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5. Storia del codice

Nessuna nota di possesso antica permette di definire con più esattezza geografia tempi e ambienti culturali del nostro codice, dalla sua nascita al primo secolo di vita. Ipotizzare un'origine avignonese, entro l'attività letteraria e scrittoria che fiorì all'ombra della curia papale? Soltanto indizi remoti, neppur capaci di far passare l'ipotesi a verosimiglianza: due copisti di differenti tradizioni grafiche trascrivono un libro dalla spiccata unità fisica (ambiente internazionale?); Tolomeo risiede in Avignone per circa un decennio, dal 1307-09 al 1319, al servizio d'uomini di curia e cardinali (vi lascia esemplari dei propri scritti?); la prima testimonianaza esterna sul nostro codice proviene dalla biblioteca papale. E qui abbandoniamo piste erratiche per rientrare su tracciati sicuri. L'inventario dei manoscritti latini di Niccolò V (1447-55), redatto nel 1455 da Cosimo da Monserrat, bibliotecario di Callisto III (1455-58), registra:

Item unus liber parvus, ex perga., indutus coreo albo cum una serratura, nuncupatus de operibus sex dierum secundum tradiciones sanctorum (Vat. lat. 3959 (xv), f. 6v).

Cf. A.M. Albareda, Il bibliotecario di Callisto III, AA. VV., Miscellanea G. Mercati IV (Studi e testi 124), Città del Vaticano 1946, 178-208. Nessuna traccia nell'inventario papale avignonese del 1411: A. Maier, Ausgehendes Mittelalter, Roma (Storia e Lett.) 1977, 77-157: Der Katalog der päpstlichen Bibliothek im Avignon von Jahr 1411.

Proveniente dalla biblioteca personale dell'umanista Tommaso Parentucelli da Sarzana, raccolta nei centri europei durante il secondo quarto del Quattrocento? e con essa passato alla biblioteca pontificia quando il Parentucelli, diventato papa Niccolò V, ne avviò la ricostituzione umanistica? 

A. Manfredi, Primo Umanesimo e teologi antichi. Dalla grande Chartreuse alla biblioteca papale, «Italia medioevale e  umanistica» 32 (1989) 155-203. La mano corsiva di modulo minuscolo, quattrocentesca, che tra f. 119r e f. 161r del Casanatense 22 ricopia in calce i titoli dei capitoli del De operibus sex dierum di Tolomeo, non è la mano del Parentucelli. Così almeno da un confronto, rapido ma significativo, con riproduzioni fotografiche d'autografi parentucelliani cortesemente mostratemi (maggio 1992) da A. Manfredi, che ringrazio vivamente. (09/03/1997 uscito volume del Manfredi, collez. Studi e Testi, su inventari di Niccolò V).

Comunque sia, gli storici della biblioteca Vaticana  identificano il «liber parvus» dell'inventario papale 1455 con l'antico Vat. lat. 1060 dell'inventarista Domenico Ranaldi († 1606):

(Vat. lat.) 1060. Ptolomei de Lucca ordinis predicatorum de operibus sex dierum, lib. j: Quia igitur de prioribus. Cuius prologus: Magnitudine speciei. Ex perg. in albo, c(hartae) s(criptae) 170. Ant(iquus) in 16

e identificano quest'ultimo col Casanatense A.V.26, passato successivamente sotto la segnatura 22.

M. Bertola, Codici latini di Niccolò V perduti o dispersi, AA. VV., Mélanges Eu. Tisserant VI (Studi e testi 236), Città del Vaticano 1964, 135 alla lettera C (= ms scomparso dopo l'anno 1533). A. Pelzer, Codices Vaticani latini 679-1134, Città del Vaticano 1931, 615.

BAV, Sala Cons. Mss 302: Inventarium librorum lat. mss Bibl. Vat., to. II, pp. 276-77. A destra del nostro item, di mano del medesimo inventarista, «2932», che era il vecchio numero d'ordine portato dal ms, stando alle istruzioni dell'Inventario. Altra mano, coeva, con richiamo su «lib. j» aggiunge in marg. sin.: «est divisus in xv tract…»; su cui altra mano più recente ha scritto «Non corrisponde», intendendo che Vat. lat. 1060 dei suoi tempi non corrispondeva più al contenuto indicato dall'inventario. Su Domenico Ranaldi (Raiano, L'Aquila): G. Gualdo, Sussidi per la consultazione dell'Arhivio Vaticano, Città del Vaticano (Collect. Arch. Vat. 17) 1989, 366.

