Il recupero della normatività dell'esempio apostolico nella vita della Chiesa porta Tommaso a due proposte teologiche:
a) riaffermare il momento cristico della storia sacra come fulcro interpretativo della rivelazione e modello assoluto eticoesegetico su cui il cristiano organizza la sua intelligenza di fede e misura la sua fedeltà di vita;
b) riconoscere la historia ecclesiastica come luogo in cui la fede traccia la sua crescita e la comunità dei fedeli porta a compimento le urgenze evangeliche consegnate alla ecclesia primitiva.
La prima proposta è enucleata durante la polemica con i Secolari che coincide col secondo soggiorno parigino (1269-72). Gli interlocutori sono Gerardo d'Abbeville, Nicola di Lisieux e i «Geraldini ». La risposta di s. T. va al di là dei termini della polemica, decanta eccessi di controversia (ma non mancano tracce del temperamento di Tommaso quando questi esplode nei derisibile, frivolum est e, finanche, nell'epiteto di animalis!), raccoglie la somma della perfezione cristiana. Questa è consegnata soprattutto negli opuscoli De perfectione spiritualis vitae (fine '69), Contra doctrinam retrahentium a religione (tra quaresima e natale del '71) e nelle questioni parallele dei Quodlibeti III, IV, V (1270-71).
P. GLORIEUX, Pour qu'on lise le «De Perfectione», Vie Spir., Suppl. giugno 1930, pp. 97-126. Le «Contra imp.» de S. Thomas. Ses sources, son plan, Mélanges Mandonnet, Paris 1930, I, 51-81. J.-A. DESTREZ, Les disputes quodlibétiques de S. Thomas d'après la tradition manuscrite, Mélanges thom. (RSPT) 1923, pp. 49-108.
Per quanto riguarda il nostro proposito, diciamo che il passaggio dall'apostolicità della Chiesa alla centralità del Cristo è immediato. La vita apostolica è un paradigma normativo e referenziale nello stesso tempo. L'universo cristiano è stabilito sugli apostoli.
«Luce Apostolorum mundus est aedificatus exemplis, inflammatus doctrinis, fecundatus bonis operibus, alleviatus peccatis, excitatus a negligentiis, animatus ad contemplationem...» (In Matth. 5,4; EP t. 10, 56 A).
La loro fedeltà al prototipo Cristo è, per il credente, al di là d'ogni dubbio. Gli apostoli hanno modellato la loro comunità sull'ideale della perfezione cristiana.
«Ecclesia enim in sui primordio in omnibus suis membris talis fuit, qualis postquam vix apud perfectos quoscumque invenitur... Et ideo apostoli secundum illum statum fidelium vitam ordinaverunt perfectioni convenientem» (Contra doctr. c. 15; EL C 71, rr. 288-94).
Solo l'eretico oserebbe dubitarne. «Quis autem dicat, nisi haereticus, primam discipulorum instructionem a Christo perfectioni evangelicae derogare?» (ib. C 70, rr. 184-86). Ma la vita apostolica, a sua volta, non è che la trasparenza di quella del Cristo. Questi resta il fondamento del vivere cristiano, il centro della storia sacra, il giudizio definitivo della vita della Chiesa.
«Manifestum est quod omnes quicumque hanc regulam (degli Apost.) secuti fuerint institutionem Christi sequuntur. Nec enim illi qui sanctos sequuntur per quos sunt ordines instituti, ad ipsos attendunt sed ad Christum cuius documenta proponunt; quia nec illi se ipsos praedicaverunt, sed cum Apostolo Jesum Christum, eius dogmata proponentes» (Contra doctr. c. 16; C 73, rr. 53-60). Commentando Act. 4,32: «Ex quo patet hanc esse evangelicae vitae observantiam ab apostolis observatam...» (ib. C. 15; rr. 237-39).
L'evangelismo riguadagna il suo centro.
