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I.6  La rotazione dei topicí medievali sull’albero della perfectio primitivae ecclesiae. La traditio negli eventi

Abbiamo già precedentemente richiamato l'attenzione sull'originale successione del discorso e sulla nuova subordinazione delle unità teologiche sia per quanto riguarda il loro peso probante che il terreno da cui sono mutuate. Qui non resta che raccogliere alcune conclusioni più specifiche, sotto l'intuizione base che il momeno cristico-apostolico della storia della salvezza stringe la definitezza dell'economia nella lex nova o lex Evangelii.

Questa opera una concentrazione d'intenzioni di fede

a) sul piano etico: riaffermando nella coscienza del credente e della comunità della Chiesa il rigore della institutio Christi come legge ultima della vita cristiana; pungolando, nel contempo, la comunità dei credenti ad una permanente riforma (la resumptio di s. Tommaso) secondo l'exemplum vitae apostolicae;

b) sul piano generale dell'ermeneutica di fede. L'appassionata restituzione del momento apostolico come scaturigine e normatività della prassi e struttura della Chiesa opera una sostituzione di schemi culturali: alla strumentazione argomentativa improntata alla fabrica ecclesiastica d'esemplarità feudale e dionisiana, si preferisce un movimento orizzontale che insegue le proprie ragioni sulla linea genetico-normativa della fede: Vangelo (vita et doctrina Christi) e apostoli (modello della vita apostolorum e della Ecclesia primitiva).

L'assetto teologico si dispone per accogliere nuovi criteri di precedenza tra i topici argomentativi. Le auctoritates si succedono secondo nuove gerarchie, quand'anche gratificate con equanime atto d'expositio reverenziale (la liquidazione dell'argomento delle false decretali - v. supra c. 5 - era stata sornionamente introdotta con un «Si quis recte consideret, haec praemissis non crontrariantur »: Contra doctr. c. 15, rr. 287-88).

La Chiesa, nell'atto di crescita nel tempo a confronto col modello apostolico, presceglie momenti insigni del suo passato da ergere a coscienza critica, ad arche tipi normativi, a luoghi cioè dove una traditio autorevole si afferma e si tramanda. La Chiesa trova ancora, nei fatti sociali, occasione di crescita quando ha appreso a condurre lo scrutinio dei tempi e a render ragione evangelica ed ecclesiale di nuove emergenze storiche.

Rammentiamo, a mò d'illustrazione, alcune occasioni dell'attività teologica di Tommaso condotta all'insegna d'una ispirazione siffatta.

1. La sensibilità a cogliere le urgenze della lex nova nell'evangelismo dei sec. XII-XIII, sollecita s. Tommaso

a) a suggerire una teologia morale che contrappesi le proprie ragioni col pondus evangelicae perfectionis. Esempio: prima che gli umanisti denuncino il falso delle decretali isidoriane, l'evangelismo di s.T. ha già esautorato, nella propria teologia, tali testi letterari (a differenza d'un Moneta da Cremona).

b) ad accogliere nel far teologia fatti e novità sociali del tempo. Le nuove classi urbane - frutto in Europa dell'esplosione demografica sullo scorcio del Mille e dell'abbandono del feudo - confluiscono nei movimenti evangelici dal XII al XIV secolo (le eresie «popolari» e «di massa» del medioevo!). Qui possono vociferare il loro diritto e come classi civili e come aspiranti a nuova compagine tra l'ordo clericorum e l'ordo monachorum. Vi è, per contraccolpo, una riproposta di «laicità» quale dimensione della Chiesa nel tempo del mondo 138. Quando nei nuovi Ordini mendicanti l'evoluzione giuridico-strutturale farà gradualmente prevalere sull'evangelismo di base il servizio alla plenitudo potestatis papale - inquisizione, soppressione degli Ordini di non evidens utilitas ecclesiae (Conc. di Lione 1274: MANSI 24,97), diritto patrimoniale imposto ai Minori (Giov. XXII, Ad Conditorem 1322) ­ allora la primitiva istanza di laicità andrà a ingrossare le file dei Terz'Ordini, Compagnie, Fraternite laiche..., che pure continuano a scorrere sul solco dei Mendicanti.

Cfr. Hérésies et Sociétés dans l'Europe pré-industrielle 11e-18e siècles, Paris­La Haye 1968. G. VOLPE, Movimenti religiosi..., Firenze (1922) 1971: molto sensibili a collocare i movimenti spirituali del medioevo nel contesto di rinnovamento della società del tempo. Un'interpretazione in chiave marxista è data da E. WERNER (Pauperes Christi. Studien zur sozial-religiösen Bewegungen im Zeitalter des Reformpapsttums, Leipzig 1956) e M. MAcHovcovA - M. MAcHovEc (Utopieblouznivcu a sektaru, Praga 1960; di cui riferisce BTAM, t. IX, n. 1133). MORGHEN (Medioevo cristiano, Bari 1962; HS, p. 124), GRUNDMAN (HS, p. 211), VIOLANTE (HS, p. 195), pur sensibili alla collocazione socio-economica, riallacciano la scaturigine ultima delle eresie medievali ad un rinnovamento spirituale, ed esegetico in particolare. Cfr. anche LECLERCQ, VANDENBROUCKE, BOUYER, La spiritual. du M.A., Aubier 1961; La piété des Laïcs au XII siècle, pp. 299-344.