Non sussistono in realtà serie obiezioni a riconoscere un unico e medesimo ms nell'inventario 1455 di Niccolò V e nell'inventario seicentesco del Ranaldi. Per entrambi si tratta d'un libro manoscritto di piccolo formato, dalla coperta color bianco, membranaceo, contenente un de operibus sex dierum; secundum tradiciones sanctorum, ha in proprio Cosimo da Monserrat che prolunga la lettura dell'incipit; di carte scritte 170, in sedicesimo, opera di Tolomeo da Lucca OP, specifica il Ranaldi, che ha gettato un'occhiata anche all'explicit; suddiviso in 15 trattati, aggiunge il chiosatore con l'intento di correggere il generico «lib.». Il tutto entro la continuità di un'identica istituzione libraria, la biblioteca apostolica.

Né sussistono ragioni per sottrarsi al passo ulteriore e identificare il ms dei due inventari vaticani con l'attuale Casanatense 22 (già A.V.26), se solo si vorrà ripercorrere la descrizione fattane sopra. Conseguenza: abbiamo testimonianze certe dell'esistenza non di due ma d'un solo ms del De operibus sex dierum; che ha sì mutato nome e domicilio in compiacenza di nuovi padroni, ma che è quello stesso a noi pervenuto, sopra descritto e conservato oggi nella biblioteca romana del Casanate.

Uscì dalla biblioteca Vaticana dopo l'inventario Ranaldi e prima dell'anno 1782. Il Masetti ha annotato di proprio pugno l'accessione alla Casanatense a f. IIv di guardia, subito sotto la segnatura «A.V.26. Cod. 22»:

Dal libro maestro d'amministrazione si rileva che il presente Codice di Tolomeo da Lucca venne acquistato dal P. Audiffredi Prefetto sotto il dì 8 Giugno 1782, che lo dice rarissimo. Il Venditore fu certo Abe. Brochieri, che lo lasciò per scudi Due e Baj. 50. - P. P. T. M. 1884.

dove P. P. T. M. è da leggere: «Padre Pio Tommaso Masetti», ultimo prefetto domenicano della Casanatense (1872-84), in carica anche dopo l'incameramento del 1873, fino al 30 dicembre 1884. AGOP XI.3050 Libro di ricevute, p. 76-77; a fine p. 77 «Memoria anni 1873» autografa del Masetti circa le ultime vicende patrimoniali della Biblioteca; XI.3100 Acta curatorum operis Casanat., p. 103, pp. 104-111 autografe del prefetto Masetti (1873-84); XI.3170C.

Che invita a risalire al libro maestro della Casanatense; di fatto ancora esistente presso la sezione archivistica della medesima biblioteca:

Roma, Bibl. Casanatense, Archivio, Registri delle ragioni Ms. Cas. 436 (aa. 1781-1810). La prima mano, di G.B. Audiffredi, copre ff. 1-134, prime due entrate di f. 135r, e ricompare per l'ultima volta in ff. 137v e 138r-140r-v (maggio 1781 - maggio 1794). Una primitiva rapida annotazione di spesa relativa al nostro codice la si ritrova anche in Registri delle ragioni Ms. Cas. 435 (aa. 1782-98), f. 6v: «a' 8 <giugno 1782>. Mariano Pagalozzi fallegniame per saldo 11. e all'abate Brocchieri per il manoscritto 2. 50»; ma non è qui che il Masetti attinge la notizia. Ringrazio la dott. A. Torroncelli che mi ha aiutato a rintracciare i registri amministrativi della biblioteca.

«A dì otto <giugno 1782> a Mariano Pagalozzi per una scanzia di noce… scudi ventisette; più all'Ab. Brochieri, per Ptolomei Lucensis Tract. de operibus sex dierum, ms° in pergamena rarissimo scudi due d. 50» (Ms. Cas. 436, f. 17r).

Ma che purtroppo non rilascia ulteriori informazioni rispetto alla nota del Masetti. Salvo il fatto che l'abate Francesco Brocchieri, anziché proprietario venditore del codice come faceva  intendere il Masetti, va più attendibilmente ritenuto semplice intermediario nell'acquisto; scrittore com'era alle dipendenze della biblioteca Casanatense, e visti altri casi d'analogo impiego dei suoi servigi a favore dell'amministrazione bibliotecaria.

Ib., Archivio, Registri delle ragioni Ms. Cas. 435, ff. 1v (25.I.1782), 4v (23.IV.1782); Ms. Cas. 436, ff. 12r (26.I.1782), 15r,… 91r, 116r, 133r (26.V.1783, «all'abb. Brocchieri per la mesata»), f. 136r (24.VIII.1783): «al Sig. Abate Francesco Brocchieri, Scrittore, per la sua mesata scudi tre bajocchi 58».

