordine...». Agli inizi, del resto, fu così anche per gli altri ordini religiosi; «sed processu temporis huiusmodi statuerunt». Altrettanto dobbiamo fare ora noi: «Expedit autem sic fieri» (Umberto da Romans, De vita regnulari II, 4-8).

Sollecitare l’avallo delle origini ai corsi storici del presente persuade il “controllo” delle origini stesse. Degli esempi? Giordano aveva tramandato, tra le confidenze fatte da Domenico sul letto di morte:

«La misericordia divina mi ha preservato casto fino alla morte. Ma vi confesso un’imperfezione: ho gradito piú il colloquio con donne giovani che i discorsi delle vecchie» (Libellus n° 92).

Il capitolo generale Bologna 1242 dispone (sezione delle admonitiones, non delle modifiche costituzionali):

«Ammoniamo e vogliamo che dalla legenda del beato Domenico sia abraso il passo dove egli asserisce che, benché preservato casto dalla grazia divina, non seppe evitare l’imperfezione di preferire il colloquio con le giovani a quello con le vecchie» (MOPH III, 24/12-15).

 Di fatto, uno dei due codici duecenteschi della Legenda di Pietro Ferrand, che attingeva da Giordano, testimonia l’abrasione (cf. MOPH XVI, 200, 245). Né Costantino da Orvieto né Umberto da Romans faranno menzione della mirabile confidenza di Domenico.

Un altro caso sfiora manomissione delle fonti. Quand’ancora la Legenda del Ferrand non era stata di fatto sostituita da quella definitiva d’Umberto, il capitolo generale di Valenciennes 1259 ordina (iniungimus):

«Nella vita del beato Domenico, rubrìca "come il vescovo di Osma fondò il monastero di Prouille", si sopprima “il vescovo di Osma” e si scriva “il beato Domenico”» (MOPH III, 98/23-25). cf. AFP 65 (1995) 141-42; 66 (1996) 149-50.

Anche qui la prima autorevolissima fonte era Giordano di Sassonia (MOPH XVI, 39 n° 27, 220-21; nota 1 in appar. critico di p. 221). La Legenda d’Umberto dirà perentoriamente: «beatus Dominicus instituit monasterium de Pruliano» (ib., 382).

A cavallo dei secoli XIII-XIV si registra il tentativo d’una sintesi storica organica del primo ricchissimo secolo di vita dell’ordine. Il risultato, per qualità storica e articolazione compositiva, sarà una pietra miliare nella letteratura domenicana; tale da imporre il proprio modello alla successiva storiografia e precontenerne in nuce gli ulteriori sviluppi per molti secoli a venire. Si tratta del De quatuor in quibus Deus Praedicatorum ordinem insignivit. Iniziata da Stefano da Salagnac († 1290), l’opera fu portata a termine e aggiornata, tra 1304 e 1314, da Bernardo di Guido da Limoges († 1331), cui di fatto va il maggior merito.

Il De qualuor si divide in quattro parti: I, san  Domenico; II, «glorioso nome dei Predicatori»; III, «prole illustre»; IV, regola di san Agostino. La parte piú notevole e ricca è la terza, centrata sull’idea della progenies, numerosa e nobilissima, che in breve spazio di tempi riempì «le regioni al di qua e al di là del mare» (Prologo alla p. III). E vi si inaugura il genere letterario del catalogus che insinua modelli e gerarchia della “prole illustre”: martiri, scrittori e professori, pontefici romani, cardinali, ufficiali della curia romana, prelati, maestri in teologia, primi compagni di Domenico, predicatori «gratiosi et famosi». Ma nell’insieme il De quatuor conserva il tono della chronica: scarno, minuzioso e - come conferma sempre piú la storiografia  moderna - esatto. Opera storica ben costruita nell’intelaiatnra: fatti, dati (topici e cronologici) fanno del De qnatuor fonte precipua del primo secolo di storia dell’ordine e specchio fedele dell’immagine che l’ordine dette a se stesso. Il giudizio del dotto francescano inglese Little sulla storiografia domenicana porta merito principalmente a Bernardo di Guido: «Se vuoi conoscere ciò che accadde, i Domenicani saranno la guida piú fidata; se vuoi sapere le reazioni del contemporaneo, le credenze e i sentimenti degli uomini del tempo, consulta i Francescani» (G.A. Little, Franciscan papers, Manchester 1943, 26).

Contemporanei e posteriori al De quatuor, si sviluppano testi delle tabulae e catalogi, principalmente consacrati agli «uomini insigni nella dottrina» e alla lista dei loro scritti. Sono le fonti che alimenteranno gli scriptores domenicani del XIV e XV secolo, essenzialmente “catalogisti”: Enrico da Herford (1355), Lorenzo Pignon (1412 ca.), Giacomo da Soest (1427), Ludovico da Valladolid (1413-14) ecc.