Non rientra nel nostro intento approfondire tale aspetto, ma sarebbe indubbiamente utile scoprire più da presso e seguire i meccanismi psico­sociologici che convogliano le masse inquiete, che non hanno ancora ottenuto un loro statuto tra le compagini sociali, nei movimenti evangelici - ortodossi e non ­ del XII-XIII sec. Le vicissitudini dei Mendicanti per trovar posto tra gli ordines costituiti della Chiesa non è che la controparte ecclesiale d'un problema d'emergenza di classe (come l'ecclesiologia all'insegna della territorialità ha per sfondo la proprietà terriera quale origine dello jus, officium e potestas: «Monitor eccles.» 96 (1971) 393­ 418. Il tema comunque può esser seguito in S. Tomm. sulla pista del diritto dei Mendicanti al ministero, allo studio, all'insegnamento, della quaestio del lavoro manuale, della specificità dei nuovi Ordini rispetto al monachesimo e al clero del regimen. Diritti delle «arti» e loro statuti (LEICHT, Operai, artigiani... dal sec. VI-XVI, Milano 1959, pp. 105-128), consapevolezza dei laici e inizio della declericalizzazione sono conseguenze dell'affermarsi di nuovi strati popolari come classi competitive nella società civile e religiosa. Qualche spunto: «Quodcumque officium homo agit, de quo licite possit victum acquirere, sub labore manuum comprehenditur. Non enim videtur rationabile quod magistri artis mechanicae possint vivere de arte sua, et magistri artium liberalium non possint vivere de arte sua» (Quodl. 7, a. 17c.). I Secolari tentano di ricacciare i Mendicanti nelle file del monachesimo, unico luogo sociale dove potrebbero provvedere al loro sostentamento, visto che bisogna rifuggire dalla mendicità e dall'ozio. D'altra parte solo ai praelati e alle loro opitulationes (presbiteri curati e arcidiaconi) è riservato il regimen plebis su cui poggia il beneficium. Ma - replica S. Tomm. - «ad cathedram pontificalem fit homo idoneus per caritatem excellentem; ... ad cathedram autem magistralem redditur homo idoneus ex sufficientia scientiae» (Quodl. 3, a. 9). Cfr. supra c. 2, già n. 47. Certo la Sacra doctrina non è «una» delle artes del trivio o quadrivio e non lo fu mai statutariamente (Storia della Chiesa, ed. Fliche-Martin, t. XIII, pp. 99-100) ma è pur vero che, prevaricati i confini dell'omiletica episcopale o abbaziale, è affidata a corpi (università, magistri) professionalmente qualificati per essa. Per il diritto allo studio e all'insegnamento, cfr. Contra imp., cc. 2, 3, 11; in particolare c. 2, rr. 246-56; 446-50; 569-81.

2. Le resistenze a tali emergenze storiche sono superate da s. T ommaso

a) affermando la priorità della missio apostolica all'origine del ministero della predicazione contro lo spontaneismo etico dei Catari e Valdesi 1ombardi che lo riallacciano esclusivamente alla santità del ministro, e contro l'ecclesiologia feudale dei Maestri secolari che lo riallacciano all'insediamento territoriale della cura plebis;

M. PEUCHMAURD, Mission canonique et prédication. Le prêtre ministre de la parole dans la querelle entre les Mendiants et Séculiers au XIII siècle, RTAM 30 (1963) 122-44; 251-76. Alla nozione di missio va premessa quella di vocatio che origina una profonda e calorosa «communio cum Christo» come descritta in In Matth. 4,22: «Trina fuit vocatio Apostolorum. Primo enim vocati sunt ad Christi familiaritatem; et illud dicitur Joan. 1; et hoc in primo anno praedicatonis Christi (...). Secundo vocati fuerunt ad discipulatum, et de ista dicitur Luc. 5. Tertia vocatio fuit ut totaliter Christo adhaererent; et de ista hic dicitur...» (EP 10,45 B - 46 A).

