■ Recensione, «Memorie domenicane» n.s. 4 (1973) 409-413:
J. GONNET - A. MOLNAR, Les Vaudois au moyen âge. Torino, ed. Claudiana 1974, pp. 510, L. 9.000.
Illustri studiosi del Valdismo medievale, J. Gonnet e A. Molnar hanno consegnato in questo volume il frutto di ricerche condotte nell'arco d'un trentennio circa.
J. Gonnet dibatte con perspicacia il delicato problema delle fonti del Valdismo medievale, sua interpretazione e collocazione nei movimenti di rinascita ecclesiale dei secoli XI-XII sfociati nell'evangelismo del XIII; nonché il problema storiografico circa l'origine e la natura dei movimenti religiosi popolari ("eretici" e non) che agitarono la Christianitas medievale (c. I). Il medesimo A. fa una ricostruzione dettagliata e documentata dell'esperienza religiosa di Valdo e dei Poveri di Lione (c. II); quindi del gruppo valdese di Lombardia (i Poveri Lombardi) seguìto alla scissione di Giovanni di Ronco (c. III). Il capitolo sulla letteratura valdese (c. VII) recensisce i testi letterari prodotti o ispirati al Valdismo, dalla traduzione in volgare della Bibbia ai poemi religiosi agli scritti dottrinali e didattici. In appendice, la descrizione dei manoscritti valdesi e d'interesse valdese (pp. 443-50); compilazioni d'origine cattolica (pp. 451-53), hussita-taborita (p. 454), e infine la vastissima bibliografia (pp. 459-500).
A. Molnar è autore dei capitoli che ricostruiscono la storia travagliata e pur avvincente di questa comunità di «libero evangelismo itinerante», dall'entrata in scena dell'Inquisizione alla diaspora dei Valdesi nell'Europa meridionale e centroorientale (c. IV), all'incontro col movimento hussista in Boemia (c. V), fino all'incrociarsi con la Riforma del XVI sec. (c. VI).
Nell'insieme un affresco esauriente del Valdismo medievale ricostruito sulle tracce delle fonti originali, con ammirevole controllo dell'immensa letteratura. Lo studioso dei movimenti religiosi del medioevo vi troverà, oltre all'apporto personale degli AA., i più recenti contributi - ora condivisi ora dibattuti - di medievalisti quali Dupré-Theseider, Morghan, Dondaine, Ilarino da Milano, Thouzellier, Manselli, Le Goff...
In un'opera di siffatto respiro non potevano non occorrere pagine "deboli", o perlomeno controverse. Gli AA. del resto ne sono consapevoli e sottopongono la loro fatica a pubblico dibattito. Ne cogliamo l'occasione per alcune annotazioni critiche, che non pregiudicano, peraltro, il riconoscimento del valore dell'opera nel suo insieme. Ci si riferisce soprattutto al cap. VIII (La théologie vaudoise, pp. 371-441). A. Molnar vi abbozza una sintesi di giudizio critico-teologico del ruolo del Valdismo e nell'evangelismo dei sec. XII-XIII e nella storia della riforma della Chiesa in chiave evangelico-apostolica.
Diciamo subito che gli AA., pur nel rigore storico e senz'ombra d'apologia alcuna, si muovono all'interno d'una tradizione cristiana a confessione evangelica. Così si comprendono inquadrature storiografiche dove termini complementari (nella spiritualità e letteratura patristico-medievale) quali Scrittura e sua interpretazione, fedeltà evangelica e origine dei ministeri sacri, Chiesa di Cristo e Chiesa del tempo, comunione dei credenti e temporalità sacramentale della Chiesa, libertà dell'annuncio evangelico e corresponsabilità ecclesiale ecc. tendono ad irrigidirsi in unità teologiche tanto nette da risolversi in opposizioni disgiuntive. Ma ciò non può essere, in fondo, oggetto di dibattito, semmai stimolo per comune ricerca e crescita nella fede del Cristo.
Ciò che invece ci lascia perplessi, nella monumentale opera di Gonnet e Molnar, è la tendenza storiografica a isolare - implicitamente a contrapporre - l'evangelismo valdese da quello, diciamo così, "ortodosso ". Siffatto progetto storiografico oltreché rompere la comprensione delle costanti socio-religiose che vanno da Roberto d'Arbrissel a Valdo a Durando di Huesca a Francesco d'Assisi a Domenico di Gusman e ai seguaci di costoro, si priva dell'occasione di cogliere - al di là delle categorie degli eresiologi del tempo - la maturazione dell'evangelismo nella corrente mendicante. Questa, salvo alcuni sparsi riferimenti, è la grande assente nell'opera di Gonnet e Molnar. Eppure quanto della novitas evangelica corre nella comunità dei credenti tramite gli Ordini mendicanti (novae et inauditae religiones!) sarebbe dovuto esser perlomeno un punto di riferimento per tracciare le coordinate proprie dell'evangelismo valdese e della sua evoluzione. Tale lacuna non poteva non dar luogo a rapide infelici escursioni sul versante dell'evangelismo "ortodosso ". Così l'immancabile confronto "Pietro Valdo - Francesco d'Assisi" risulta, a nostro avviso, deludente:
«...le destin différent des deux réformateurs a été déterminé plutot par l'attitude différente des hiérarchies ecclésiastiques locales, ainsi que par la profonde diversité non seulement des caractères, mais aussi des points de vue respectifs sur l'autorité ultime en matière de foi: les saintes Ecritures pour Vaudès, le magistère romain pour François» (p. 83).
