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I.5  Saggi di teologia storico-evangelica in Tommaso d’Aquino

Abbiamo messo in risalto, in occasione del commento a Mt. 10,9-10, oltre al recupero dell'impegno etico della povertà apo­stolica, le riproposte d'un'ermeneutica biblica che non vanifìcasse il sistema delle significazioni per rincorrere altrove i suggerimenti di messaggio. Ma c'è nel medesimo testo, anche se al margine dell'atto esegetico, un'escursione extra-testuale. Vi soggiace l'intuizione che la ricostituzione d'un'ermeneutica integrale di fede deve ricoprire parola ed evento come controparte d'una comprensione della rivelazione cristiana all'insegna del «Verbum caro factum est». Il richiamo, ad esempio, alla «condotta» dell'apostolo Paolo (In Matth. 10,9-10) incide sull'interpretazione al punto da creare una relazione oppositiva (qui tra testo e comportamento) altrimenti ineistente sulla superficie della littera. Come c'è una timida evocazione. eresiologica: gli Apostolici del III secolo, e l'eresia secondo cui nessuno si salva «nisi discalceatus pergens».

In Matth. 10, 10; EP t. 10,98 A. Cfr. art. Apostoliques in DTC I, 1631-32. Sugli Apostolici dei sec. XIII-XIV riferiscono SALIMBENE DI ADAMO, soprattutto sul Segarelli (Cronica - tra 1283 e '88 -, ed. Monum. Germ. Hist., Scr. 32, 257 ss.) e l'inquisitore BERNARDO GUI († 1331), Practica inquisitionis heretice pravitatis, ed. G. DOUAIS, Paris 1886, pars V,3: De secta Pseudo-Apostolorum, 257-264; ib., 8: De secta illorum qui se dicunt de ordine apostolorum..., 327-55. Si descrive qui altresì la crociata indetta contro Dolcino, la resistenza militare di questi ed infine la crudelissima morte inflitta a lui e alla sua compagna Margherita (a. 1308). Ediz. parziale della Practica inquisitionis col titolo Manuel de l'inquisiteur, 2 voll., Paris 1926-27 a cura di G. MOLLAT (SOPMÆ I, 205-26).

S. AGOST., De haeresibus, 68: «Est alia haeresis nudis pedibus semper ambulantium, eo quo Dominus dixerit ad Moysen, vel Josue, Solve calceamenta de pedibus tuis (Ex. 3,5; ex Josue 5,16): et quod propheta Isaias nudis pedibus jussus fuerit ambulare (Is. 20,2). Ideo ergo haeresis est, quia non propter corporis afflictionem sic ambulat, sed quia testimonia divina taliter intelligunt» (PL 42,42).

Ma il tema era stato ripreso tale quale dai rigoristi della povertà del XIII sec., come testimonia il settimo errore dell'Introductorius in Evang. aeternum: «Septimus, quod nullus simpliciter idoneus est ad instruendum homines de spiritualibus, nisi qui nudis pedibus incedunt» (CUP I, n. 243, p. 272). Pazientemente e laboriosamente la riflessione di fede rintraccia tutti i nessi in cui trova le proprie occasioni come le proprie leggi di crescita.

Il dibattito sulla povertà apostolica non è affatto marginale ai conflitti di Chiesa che vanno dai Pauperes Christi di Roberto d'Arbrissel ai Poveri di Lione di Valdo, ai Poveri Cattolici di Durando di Huesca, ai Poveri Lombardi, ai Mendicanti e giù giù ai Fraticelli, Saccati, Apostolici ecc. Come non può esser ridotto ad episodi di stravaganza degli Spirituali e Beghini o di grottesco folclore dei seguaci del Segarelli e di Dolcino. Neppure i fitti interventi «disciplinari» della gerarchia ecclesiastica trattengono il significato della controversia sulla povertà. La teologia, sollecita dei modi storici d'esser cristiani, s'impossessò ben presto del tema. Se ne hanno i primi echi presso gli eresiologi del Pietrobrusianesimo, Catarismo, Valdismo, come Pietro il Venerabile († 1156), Bonaccorso (op. 1160), Bernardo di Fontcaude († 1193), Alano di Lilla († 1202), Ermengaldo di Béziers (op. 1210-15).

