⌂ (I.4) Di fatto, nel tutto omogeneo del sistema ermeneutico medievale, lo sconfinamento - per così dire - alla visione storica della rivelazione può avvenire, contrariamente a quanto ci si attenderebbe, più sul terreno del senso allegorico-spirituale che su quello letterale. E la cosa è verosimile se si pensa che la funzione ermeneutica dell'allegoria tende di suo a tipificare eventi e personaggi biblici per coglierne i messaggi che la replica ossequente affida alla fase successiva della storia sacra. L'allegorismo tipico che mira a spiegare le relazioni tra i due Testamenti risponde proprio a questa logica (esempio classico l'enumerazione delle «ère» - status, aetates - della storia del mondo e della storia biblica). Ma non è detto che l'allegoria monopolizzi tutte le curiosità per una intelligenza «storica» (= successorialmente disposta) della rivelazione. Anzi la tentazione - frequentissima - d'operare parallelismi a lunga gamba scavalcando il ritmo del tempo trasforma eventi e personaggi in segmenti di testo. Sequenze temporali riappaiono come confronti infra-testuali. E sarà allora l'impossibilità di fissare la trazione ermeneutica dell'evento cristico su tutto l'arco del tempo, come di riconoscere l'irrepetibilità d'un evento qualsivoglia nella libertà improgrammata del divenire (v. la simulazione d'una «visione storica» nell'allegorismo escatologico di Gioachino da Fiore; infra II, c. 11). Come è altrettanto vero che l'esegesi all'insegna della littera = historia, se da una parte riscopre il gusto per la «historia dispensationis temporalis divinae providentiae» (S. AGOSTINO, De vera religione, 7, n. 13; PL 34,128), dall'altra fruttifìcherà, in mano ai pauperisti, in letteralismo rozzo ed asfissiante che termina ad eguale astorico modello della povertà apostolica. Nell'un caso e nell'altro l'uscita dal testo è compromessa da simulate migrazioni extra-semiotiche. C'è invece - implicito - il rifiuto di stabilire ed assumere momenti tipici della storia sacra come autorevoli per la comunità dei credenti. Vi fa difetto, in ultima analisi, la centralità della lex nova come evento normativo e dell'esegesi biblica e della vita della Chiesa.
Il fatto è che la nozione medievale di historia non ricalca il campo semantico della «storia» del moderno. Elementi d'una storiografia sacra o -- se si vuole - d'una teologia della storia trovano posto, nella letteratura medievale, sia nel versante d'una esegesi della littera-historia che in quello d'una esegesi allegorica/spiritualis. Le componenti di tali procedimenti ermeneutici si muovono entro una struttura organica ed originale che, dall'umanesimo in poi, non è più la nostra. In più, sullo scorcio del XII secolo un'osmosi culturale provoca il rafforzamento della grammatica prima e della dialettica poi all'interno del trivio a scapito della retorica, che pure aveva lievitato l'esegesi patristica e proto-medievale.
R. BARTHES fissa così la migrazione della leadership all'interno del trivio: Retorica (V-VII sec.), Grammatica (VIII-X sec.), Logica (XI-XV sec.): R.B., La retorica amica, Milano 1972. Giudizi piil «nuancés» in J. DE GHELLINCK, Le mouvement théol. du XII s., Paris 1914, pp. 8-41; 67-70. V. anche PH. DELHAYE, Grammatica et Ethica au XII siècle, RTAM 25 (1958) 59-110. DE LUBAC ritiene anche l'entrata in occidente del corpus dionisiano responsabile -- per via del suo neoplatonismo insufficientemente trasformato - della rottura dell'equilibrio tra storicità della fede ed esegesi spirituale (Exégèse I, 2,640). La prima traduz. di Dionigi in occid. risale ad Ilduino (828-835) (Cfr. M. DE WULF, Storia della filos. med., Firenze 1944, I, pp. 73-75). P. GLORIEUX, La faculté des Arts ef ses Maîtres au XIII siècle, Paris 1971, parte I: Introduction aux Arts libéraux, pp. 11-58.