Oppure si prendano i fugaci riferimenti alle posizioni di Tommaso d'Aquino sulla perfezione evangelica. A p. 398 si afferma, sull'autorità di U. KUEHN (Via caritatis. Theologie des Gesetzes bei Thomas von Aquin, Goettingen 1965) e senza riferimento a testi tomistici che secondo l'Aquinate la Legge nuova o esplica quanto già implicitamente contenuto nella Legge antica, o vi aggiunge del nuovo; ma in questo caso a mo' di "consiglio", senz'obbligo alcuno.
È vero che la formulazione scolastica "consigli-precetti" rifluita nel corrispondente binomio "facoltativo-obbligatorio" trattenne oltremodo i controversisti Mendicanti. Ma, almeno per Tommaso d'A., la tematica consigli-precetti riguarda la mediazione strumentale (dedotta dalle forme storico-empiriche della vita cristiana) dei consigli rispetto ai precetti, non la perfezione evangelica come tale (Cf. Contra doctrinam retrahentium a religione c. 15; Ed. Leonina t. 41, rr. 168-71). Questa è anzi riallacciata al battesimo (ib. c. 13, 192-94), è invito del Signore rivolto a tutti i credenti (c. 9, 129-31; 148-51), e consiste essenzialmente nella carità, o precetto dell'amore di Dio e del prossimo (c. 6, 38-39; 147-49). E sarebbe superfluo rammentare il grande trattato De lege nova nella Summa (I-Il, qq. 106-108) dove si afferma, tra l'altro, che «principaliter lex nova est ipsa gratia Spiritus Sancti» (I-Il, 106, 1). E la portata ecumenica della teologia del De lege nova, quale in Tommaso d'A., non è stata ancora sufficientemente illustrata.
A proposito del conflitto tra Chiesa, stabilitasi in istituzioni temporali a sfondo feudale, e urgenza della dimensione escatologica che preme per una continua riforma, Molnar scrive:
«En identifiant les églises, ou la chrétienté, au Royaume de Dieu, la théologie rend inefficace le message eschatologique. On sait que Thomas d'Aquin, en rejetant la conception dynamique de l'histoire de Joachime de Flore à cause de son caractère fantaisiste a également repoussé sa critique au sujet de l'asservissement de l'Eglise aux conditions actuelles du monde et il a accentué le caractère statique soit de l'Eglise que de l'histoire» (p. 417).
Nessun testo e nessun autore è offerto a conferma di sì grave valutazione storica. Eppure l'A. aveva a disposizione eccellenti lavori sull'ecclesiologia di san Tommaso, centrata nella congregatio fidelium e nella fides, proprio quando i decretalisti ed i sostenitori ad oltranza della plenitudo potestatis deviavano la nascente dottrina sulla Chiesa in ierologia monocratica (cfr. Y. CONGAR, L'idée de l'Eglise chez saint Th. d'A., in Esquisses du Mystère de l'Eglise, Paris 1953, pp. 59-91; ID., L'Eglise de st. Augustin à l'époque moderne, Paris 1970, pp. 232-41. J. HAMER, L'Eglise est une communion, Paris 1962: St. Thomas, théologien du corps mystique, pp. 71-86). Per quel che attiene al nostro soggetto, ci sembra che proprio un confronto ampio e dettagliato tra l'esperienza evangelica del Valdismo e quella mendicante d'un Tommaso d'A. potrebbe illuminare le caratteristiche fondamentali dell'evangelismo "cattolico" del Duecento da una parte, e di quello - diciamo così - di "rottura", quale il valdese, l'arnaldista, persino quello di Petro di Bruis e del monaco Enrico, e successivamente delle frange estreme del francescanesimo più o meno gioachimite.
Ed ecco alcune riflessioni critiche in proposito.