PIETRO IL VENER., Tract. adv. Petrobrusianas, PL 189, 719-85; ed. critica a cura di J. FEARNS, Corpus Christianorum, contin. mediaev. X (1968).  BONACCORSO, Vita haereticorum (Libellus cantra Catharos), PL 204, 775-792 (cfr. saggio di ILARINO DA MILANO in Aevum 12 (1938) 281-333). BERNARDO DI FONTCAUDE, Cantra Waldenses et c. Arianos, PL 204, 793-840. ALANO DI LILLA, De fide catholica (Summa quadripartita), PL 210, 305-430. Per gli Enriciani S. BERNARDO, lett. 241-42, PL 182, 434-37.

La povertà diventa una passione di vita e di scuola nella scolastica del XIII sec. - e basti pensare alle polemiche teologiche che registrano i nomi di Durando di Huesca, Bonaventura, Tommaso di York, Giovanni Peckham, Tommaso d'Aquino ecc. L'esercizio della povertà degenera in fanatismo ed intolleranza dal caso Olivi ai conflitti al vertice dell'Ordine dei Minori, alle lotte dei Fraticelli, all'affronto Giovanni XXII ­ Ludovico il Bavaro, alle audacie ecclesiologiche di Guglielmo di Ockham, alle Tribulationes di Angelo Clareno...

Ma nel fervore spirituale dei teologi mendicanti, la polemica sulla povertà non è un irritante fatto di cronaca. E' un teologoumeno con formidabili prolungamenti: esigenze della Legge Nuova, origine e legittimità dei ministeri, appartenenza all'unitas ecclesiastica degli Ordini mendicanti, legislazione canonica e/o regula apostolorum... Sono state sottolineate le gravi questioni ecclesiologiche depositate nel retroterra dello scontro Secolari-Mendicanti:

Y. CONGAR, Aspects ecclésiologiques..., AHDLMA 28 (1961) 35-171. G. SCALISI, L'idea di Chiesa negli Spirituali e nei Praticelli, Roma 1963.
GIOVANNI DI PARIGI O.P. († 1306) può essere evocato come rappresentante della tradizione tomista nella replica dotta del diritto pubblico della Chiesa: J. LECLERCQ, Jean de Paris et l'ecclésioloie du XIII siècle, Paris 1952; F. BLEIENSTEIN, Johannes Quidort von Paris..., De regia potestate et papali, Stoccarda 1969.

Qui si vorrebbe mostrare - stringendo ancora di più il discorso avviato - come la disputa sulla povertà offra a s.T. l'occasione di fede per chiudere il reticolo d'un maturo assetto teologico, e come siffatta occasione incida sulla riproposta e l'uso d'un'ermeneutica all'insegna della littera. E lo faremo sotto la scorta dei testi di s. Tommaso. Due interventi, il primo nel Contra imp. (1256) e il secondo nel Contra doctr. (1271), ci sembrano tipici. Quanto detto sinora ci dispensa da lunghi commenti. Si tenga d'occhio il percorso mentale descritto nei due testi. Le postazioni che ne tracciano i tempi e le direzioni, l'originale distribuzione di semiotica teologica, l'individuazione dei luoghi normativi della fede meritano una considerazione ravvicinata, al di là delle asserzioni in fatto di povertà evangelica. Tracceremo lo schema logico dei due passi tomistici mettendone in risalto i nuclei compositivi e i trapassi metodologici. Si suppone, evidentemente, che il lettore abbia sott'occhio il testo originale. I numeri in parentesi rimandano alla numerazione lineare della EL.

TESTO I: Contra imp. c. VI: Utrum liceat religioso omnia sua relinquere ita quod nihil sibi possidendum remaneat nec in proprio nec in communi.

