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Uomo evangelico,
«Nuovo dizionario di Spiritualità», |
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I |
L’uomo evangelico e il tempo della chiesa |
II |
La spiritualità dell’uomo evangelico |
1 | Evangelismo mendicante, o la regola del vangelo | 5 | Alle origini |
2 | Evangelismo di rottura | 6 | L’uomo evangelico nella chiesa |
3 | Legge o vangelo? | 7 | L’uomo evangelico nel mondo |
4 | L’uomo evangelico coscienza della chiesa | 8 | Le tentazioni dell’uomo evangelico: utopismo e integralismo | BIBL. | ë |
Semplicemente "uomo evangelico" a quel tempo, come voleva il dizionario. Riscriverlo? Non mi ci provo neppure. Correggi tu, sorella donna, in "uomo e donna evangelici" (e coniuga a tuo piacimento!).
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«Benché la chiesa, per virtù dello Spirito santo, sia rimasta sposa fedele del suo Signore e non abbia mai cessato d’essere segno di salvezza nel mondo, essa tuttavia non ignora affatto che tra i suoi membri, chierici e laici, non sono mancati nel corso dei secoli coloro che furono infedeli allo Spirito di Dio. E anche oggi la chiesa sa bene quanta distanza separi il messaggio ch’essa reca e l’umana fragilità di coloro cui il vangelo è affidato. Qualunque sia il giudizio che la storia dà di tali deficienze, da parte nostra dobbiamo esserne consapevoli e combatterle vigorosamente perché non ne abbia a patire la diffusione del vangelo» (Gaudium et spes 43).
L’uomo evangelico è la coscienza della chiesa peregrinante nella storia; sempre vigile allo scarto tra il “già” e il “non ancora” nella crescita del credente e della comunità ecclesiale verso la statura perfetta del Cristo. Non che l’uomo evangelico si affermi assoluto e antitetico alla chiesa della storia (ché allora negherebbe storicità al suo stesso recupero e legittimità alla sua tradizione cristiana); ma si esprime - nella chiesa e tra le sue multiformi funzioni - in momenti di grazia che mentre denunciano la compromissione presente protestano l’ansia verso il compimento della legge perfetta del Cristo, il vangelo. E il vangelo, invocato e disatteso, interpretato e prevaricato, obliterato e riscoperto, fa la propria storia nella storia della chiesa; costruendo - e giudicando - rapporti sempre più consapevolmente cristiani tra grazia e peccato, conversione e testimonianza, ministeri e santità, autorità e carismi, parola e sacramento, chiesa e mondo.
1. Evangelismo mendicante, o la regola del vangelo. Il manipolo di compagni che l’esperienza evangelica aveva raccolto intorno a Francesco d’Assisi fece stupore; nella chiesa come nella società civile dei tempo. La povertà rigorosa nella persona e nella comunità (fraternitas) sorprendeva la società europea tardo medioevale in pieno rigoglio cittadino e in frenetica espansione commerciale. La rinuncia alla proprietà e la libera peregrinazione a servizio della proclamazione e testimonianza della “buona notizia” suonava stridente novità rispetto a forme tradizionali di vita religiosa, cui regole venerande e ínsediamenti fondiari davano il carattere fondamentale di “stabilità”[1]. Il ricorso a pochi passi evangelici (Mt 10,7-14, discorso della missione apostolica; 19,21 «Se vuoi esser perfetto... »; Lc 9,23 «Chi vuol seguirmi...») come a ideale di vita dovette apparire alle autorità religiose troppo fragile per costituire uno statuto di compagine di chiesa (status, religio, ordo). Persuadeva inoltre un’attitudine inerme e finanche remissiva; mentre i conflitti della cristianità del tempo, tra compattezza interna e nemici d’oltre frontiera, tra ortodossia e contestazione catara e valdese, tra sovranità papale e autonomia dei prìncipi terreni, sembravano dar ragione ad una riforma all’insegna della forza: forza dell’universalismo geografico della fede, dell’uniformità e coesione delle proprie istituzioni, delle solidarietà vassallatiche di censo e d’arme. E non mancavano successi, da Gregorio VII (1073-1085) a Innocenzo III (1198-1216), che sostenessero tale corso di riforma: dalle lotte d’investitura al rifiorire della spiritualità monastica, dal contenimento della minaccia musulmana all’estinzione del focolaio albigese. Francesco, d’altra parte, ha l’aria di chi fa appello troppo in alto perché possa realisticamente sperare in un corso felice della propria causa tra le vicende terrene: «L’Altissimo in persona mi ha rivelato come dovessi vivere secondo lo stile del vangelo» (secundum formam sancti evangelii)[2]. E deve stendere, suo malgrado, una regola (lex regulae) quando gli era balenato categorico, e sufficiente, il vangelo (lex evangelii): una prima regola nel 1221, una seconda nel 1223 approvata definitivamente da papa Onorio III (Regola II “bollata”). La fraternitas era diventata religio (ordine religioso). Eppure Francesco non rinuncia a stupire: «Regola e vita dei frati Minori è questa: osservare il santo vangelo del Signore nostro Gesù Cristo»[3]. Così inizia la Regola II.