La perfectio vitae christianae è ricomposta in integrità e rigore. La carità, prima ancora della povertà, vi occupa il posto d'onore: «Praecipue in affectu caritatis ad Deum perfectio christianae vitae consistit» (ib. c. 6; C 46, rr. 38-39); «caritas non solum finis est sed etiam radix omnium virtutum et praeceptorum quae de actibus dantur» (ib.; C 47, rr. 147-49). La teoria dei «precetti-consigli» - una tematica propria del tempo - tenta d'interpretare le insorgenze multiformi della perfezione cristiana tramite la formulazione della strumentalità riallacciata al particolare stato di vita del fedele: «Sic igitur patet quod consilia ad vitae perfectionem pertinent, non quia in eis principaliter consistit perfectio, sed quia sunt via quaedam vel instrumenta ad perfectionem caritatis habendam» (ib., rr. 168-71). E l'atto teologico per eccellenza - l'esegesi della parda di Dio - è di nuovo nel cuore di tale discorso. Il cap. 6 del Contra doctr. ne è un docnmento che meriterebbe d'esser recensito nei particolari. Basti annotare che la lievitazione del discorso teologico è affidata alla densità evangelica di testi biblici quali Mt. 22,37-39; 5; 19,27; Lc. 5.27; 1 Tim. 1,5. La perfezione cristiana è riallacciata alla vocazione battesimale (professio vitae christianae): «Pueri enim ligati sunt professione fidei christianae quam etiam in baptismo sacramentaliter eligerunt» (ib. c. 13; C 66, rr. 192-94). In una stringente analisi di Mt. 19,21 (il Si vis perfectus esse...) si conclude che l'esigenza della perfezione evangelica è una dimensione irrinunciabile della fede cristiana in quanto tale e coinvolge quindi ogni credente:
«Non minus ergo sequendum est hoc consilium ab unoquoque, quam si unicuique singulariter ex ipsius ore dominico proferretur» (ib. c. 9; C 55, rr. 129-31). «Sic igitur consilium adolescenti a Domino datum sic est accipiendum, ac si omnibus ex ore Domini proponeretur» (ib. rr. 148-51).
E infine la lex nova, che somma i proponimenti di altre fasi dell'economia santa premendo verso l'adimpletio di tutti i «tempora» e di tutte le «leges»:
Non enim consilia fuerunt data in Veteri Testamento sed in Novo, quia nihil ad perfectum adduxit Lex (Contra doctr. c. 7; C 51, rr. 190-92).
Non si può qui non fare un rimando, come ad un luogo parallelo, a In Matth. c. V; EP t. 10, 48-67. Vi è proposta la doctrina Christi (V,l; 48 A), anzi «in isto sermone tota perfectio vitae nostrae continetur» (49 A), «includitur omnis plena beatitudo» (ib.); nel precetto d'amare i nemici «ponitur evangelica perfectio» (66 A).
Cfr. M.-D. ROLAND-GossELIN, Le sermon sur la montagne et la théologie thomiste, RSPT 17 (1928) 201-234.
I commentari alle lettere paoline fisseranno in un contesto più specificamente dottrinale lo statuto della lex nova nella storia del credente.
Cfr. E. PANELLA, La legge della libertà. La libertà cristiana nei commentari di S. Tommaso a S. Paolo. Dissert. ad Lector., Pont. Univ. S.ti Thomae, Roma 1965. Vedi bibliogr. ib., pp. VIII-XI. Bibliogr. aggiornata in E. W. KACZYNSKI, L'elemento esterno della Legge Nuova sec. S. Tommaso. Dissert. ad Lauream, Pont. Univ. S.ti Thomae, Roma 1970, pp. 209-227. Il lavoro più sistematico in proposito U. KÜHN, Via Caritatis. Theologie des Gesetzes bei Thomas von Aquin, Goettingen 1965.
Alla historia sacra è restituita la sua dignità persino in un universo mentale nel cui insieme - bisogna riconoscerlo - prevale l'ordo doctrinae.
E' quanto ammette Y. CONGAR nell'art.