b) forzando la defeudalizzazione dell'ecclesiologia sulla leva dell'unità e universalità della congregatio fidelium (Contra Gentes IV, 76) non esaurite nella corporazione delle chiese locali; si stabilisce di conseguenza la legittimità dei Mendicanti al ministero sulla base d'una missio canonica quale replica papale della missio apostolica , o della volontà del vescovo locale d'associarsi come opitulationes, oltreché i presbyteri curati, archidiaconi ecc., anche i Religiosi;

 «Unde et Innocentius llI ante concilium generale quosdam Cisterciensis ordinis misit ad praedicandum in partibus Tolosanis» (Contra imp. c. 4, paragr. 15; A 85, rr. 1481-83). Ma è altrettanto vero che la teologia mendicante della missio papalis, scavalcando le autorità delle chiese regionali, concorrerà non poco a rafforzare la plenitudo potestatis del papa (cfr. Contra imp. passim; Contra Gentes IV, 76). Ma l'equilibrio raggiunto da s. Tomm. (papa vicario di Pietro, non di Cristo: In Matth. c. XVI, par. 2, in fine; e ib., XVI, 18-19: da metter in relazione agli studi di M. MACCARRONE, Vicarius Christi. Storia del titolo papale, Roma 1952; G. CORTI, Il papa vicario di Pietro, Brescia 1966) con la distinzione tra potestas e jurisdictio, è incrinato a favore d'un accentramento della plenitudo potestatis del papa in s. Bonaventura (che sembra far derivare dal papa sia la potestas ordinis che la jurisdictio) ed in Tommaso di York che, ancora sotto il fascino dello schema dionisiano, ritrova alla sommità della piramide il Summus Hierarcha, il papa. S. BONAVENTURA: «Et quia excellentia, quanto magis descendit, tanto magis dilatatur et quanto magis ascendit, tanto magis unitur: hinc est, quod plures sunt episcopi, pauciores archiepiscopi, paucissimi patriarchae et unus pater patrum, qui Papa merito appellatur, tamqum unus, primus et summus pater spiritualis omnium patrum, immo omnium fidelium et hierarcha praecipuus, sponsus unicus, caput indivisum, Pontifex summus, Christi vicarius, fons, origo et regula cunctorum principatuum ecclesiasticorum; a quo tamquam a summo derivatur ordinata potestas usque ad infima Ecclesiae membra, secundum quod exigit praecellens dignitas in ecclesiastica hierarchia» (Brevil. VI, c. 12; Quaracchi V, 278 b). Le confluenze nel De ecclesiastica pntestate di Egidio Romano († 1316) e nei teorici del potere papale ad oltranza (Giacomo da Viterbo, Agostino Trionfo, Guglielmo da Sarzano...) sono evidenti. Cfr. AA.VV., Sacerdozio e Regno tra Greg. VII e Bonif. VIII (Univ. Gregor.), Roma 1954. F. KEMPF, Papsttum und Kaisertum bei Innocenz III, Roma 1954. J. A. WATT, The Theory of Papal Monarchy in the Thirteenth Century, New Y ork 1965. GIOVANNI PECKHAM applica ancora lo schema della gerarchia celeste per inquadrare le classi sociali del tempo: A. ROSIN, Die «Hierarchie» des Jo. Peckham historish interpretiert, Zeitschr. rom. Philol. 52 (1932) 583-614 (recens. in BTAM II, n. 514). J. G. BOUGEROL, Saint Bonaventure et la hiérarchie Dionysienne, AHDLMA 36 (1969) 131-67.

«Ad illud quod postea obicitur quod non debent praedicare nisi missi... dicendum quod illi etiam qui sunt missi a Domino possunt alios mittere... (I Cor. 4,17); et ita ex commissione episcoporum possunt etiam alii ad praedicandum mitti. Et tamen illi missi a Domino intelliguntur qui per potestatem a Domino traditam mittuntur; et omnes illi sic missi a praelatis ecclesiarum, scilicet episcopis vel presbyteris, inter opitulationes computantur quia ipsi maioribus opem ferunt, quamvis non sint archidiaconi...» (Contra imp. 4, ad 6: rr. 1001-15). L'idea chiave della missio corre, come principio formale di soluzione, in tutto il capitolo 4 dedicato alle risposte (ib. paragr. 12-16: rr. 946-1510). (In Matth. 7,15; EP 10,78 B).
Si ricordi la constitutio 10 del Lateranense IV (1215), De praedicatoribus instituendis: «... generali constitutione sancimus, ut episcopi viros idoneos ad sanctae praedicationis officium salubriter exequendum assumant, potentes in opere et sermone, qui plebes sibi commissas vice ipsorum, cum per se idem nequiverint, sollicite visitantes, eas verbo aedificent et exemplo;... Unde praecipimus tam in cathedralibus quam in aliis conventualibus ecclesiis viros idoneos ordinari, quos episcopi possent coadiutores et cooperatores habere, non solum in praedicationis officio verum etiam in audiendis confessionibus et poenitentiis iniungendis ac caeteris, quae ad salutem pertinent animarum»: Concil. Oecum. Decreta, Bologna 1973, pp. 239-40; MANSI 22,998-99).

c) riproponendo una teologia della sacramentalità dei ministeri che sposti il nucleo magnetico della nozione di gradus (schema gerarchico preferito dai Secolari) a quella di status come forma di vita nella Chiesa originante specifici servizi (officia).