Quasi contemporaneamente, in Linguadoca, Domenico da Caleruega conduce una simile esperienza spirituale. Tra il radicalismo della contestazione catara e l’intervento dei legati pontifici su cavalcature armate e bardate (il cavallo era del miles, cioè del nobile o grande della terra), Domenico intuisce che il messaggio della chiesa del Cristo è tale soltanto se termine di predicazione, irriducibile com’è a ogni altro potere che non sia quello della Parola e della sua persuasione. E la Parola è corroborata da “segni e virtù” qualora l’apostolo la restituisca all’integrità originale e se ne faccia servo devoto. Come gli apostoli di Gesù. «Li mandò a due a due, dando loro potestà sugli spiriti immondi. Comandò loro di non prendere per il viaggio altro che un bastone: non pane, non bisaccia, non rame nella cintura...» (Mr 6,7-8; cf Mt 10). Il ministero del vangelo evoca l’apostolo. La “vita apostolica”! Ovvero la vita secondo lo stile e l’esempio degli apostoli[4]. Domenico - scrivono i primi discepoli e biografi - c’insegnò la “regola apostolica”, cioè «che non avessimo possedimenti, che non usassimo cavalcatura, che peregrinassimo a piedi senza recare né oro né argento, e annunciassimo il vangelo operando la salvezza degli uomini, contenti del solo cibo, secondo Lc 10,7...»[5].
L’uomo apostolico raggiunge l’uomo evangelico. Le due espressioni, anzi, si sovrappongono e si scambiano nei testi dell’evangelismo medievale. Così come le categorie biblico-teologiche che ispirano la condotta e la spiritualità dell’uomo evangelico: la “legge nuova”, la “legge del vangelo”, la “legge dello Spirito”[6]. Parallelamente - ed è significativo - tra le fonti della spiritualità cristiana si registra un orientamento selettivo della meditazione biblica a favore dei «libri evangelici e apostolici» (evangelici et apostolici libri: cf PL 189, 731 B); e specificamente dei passi che definiscono lo statuto religioso e la spiritualità dell’apostolo (Mt 10), la povertà a testimonianza della Parola (Mr 6,7-13; Lc 9,1-6), lo spirito della primissima chiesa (At 2,44-47; 4, 32-35); cui si aggiungono le lettere di s. Paolo[7]. I medesimi testi ricorrono, senza posa e senza usura, nella letteratura dell’uomo evangelico medioevale.
2. Evangelismo di rottura. In verità il movimento di riforma in chiave evangelico-mendicante aveva avuto precursori e aveva già accusato travagli. Roberto d’Arbrissel († 1117) guida il movimento dei poveri di Cristo (Pauperes Christi), una folla mobile e inquieta tra crisi del feudo e lusinghe dell’economia urbana: inaugura, non senza resistenze, la predicazione itinerante all’interno d’un assetto ecclesiale ancora fortemente ancorato alla rigidezza della struttura feudale[8]. Il ritorno alla povertà evangelica e la critica alla chiesa del tempo infiamma la predicazione di Pietro di Bruis (1132 ca.) e del monaco Enrico di Losanna (1116-34) nella Francia meridionale; mentre l’appello a «Bisogna ubbidire a Dio prima che agli uomini» di At 5,29[9], per rivendicare il diritto alla libera predicazíone contro le interdizioni ecclesiastiche, già tradisce la fragilità d’una ispirazione evangelica corriva al rifiuto della storicità sacramentale della fede. E così l’evangelismo di Pietro Valdo (convers. 1173) e dei Valdesi; sebbene ben più consistente sia la loro consapevolezza della ripresa evangelica. Un discepolo di Valdo, Durando di Huesca, ritornato alla chiesa cattolica, non rinuncerà all’inizìale ispirazione evangelica. La sua esperienza, cronologicamente e geograficamente, si ricongiunge a quella di Domenico da Caleruega. Durando anzi ci ha tramandato in una felicissima formula tutta la tensione del cristiano e della chiesa in stato di riforma evangelica: «Noi diciamo che nuova è la nostra condotta di vita perché corroborata dal nuovo testamento: la nostra fede infatti e le nostre opere traggono sostegno da motivazioni evangeliche (evangelicis rationibus fulciuntur)»[10].