1. Anzitutto ci sembra fortemente improbabile che la «conception dynamique de l'histoire de J. de Flore» risulti di fatto e «dinamica» e «storica». La nozione ermenutica sottesa alla concordia delle diverse fasi (status) della storia sacra (5 ère prima di Cristo secondo il primo gruppo di Chiese menzionate dall'Apoc., 7 quelle cristiane quante le Chiese del secondo gruppo, 12 in tutto quante... le tribù d'Israele: cfr. In Apoc. f. 27 d, 29 c) è quella d'intendere fatti e personaggi delle aetates successive come repliche fedeli e simmetriche di fatti e personaggi delle aetates anteriori; cosicché si possono prevedere e predire, fin nei particolari e nelle date, avvenimenti futuri a partire dai prototipi delle aetates precedenti (cosa che puntualmente la letteratura giachimita fa con dovizia di particolari e penuria di senso storico). E si sa come fatti e personaggi biblici sono evocati tal quali dall'esegesi "spirituale" di Gioachino per comparire nelle fasi cronologicamente susseguenti della storia sacra. Il gusto poi dei dettagli, della replica simmetrica, delle scadenze fisse finisce per congelare l'iniziale curiosità per una visione storica della rivelazione in una metafisica archetipale delle aetates mundi et ecclesiae (si ricordi la coaptatio temporum di Bonaventura: In Hexaemeron, Coll. 16, Quaracchi t. 5). Le ère risultano segmenti di testo strutturalmente sovrapposti (per via delle 5 intelligentiae spirituales e delle 7 species dell'intelligentia typica che possono scapricciarsi simultaneamente sulla medesima littera: cfr. Psalterium f. 265 d) più che giunti d'una successione temporale. La famosa «terza età» non è una tappa storica della rivelazione ma l'intelligentia spiritualis delle precedenti (Denifle, F. Russo). Insomma, il nerbo del gioachinismo è un'ermeneutica non una storia.
Concordiam proprie esse dicimus, similitudinem proportionis novi et veteris testamenti... cum videlicet persona et persona, orda et ardo, bellum et bellum ex parilitate quadam mutuis se vultibus intuentur: utpote Abraham et Zacharias, Sara et Elizabeth, Issac et Baptista, et homo Jesus et Jacob, duodecim Patriarchae et numeri eiusdem apostoli, et quodlibet simile... (Concordia f. 7 b).
Contro Gioachino e il gioachinismo apocrifo (si ricordi il caso dell'Evangelium aeternum a Parigi 1254), Tommaso d'A. afferma:
a) Nessuno conosce l'ora della fine del mondo (De Pot. q. 5, a. 6); chi volesse pronosticarla risulterebbe ciarlatano e presuntuoso (falsiloqui, praesumptuosissimi: In IV Sent. d. 43, q. 1, a. 3, q.la 3, sol. 2; Contra impugnantes c. 24 rr. 34-38). Al tempo è restituita la sua improgrammata libertà, condizione prima per una qualsivoglia teologia della storia. Ma non ne è mortificata la tensione escatologica, se questa non ha da esser confusa col pronostico gioachimita. Solo la Chiesa celeste è la «vera Chiesa»: In Eph. c. 3, lect. 3; In Hebr. c. 1, lect. 4; dimensione escatologica della Chiesa: III, 8, 3; trasformazione escatologica delle virtù morali: II-II, 136, 1, ad 1; della carità: In IV Sent. prol.; dei sacramenti: III, 80, 2; consumazione della pace: In Joa. c. 14, lect. 7; la consummatio delle disposizioni salvifiche nella lex nova: I-II, 106,4; cf. Contra impugnantes c. 24.
b) La salvezza trova luogo, in fasi graduali, nella e attraverso la successione temporale della storia (Contra imp. c. 24, 99-111; I-II, 106, aa. 3-4).
c) La sequenza V.-N. Testamento non va intesa come corrispondenza meccanica di fatti e personaggi archetipi («non tamen oportet quod singula respondeant singulis»: In IV Sent. d. 43, q. 1, a. 3, sol. 2, ad 3) che sarebbe una sequenza ermeneutica, non fattuale; quando si dà invece che l'ordo rerum non ricalca l'ordo figurarum (Contra doctr. c. 7, 179-87). Si tratta invece della consummatio della lex nova che si fa strada tra i gradi, le diversità, le novità che il tempo impone alle cose, agli uomini, alle circostanze (I-II, 106, 4). Gioachino aveva detto che la concordia tra le molteplici aetates andava rintracciata «non secundum cursum historiae sed secundum quid» (Concordia f. 42 b-c).
d) La Lex nova (= lex evangelii: I-II, q. 106) è il principio normativo e definitivo dell'essere e della crescita della Chiesa (I-II, 106, 4; applicazioni storiografiche alla vita dei credenti in Contra imp. c. 6; Contra doctr. cc. 14-16).