La teologia simbolica (il figuratum mysterium!) suggeriva consoni meccanismi mentali, facili a proiettare intuizioni di fede in schemi d'esemplarismo contemplativo e transtorico. Ma non è detto che l'affermarsi della littera fosse, per l'ermeneutica del tempo, una riconversione alla storia come luogo d'intelligenza della parola di Dio. La enarratio historiae, che fa da sfondo alla pur bella teoria del Verbum abbreviatum, conclude a una concentrazione forzosa dell'estensione temporale della storia in un sol punto di essa, sia pure quello del Cristo. C'è un solo momento storico come c'è un solo Verbo (Verbum coadunatum..., Abbreviatus atque perfectus sermo evangelicus est...). Il richiamo al «tempo propizio» ha più di cumulo ermeneutico che di distribuzione temporale dei fatti salvifici. E' più un nucleo che una catena 100.
S. AGOSTINO, Enarr. in Ps. 61, nn. 18-19; PL 36,741-43. S. IRENEO, Adv. Haer. 1. IlI, c. 18, n. 1: «Quando incarnatus est, et homo factus est, longam hominum expositionem in seipso recapitulavit, in compendio nobis salutem praestans...» (PG 7,932 B). S. GIROLAMO, In Is. 1. IV, c. lO: «Abbreviatus autem atque perfectus sermo evangelicus est, qui... dedit praeceptum brevissimum» (PL 24,140 A). RUPERTO DI DEUTZ, In Jo. 1. 7: «Verba quae multa locutus est, unum Verbum sunt; unum, inquam, quod et ipse caro factum est» (PL 169,494 C-D). PIETRO IL CANTORE, Verbum abbreviatum, c. 1: «Itaque cum breve sit tempus, cui punctum et etiam minus puncto sit, quo vivimus... Domino per horam saltem serviamus, brevitatemque imitantes» (PL 205,24 B - 25 A).
S. Tommaso riprenderà il tema della lex brevis nell'opusc. De duobus praeceptis charitatis.
Per il tema del Verbum abbreviatum nell'esegesi medievale v. Exégèse II, 1, 181-97.
Nella famosa controversia esegetica De Tabernaculo Adamo Scoto e con lui Andrea e Riccardo di S. Vittore volevano disfarsi dell'interpretazione allegorizzante di Beda e d'altri 101. Affermata la «storicità»del tabernacolo di Mosè (Es. cc. 25-27) e del «tempio» d'Ezechiele (Ez. cc. 40-43), non si lanciarono ad una minuziosa ricostruzione di essi così da terminare, per l'opposta via della littera ad oltranza, ad una lettura del testo biblico altrettanto angusta quanto quella «allegorica» di Beda?
Per la disputa del Tabernaculum cfr. CHENU, La teol. nel medioevo (XII sec.), pp. 210-214. DE LUBAC, Exégèse II, 1, 387-418. Le intenzioni esegetiche e le ripercussioni ecclesiologiche della disputa sono rintracciabili nella corrispondenza intrattenuta da Giovanni di Kelso (1175 c.) con Adamo Premostratense e premessa al De tripartito tabernaculo dello stesso Adamo (PL 198, 623-34). RICCARDO DI S. VITTORE, Expositio difficultatum suborientium in expositione tabernaculi, PL 196, 211. 56; In visionem Ezech., PL 196,527-600; De Emmanuele, PL 196, 601-66. Per BEDA v. Corpus Christianorum, ser. lat. 119 A II: De tabernaculo; De Templo.
Parimenti, l'entrata della logica aristotelica e delle tecniche proprie del commentario filosofico indurrà l'esegesi biblica, prima con Rolando da Cremona e poi con Alberto e Tommaso, ad un piacere della dissecazione e parcellazione all'infinito della pericope che ben poco hanno da spartire con la littera biblica (ma è più esatto dire che il nuovo statuto scientifico acquisito dalla sacra doctrina aveva ormai incrinato l'unità organica del sistema esegetico-teologico dei «quattro sensi» e avviato il processo della specificazione delle discipline sacre).