Del resto va ricordato che i papi della riforma gregoriana avevano dato prova d’audacia teologica per corroborare una pastorale mirante a sottrarre i ministeri sacramentali dall’homagium vassallatico. Il presbitero diocesano, ansioso d’ulteriore perfezione, può legittimamente abbandonare la “cura” della parrocchia ed entrare in monastero nonostante il divieto del proprio vescovo. La legge interiore dello Spirito è la legge dell’uomo giusto; contro di essa non v’è corso d’alcun’altra legge” (Decretum C. XIX, q. 2, c. 2)[11]. Del tema se ne approprieranno nel XIII e XIV sec. talune correnti evangelico-spirituali (Francescanesimo gioachimita, Spirituali, Fratelli del Libero Spirito, Fraticelli...); ma l’insofferenza alla legge della storicità e temporalità della fede cristiana (a cui si accompagnerà - bisogna dire - la persecuzione politica) trarrà tali movimenti a esagitare l’esemplarità evangelica verso proposte asociali e utopistiche.
3. Legge o vangelo? Quando la riforma imporrà la scissione ad una chiesa lenta a rievangelizzarsi, i valori della spiritualità evangelica (imitazione del Cristo e degli apostoli, predicazione della Parola e povertà di vita, libertà interiore e dai potenti della terra, frutti dello Spirito...) non riusciranno a ricomporsi - neppure dialetticamente - entro il tutto organico e multiforme della chiesa in crescita nella storia. Le subalternazioni dei ministeri, le integrazioni dei doni, la varietà dei carismi concorrenti a fare della chiesa la sposa unica e fedele del Signore sono tese esasperatamente ad opposizioni inconciliabili, a lacerazioni insanabili: sacramento e parola, storicità e santità, tradizione e intelligenza della bibbia, magistero e corresponsabilità, legge e vangelo... “Legge e vangelo”, per l’appunto. Esso sarà il tema, quasi il topico letterario per eccellenza, della teologia e spiritualità delle chiese evangeliche, luterana in specie: Gesetz und Evangelium[12]; dove le disgiunzioni ormai sono lì non per testimoniare la pluralità organica delle coordinate cristiane ma per asserire esclusione e inconciliabilità. La legge, tutte le leggi provocano il peccato e la condanna; il vangelo, solo il vangelo, nella solitudine semantica della sua parola, produce giustificazione[13]. Le chiese evangeliche, in ogni caso, testimoniano - sia pure nella protesta e nella lacerazione - per una comunione dei discepoli di Cristo che non può essere stabilita, e ristabilita, se non in una convergenza reale di tutti verso il Cristo totale del vangelo. Il primo passo è la “conversione”.
Ma la vera frattura, oltreché nella consapevolezza confessionale, era nelle cose: fine della sovranità territoriale della cristianità, nascita e autonomia delle unità nazionali, diffusione - con l’umanesimo e rinascimento - di una nuova cultura, cui la chiesa rimase in gran parte estranea. L’alterità del mondo, dal pensiero al costume, appella all’evangelizzazione. I discepoli di Cristo non seppero scrutare le nuove frontiere della fede.
Per parte sua, l’antico evangelismo medievale aveva ceduto all’ipoteca del radicalismo apocalittico quando il gioachinismo s’era incrociato con frange estreme dei francescanesimo: Spirituali, Fraticelli, Apostolici. Il letteralismo biblico aveva da una parte ipostatizzato - congelandoli - modelli storici di povertà apostolica, dall’altra aveva sollecitato la fuga nell’utopia apocalittica[14]. Mentre la riforma degli ordini religiosi entro l’obbedienza ecclesiastica adottava, tra XIV e XV sec., più lo schema del “ritorno all’osservanza della regola primitiva” che l’impeto della reinterpretazione, nell’oggi del credente, della lex evangelii.