2. La dimensione storica della Chiesa che cresce nella temporalità e socialità (interesse che non poteva sorgere nell'ontologismo ermeneutico di Gioachino) è confermata dalla riproposta, nell'oggi della Chiesa, della perfezione evangelica consegnata da Cristo agli apostoli e alla Ecclesia primitiva (Specimina in Contra imp. c. 6; Contra doctr. cc. 14-16).
3. La «donatio Constantini» è un deplorevole effetto della decadenza (relaxatio, indulgenza verso gli infirmiores) della primitiva perfezione cristiana, la quale comporta la povertà assoluta («ad rigorem evangelicae disciplinae pertinere, quod aliquis careat omni possessione terrena»: Contra doctr. c. 15, 222-24); l'esempio primitivo della Chiesa di Gerusalemme fu offuscato dalla conversione in massa dei "gentili", ma fu perpetuato dai monaci d'Egitto: il cristiano deve «resumere» nel suo oggi la perfectio primitivae Ecclesiae (ib. c. 16, 7088).
4. Ma alla base delle singole posizioni di Tommaso (che appaiono "moderate" ad una riforma precipitosa e corriva alla lacerazione, costretta dalla propria impazienza a replicarsi in controproposte spiritualistiche e asociali) c'è un fatto culturale che mancò nelle correnti radicali dell'evangelismo: il confronto e l'assunzione delle conquiste culturali dell'Europa dei secoli XII-XIII a servizio d'una riflessione organica della fede (la sacra doctrina), che sapesse istaurare un discorso di fede adulto, capace di rendersi credibile quando fosse al servizio del rigor evangelicae disciplinae. Le opposizioni sorte e da un diritto ecclesiastico a stampo territoriale e da un'ecclesiologia gerarchico-dionisiana, dettero credito ad una riproposta evangelica tipo Mendicanti, se costoro avevano da render ragione evangelica della loro esistenza, come compagini di Chiesa, tra l'ordo clericorum e l'ordo monacborum. A differenza dei Valdesi che traggono vanto dall'essere idiotae et illitterati, san Tommaso rivendica, contro i maestri Secolari, il diritto dei Mendicanti allo studio e all'insegnamento delle scienze sia sacrae che saeculares (Contra imp. c. 11), promuove la funzione dottrinale - tra i presbyteri curati e gli episcopi - dei doctores sacrae theologiae come ricerca delle attuazioni storiche della parola di Dio («inquirunt et docent qualiter alii debeant salutem animarum procurare»: Quodl. 1, a. 14; cfr. anche Contra imp. c. 2, 212-21; 24656; 273-75; 446-50; 509-81): un officium a statuto professionale, da equiparare socialmente ai diritti delle artes mechanicae (Contra imp. c. 7, 723-34; Quodl. 7, a. 17).
L'evangelismo che accetta i ritmi delle crescite sociali e culturali del tempo della Chiesa evita l'emarginazione:
a) facendosi portatore delle nuove istanze di fede e delle nuove emergenze storiche ( classi sociali urbane d'un'economia artigianale e commerciale postfeudale);
b) creandosi gli strumenti per riasserire credibilmente e realisticamente le legittimità della riproposta evangelica (serrata difesa dell'esigenze della perfectio evangelica contro i Secolari rinnovando la subalternazione delle auctoritates medievali e scrutinandone la forza probante alla luce della normatività della lex evangelii; es.: ridimensionamento delI'ecclesiologia a schema gerarchico-dionisiano [Contra imp. 4, 1062.64; I, 106, 3, ad 1]; expositio reverenziale dei testi pseudo-isidoriani della «donatio Constantini» [Contra doctr. 15, 287-354]; restituzione del munus praedicandi all'atto ecclesiale della missio, laddove il diritto feudale territoriale lo monopolizzava ai presbyteri aventi la cura plebis [Contra imp. c. 4]; riproposta del "lavoro manuale" come qualsiasi professione da cui, in una società post-agricola, si possa trarre onesto sostentamento [Quodl. 7, a. 17]);
c) collocandosi all'incrocio tra Scrittura e tempo della Chiesa, per fissare i termini d'una credibile esegesi di quella e d'una storiografia critica di questa.
E si potrebbe continuare (ma più ampia illustrazione di quanto sopra si troverà nel nostro lavoro: La Lex nova tra storia ed ermeneutica di prossima pubblicazione in MD). Rimane che all'origine della divaricazione dell'evangelismo valdese da quello mendicante fu, a nostro avviso, l'opposta attitudine nei riguardi delle maturazioni umane e culturali del "rinascimento medievale". Esse erano il luogo e le condizioni, per il credente, di riproporre la lex evangelii nel presente della Chiesa senza lacerazioni e senza utopismi. La fede fa la sua incarnazione nel sapere umano. Da esso trae parola per esprimersi e proclamarsi.