A. OBIEZIONI. Sono 23 e tutte tratte dalle opere di Guglielmo di Sant'Amore (1-196): Quaestio de quantitate eleemosinae (Opera omnia, Constantiae 1632, 73-80), De periculis (ib. 17-72), Collectiones (ib. 111-487).

B. CORPUS.

1. Premessa storiografica (197-257).

Rintracciare l'origine dei fatti equivale sovente a comprenderne il senso: «Sed quia rerum cognitiones interdum ex sua pensantur origine, praedictae positiones ortum et processum investigemus. Sciendum est igitur... » (Contra imp. c. 6; A 96, rr. 197-99). Sono evocati gli eretici Gioviniano e Vigilanzio. Costoro si provarono a vanificare l'eccellenza dei consigli evangelici della castità e della povertà: «In quo consilium de virginitate servanda enervabat quod habetur a Domino, Matth. 19,11...» (ib. rr. 211-13). «Nec solum (Vigilantius) contentus fuit Jovinianum imitari consilium de virginitate evacuans, sed superaddere ausus est etiam consilium de paupertate servanda omnino destrueret...» (ib. rr. 225-28).

Fonti: Girolamo (Adv. Joavinianum, l. I, n. 3; PL 23,224 B; Adv. Vigilantium, n. 1; PL 23,355 B) ed Agostino (Retract., 1. II, c. 22; PL 32,639).

Testi scritturali invocati contro i due eretici: Mt. 19,11; 19,21.

Errore tramandatosi fino ai nostri giorni («usque ad hodierna tempora pervenit»); rinnovato dai catari, come testimonia l'eresiarca Desiderio, e - quod est horribilius! - propugnato da taluni che dovrebbero essere i garanti della fede. Costoro sostengono che non è lecito ad alcuno tutto abbandonare per amore di Cristo, salvo che costui non entri in una religio con possedimenti in comune o non provveda col lavoro manuale al proprio sostentamento (citaz. implicita di Guglielmo di Sant'Amore).

Desiderio vesc. cataro. Fonte probabile MONETA DA CREMONA che nomina Desiderio («Haeresiarcha qui Desiderius vocatur») solo in connessione con teorie docetiste e con la negazione della resurrezione: Adv. Catharos et Valdenses, ed. TH. A. RICCHINIUS, Romae 1742, 248 (n. 59), 347, 357. La posizione catara contro la povertà è riferita ib. 1. V, c. 7, art. 3: «Respondendum est quibusdam objectionibus Catharorum qui statum paupertatis assumere abjectis divitiis propriis, et de eleemosynis quaerere victum et vestimentum blasphemant» (p. 451). Ma, a differenza del confratello Tommaso, Moneta da Cremona sostiene «quod liceat successoribus Apostolorum terrena possidere et in proprio et in comuni» (1.c. art. 2, pp. 450-51). E tra le autorità a suo favore, Moneta invoca la donatio Constantini delle decretali pseudo-isidoriane! A. DONDAINE, De haeresi catharorum in Lombardia, AFP 19 (1949) 280-312; La hiérarchie cathare en Italie, ib. 20 (1950) 234-324.

Guglielmo di S. A., De periculis, 12: «Qualiter ergo vivendum est... postquam reliquerit omnia? Respondemus: Aut operando corporaliter manibus, aut intrando monasterium ubi habeat necessaria vitae» (Op. omnia, Const. 1632, 49-50).

2. Tesi I: Della perfezione evangelica fa parte non solo la povertà abituale ma anche quella attuale (270-445).

Prove:

a) dal paradigma comportamentale dei personaggi evangelico-apostolici:

- dalle stesse parole di Gesù, Mt. 19,21;

- dall'esempio della sua vita, poiché perfectio evangelica consistit in imitatione Cbristi (278-79). Ed egli fu povero nella realtà oltreché nella volontà, Mt. 17,26; Le. 9,58;

- dall'esempio degli apostoli perché evangelica perfectio maxime in apostolis claruit, Mt. 19,27 (290-91);

b) dal testo sacro (Mc. 10,23; Mt. 19,23; Giac. 2,5; Lc. 14,33) nell'interpretazione della Glossa (300-329);

c) dalle auctoritates dei santi Padri: Girolamo (330-49), Agostino (350-55), Ambrogio (356-68), Gregorio (368-88), Crisostomo (389-96), Bernardo (397-405);

d) dalle fonti canoniche della Chiesa (Decretum C. 1, q. 2, c. 8; ed. Fried. I,410) (406-11).