4. L’uomo evangelico coscienza della chiesa. La chiesa a concilio nel Vaticano II si confronta, tra sé e mondo, col vangelo. Basti scorrere un indice sistematico dei documenti conciliarí e seguire filologicamente novità di linguaggio, di attitudine, di spiritualità, di argomentazione teologica per convincersi come l’uomo evangelico riproponga, nella comunità dei credenti, le proprie istanze: dal modello di chiesa e dell’uso dei suoi ministeri alla promozione dei liberi doni dello Spirito, dalla solidarietà col più debole all’ascolto dei segni dei tempi, dalla fedeltà alle proprie origini al riconoscimento dei doni degli “altri”, credenti e non. Ma la realtà di vita aveva preceduto la formulazione. Il secolo XX, soprattutto dal primo dopoguerra, registra molti eventi in cui lo Spirito è solito rinnovare la comunità dei credenti. Si pensi al nuovo fervore dell’atto d’evangelizzazione: non tanto nelle sue dimensioni statistiche bensì nella riorientazione evangelica delle sue motivazioni e della sua prassi (la missione, ad es., presso l’islàm subisce per opera di Massígnon una “rivoluzione” di prospettiva che porta indubbiamente il segno dello Spirito[15]). Sorgono e si sviluppano “istituti religiosi” a struttura laica sconosciuti alla tradizione della chiesa, così come prendono nuovo slancio e nuova dimensione gli antichi ordini contemplativi. Ma si afferma anzitutto una spiritualità sempre più fortemente evangelica che suscita ad esempio i Piccoli Fratelli e Sorelle di Gesù, il movimento dell’Opera di Maria, la ríevangelizzazione del ministero presbiterale tramite le “Missioni” di Parigi e di Francia (preti operai), il servizio ai paesi sottosviluppati e sistematicamente conculcati. Il movimento ecumenico, la riforma liturgica, il rinnovamento biblico trasfondono linfa nuova alla chiesa di Dio e le danno più rigorosa coscienza delle proprie origini.
Il Vaticano II si apre all’insegna d’una carica interiore che non tradisce più il cattolico imbarazzo a ristabilire l’autorità dei profeti ed evangelisti: «E venne un uomo di nome Giovanni...».
Persino la breve storia che ci separa dal concilio è disseminata da vicende che non sono estranee all’uomo evangelico: dalle “comunità di base” alla corresponsabilità ecclesiale del laicato, dalla contestazione politica della fede alla solidarìetà coi movimenti di liberazione, dalla riqualificazione del ministero gerarchico all’ondata dei “carismatici”... Vicende che, se non sempre riescono ad esprimersi in totale coerenza cristiana e in integrazione organica con funzioni e doni altrui, dimostrano tuttavia l’ansia evangelica che interpella la vita della chiesa e ne è permanente giudizio di fede. L’uomo evangelico, qualunque sia il suo ministero e il suo carisma all’interno della comunità dei credenti, continua ad angustiare la coscienza cristiana[16].
5. Alle Origini. La santità evangelica nutre costantemente il cristiano in regime evangelico. «Siate perfetti com’è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48). La santità del Padre celeste! Ma svelata nel messaggio evangelico; proprio in ciò che fa la novità ed unicità del vangelo sia in rapporto ad altre fasi della rivelazione biblica che in rapporto ad esperienze etiche e religiose extra-bibliche. Non dunque un’etica qualsivoglia, non un’etica “naturale”, quantunque ammirevole ne sia ispirazione ed esercizio.
La santità dell’uomo evangelico è:
a. Cristocentrica. Cristo, immagine perfetta del Padre, modello e misura della santità cristiana. La sua esistenza, la sua ubbidienza al Padre, la sua disponibilità alla missione, il rigore di vita e di coerenza, la sua resistenza ai potenti e la simpatia per chiunque sia in situazione di fragilità, la sollecitudine per il prossimo a prova di vita, la sua intimità e abbandono al Padre fin nella solitudine della morte. In breve, imitazione e crescita nella statura perfetta di Cristo: questo il progetto e l’ansia dei discepolo di Gesù. Solo il ricorso a Gesù di Nazaret legittima e l’ispirazione cristiana d’uno stile di vita e il fondamento d’un’etica evangelica. Parimenti il ricorso al vangelo è il giudizio d’ultimo appello della condotta del credente, così come della chiesa.