A. Molnar riconosce apertamente che tale non fu il caso del Valdismo (pp. 372-73; cf. anche pp. 79, 81, 87, 200).
Quanto avvenne nella seconda fase dell'evangelismo dei Mendicanti (trapasso dalla praedicatio alla coercitio con la Inquisizione, soppressione degli Ordini di non «evidens utilitas Ecclesiae»: Conc. di Lione 1274; servizio più alla plenitudo potestatis che all'exemplum apostolorum; lotte e follie per la povertà francescana; imposizione del diritto patrimoniale ai Minori con l'Ad Conditorem di Giovanni XXII...) fa parte d'un capitolo successivo dell'evangelismo "ortodosso". Forse del suo declino. Certamente della sua crisi. Richiede, in ogni caso, altro discorso e altra valutazione.
EMILIO PANELLA, o.p.
■ Recensione, «Memorie domenicane» 4 (1973) 428-29:
AA.VV., Les mendiants en pays d'Oc au XIIIe siècle, Cahiers de Fanjeaux, 8. E. Privat éd., Toulouse 1973, pp. 448, F. 48,00.
I Cahiers de Fanjeaux raccolgono, come si sa, i risultati dei «colloques» annuali di studiosi della Linguadoca medievale.
Il presente quaderno contiene i seguenti contributi:
C. RIBAUCOURT, Les Mendiants du Midi d'après la cartographie de l'enquéte. M.H. VICAIRE, Le développement de la province dominicaine de Provence (12151295). F.R. DURIEUX, Approches de l'histoire franciscaine du Languedoc au XIIIe siècle. S. LESUR, Le Couvent des Grands Carmes de Toulouse au XIIIe siècle. E. YPMA, Les études des Augustins et leur installation dans le Midi. J. LE GOFF, France du Nord et France du Midi dans l'implantation des Ordres Mendiants au XIIIe siècle. A. CAZENAVE, Les ordres Mendiants dans l'Aude et l'Ariège. E. BARATIER, Le mouvement mendiant à Marseille. M. DE FONTETTE, Les Mendiants supprimés au 2me Concile de Lyon (1274). Frères Sachets et frères Pies. A. BOCQUET, Les Clarisses méridionales. J. VINAS, Les premières religieuses du monastère sainte-Claire de Béziers (1259-1512). N. COULET, Un couvent royal: les Dominicaines de Notre-Dame-de-Nazareth d'Aix au XIIIe siècle. Y. DOSSAT, Opposition des anciens ordres à l'installation des Mendiants. P. AMARGIER, Robert d'Uzès. C. CAROZZI, Le ministère de la confession chez les Précheurs de la Provence. R. MANSELLI, Divergences parmi les Mineurs d'Italie et de France méridionale. J. PAUL, Evangélisme et franciscanisme chez Louis d'Anjou. Y. DOSSAT, De Vaudès à saint-François à Montauban. R. MANSELLI, Conclusion.
Un quaderno ricco per dovizia d'informazioni e per illustrazioni preziose delle ripercussioni dell'espansione dei Mendicanti sulla vita religiosa e sociale della Linguadoca. Attraverso la recensione minuziosa del numero dei conventi, loro sviluppo, collocazione e trasferimento, affiorano i nodi sociali a cui è indisolubilmente legato l'evangelismo mendicante: urbanizzazione, economia monetaria, pastorale urbana, affermazione dell'elemento clericale in seguito all'importanza data all'istruzione e alla cultura. Resistenze, in molte città, all'entrata dei Mendicanti da parte delle istallazioni parrocchiali e degli antichi ordini monastici; resistenze opposte ora con cavilli giuridici, ora con pressioni del signorotto locale, ora... a mano armata; come a Mézin, dove nel 1291 i Francescani, dappoco sistematisi, furono aggrediti tra il lusco e il brusco e malmenati da una squadra punitiva di monaci cluniacensi con a capo priore e sagrestano! La soppressione dei Mendicanti (ad eccezione dei Predicatori e Minori) del 1274 provocò interessanti fenomeni di laicizzazione e volgarizzazione dello spirito mendicante. Importante ancora il fervore gioachimita che, nel Mezzogiorno della Francia, maturò presso i Minori crisi e fratture che segneranno l'evoluzione del Francescanesismo (Pietro di Giovanni Olivi, Ugo di Digne e sua sorella Douceline, Costituzioni Narbonesi...). Un volume, insomma, di grande interesse sia per l'attenzione data ai fattori socio-economici che accompagnarono l'esplosione dei Mendicanti (vi si conferma la solidarietà sociologica tra Mendicanti e società urbana ad economia monetaria e commerciale), sia per le tabelle che coronano minuziose ricerche d'archivio.