Ugo di S. Caro il primo, sec. lo Spicq, a proporre l'analisi della divisione e distinzione premessa alla pericope biblica (SPICQ, St Th. d'A. Exégète, DTC 15,715). Ma si tenga presente il ruolo di Rolando da Cremona, primo maestro domenicano a Parigi (122930) che lasciò il suo posto a Ugo di S. Caro (GLORIEUX, Répertoire... I, p. 42-43). La sua Summa testimonia il crescente favore per Aristotele (ROLANDI CREMON., Summae, 1. tercius, ed. A. CORTESI, Bergamo 1962). A. DONDAINE, Un commentaire scripturaire de Roland de Crémone, Arch. Fr. Praed. 11 (1941) 109-37. SMALLEY, The Study... c. VI, § 4.
Così pure Guerrico di S. Quintino (lettore a St. Jacques, 1233-42) il quale, nella divisione della pericope, si serve della nozione delle «quattro cause» aristoteliche. Cfr. B. SMALLEY, A Commentary on Isaias by Guerric of St. Quentin O.P., in Miscell. G. Mercati II, Città del Vaticano (Studi e Testi 122), 1946, pp. 383-97.
Annotazioni sul carattere delle opere esegetiche di Alberto Magno in G. MEERSSEMAN, Introductio in Opera Omnia B. Alberti Magni O.P., Bruges 1931, pp. 82-98.
Si tenga altresì ptesente l'influsso di Maimonide sulle tecniche d'esegesi di s.T.: E.S. KOPLOWITZ, Die Abhängigkeit Thomas von Aquin von R. Mose ben Maimon, Mir-Polen 1935. SMALLEY, The Study... c. IV, § 3.
I nuovi compiti della scienza sacra proposti in un testo classico di Pietro il Cantore (lectio, disputatio, praedicatio) erano divenuti realtà con l'entrata dei Mendicanti all'università di Parigi, matrice del conflitto tra scienze sacre e discipline filosofiche di marca aristotelica.
PIETRO IL CANTORE, Verbum abbreviatum, Cc. 1: «In tribus igitur consistit
exercitium sacrae Scripturae: circa lectionem, disputationem et
praedicationem... Lectio autem est quasi fundamentum et substratorium
sequentium, quia per eam caeterae utilitates comparantur. Disputatio quasi
paries est in hoc exercitio et aedificatio, quia nihil pIene intelligitur
fideliterve praedicatur nisi prius dente disputationis frangatur. Praedicatio
vere, cui subserviunt priora, quasi tectum est tegens fideles ab aestu et a
turbine vitiorum» (PL 205, 25 A-B).
Cfr. Storia della Chiesa, Fliche-Martin, t. XIII, Torino
1965, pp. 266-270. L'evoluzione legislativa delle prime
costituzioni dell'Ord.
dei Predicatori (1220, 1228) dimostra il ruolo determinante dei Mendicanti,
soprattutto dei Predicatori, nel nuovo assetto della sacra doctrina: G.G.
MEERSSEMAN, «In libris gentilium non studeant». L'étude des classiques
interdite aux clercs au moyen age, Italia mediev. e umanist. 1 (1958) 1-13.
S. Tommaso, nel Principium del 1256 (discorso inaugurale come Magister Sacrae P aginae) aveva ripreso con esattezza il medesimo programma per illustrare i compiti teologici (officia) del Magister. La collatio monastica aveva ceduto per sempre il passo alla lectio scolastica cosi come nei primi decenni del '200 le moralitates l'avevano ceduto alle quaestiones, le glossae alle postillae.
Principium «Rigans montes»: «Et de bis tribus officiis, scil. praedicandi,
legendi et disputandi, dicitur Tit. 1,9: Ut sit potens exhortari, quantum ad
praedicandum; in doctrina sacra, quantum ad lectionem; et contradicentes
revincere, quantum ad disputationes» (ed. MANDONNET, Opusc. omnia, IV, p. 949).