b. Spirituale, cioè animata e diretta dallo Spirito. Lo Spirito santo, lo «Spirito di Cristo» (1 Pt 1,11), garante della missione del Figlio (Gv 16,13), si costituisce norma interiore del credente e della chiesa nel tempo che corre tra ascensione e ritorno finale di Cristo. Lo Spirito produce frutti d’ogni santificazione nel cuore del discepolo di Gesù (Col 3,12; Gal 5,22; Rm 6,22), dirige le sue azionì «come si conviene a santi» (Ef 5,3). Sempre lo Spirito, nel corso della storia della fede, dà ulteriore intelligenza della Parola; «introduce a tutta la verità» (Gv 16,13); illustra eventi, situazioni, atti che il tempo della fede sottopone incessantemente al giudizio evangelico. Lo Spirito, ancora, produce nel cuore del credente la filiazione divina, la santità delle opere, la libertà dei cristiano. Egli è, in qualche modo, la grazia interiore del cristiano e della chiesa, la legge stessa del vangelo[17].
c. Ecclesiale. La comunità dei discepoli è il luogo della nascita e della crescita dell’uomo in Cristo. Niente di più aborre, l’uomo evangelico, che negarsi la comunione con la ekklesìa (la comunità dei chiamati), sostanza della propria sostanza; così come ardentemente aspira e coopera a fare della chiesa una sposa splendente, senza macchia né ruga, degna del Signore Gesù (cf Ef 5,25-27). Tramite la chiesa e nella chiesa l’uomo evangelico attinge le origini della propria vita: nella meditazione e comprensione della Parola, di cui la comunità è fiduciaria e portatrice; nella celebrazione dell’eucaristia e dei misteri cristiani in cui la liturgia attua la mediazione salvifica di Cristo sacerdote; nell’amore ai fratelli, coi quali costruisce, quali pietre vive, «l’edificio spirituale per un sacerdozio santo per offrire vittime spirituali» (1 Pt 2,5).
6. L’uomo evangelico nella chiesa. La spiritualità del vangelo non s’instaura contro alcun ministero, benché la composizione multiforme della chiesa dia all’uomo evangelico di trascorrere tra membro e membro suscítando grazie diverse in funzione dialettica: ora di modello ora di giudizio, ora di comunione ora di profezia, ora di sostegno ora di denuncia. Resta che tutti i membri, ciascuno nel proprio servizio, sono chiamati alla medesima santità. Ogni battezzato assume di fatto il ruolo dell’uomo evangelico, di coscienza critica della fede, di lettura evangelica delle premonizioni dei tempi: i pastori al servizio del potere ministeriale affermandone l’autorità direttiva senza prevaricarne il limite sacramentale; i coniugi coltivando un amore umano aperto alle dimensioni della carità del Cristo; il cittadino, qualunque sia il suo ruolo o professione nella città degli uomini, collaborando alla costruzione d’una società degna della vocazione umana; il religioso prefigurando, nella gioia e libertà di spirito, la totale trasformazione in Cristo (cf Lumen gentium c. V). La chiesa tutta riconferma la vocazione evangelica quando è consapevole, a motivo delle «interne ed esterne afflizioni», delle proprie debolezze (Lumen gentium 8): quando si dispone a fare e significare continua conversione (Unitatis redintegratio 7-8), a proclamare e proclamarsi la Parola che salva, a vivere in stato di permanente riforma (renovatio: cf Lumen gentium 4; 8; Gaudium et spes 43; Unitatis redintegratio 4), a evangelizzare ed evangelizzarsi, a santificare e santificarsi.
7. L’uomo evangelico nel mondo. La rievangelizzazione della spiritualità cristiana dà nuova prospettiva ai rapporti tra cristiano e noncristiano, credente e noncredente, tra chiesa e mondo.
a. I segni dei tempi. Il discepolo di Cristo in stato d’evangelismo è vocazionalmente incline a «scrutare i segni dei tempi e a interpretarli alla luce del vangelo» (Gaudium et spes 4). Il fedele discepolo del vangelo non ha né cittadelle da difendere né privilegi da conservare. Pellegrino del mondo, è solidale con la storia dell’uomo. E tra le vicende dell’uomo e della società, è vigile alle inedite occasioni di grazia che interpellano la Parola, che invocano testimonianza, che contestano - eventualmente - compromissioni.