3. Tesi II: Siffatta povertà evangelica non richiede di necessità possedimenti in comune (446-521).

Prove:

a) dall'esemplarità normativa della vita del Cristo e degli apostoli (primordium enim huius perfectionis in Christo et in apostolis fuit: rr. 449-50), i quali niente possedettero in comune.

b) dalla storia della Chiesa: il periodo della conversione dei gentili derogò dal comportamento degli ebrei convertiti, i quali rimettevano tutti i loro beni ai piedi degli apostoli. Autorità di Agostino incline al giudizio a favore della perfectio primitiva e Ecclesiae (\465-66 ).

c) dall'autorità di Girolamo, Gregorio (475-91);

d) da un momento privilegiato della vita della Chiesa: la povertà assoluta praticata dai monaci d'Egitto (504-09).

4. Tesi IlI: La povertà evangelica non esige di necessità il lavoro manuale (522-88).

C. RISPOSTA ALLE OBIEZIONI (589-1025).

Vi si nota una contro-lettura dei testi scritturali invocati dagli obiettanti per riasserire l'urgenza della perfectio evangelica. Questa è stabilita nel suo nucleo: «Sic ergo patet quod dare omnia propter Christum non est dare danda et non danda, sed est dare danda tantum; quamvis enim non omnia sint danda quocumque modo, sunt tamen omnia danda propter Christum» (Contra imp. c. 6; EL A 102, rr. 750-54); è perseguita tramite consigli quale mediazione strumentale (la povertà per se stessa non è mai idolificata: cfr. ad 9, ad 15, ad 19). A sua volta la perfezione evangelica si pone, da una parte, come criterio esegetico della Scrittura, e sollecita dall'altra un giudizio critico della vita della Chiesa. Si osservi pure nell'ad 8 come, per una alternazione dell'asse logico del discorso, l'opposizione diacronica «perfezione della Chiesa primitiva → relaxatio successiva» subisce un trattamento sistematico nell'opposizione «consigli­precetti».

Il secondo testo mostra una concatenazione del discorso ancora più serrata, una distribuzione più consapevole dei luoghi conoscitivi del sapere teologico, una enucleazione più fruttuosa dei propositi d'una teologia evangelica. Esso abbraccia i cc. 14-16 del Contra doctr. nella classica successione dell'articolo: obiezioni - tesi ­risposta (EL t. 41, C 67-74).

TESTO II: Perfezione evangelica e proprietà in comune.

A. Cap. XIV: Rationes contra perfectionem religiosorum non habentium possessiones in communi (C 67-68).

Si noti, nella prima obiezione, un testo frequentemente impiegato in appoggio alla liceità dei possedimenti della Chiesa. Sulla scia di Graziano 125 è attribuito a Prospero, ma in realtà la paternità del De vita contemplativa, da cui è tratta l'auctoritas, va attribuita a Giuliano Pomerio 126.

Decr. C. 12, q. 1, c. 13; Fried. I, 681. Il titolo della q. 1 suona: «CIericos nichil possidere multis auctoritatibus iubetur» (Fried. I, 676). Ma i loro beni sono devoluti al fondo della proprietà ecclesiastica, differentemente dall'uso primitivo di erogarli ai poveri (caso di s. Paolino di Nola evocato in Decr. C. 12, q. 1, c. 13).

JULlANI POMERII, De vita contemplativa, 1. II, c. 9; PL 59, 453 B. Cfr. prolegomena dell'edit., ib. 411-12. A.E. DEKKERS - AE. GAAR, Clavis Patrum Latinorum, ed. 1961, n. 998.