Le sens de l'« Economie» salutaire...,
Fcstgabe Lortz, II, 1958, pp. 73-122, che pure è un tentativo inteso
a mettere in risalto i momenti significativi, nel pensiero di s.T., per una
teologia della storia. Ib. p. 84 si osserva che se la teologia di s.T. «assume
les événemems de cette histoire, elle ne les traite pas historiquement. Elle en
cherche les raisons, les modalités, les convenances (quare, quomodo, quia...)».
Per parte nostra vorremmo notare che persino l'esegesi può esser trattata con
l'audacia mentale che lo statuto di scienza ha dappoco infuso alla sacra
dottrina. Si prenda il caso del Prologo alle epistole paoline. Queste sono
ordinate in un robusto forcing esegetico sotto l'idea base che in esse è sommata
la dottrina della gratia Christi (Est enim hoc doctrina tota de gratia Christi:
prol. circa finem). Conseguentemente l'ordine di lettura segue i modi di
considerazione della gratia Christi:
a) in ipso capite (Ebr.),
b) in membris
(Epistolae ad praelatos), c) in ipso corpore mystico quod est Ecclesia (Epist.
ad gentiles). S.T. si obietta poi che Romani non è «cronologicamente» la prima
lettera paolina e riconosce che Corinzi è ad essa anteriore. Ma ecco la
conclusione: «Sed dicendum quod Ep. ad Corinthios prior est in tempore
scripturae, sed Ep. ad Romanos praemittitur tum propter dignitatem Romanorum
[...] tum quia etiam hoc exigit ordo doctrinae, ut prius gratia consideretur in
se quam ut est in sacramentis» (ib.).
Ma anche qui una premessa ermeneutica che situa nel cuore del mistero cristiano la chiave d'intelligenza della propria fede dà vita a un discorso teologico pieno di novitas. La Legge Nuova è la legge dello Spirito. Ora l'opera dello Spirito, dopo l'ascensione del Signore, è in atto su due traiettorie coordinate: intelligenza del libro sacro di cui lo Spirito è anche auctor, e vita della Chiesa, specie nei suoi santi. O - se si vuole il senso pieno della parola di Dio è pronunciato e nelle divine Scritture e nella vita dei perfetti discepoli. Questa, anzi, può essere esegesi di quelle.
L'argomento dalla storia della Chiesa è teologicamente legittimo: «Et huius ratio est quia idem Spiritus sanctus qui loquitur in Scripturis, movet sanctos ad operandum, secundum illud Rom. 8,17...» (De perfect. c. 21; B 94, rr. 157-60).
«Est enim ulterius considerandum qualiter praemissa Domini praecepta fuerint ab apostolis observata, quia, ut Augustinus dicit in libro "Contra mendacium" [c. 15, n. 26; PL 40,506], «Divinae scripturae non solum praecepta Dei retinent, sed etiam vitam moresque iustorum, ut si forte occultum est quemadmodum accipiendum sit quod praecipitur, in factis iustorum intelligatur» (Contra doctr. c. 15; C 70, vv. 190-97).
Ma non era quanto, in sede di teoria ermeneutica, s.T. aveva già lucidamente scritto nella questione De sensibus saerae Scripturae (Quod. 7, q. 6, aa. 14-16)? E non si situava questa proprio negli anni più caldi della controversia evangelica (l256-57)?
Ecco, brevemente, quanto vi era asserito.
L'espressione d'un messaggio può essere affidata a parole e a cose (rebus et verbis). Le prime rimandano alle seconde. Ma una cosa può essere assunta per significarne figurativamente un'altra. Si ha nel primo caso il senso litteralis (significazione attraverso sistema linguistico), nel secondo il senso spiritualis (significazione referenziale extra-linguistica): «Manifestatio autem vel expressio alicuius veritatis potest fieri de aliquo rebus et verbis [...] Uno modo secundum quod res significantur per verba: et in hoc consistit sensus litteralis. Alio modo secundum quod res sunt figurae aliarum rerum; et in hoc consistit sensus spiritualis...» (Quodl. 7, q. 6, a. 14).