b. Il dialogo col mondo. L’apertura all’“altro”, il rispetto della diversità come il riconoscimento dei doni altrui, è un tratto caratteristico della spiritualità evangelica. Condotto dallo Spirito - che spesso precede l’apostolo - l’uomo evangelico, anziché rivendicare diritti di proprietà sulla rivelazione divina, inclina all’ascolto comune della Parola che fa libera corsa nella storia di tutti gli uomini; è ansioso di raggiungere il senso pieno del messaggio spartendone l’impegno, con onestà e sincerità, con chi trae alimento spirituale da altra tradizione o altra storia di fede; è aperto infine a cooperare col non credente, sapendo che chiunque abbia a cuore «il culto dei valori dell’uomo» prende già parte, sia pure in modo incipiente, al progetto del regno di Dio (Gaudium et spes 92-93). Un progetto che l’uomo evangelico non disdegna di comprendere e analizzare nelle sue fasi di crescita, nelle sue componenti terrestri, nei suoi conflitti, facendo ricorso alle autonome discipline umane; ma a cui dà un’animazione e una prospettiva - lo spirito delle beatitudini! - che maturano per il regno di Dio (Gaudium et spes 72). E qualora i conflitti della città terrena dissuadessero da una diplomatica equidistanza, l’uomo evangelico prende partito per il debole, l’impotente, lo sprovveduto (Gaudium et spes 71).
c. Tra chiesa e mondo. Cittadino d’ambedue le città, quella della fede e quella politica, il cristiano si pone sotto la guida del vangelo (Gaudium et spes 43). Non è facile - bisogna dirlo - per l’uomo evangelico riconciliarsi col mondo. Una lunga tradizione spirituale a forti note individualistiche e anacoretiche (la fuga dal mondo!) nutre ancora sentimenti d’ancestrale disagio tra santità cristiana e corresponsabilità mondana. Del resto infelici ipotesi storiche dei rapporti tra chiesa e società civile hanno dissuaso l’uomo spirituale da una mischia in cui si ritrovava o mentalmente sprovveduto o evangelicamente compromesso. Eppure egli è a pari titolo cittadino della chiesa e cittadino del mondo. Nessuna spiritualità cristiana si sviluppa là dove la città dell’uomo non abbia dato linguaggio, sentimenti, valori al catecùmeno; nessuna fedeltà al vangelo è possibile là dove il catecùmeno non imponga conversione al suo patrimonio culturale. Presenza e conversione sono i due poli che stringono il cristiano entro la città dell’uomo[18]. E la società civile ha bisogno, come quella ecclesiale, di testimonianza e di denuncia, di guida e di contestazione, di misericordia e di audacia.
8. Le tentazioni dell’uomo evangelico: utopismo e integralismo. E parliamo, per concludere, di due tentazioni tipiche dell’uomo evangelico; movimenti evangelici del passato e recentissime contestazioni ecclesiali ne potrebbero illustrare le costanti.
1) Un trasporto idealizzante che trasferisce nel vangelo il tutto e il subito della propria e altrui conversione; un rigore che lievita talvolta un ottimismo disincantato, o perché imperterrito di fronte alle pesantezze dei presente o perché appagato nello scrutinio degli ultimi tempi; una lettura della parola di Dio che indietreggia a restaurare pari pari modelli della “chiesa primitiva” piuttosto che reinventare la fedeltà evangelica nelle occasioni nuove della chiesa in crescita. Un’attitudine accompagnata e corroborata da un letteralismo biblico senza possibilità di storia; resa infine socialmente inefficace sia per la resistenza alla storicità della fede che per la facile emarginazione cui presta il fianco.
2) La convinzione che il vangelo, nei suoi termini letterari, precontiene risposta a qualsivoglia angustia dell’uomo nel tempo. Si sottovaluta, in questo caso, e perfino s’ignora il contributo delle conquiste profane e del sapere umano. La proposta evangelica appare assoluta di fronte alla specificità dei fatti socio-culturali, e alternativa di fronte alla complessività [sic!] degli elementi e meccanismi che presiedono alle formazioni storiche e loro conflitti; quando invece la comprensione di questi precede e condiziona l’atto d’evangelizzazione; come la simpatia per l’uomo precede l’incarnazione.