E. P.
■ Recensione, «Memorie domenicane» 6 (1975) 403-06:
AA.VV., Eretici e ribelli del XIII e XIV secolo. Saggi sullo spiritualismo francescano in Toscana. A cura di D. MASELLI, ed. Tellini, Pistoia 1974, pp. 327, L. 3.800.
Il volume raccoglie undici saggi d'un «gruppo di ricercatori dell'Università di Firenze» sotto la direzione del prof. Maselli. Il quale introduce le ricerche (pp. 7-16) e ne dà una valutazione finale (pp. 285-91) nell'ambito d'un programma più vasto, inteso a ricostruire le caratteristiche della riforma della Chiesa tentata dall'evangelismo francescano all'incrocio con l'esperienza degli Spirituali, Fraticelli, Spiritual-gioachimiti e intrecciatosi coi Valdesi. In una prospettiva storico-teologica che non nasconde predilezione - cosi almeno ci sembra - per l'evangelismo e francescanesimo d'ispirazione radicalapocalittico. In ogni caso, la proposta di rievocare esperienze e forme molteplici dell'evangelismo medievale per coglierne le confluenze storiche e spirituali invita a superare la consuetudine storiografica di tenerle rigidamente separate sul discrimine d'una tradizione eresiologica, se non addirittura confessionale. E ciò dà respiro e valore all'opera intrapresa dal prof. Maselli coi suoi collaboratori.
I contributi, originati da tesi di laurea (p. 7), sono vari sia per tema che per qualità.
D. CORSI e V. ANTICHI studiano l'inquisizione a Firenze nel XIII (pp. 65-91) e XIV secolo (pp. 213-31). I due saggi si distinguono sia a motivo del contributo di ricerca archivistica sia per l'avvertenza a situare l'inquisizione tra le componenti religiose, sociali e politiche di cui fu espressione nella Firenze del tempo. Alcuni personaggi "discussi" del francescanesimo primitivo, frà Elia e Ruggero Bacone sono rievocati rispettivamente da F. FAINI (41-63) e A. GALARDINI (135-55). R. LIVI ricostruisce con accuratezza le tappe della scuola francescana di Oxford (93-120). Evidentemente la critica di Ruggero al nuovo corso teologico di Parigi per opera di Alessandro di Hales, così come le simpatie gioachimite del gruppo francescano di Oxford (Grossatesta, Adamo Marsh e lo stesso Ruggero) potrebbero essere commentate meno entusiasticamente se l'evocazione storica del nuovo corso parigino fosse andata oltre le affermazioni di principio. Altri saggi sono dedicati al conflitto tra Secolari e Regolari a Parigi (R. PARRINI, pp. 121-33), all'influsso del francescanesimo (A. BENVENUTI, pp. 157-87), ai vescovi della società fiorentina del '300 (E. ROTELLI, pp. 189-211), agli Spirituali (A. INI, pp. 233-52) e Fraticelli in Toscana (S. POGGI, pp. 253-83).
Apre il volume il saggio di Alessandra CAMPAGNANO, La figura di Francesco d'Assisi presso i suoi contemporanei e gli uomini del secolo successivo, pp. 17-39. Tema arditissimo e pieno d'insidie. Nessuno ne uscirebbe indenne, specie se la "figura" di Francesco fosse figurata anzitempo; prima cioè di dibattere la questione delle fonti francescane. Non si chiedeva alla gentile Autrice di sciogliere il nodo della "questione francescana". Ma era lecito attendersi che fossero segnalate le fonti preferite dall'A., o comunque tali da giustificare la "figura" di Francesco presentata nel saggio e assunta a criterio storiografico per liquidare le "altre figure". A giudicare comunque dall'aggettivazione e dal tono generale, l'A. sembra ispirarsi alle fonti francescane della corrente spiritual-gioachimita (v. ad esempio p. 23). Ma non discutiamo dei gusti. Diciamo che se una "figura" di Francesco era necessaria per valutare deformazioni e strumentalizzazioni successive, bisognava pur scavalcare di colpo le fonti posteriori al 1230, e tentare di sapere chi fosse e che volesse Francesco proprio nei documenti anteriori al caso frà Elia e non contaminati dalle polemiche sulla povertà (cf. K. ESSER, Origini e inizi del movimento e dell'ordine francescano, Milano 1974, c. I: Il problema delle fonti, pp. 13-23). Così, ad esempio, il luogo comune di Francesco contrario allo studio (opera recensita, pp. 12, 35-37) attinto alle fonti spiritualradicali, sarebbe stato illustrato dall'adattamento progressivo (dalla "protoregola" del 1209/10 alla regola "non bollata" del 1221, a quella "bollata" del 1223) dello stesso Francesco alle occasioni nuove e reali che il ritmo del tempo suggeriva alla testimonianza evangelica.