Il periodo umanistico-rinascimentale rilancia il genere del de viris illustribus, dove al nuovo tono encomiastico-letterario non sempre si accompagna pari cura per la documentazione e vaglio delle fonti. Lo studio delle chronicae conventuali (che registrano, almeno in Italia, un rilancio tra fine ’400 e primo ’500), dei sermonari, degli scritti della riforma, potrebbe certamente offrire un orizzonte piú articolato, e più ricco dell’evoluzione della “consapevolezza di sé” d’un ordine religioso. Certo è che le opere narrative, prevalentemente ispirate al genere del de viris illustribus, tramandano una storiografia domenicana essenzialmente prosopico-eroica (isolamento della persona e processo di eroicizzazione), selettiva (nuovi e più esigenti modelli socio-gerarchici selezionano i personaggi “illustri”), encomiastica.

Integra, qui, con Quel che la cronaca conventuale non dice. Santa Maria Novella 1280-1330, «Memorie domenicane» 18 (1987) 227-325, per arricchirre e documentare l'evoluzione apologetica della storiografia pubblica: essa omette per propria identità compositiva i molteplici e consistenti casi di infedeltà e di espulsione.

Ecco uno specimen del modello “eroico” (il registro linguistico della traduzione mira a rendere le tonalità del modello latino). Nel 1517 Leandro Alberti così introduce la vita di san Vincenzo Ferrer:

«Habuit unaquaequae aetas magnum aliquid ac memorabile nec avara fuit unquam... Sempre alcunché di grande e degno di memoria ebbe ciascun secolo; e avara mai non fu la mano di Dio coi mortali, né mai privò del proprio aiuto il mondo senescente onde sostenere lo stato rovinoso della cristiana società (reipublicae christianae)... Nacque dunque Vincenzo - cui certo per divino intuito tale nome fu dato - in Valenza, nobilissima città della Spagna... » (L. Alberti, De viris illustribus Ord. Praed., Bologna 1517, f. 156v).

Un esempio del modello “domestico-encomiastico”: Sebastiano da Olmeda si propone nella Chronica ordinis Praedicatorum (1550 ca.) di scriverne le «pracelara gesta», così come san Girolamo ed Eusebio scrissero degli antichi uomini illustri della Chiesa:

«Tutti gli storiografi ci hanno molto tramandato da ammirare e imitare. Peraltro mi muovono a riso - per non dire quanto siano ridicoli - taluni religiosùcoli, tutti intenti alle gesta e storie profane e alle vicende secolari, che ignorano e sprezzano le proprie... Che cosa in comune tra me e Alessandro? tra me e Cesare Ottaviano, o la superba Roma, o re e padroni che dominano il mondo? E perché aver pensiero di coloro che son fuori (qui foris sunt), io che al mondo son morto e ho professato in una milizia ben diversa e ben più nobile? La nostra milizia ha i suoi duci e i suoi prìncipi, non certo ignobili per spirito e virtú... Esaltiamo dunque gli uomini gloriosi nella loro progenie e gli antenati nostri...» (Sebastiano de Olmeda, Chronica OP, ed. Canal Gómez, Roma 1936, 8).

Fonti: MOPH I; XVI; XVIII; XXII; Humbertus de Romanis, Opera de vita regidari, a cura di J.J. Berthier, 2 vol., Roma 1888; SOPMÆ I-IV.

Bibliografia: H.-D. Simonin, Notes de bibliographie dominicaine, AFP 8 (1938) 193-214; 9 (1939) 192-213; R. Creytens, Les écrivains dominicains dans la chronique d’Albert de Castello (1516), AFP 30 (1960) 227-313; M.-H. Vicaire, Dominique et ses Précheurs, Friburgo 1977; Id., Histoire de st. Dominique, 2 vol., Parigi 1982 (trad. italiana, Roma 1987); W.A. Hinnebusch, The History of the Dominican Order, 2 vol., New York 1965, 1973; Id., Breve storia dell’ordine domenicano, Cinisello Balsamo 1992.


Aggiornamento bibliografico:

Per sviluppi e letteratura successiva sul tema consulta strumenti di base: AFP e «Dominican history newsletter».

M. Roquebert, San Domenico. Contro la leggenda nera, Torino (ed. San Paolo) 2005.

..\cronica\cr_frm.htm

..\cronica\quel.htm

«Dominican history newsletter»: importante strumento bibliografico per seguire la letteratura storica dell'ordine domenicano.


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