La teologia e la spiritualità del Vaticano II (v. soprattutto Gaudium et spes, Lumen gentium, Apostolicam actuositatem, Nostra Aetate), recuperata la cittadinanza ecclesiale e civile della vita cristiana, ammoniscono:
a. A porre mente alla natura storico-evolutiva della comprensione della Parola, come delle forme in cui si esprimono di volta in volta le potenzialità evangeliche della vocazione cristiana;
b. A prendere atto della consistenza ed autonomia delle cose umane e dei loro processi; a incontrare l’uomo nella sua città. Cultura e forma della città provvedono parola alla proclamazione e struttura all’incarnazione. Sono ad un tempo preparazioni evangeliche e termini di evangelizzazione: luogo in cui si dispiega la logica della fede cristiana, tra incarnazione e trasfigurazíone, presenza e trascendenza, conversione e comunione.
L’uomo evangelico, ad un tempo critico e misericorde dello stato suo e altrui, riafferma credibilmente ed efficacemente i propositi della propria vocazione: trasformazione dell’uomo in immagine perfetta del Padre secondo la misura del Cristo; crescita della chiesa in edificio spirituale gradito a Dio e in sposa splendente del Signore; costruzione della città terrena senza nequizie e sopraffazioni, dove Dio - nel tempo degli uomini - possa fare di tanti popoli un solo popolo: tutto ricapitolando in Cristo Gesù.
[1] L'argomento della "stabilità" è ripreso dai teologi secolari contro gli ordini mendicanti: «Il secondo stato [della vita spirituale] comporta stabilità, permanenza e immobilità...»; mentre i mendicanti non hanno fissa dimora (Gerardo d'Abbeville, Quodlib. 14, q. 1, «Archives d'histoire doctrinale et littéraire du moyen âge» 31 [1964] 229).
[2] Testamentum in Opuscula S. P. Francisci Assisiensis, ed. Quaracchi 1949, 79.
[3] Regula II, ib., 63.
[4] M.H. Vicaire, L'Imitazione degli apostoli, Roma, Coletti 1964, 111-112.
[5] Salagnac, De quatuor..., in Mon. Ord. Praed. Hist. vol. 22, 8-9.
[6] Cf Tommaso d'Aquino, S. Th. I-II, q. 106: «De lege evangelica quae dicitur lex nova»; M. D. Chenu, L'évangélisme de st. Thomas, in «Revue des sciences philosophiques et théologiques» 58 (1974) 391-403.
[7] Fonti francescane: Legenda trium sociorum c. 8, in «Arch. Franc. Hist.» 67 (1974) 111-112; s. Bonaventura, Opera omnia, ed. Quaracchi 8, 511. S. Domenico «recava sempre con sé il vangelo di Matteo e le epistole di s. Paolo, e tanto le meditava da saperle a mente» (Deposizione di Giovanni di Spagna, Processus canonizationis... in Mon. Ord. Praed. Hist. v. 16, n. 29. Tommaso d'Aquino, Contra impugnantes c. 4, par. 11: «Ogni vita religiosa è istituita secondo l'esempio della vita apostolica, come è detto in At 4,32... E questa fu la vita degli apostoli: avendo tutto abbandonato peregrinarono per il mondo evangelizzando e predicando, come appare in Mt 10 dove vien data loro come una regola» (Ed. Leonina t. 41, A 78, vv 875-889).
[8] Vedi reazione del vescovo Marbodo in PL 171, 1484.
[9] R. Masselli, Studi sulle eresie del secolo XII, Roma 1953, 57.
[10] Ch. Thouzellier, Catharisme et Valdéisme en Lanquedoc, Parigi-Lovanio 1969, 76, n. 107.
[11] Urbano ll (1088-1098): «Due sono i generi di legge, legge pubblica e legge privata... La legge privata è inscritta nel cuore per opera della Spirito santo, secondo Rm 2,15... Se un prete secolare ha cura di popolo sotto l'autorità del vescovo e, spinto dallo Spirito santo, voglia cercare la salvezza in monastero o in una canonica regolare, non può esser costretto a rinunciarvi dalla legge pubblica perché è condotto da quella privata» (Decretum C. XIX, q. 11, c. 2; Corpus luris Canonici ed. Friedberg I, 839-840).
[12] Spunti biblici sul tema in «Rev. thomiste» 71 (1971) 420.