E tutta la vita accademica dell'univ. parigina segue il ritmo della nuova
organizzazione del sapere cristiano: P. GLORIEUX, L'enseignement... AHDLMA 35
(1968) 65-186. Per l'organizzazione delle seholae nel periodo pre-dialettico
del medioevo, V. M. DE WULF, Storia della filos. med., Firenze 1944, I, pp.
55-80; LECLERCQ, VANDENBROUCKE, BOUYER, La spiritualité du moyen âge, Aubier
1961: Moyen âge monastique et m.a. scolastique, pp. 275-79.
LECLERCQ, VANDENBROUCKE, BOUYER, La spir. du moyen âge..., pp. 109-18. L. BOUYER, La spir. du N. Test. et des Pères, Aubier 1960, pp. 599-604. Classici i rimandi a CHENU, La théol. comme sc. au XIII s., Paris 1957; Introd. allo studio di ST, Firenze 1953. Per l'influsso del Perì Hermeneias sull'esegesi tomistica, v. T.F. TORRANCE, Scientific Hermeneutics according to St Thomas, The Journal of Theol. Studies 13 (1962) 259-289.
Si conoscono le vivaci reazioni d'un Ruggero Bacone. Ma la congiuntura storica della fede - lievitazione della sacra doctrina per opera della dialettica, rivendicazione della libera praedicatio da parte dei movimenti evangelici - fa credito al nuovo progetto teologico.
Il testo di Ruggero Bacone - si noti - è del 1267: «Liber Sententiarum non adhaeret Textui, sed vagatur extra Textum per viam inquisitionis... Impossibile est quod Textus Dei sciatur, propter abusum libri Sententiarum. Nam quaestiones quae quaeri deberent in Textu ad expositionem Textus, sicut fit in omni facultate, sunt iam separatae a Textu. Et vocatur curiosus, qui non exponunt eum, quia non quaerunt quaestiones proprias et necessarias Textui intelligendo» (ROGERI BACON, Opera quaedam hactenus inedita, ed. BREWER, London 1859, p. 85). Altro testo di simile tenore è riportato in CHENU, La théol. comme sc..., p. 27, n. 1. L'intervento di Gregorio IX con l'Ab Aegyptiis del 1228 sa di ultima, impotente resistenza: «Quidam apud vos (theologi parisienses)... satagunt novitate;... ad doctrinam philosophicam naturalium inclinando; ad ostentationem scientiae, non profectum aliquem auditorum; ut sic videantur non theodidacti seu theologi, sed potius theophanti» (CUP I, 59).
Le occasioni che, a nostro avviso, spronano i teologi mendicanti del sec. XIII - e s. Tommaso in particolare - ad organizzare sia pure in nuce un sapere cristiano in chiave storica sono quelle che sian venuti evocando sopra. Dalle due proposte teologiche recensite in apertura di capitolo, dalle vicende della Chiesa in stato di riforma, dalle resistenze strutturali e dottrinali alle nuove forme di comunità evangeliche s. Tommaso matura una riflessione di fede dalle seguenti caratteristiche:
- rafforzamento dei testi neo-testamentari nell'orchestrazione della prova teologica: sia all'interno dei loci biblici (precedenza sui testi vetero-testamentari o esegesi di questi in orientamento storicoermeneutico al N.T.), sia nel campo delle auctoritates extra-bibliche. L'exponere reverenter tende a far prevalere le esigenze della littera evangelii ora sui sacri scriptores (es. Dionigi, il cui esemplarismo ecclesiologico sarà mitigato a favore dell'emergenze empiriche della Chiesa in crescita nella storia; cfr. infra c. 6) ora sulla legislazione canonica (la missio canonica in Linguadoca da parte d'Innocenzo III - cfr. Contra imp. c. 4, 1481-83 - di contro al principio di sussidiarietà nella versione dei Secolari).