Le altre obiezioni, otto in tutte, si spostano vistosamente verso il locus argomentativo della Chiesa apostolica e post-apostolica. Rispetto al Contra imp., qui anche gli opponentes sembrano aver trasferito le batterie sul terreno aperto da Tommaso.

B. Cap. XV: In quo confutatur error praemissus (C 68-73).

La tesi avversaria contraddice la vita e la dottrina del Cristo, il quale propter nos egenus factus est cum dives esset: 2 Cor. 8,9 (rr. 1-15). L'argomentazione si snoda nel seguente ordine:

1. Ex vita Christi, il quale scelse una vita povera fin dalla nascita (ab exordio introitus eius in mundum) (16-34), e vi restò fedele nel corso della vita (in eius progressu) (citaz. bibl.: Mt. 8,20; 17,27; 19,21) (rr. 35-79) sino alla morte di croce (in ipso crucis occasu) (citaz. bibl.: Mt. 16,24; GaI. 6,17; Ps. 21,19; Filipp. 3,18-19) (80-111). Ora la vita del Signore è la somma della perfezione ed il suo esempio è definitivo per ogni perfezione cristiana: «Manifestum est autem, nec alicui christiano debet venire in dubium, quod Christus summam perfectionem in sua conversatione servavit; unde et ad pautertatis perfectionem dicebat: Si vis perfectus esse... veni, sequere me, in quo est perfectionis summa, ut Ieronymus dicit. Haec est igitur summa paupertatis perfectio, ut ad exemplum Christi aliqui homines possessionibus careant...» (Contra doctr. c. 15; C 69, rr. 66-75).

2. Ex doctrina Christi (rr. 112-36). Autorità: Mt. 5,3; commentari di Girolamo, Ambrogio e Basilio sulla beatitudine della povertà.

3. Ex missione apostolica. Luogo classico Mt. 10,9 «Nolite possidere... ». E come potrebbe la instructio apostolorum derogare alla perfezione evangelica? (rr. 13 7 -8 9). «Quis autem dicat, nisi haereticus, primam discipulorum instructionem a Christo perfectioni evangelicae derogare? Mentiuntur ergo in doctrina fidei, dicentes minoris esse perfectionis eos qui communibus possessionibus carent» (ib.; C 70, rr. 184-89).

4. Ex conversatione apostolorum, poiché - come dice Agostino - le divine Scritture mandano il loro messaggio e attraverso la verbalizzazione dei precetti e attraverso la normatività della vita dei giusti (190-97). Lc. 22,35 prova l'assoluta povertà degli apostoli, mentre Lc. 22,36 è da intendere come una relaxatio permessa agli apostoli per il solo tempo della persecuzione imminente (197 -222). Ma una cosa resta assodata: ad rigorem evangelicae disciplinae pertinere quod aliquis careat omni possessione terrena (222-24).

5. Ex Ecclesia primitiva. Act. 4,32 conferma l'osservanza della povertà assoluta anche dopo la passione del Signore. Certo, il ricavato delle vendite era «messo in comune» - come si dice in Act. 4,34-35 -; ma ciò è da intendere quanto «ad ea quae ad necessitatem vitae pertinent» non ai possedimenti in comune (225­41). Il che, a detta d'Agostino, fa credito alla maggiore fedeltà della prima ecclesia Ierosolymis rispetto alla susseguente Chiesa dei gentili (241-54).

Sed contra. Le auctoritates dei papi Melchiade (311-14) e Urbano (222-30) sembrano suffragare una diversa interpretazione. Gli apostoli previdero la diffusione della Chiesa presso i gentili e non ritennero saggio acquistare praedia. Ma allorché la fede ebbe conquistato i gentili e gli stessi principi romani, il vir religiosissimus Costantino non solo autorizzò la conversione ma dette altresì licenza di «fabbricare chiese» ed istituì praedia tribuenda (255-68). Così i credenti, smesso l'uso provvisorio di Gerusalemme di vendere i beni, coeperunt praedia et agros, quos vendere solebant, matricibus ecclesiis tradere (277-78). Conclusione: il costume della Chiesa primitiva di cui in Act. 4,32-35 non è a favore della superiorità evangelica della povertà assoluta ma è solo un discrezionale adattamento alla situazione di fatto. Non è perciò normativo della condotta cristiana (279-86).