K. ESSER: «Anche in questo frangente emerge la constatazione che le fonti primarie della storia dell'Ordine considerano l'orientamento dello stesso allo studio come un processo del tutto spontaneo e ovvio. Nessun accenno di rifiuto è documentabile, anzi si vede in tutte lo sforzo di assimilarlo al genuino spirito francescano» (o.c., pp. 191-92 - con relativi rimandi alle fonti).
Semmai in questo campo, come in quello della povertà, del lavoro manuale, della missione apud Saracenos ecc., andava fatto lo sforzo di metter in luce le diverse tinte di cui medesimi valori evangelici si colorano presso diverse esperienze storiche o spirituali. Si potrebbe, ad esempio, illustrare il diverso ruolo dello studio nell'evangelismo francescano e in quello domenicano (cfr. UMBERTO DE ROMANS, Expositio Regulae B. Augustini c. 143: De utilitate studii in ordine Praedicatorum; c. 144: De studio philosophiae, in Opera de vita regulari, ed. BERTHIER, Marietti 1956, voI. I, pp. 433-39; Expositio super Constitutiones c. 13: Utrum possimus studere in philosophiam, ib. II, pp. 42-44. Cf. G.C. MEERSSEMAN, «In libris gentilium non studeant». L'étude des classiques interdite aux clercs au moyen âge , «Italia Mediev. Umanist.» 1 (1958) 1-13).
Parimenti scrivere, in contrapposizione all'opera legislativa di Francesco, che san Domenica «accettò di adattare per i suoi la regola dei canonici regolari di S. Agostino, secondo i dettami del Concilio Lateranense del 1215, e accettò la cultura del suo tempo» (p. 19) e passare oltre (che significa accettare la cultura?) fa sospettare che s'ignori: a) che san Domenica adottò, non adattò, la cosiddetta regola di sant'Agostino; b) che san Domenica non ha lasciato alcuna regola; c) che la legislazione primitiva dell'Ordine domenicano si formò gradatamente e a più riprese, interpretando contingenze storico-istituzionali del tempo da una parte, e la vocazione apostolico-evangelica dei Predicatori dall'altra: dalle "consuetudini" del 1216, alla "carta della predicazione" del capitolo generale del 1220, alle costituzioni raimoniane del 1239-41 (cfr. H. VICAIRE, Storia di san Domenico, Alba 1959, Appendice V, pp. 576-81; e pp. 305-18; 441-53. ID., Saint Dominique de Caleruega d'après les documents du XIII s., Paris 1955, Parte III: La législation primitive, pp. 111-92).
Ma veniamo a una delle tesi principali sostenuta dalla Campagnano. Quale fu l'atteggiamento dei domenicani verso san Francesco?
« Il loro [dei domenicani] unico scopo fu quello di dare una fisionomia ben precisa della santità del Poverello d'Assisi (p. 18). I domenicani si resero presto conto che specialmente sulle masse più povere [...] faceva piùeffetto la figura di S. Francesco che quella di S. Domenica. Quindi, come appare nei loro scritti, cercarono tutto il possibile di rendere simili i due fondatori e bisogna dire che furono abilissimi [...] Il loro [dei domenicani] unico scopo fu quello di togliere alla figura di Francesco il dinamismo che le derivava dal fatto che Francesco era diventato povero per seguire i dettami evangelici... (p. 19). In pratica i domenicani [chi? quanti? tutti?] ridussero Francesco a un santo di dimensioni minori dal punto di vista ideologico» (p. 21). Cf. anche pp. 24, 29, 36 (s. Francesco «strumentalizzato» dai domenicani).
Siamo evidentemente di fronte ad una colossale macchinazione dei domenicani contro il poverello d'Assisi. Cosa sfuggita perfino agl'illustri studiosi dell'uno e dell'altro Ordine. (Nota che K. ESSER, o.c., p. 22 accoglie tre fonti domenicane utili per ricostruire la figura storica di Francesco: Bartolomeo da Trento, Liber epilogorum (1243-51); Giacomo da Varazze, Legenda aurea (dopo il 1265); le Lectiones su san Francesco del breviario domenicano. Tutt'e tre le fonti sono inserite in Testimonia minora saec. XIII de s. Francisco Assisiensi, Quaracchi 1926, e in Anal. Franc. vol. X).
Le prove?
1. «Nei loro scritti [non si indica quali, né nel testo né in calce] sul santo d'Assisi, i Domenicani posero sempre l'accento sulle prediche agli uccellini, sui particolari miracolosi della vita, ma soprattutto in modo martellante sull'amicizia fra i due santi [...] Francesco e Domenico, come è noto, si conobbero a Roma in occasione del Concilio Lateranense» (p. 20).