[13] Cf. Lutero, Libertà del cristiano, Torino, Claudiana 1970; ma un confronto con la teologia della "legge nuova" di s. Tommaso non risparmia sorprese né per lo storico protestante né per quello cattolico: U. Kühn, Via Caritatis. Theologie des Gesetzes bei Thomas von Aquin, Gottinga 1965; Y. Congar, Variations sur le thème "Loi - Grâce", in «Rev. thomiste» 71 (1971) 420-438.
[14] Aa. Vv., Ricerche sull'influenza della profezia nel basso medioevo, in «Boll. Istit. St. It. Medio Evo» 82 (1970) 1-157.
[15] Y. Moubarac, L'oeuvre de Louis Massignon, Beirut 1972-1973.
[16] Si legga ad es. in questa prospettiva: L. Rétif, Ho visto nascere la chiesa di domani, Milano, Jaca Book 1972; Aa. Vv., Le due chiese, Milano, A. Mondadori 1969.
[17] Tommaso d'Aquino: «II nuovo testamento è testamento dello Spirito santo, il quale diffonde l'amore di Dio nei nostri cuori... E così, mentre lo Spirito produce in noi la carità, pienezza della legge, è il testamento nuovo» (In 2 Cor 3, lect. 2). «La [legge dello Spirito] può esser chiamata "Spirito santo", nel senso cioè che tale legge è lo Spirito santo...; oppure "legge dello Spirito" nel senso che è effetto proprio dello Spirito» (In Rm 8, lect. 1). La "legge nuova" è insita nel cuore (S. Th. I-II, q. 106, a. 1), è la stessa grazia dello Spirito santo (ib.), è la «legge dell'amore» (ib. q. 107, a. 1); «la legge nuova è il vangelo del regno» (q. 108, a. 1, ob. 1), e «la legge del vangelo è legge di libertà» (ib. in corp.).
[18] «Le più alte operazioni dello spirito, della persona e più ancora della comunità di fede, trovano il loro termine d'impiantazione - nell'ordine dell' esistenza come dell'intelligibilità - nel tessuto dei fenomeni socio-culturali al punto che gli elementi della vita sociale non sono soltanto dei condizionamenti esterni, da osservare per la comprensione della "vita spirituale", ma entrano nel suo stesso tessuto, come la vita corporale entra in consustanzialità con la vita dello spirito. Bisognerebbe, così, comporre una storia del Vangelo nell'atto del suo incarnarsi nella successione delle generazioni e in solidarietà con i progetti umani che animano le società... Capitolo fondamentale della storia della "spiritualità"»: M.D. Chenu, "Fraternitas". Evangile et condition socio-culturelle, in «Rev. Hist. Spir.» 49 (1973) 388.
BIBL. - I: Aa. Vv., Hérésies et Sociétés dans l'Europe pré-industrielle, Parigi-L'Aja 1968. - H. De Lubac, Esegesi Medievale, 2 voll. Edizioni Paoline 1972. - Molnar-Hugon, Storia dei Valdesi, Torino, Claudiana 1974. - M. Reeves, The influence of prophecy in the later middle ages, Oxford 1969. - G. E. Panella, La "lex nova" tra storia ed ermeneutica. Le occasioni dell'esegesi di s. Tommaso d'Aquino, Pistoia, Mem. Domen. 1974. - G. Martina - E. Ruffini, La chiesa in Italia tra fede e storia, Roma, Studium 1975.
II: E. W. Kaczynski, La legge nuova, Roma-Vicenza, Ed. Franc. 1974. - A. M. Henry, La forza del vangelo, Assisi, Cittadella 1969. - A. Fragoso, Vangelo e rivoluzione sociale, Assisi, Cittadella 1970. - J.-M. R. Tillard, Religiosi: fedeltà e rinnovamento, Assisi, Cittadella 1970. - Yannaras-Mehl-Aubert, La legge della libertà: evangelo e morale, Milano, Jaca Book 1973. - B. Häring, Morale ed evangelizzazione del mondo di oggi, Bari, Edizioni Paoline 1974: «L'evangelizzazione della morale», 68-110. - O. da Spinetoli, Vangelo in Dizionario teologico (Bauer-Molari), Assisi, Cittadella 1974, 744-753.
■ Articolo ristampato nel periodico «Koinonia», anno XLIII n. 2 (456), febbraio 2019, pp. 40-45; anno XLIII n. 3 (457), marzo 2019, pp. 42-46, per iniziativa di fra Alberto Simoni. Ne ricevo copia in febbraio e marzo 2019. Grazie!