La conclusione è insidiosa. «Ex his ergo videtur quod melius sit possessionibus in communi habere quam aliqua mobilia ad victum pertinentia; et quod in primitiva Ecclesia praedia vendebantur, non quia hoc esset melius, sed quia praevidebant apostoli quod apud Iudaeos Ecclesia duratura non erat, partim propter Iudaeorum infidelitatem, partem propter excidium quod eis imminebat» (Contra doctr. c. 15; C 71, rr. 279-86). Gerardo d'Abbeville aveva fatto propria quest'esegesi corroborandola con le autorità dei papi Melchiade ed Urbano (Quodl. 3, qq. 5-6; ed. A. TEETAERT, Quatre questions inédites de Gérard d'Abbeville, Arch. ital. Stor. della Pietà 1 (1951) 135, 157). Sfortunatamente ambedue le auctoritates fanno parte delle decretali pseudo-isidoriane.

PL 130, 1-1178. Per Melchiade ib. 130, 243 B-C; per Urbano ib. 130, 137 D -138 B. Quest'ultimo testo s'inserisce proprio nel commento ad Act. 4,32. Il tratto riportato nel Contra doctr. («Videntes... vivere »: rr. 269-79) mette ancora più allo scoperto le intenzioni delle false decretali: «Ipsae vero res in ditione singularum parochiarum, episcoporum qui locum tenent apostolorum erant, et sunt usque adhuc, et futuris semper debent esse temporibus» (ISIDORI MERCATORIS, Decretalium Collectio. Decret. Urbani Papae; PL 130, 138 B).

I luoghi teologici sono grossolanamente dislocati. L'intento è insufficientemente dissimulato. Un'operazione di scuola, in definitiva, ovviamente maldestra. Ma la sua collocazione nella scia delle decretali carolinge che consacrano l'insediamento feudale della Chiesa in occidente è storiograficamente preziosa. Comunque Graziano aveva accolto ambedue le autorità.

Cfr. A.M. STICKLER, Historia Juris Canonici Latini, I, Torino 1950. Uno degli scopi delle decretali del periodo carolingio era proprio quello di sancire la restituzione e la proprietà dei beni ecclesiastici (ib. p. 122). E. COLAGIOVANNI, L'aspetto storico-sociologico nella trasformazione dal beneficio feudale all'officio ecclesiastico ed ecclesiale, Monitor ecclesiasticus 96 (1971) 393-418. Le pseudo-isidoriane si collocano proprio in codesta congiuntura della Chiesa latina (STICKLER, tit. 1, cap. 5, art. 3: De Collectionibus reformationis Carolinae spuriae, 117-142), e son quelle che si fanno portavoce della donazione costantiniana: cfr. ISIDORI MERC., Decretalium Collectio, PL 130, 245 A -252 B.
R. - J. LOENERTZ, Constitutum Constantini. Destination, destinataires, auteur, date, Aevum 48 (1974) 199-245; cfr. Id., RSPT 59 (1975) 289-94. H. FUHRMANN, Einfluss und Verbreitung der pseudoisidorischen Fälschungen, 3 voll., Stuttgart 1972-74.

Decr. C. 12, q. 1, c. 15: «Quare in primitiva ecclesia praedia vendebantur. Iteni Melciades Papa» (Fried. I, 682); c. 16: «Quare praedia fidelium hodie ab ecclesia non alienentur. Item Urbanus Papa» (I, 682-83).

A s. Tommaso non resta che tentare l'expositio.