Acquistato dunque mediante l'abate Brocchieri per scudi 2 e baiocchi 50. Dal mercato librario privato? Non sappiamo per quali strade il ms lasciasse la biblioteca Vaticana (venduto? sottratto?) e come pervenisse alla conoscenza del Brocchieri e dell'Audiffredi. Sappiamo invece che, mancato il De operibus sex dierum di Tolomeo dagli scaffali della Vaticana, successivamente i conservatori della biblioteca apostolica soppressero anche il suo numero d'ordine, ms lat. 1060, e l'assegnarono ad altro ms; a quello che tuttora è il Vat. lat. 1060 (xv sec.), contenente il De laudibus sancti Pauli di Giovanni Crisostomo e un'epistola di san Basilio (A. Pelzer, Codices Vaticani latini 679-1134, Città del Vaticano 1931, 614-15). Questo nuovo Vat. lat. 1060, oltreché depistare l'individuazione e la storia dei codici, non intrattiene alcun rapporto reale col De operibus di Tolomeo.

I. Taurisano, I domenicani in Lucca, Lucca 1914, 74 n. 1, dove si parla d'«un altro codice dell'Exameron» nella Vaticana. La Vita Gratiani, inserita tra le «opere inedite» del nostro Tolomeo (ib. p. 71), altro non è che una citazione della Historia ecclesiastica nova XXI, 18 fatta da una anonima Praefatio in Gratiani Decretum: Vat. lat. 5666 (xvi-xvii), ff. 83v-84, cap. «Gratiani vita ex historia Ptolomaei Lucensis et aliis probatis auctoribus collecta».

L'antica proprietà vaticana dell'opera tolomeiana non ha lasciato tracce di sorta nell'attuale codice Casanatense, né in note di possesso né in segnatura o timbri. Scomparse in occasione del restauro di rilegatura e coperta? Soppresse all'atto d'asportazione del ms dalla biblioteca Vaticana? Il Masetti nella nota non fa parola della provenienza vaticana del codice. Di fatto l'ignorava, come si deduce da quanto premette all'edizione:

«Unde <scil. codex> advenerit, an ex libris a benemerito Cardinali <Casanate> fundatore relictis, an secutis temporibus fuerit comparatus, vel potius, uti mihi persuadeo, ex aliquo nostro Coenobio advenerit, incertum est, cum careat quocumque indicio, aut notula» (ed. xiv). Più sopra aveva parlato del trattato di Tolomeo, già perduto per incuria, ora «longo veluti postliminio ad nos redeuntem» (ed. vi-vii), che vale qualcosa come: tornato finalmente a casa propria dopo lunga prigionia in terra altrui. Nulla tuttavia suffraga l'ipotesi che il codice sia il prodotto d'uno scrittoio conventuale o che fosse appartenuto ad una biblioteca conventuale domenicana.

L'ignorava anche l'Audiffredi all'atto d'acquisto? Noi la conosciamo, e in parte la deduciamo, soltanto ricucendo i frammenti di notizie dai due inventari summenzionati. Una barriera di silenzio eretta tra codice e suo antico secolare proprietario. Non rafforza il sospetto che la sottrazione del ms dagli scaffali vaticani non fosse del tutto innocente?

Libro «rarissimo», il De operibus sex dierum di Tolomeo, al dire dell'erudito prefetto casanatense Giovan Battista Audiffredi. Costui ne aveva conosciuto almeno qualche altro esemplare? Non credo. L'enfasi denuncia più la comprensibile soddisfazione di chi ha procurato alla propria biblioteca un'opera rara che di chi ha portato a termine lo spoglio della tradizione. Il giudizio dell'Audiffredi è su misure di chi ha or ora consultato l'autorità in materia, gli Scriptores OP di Quétif-Échard. Jacques Échard († 1724) scopre e utilizza per primo il «catalogo dei frati illustri per dottrina» (1394-1412) di Lorenzo Pignon OP († 1456); vi legge che Tolomeo da Lucca aveva composto anche un Exameron (non un De operibus sex dierum, si noti) ma confessa sconsolato: «quale sit vel ubi extet, hactenus assequi non potui» (SOP I, 543b § 8; voce Tolomeo di quelle marcate a inizio con asterisco, cioè completamente dovute a J. Échard, come si dichiara nella prefazione). Siamo all'anno 1719. L'unico esemplare allora certamente esistente o giaceva ancora ignorato nella biblioteca Vaticana o s'era imboscato nel mercato privato del libro nell'area romana. Gran merito dell'Audiffredi aver riconosciuto il valore del codice; e averlo messo al sicuro, con l'acquisto del 1782, presso una pubblica istituzione quale la Casanatense. Ma qualche altro esemplare sarà stato in circolazione nel corso del Trecento: come spiegare altrimenti che entro la prima decade del secolo seguente il borgognone Pignon censisse tra le opere di Tolomeo un Exameron?