Il senso spiritualis ha luogo, in particolare, quando cose e fatti nel loro svolgersi reale acquistano una capacità referenziale ad altre cose ed altri fatti: «Sed sensus spiritualis accipitur vel consistit in hoc quod quaedam res per figuram aliarum rerum exprimitur...» (ib. a. 15); oppure «ex hoc quod res cursum suum peragentes significant aliquid aliud...» (ib. a. 16). Il che suppone un'ordinazione semantica delle cose e dei fatti. Ma solo Dio, che governa la storia, può accordare additivamente alle cose una capacità referenziale. Dunque solo Dio può creare sistemi di significazioni tra «cose» in ordine ad un'intelligenza di fede. Significazioni iscritte nei fatti «cursum suum peragentes», o finanche nell'«ipsum cursum rerum»:
«Sic autem ordinantur res in cursu suo, ut ex eis talis sensus possit
accipi, quod eius solius est qui sua providentia res gubernat, qui solus Deus
est. Sicut enim homo potest adhibere ad aliquid significandum aliquas voces vel
aliquas similitudines fictas, ita Deus adhibet ad significationem aliquorum
ipsum cursum rerum suae providentiae subiectarum» (Quodl. 7, q. 6, a. 16).
In
termini pressoché uguali si era espresso UGO DI S.VITTORE: «Unde apparet quantum
divina Scriptura caeteris omnibus scripturis non solum in materia sua, sed etiam
in modo tractandi, subtilitate et profunditate praecellat; cum in ceteris quidem
scripturis solae voces significare inveniantur; in hac autem non solum voces,
sed etiam res significativae sint» (De sacramentis, prol. c. 5; PL 176, 185
A). Cfr. anche Prelim. n. 35.
Il testo non c'interessa né per esplorare eventuali evoluzioni indotte nel tema della duplex significatio - già acquisito in Ugo di S. Vittore - né per puntare il dito su una nozione di significato congelato nella referenza extra-linguistica sulla scia del Perì Hermeneias d'Aristotele. Le opposizioni differenziali, creative dei nessi più intimi del sistema della lingua, sono estranee a questa fase della scienza semantica. La predilezione per il prolungamento reifìcante del significato (sign. referenziale) è un tratto caratteristico della semantica classica. Il binomio «vocesres» ne preannuncia l'epilogo. Ma l'osservazione c'è utile per discernere le prevaricazioni reali da quelle presunte tra le scorribande dell'allegorismo decadente sul terreno dei segni linguistici (voces). Non sempre la fuga terminava ad una reale uscita dal sistema delle significazioni per affidarsi all'evento come luogo alternativo - e qualitativamente diverso - dei messaggi salvifici. La res a cui ci si appellava in antitesi al verbum avrebbe dovuto essere l'impronosticabile e libero corso dell'evento in fieri. Ma risultava, di frequente, una remotissima verbalizzazione; dissimulata, questa, nella riproposta d'un «fatto» o «personaggio» biblici che per ricomparire come termini d'esegesi allegorizzante (typoi) dovevano pur esser sottratti all'irreversibile succedersi temporale e conservati nella memoria verbale. D'altro canto si deve registrare - ed è chiarissimo in s. Tommaso - una maggiore consapevolezza dell'estensione della verbalizzazione fino a limiti che in epoche precedenti non sarebbero certo stati accreditati alla littera. Il senso metaforico ed in genere l'uso improprio del linguaggio - sono espressamente catalogati da s.T. sotto il senso letterale. Ma è anche vero che la historia - abbinata costantemente al sensus litteralis - è una categoria ermeneutica più che uno sguardo sul divenire, è la prima lettura d'un testo più che il sorpasso del sistema dei segni. Come è sintomatico il fatto che anche l'esegesi più distante dalla littera voglia ritrovare in questa i termini delle dilatatissime tipologie. Insomma, il dilemma «storia» «non storia» nell'esegesi medievale non si risolve cavalcando ora il senso litteralis ora quello spiritualis nella speranza d'appurare quale, ad esclusione dell'altro, sia portatore della «visione storica della salvezza». E cosi pare si stia menando il dibattito da taluni autori contemporanei (cfr. «Rech. Sc. Rel.» 61 (1973) 398-99).