3. L'ordine dei luoghi teologici è capovolto a favore degli scritti evangelico-apostolici del N.T. e dell'esemplarità etica della vita di Cristo e degli apostoli. Le altre fonti, comuni al repertorio medievale delle auctoritates, sono vagliate e subordinate in acquiescenza all'imperatività della lex Christi. Questa impone selezione e orientamento probativo a quelle. Ci è occorso il caso delle decretali che cedono alle esigenze della perfezione evangelica. Altro esempio in Contra doctr. c. 11, obj. 11. Tenuti in vista nomi e date, si ha la convinzione che si sia voluto far diga all'invadente letteratura decretalistica seguìta alla pubblicazione delle Decretali di Gregorio IX (1234). L'obiezione è costruita sull'autontà di: a) glossa al Decretum; b) Bernardo di Parma († 1266) autore della glossa ordinaria al Liber Extra; c) Raimondo di Pefiafort († 1275); d) decretalista Goffredo di Trani († 1245); contro la sentenza d'Uguccione di Pisa († 1210) e d'Innocenzo III († 1216) dichiarata obsoleta da Bernardo 142.

Contra doctr. 11, 107-132. Cfr. Glossa di Bernardo di Parma in Decretales Gregorii IX (III, t. 31, c. 21), ed. Romae 1584, p. 895 A-B.

Il commento di s. Tommaso, tagliente come non mai, è carico di sacro furore teologale: è addirittura ridicolo che dottori in sacra dottrina traggano argomento teologico dalle discettazioni di glossatori canonici.

«Inconsonum et derisibile videatur quod sacrae doctrinae professores iuristarum glosulas in auctoritatem inducant, vel de eis disceptent» (Contra doctr. c. 13, ad 11; C 66, r. 183-86). Un altro pesante intervento contro i giuristi («licet quidam iuristae ignoranter contrarium dicant») è in Summa tbeol. II-II, 88,11 corpo Cfr. J. M. AUBERT, Le droit romain dans l'oeuvre de saint Tbomas, Paris 1955, c. 6: Science et méthode juridique chez s. Thomas, pp. 123-39.

Ma è altrettanto sintomatico il sottrarsi di s.T. alla logica dell'esemplarismo dionisiano. Questo - si ricordi - era applicato a denti stretti dai Secolari così da rendere impensabile l'esercizio di ministero qualsiasi al di fuori dello schema gerarchico, compiuto ed immobile. «La gerarchia ecclesiastica - scrive s.T. - imita sì quella celeste ma in modo imperfetto e parziale». Ed il ministero, invece che calato dall'alto con rigore meccanico attraverso tutti i gradi della macchina gerarchica, è fondato sulla nozione biblica e sull'atto ecclesiale della missio. Il regimen della legislazione canonico-feudale è ricondotto al munus praedicandi et consecrandi.

«Dicendum quod ecclesiastica hierarchia imitatur caelestem quantum potest sed non in omnibus»: Contra imp. 5, paragr. 12, ad 9, rr. 1062-64. Vedi anche ib. ad 6; paragr. 15, ad 6. Parimenti In II Sent. d. 9, q. 1, a. 7, ad 3: «nec oportet quod in omnibus nostra hierarchia cum coelesti conveniat, etsi eam secundum modum suum imitetur». Summa tbeol. I, 106, 3, ad 1, taglia l'analogia argomentativa, e nega conseguentemente la continuità organica tra gerarchia celeste e gerarchia ecclesiastica. Vi è acquisita la lezione aristotelica della specificità delle sostanze corporee da una parte e l'alterità delle «sostanze spirituali» (intelligenze pure, angeli) dall'altra.
La filosofia della «natura», dopo le riserve di Gregorio IX («ad doctrinam philosophicam naturalium inclinando [...] ut sic videantur non theodidacti seu theologi, sed potius theophanti»: lettera ai teologi parigini, 1228; cfr. DENZINGER, Enchir. 1960, n. 442) e dopo le condanne a Parigi del 1241 e 1244, ha fatto la sua strada attraverso Alessandro di Hales, Alberto Magno e Tommaso d'Aquino. Cfr. V. DOUCET, La date des condamnations parisiennes dite de 1241, Mélanges A. Pelzer, Louvain 1947, 183-193; H. DONDAINE, in RSPT 39 (1955) 213-27; CHENU, in AHDLMA 36 (1969) 123-30.

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