Contro-esegesi di s. Tommaso. La Chiesa primitiva esprime lo stato di massima perfezione del cristiano. La legislazione fu successivamente mitigata a favore degli «infirmiores» convertiti da ogniddove (rr. 287-315).  «Quod postquam contigit, utile iudicaverunt ecclesiarum praelati ut praedia et agri ecclesiis conferrentur, non propter perfectiores quosque, sed propter infirmiores qui ad primorum fidelium perfectionem attingere non valerent» (Contra doctr. c. 15; C 71, rr. 311-15).

6. Ex vita Ecclesiae. Tuttavia l'ideale della Chiesa primitiva non è stato obliterato del tutto ma perseguito e tramandato dai monaci d'Egitto (316-54). «Fuerunt tamen et aliqui postmodum primae perfectionis aemuli, qui in congregationibus viventes possessionibus caruerunt, sicut plurima monachorum collegia in Aegypto» (ib. rr. 316-19).

7. Ex ratione consiliorum. Distolto l'animo dall'assillo dei beni terreni si è più solleciti della perfezione evangelica. 1 Cor. 7,32-33; Mt. 3,22; Le. 14,18; 14,21 (rr. 355-404).

CONCLUSIONE: Pertinet igitur ad perfectionis pondus, ut etiam ab huiusmodi compedibus expediti homines serviant Deo (401-4).

C. Cap. XVI: Risposta alle obiezioni (C 73-74).

Il principio formale di soluzione poggia su due asserti stabiliti nella tesi (c. 15): a) il modello della povertà apostolica e criterio normativo della perfezione cristiana; b) la storia della Chiesa va valutata secondo la capacità di riproporre nel suo oggi la perfectio primitivae Ecclesiae. Un esempio per tutti: «Instituit enim Christus episcoporum ordinem et aliorum clericorum, qui possessiones comunes habent vel proprias; sed hoc Christus in eis non instituit, sed magis instituit eorum ordinem in perfecta paupertate, sicut ex praedictis apparet. Postmodum vero dispensative sunt in Ecclesia communes possessiones acceptae propter rationem praedictam» (ib. c. 16, ad 4; rr. 62-69).

Resumptio del rigore della legge del vangelo:

L'obiezione 5 (c. 14) sosteneva che non era verosimile ­ se tale è la natura della perfezione evangelica - che questa si fosse eclissata dal tempo degli apostoli sino ai nostri giorni!

Risposta (c. 16, ad 5): a) che non si sia eclissata del tutto lo dimostra l'esperienza della perfezione evangelica vissuta e trasmessa dal monachesimo (tra i tanti modi d'essere Chiesa nel tempo, questo diventa un locus valido per una argomentazione ex traditione!); b) la crescita della Chiesa avviene nella gradualità e tra i risvolti della storia; la sapienza di Dio accetta e il ritmo del tempo e la congruentia che il tempo suggerisce ai suoi interventi; c) infine, come potrebb'essere squalificata l'urgenza cristiana di resumere nell'oggi della Chiesa le esigenze del vangelo quand'anche queste fossero state obliterate nel corso dei secoli?

«Quod etiam quinto propositum est, quod christiana perfectio non dormitavit a tempore apostolorum usque ad praesentia tempora, certum est eam non dormitasse, sed in plurimis viguit, et in Aegypto et in aliis partibus mundi. Numquid tamen aliquis Deo modum imponere potest, ut vel omnes, et omni tempore et omnibus locis, homines ad se trahat? Quin imno secundum suae sapientiae ordinem, quo suaviter universa disponit, singulis temporibus congruentia adminicula providet humanae saluti. Quid enim si quaeratur: Numquid dormitavit doctrina christiana a temporibus magnorum doctorum Athanasii, Basilii, Ambrosii, Augustini et aliorum qui circa illud tempus fuerunt, usque ad haec nostra tempora in quibus magis in doctrina christiana homines exercentur? Numquid secundum eorum mirabilem rationem quicquid boni tempore aliquo intermissum fuit, illicitum erit resumi?» (Contra doctr., c. 16, ad 5; C 73-74, rr. 70-88).

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