MOPH XVIII, 29 n° 59. Meno verosimile, praticamente inverificabile, l'alternativa che la notizia provenisse al Pignon dalle antiche tabulae scriptorum OP, visto che nessuna delle derivazioni pervenuteci conosce l'Exameron di Tolomeo.

Giovan BattistaAudiffredi: nato in quel di Nizza, 1714, membro della provincia domenicana Utriusque Lombardiae, nominato secondo bibliotecario della Casanatense nel 1749, prefetto della medesima dal 1759 fino all'anno di morte 1794. AGOP XI.3090 Acta congregationis bibl. Casanat., p. 71, e autografe del prefetto Audiffredi pp. 95-103; XI.3050 Libro di ricevute, pp. 47 ss (attesta di proprio pugno ricevuta di onorario); XI.3160A, f. 8r-v; XI.3160B, pp. 10-11; XI.3170A, ff. 7r, 23v; XI.3170C, f. 16v. Succinta biografia in Th. Bonnet, Scriptores ord. Praed., Editio altera, Specimen, Lugduni 1885, 28-33.

Ne era esistita copia nella biblioteca del convento d'origine di Tolomeo, San Romano in Lucca? Nel 1447 il notaio lucchese Giovanni di Bartolomeo Nocchi redasse un inventario dei beni mobili del convento domenicano.

ASL, Notarile (Giov. di Bartolomeo Nocchi) n° 591, ff. 78-86 intero inventario (Lucca 28.IV.1447), ff. 82r-84v inventario librario. Edizione di quest'ultimo in D. Corsi, La biblioteca dei frati domenicani di S. Romano di Lucca nel sec. XV, AA. VV., Miscellanea di scritti vari in memoria di A. Gallo, Firenze 1956, 295-310; p. 304 nn. 169 e 189, 306 n° 255, i nostri item. «Scriptum super prophetam Yeremias et super librum priorum» (p. 303 n° 139) va letto «Scriptum super peryer(mini)as et super librum priorum»; «Bruto» (p. 305 n° 198) va letto «Bricto» (= Summa Britonis).

Nella sezione del fondo librario si leggono le entrate: «Liber de operibus sex dierum» (ASL, Notarile n° 591, f. 83vb), «Exameron beati Ambrosii» (f. 84ra), «Augustinus de doctrina christiana, de trinitate, super genesim ad literam, retractationum et octuaginta trium questionum in eo(dem) volumine» (f. 84v). Insufficiente per individuare con certezza nella prima entrata, adespota e senza incipit, l'opera del nostro Tolomeo; benché colpisca la perfetta coincidenza nel titolo, a distinzione ed esclusione delle opere omologhe d'Ambrogio ed Agostino («super genesim ad literam»), che il nostro Tolomeo utilizza sistematicamente. Ma annotiamone almeno la verosimiglianza, finché non si diano altre e più decisive ragioni a sorprendenti concorrenze: Lorenzo Pignon, l'unico dei catalogisti domenicani a conoscere l'Exameron del nostro Tolomeo, è anche l'unico a conoscere gli scritti d'un altro frate lucchese del primo Trecento, fr. Ubaldo (di Perfettuccio) da Lucca:

MOPH XVIII, 33 n° 118, da leggere però «… intitulavit Sententias sententiarum» (Paris, Bibl. Nat. lat. 14582, f. 142ra), in luogo di «intitulavit Summas summarum». E da Pignon la notizia passa ad Échard: SOP I, 732a. Gli scritti di Ubaldo sono anch'essi registrati dall'inventario lucchese 1447: cf. Corsi, La biblioteca 309 n. 145.

Per quali strade pervennero al catalogista borgognone del 1412 tali notizie? Nessun sentore, in periodi successivi, del nostro De operibus sex dierum nella biblioteca lucchese: non nelle Notizie del Di Poggio (1792), che pure s'intrattiene su altri scritti di Tolomeo; né soprattutto ve lo scovò l'Échard quando di ritorno da Roma per Parigi visitò la biblioteca conventuale di Lucca in agosto 1681.

F.V. Di Poggio, Notizie della libreria de' Padri Domenicani di S. Romano di Lucca, Lucca 1792.

SOP II, 750a; III, 371b. Sbaglia Di Poggio, Notizie della libreria p. 33, quando asserisce che il visitatore della biblioteca domenicana lucchese fosse Quétif e non Échard; non aveva che controllare nella prefazione a SOP I il significato dell'asterisco al margine dell'articolo su Lodovico Sesti.

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