Siamo dell'avviso che non ci si debba far stornare dall'equazione sensus litteralis = sensus historicus (sfera semiotica del linguaggio) e dall'altra collaterale sensus spiritualis = significazione nella sfera del cursus rerum attraverso la mediazione della significatio per res. Abbinamento tradizionale e di cui s.T. è solo testimone, come appare nell'altro luogo classico della teoria ermeneutica: In Gal. c. 4, lect. 791. Qui anzi si fissano e l'estensione del senso letterale (che abbraccia tutta l'ampiezza del linguaggio sia proprio che improprio) e le diverse fasi semantiche di quello spirituale o mistico (allegoricus, anagogicus, moralis): «Nam illa significatio qua voces significant aliquid pertinet ad sensum litteralem seu historicum. Illa vero significatio qua res significatae per voces iterum res alias significant, pertinet ad sensum mysticum...» (In Gal. c. 4, lect. 7; EP t. 13,422 B).
Ecco l'ordine cronologico più probabile (ma si tengano presenti le divergenze tra gli studiosi di cronologia dell'opus scritturistico di sT.) i luoghi dove il problema dell'ermeneutica biblica è dibattuto ex professo:
1254-56: In II Sent. d. 12, q. 1, a. 2, ad 7; In IV Sent. d. 21, q. 2, a. 2,
q.1a 1, ad 3; d. 21, q. 1, a. 2, sol. 1, ad 3.
1255-57: Quodl. 7, q. 6, aa. 14-16
1259-65: In Gal. c. 4, lect. 7
1266-67: De Pot. q. 4, a. 1
1268: Summa theol. I, q. 1, a. 10.
Il binomio, anzi la sinonimia sensus litteralis = sensus historicus, ha una ben assodata tradizione nell'esegesi medievale. E sarà mantenuto anche quando la historia fluttuerà dietro le sorti della littera, guardata prima con sospetto, rivalutata poi nella Historia scholastica (1169-73) di Pietro il Comestore, nei Dialogi d'Anselmo di Havelberg e nell'esegesi vittorina.
L'historia è sia la «narratio rerum gestarum» che la «prima significatio »; termina cioè sia alla considerazione di eventi che all'atto interpretativo; tocca sia la storiografia che l'ermeneutica. Un testo per tutti: UGO DI S. VITTORE, Didasc. l. 6, c. 3: «Si tamen huius vocabuli significatione largius utimur, nullum est inconveniens ut scilicet «historiam» esse dicamus "non tantum rerum gestarum narrationem, sed illam primam significationem cuiuslibet narrationis, quae secundum proprietatem verborum exprimitur". Secundum quam acceptionem omnes utriusque Testamenti libros... ad hanc lectionem secundum litteralem sensum pertinere puto» (PL 176,801 A-B).
Pietro il Comestore: «Porro a cosmographia Moysi inchoans, rivulum historicum deduxi, usque ad ascensionem Salvatoris, pelagus mysteriorum peritioribus relinquens...» (Historia scholastica, prol.; PL 198,1053-54).
Anselmo di Havelberg, Dialogi, prol.: «Praemisi autem librum de una forma credendi et multiplicitate vivendi a tempore Abel iusti usque ad novissimum electum...» (PL 188,1141 B). Cfr. ib., l. I, cc. 2-6, interessanti scorci di autentica storiografia sacra: coll. 1143-49. «Videamus... quomodo Ecclesia Dei sit una in se et secundum se; et quomodo sit multiformis secundum filios suos, quos diversis modis et diversis legibus et institutis informavit et informat, a sanguine Abel iusti usque ad novissimum electum» (PL 188,1143 D - 1144 A). Anselmo di Havelberg († 1155) è anche testimone d'un conflitto di «ordines» ecclesiastici che può essere utilmente confrontato con quello «Mendicanti-Secolari» del secolo successivo. Cfr. di A. di H. la Epistola Apologetica («contra eos qui contendunt monasticum ordinem digniorem esse in Ecclesia quam canonicum»), PL 188, 1118-1140.
B. SMALLEY, The Study..., pp. 83 ss. CHENU, La théol. XII s., c. III.