- centralità storica della oeconomia Christi nella successione delle aetates generis humani. La lex Christi, consumazione e adempimento di tutte le dispositiones salvifiche, agisce su due piani: a) quello storico-ecclesiale, quale paradigma e coscienza critica d'ogni tempo del cristiano e della Chiesa; b) quello ermeneutico: lo Spirito, frutto della Legge Nuova, dà l'intelligenza della littera evangelii (nucleo interpretativo e ordinatore di tutta la Scrittura) e opera con l'addizione semiotica ai fatti della vita sanctorum e della congregatio fidelium.
- un'ermeneutica biblica non può costituirsi che sull'indice d'orientazione della Scrittura. Nel novum Testamentum la Scrittura trova e la giustificazione d'una densità semantica pluri-referenziale, e il nucleo intorno a cui le significazioni multiple stabiliscono la loro subordinazione sulla linea successoriale della historia salutis.
«Per literalem autem sensum potest aliquid significari dupliciter: secundum proprietatem locutionis... vel secundum similitudinem seu metaphoram (...). Mysticus autem sensus, seu spiritualis dividitur in tres. Primo namque, sicut dicit Apostolus, lex vetus est figura novae legis: et ideo, secundum quod ea quae sunt veteris legis, significant ea quae sunt novae, est sensus allegoricus. Item... nova lex est figura futurae gloriae: et ideo secundum quod ea quae sunt in nova lege et in Christo, significant ea quae in patria, est sensus anagogicus. Item in nova lege ea quae in capite sunt gesta, sunt exempla eorum quae nos facere debemus;... et ideo secundum quod ea quae in nova lege facta sunt in Christo et in his quae Christum significant, sunt signa eorum quae nos facere debemus, est sensus moralis» (In Gal. IV, lect. 7; EP t. 13, 422 B).
In un 'assetto teologico che argomenti dalla subalternazione dei «tempi» della storia al nucleo ermeneutico che è il Cristo (sicut fructus in spica!: I-Il, 107, 3) e dalla normatività dei fatti tipici che lo Spirito opera nella vita della Chiesa, la Littera Evangelii:
a) da una parte potrà assicurare l'aderenza del cristiano alle urgenze della sua unica Legge (lex Evangelii; ipsa gratia Spiritus Sancti: I-II, 106, 1-2) senza mortificare le crescite e le possibilità della storia entro le strettoie d'una littera riduttiva;
b) dall'altra saprà aprire alla comunità dei credenti le promesse trattenute nel futuro non come scavalcamento delle misure che il tempo e la socialità impongono all'esperienza cristiana (allegorismo escatologico), ma come esigenza d'un germe in crescita, come disponibilità alla storia appena iniziata.
Ha veramente s. Tommaso d'Aquino praticato questa teologia?
Chi è solito limitarsi alla lettura delle opere tomistiche di sintesi - le più remote dalle vicende di scuola - potrebbe dubitarne. Gli scritti che non esiteremmo a denominare di «teologia storico-evangelica» (i commentari esegetici - soprattutto a s. Matteo e a s. Paolo -, i luoghi di teoria ermeneutica, gli opuscoli e quodlibeti legati alla controversia coi Secolari) offrono sufficienti prove per una risposta affermativa. Ne abbiamo dato qualche saggio nelle pagine precedenti, specie per quanto concerne l'assetto metodologico di base. L'analisi di talune questioni che angustiarono la Chiesa del XIII secolo nello sforzo di confrontarsi con la novitas evangelica, ci darà occasione di confermare ulteriormente la nostra affermazione. Si avrà modo, nel contempo, di seguire i trapassi che una teologia in stato d'evangelismo suggerisce all'atto teologale di Tommaso:
a) conflitto di fede nell'oggi della Chiesa
→ b) ricostituzione biblica dell'archetipo cristico-apostolico
→ c) critica teologica della storia della Chiesa alla luce del suddetto modello
→ d) «resumptio» della perfectio primitivae Ecclesiae nell'oggi della vita cristiana.