Non è affatto noto che i due santi s'incontrassero in occasione del Lateranense IV (1215). Si tratta solo di una leggenda riportata da GERARDO DI FRACHET, Vitae fratrum (1260) (MOPH I, 1896, p. 8). L'unico incontro probabile è del 1221 presso il cardinale Ugolino. La fonte ne è il francescano TOMMASO DA CELANO (Legenda secunda c. 100) (cf. VICAIRE, o.c., pp. 295, n. 41; 341, n. 79; 447, n. 59). Il che non permette di concludere che la storiografia domenicana abbia «martellato» l'episodio dell'incontro.
2. Leggenda dei due santi in «gara d'umiltà» davanti al cardinale Ugolino. E' riportata da Giacomo da Varazze (Legenda aurea) dove l'episodio termina esattamente con queste parole: «vinse l'umiltà san Francesco di non ponersi innanzi... e vinse san Domenico che, rispondendo prima, ubbidisse umilmente» (ed. volg. LEVASTI, Firenze 1926, vol. III, p. 1264).
L'Autrice del saggio in questione vi trova materia per commentare: «Povero Francesco, com'è ridotto!» (p. 21). Ad ogni modo, gli studiosi delle fonti francescane affermano che la «vita di san Francesco» della Legenda aurea attinge alla Legenda del Celano e a quella di san Bonaventura, di cui copia a volte lunghi passi (Cf. E. LONGPRE in Dict. de Spirit. 5 (1964) col. 1269; K. ESSER, o.c., p. 22).
3. I domenicani avrebbero sfruttato la «teoria dei due lumi» (Francesco e Domenico) per divulgare la presunta amicizia dei due fondatori; mentre «generalmente i Francescani si guardarono bene nei loro scritti di parlare dell'amicizia fra il loro fondatore e Domenico di Guzman» (p. 22; anche p. 20).
Come d'abitudine, l'Autrice non offre documenti comprobanti l'intento delatorio della «teoria dei due lumi». L'abbinamento Francesco-Domenico fu percepito come comune, spontaneo patrimonio dei due Ordini. La lettera Clarissimis et dilectissimis (1255), inviata in solido dal generale dei francescani e domenicani (Giovanni da Parma e Umberto di Romans) ai frati dei due Ordini ha una lunga serie d'immagini bibliche applicate ai due fondatori: duo luminaria, duae tubae, duo Cherubin, duo ubera Sponsae, duo filii olei splendoris, duo testes Christi, duae stellae lucidae... (cf. UMBERTO DE ROMANS, o.c., v. II, p. 495). L'origine? La prima letteratura celebrativa dei due Ordini ha avuto forti simpatie per Gioachino da Fiore. I dittici duo testes, duae olivae, duo candelabra, duae virgae con cui Gioachino prefigura l'ordo praedicatorum (Elia e Enoch?) furono presto applicati dai frati mendicanti, con comprensibile emulazione, ai loro Ordini e rispettivi fondatori (cf. M. REEVES, The influence of prophecy in the later middle ages, Oxford 1969: Dominicans, pp. 161-74; Early Franciscans, Spiritual Francscans and Fraticelli, pp. 175-228; R. LADNER, L'ordo praedicatorum avant l'ordre des Precheurs, in MANDONNET-VICAIRE, S. Dominique, Paris 1938, t. II, pp. 11-68: si illustrano "profezie e predizioni" raccolte dal FRACHET, Vitae fratrum I, cc. 1-3; MOPH I, pp. 6-18). Più tardi la medesima "profezia gioachimita" servirà simili intenti celebrativi presso gli Eremitani di sant'Agostino e persino presso la Compagnia di Gesù (REEVES in Rech. Théol. Anc. Médiév. 25 (1958) 111-41). La "teoria dei due lumi" si riallaccia letterariamente più al topico medievale delle "prefigurazioni" - così almeno fanno presumere i pochi testi surriferiti - che alla manipolazione di fonti per la quale la Campagnano non offre testimonianze.
Quando scoppia il caso dell'Evangelium aeternum a Parigi (1254), il gioachinismo si rivela ben altra cosa che innocuo strumento d'esaltazione dinastica. E allora ci sarà luogo per nette prese di posizioni teologiche di Tommaso e Bonaventura nei riguardi dello spiritual-gioachinismo. E comincia un'altra pagina nella storia delle relazioni fra i due Ordini mendicanti, come fra le diverse correnti francescane.
Dallo spiritual-gioachinismo e dal radicalismo utopistico dei Fraticelli si può seguire, come di sguincio, l'evoluzione dell'Ordine minorita. Ma ci sembra che né l'una né l'altra corrente del francescanesimo possano presumere, senza previo dibattito, di costituirsi fonti primarie del francescanesimo primitivo. Né tantomeno l'immagine di Francesco che ne risulta può servire da criterio storiografico univoco per fissare quando e come la "figura" del santo d'Assisi si formò, si trasformò, si deformò.
E. PANELLA, o.p.