Non mi soffermo su questioni d'autenticità, se non per ricordare che nel caso degli scritti di Tolomeo, tutt'altro che isolato, la quasi totale assenza d'attribuzioni esterne poco o nulla obietta contro la testimonianza tratta da struttura e contenuto delle opere, indissolubilmente legate l'una all'altra da continue e sistematiche autocitazioni. Per altro verso la critica letteraria conosce numerosi casi, perfino di scritti diffusissimi, le cui numerose testimonianze explicitarie di attribuzione valgono l'errore del capostite della tradizione medesima. E almeno per il De iurisdictione imperii et auctoritate summi pontificis, la diffusione anonima risale ad espressa volontà di Tolomeo, come si ricava dalle ultime battute del trattato («Sed eidem qui hec scripsit tacito nomine…»: M. Krammer, Determinatio compendiosa de iurisdictione imperii, Hannoverae-Lipsiae 1909, 64). Il nostro De operibus sex dierum al contrario è uno dei pochi casi che beneficia di esplicita attribuzione al nostro Tolomeo; e da parte d'un testimone manoscritto non esposto a insidiose concorrenze d'altri titoli negli incipit/explicit. Brani comuni con altri scritti tolomeiani, oltreché stabilire una rete fitta e coerente rimontante a un'unica penna, permette talvolta di fissare la cronologia, sia pure relativa, delle singole opere.
Il De operibus sex dierum composto sul finire Duecento, preferibilmente posteriore all'anno 1300, di certo anteriore al 1323, anno di canonizzazione di Tommaso d'Aquino, a giudizio del Masetti (ed. xiv-xv). L'anteriorità al 1323 è fuori dubbio, vista la frequente menzione di fr. Tommaso d'Aquino, senza titolo di beato/santo, fonte prediletta del frate lucchese; il quale del resto aveva intrattenuto personali rapporti col maestro negli ultimi anni napoletani di costui (1272-74). Una testimonianza per tutte:
Unde in hoc libro sic agitur de operibus sex dierum ut dicta materia ruditer tradita per legislatorem rudi populo, iuxta auditorum equalitatem, ut divus ait Augustinus I Super Genesim, exercitatos habentibus sensus subtilior reddatur et clarior ad edificationem fidei et consolationem legentium, quantum nobis tradiderunt sacri doctores et precipue illustrissimi viri Ambrosius et Augustinus, ac ex doctrina suscepimus preclarissimi viri fratris Thome de Aquino ordinis fratrum Predicatorum, qui hanc rerum creaturarum productionem inter latinos sacratissimos patres diligentius pertractarunt (prol.: ff. 2vb-3ra, ed. 3).
Tommaso è «preclarus doctor» (ed. 16, 19, 35, 45-46, 48, 62, 64, 71, 83, 90, 140, 152), «preclarissimus vir/doctor» (ed. 3, 102, 106, 173, 195). Dottore illustrissimo e riconosciuto “commentatore d'Aristotele”:
Sed de potentia intellectiva nunc est agendum, quam quidem propter sui nobilitatam bipartitam accipimus a Philosopho in II et III De anima. Quarum sufficientia<m> ex verbis eiusdem ac suorum commentatorum, et precipue illustrissini doctoris fratris Thome, habere possumus; quia necesse est in natura intellectiva anime duas esse potentias per quas anima intelligat et formas intelligibiles apprehendat (XIII, 17: De potentiis intellective partis; f. 129vb, ed. 179).
Cf. R.-A. Gauthier, A quelle date S. Thomas est-il devenu l'«expositor antiquus», «Angelicum» 51 (1974) 463-72.
Solennissime chiamate in autorità, quale non ci si attenderebbe d'incontrare così scopertamente in testi della seconda metà del Duecento, nemmeno presso i più fervidi discepoli di Tommaso. Nel primo dei testi citati, quasi in sequenza omologa con le “auctoritates” d'un Ambrogio e Agostino. «Preclarus doctor» è condiviso con Giovanni Damasceno, frequentemente citato, Girolamo e altri. Una temperie culturalmente e cronologicamente già molto avanzata, rispetto alle polemiche scolastiche degli anni '70 e '80 del Duecento? che non rifuggivano dal coinvolgere il nome del maestro domenicano in tesi sospette, o credute tali. Così verrebbe da pensare, se non dovessimo registrare in Tolomeo una predilezione per aggettivazione ridondante nei titoli d'onore, quale il frequentissimo «divus» preposto a nomi di autorità, specie patristiche; aggettivazione discordante dalle convenzioni prevalenti presso scrittori scolastici del Due-Trecento. Colpisce la ricomparsa del preferito «preclarus doctor» (ben 12 ricorsi nel De operibus sul totale di 18 menzioni di Tommaso) nella redazione B degli Annales (1303-06; ed. B. Schmeidler, Berlin 1955, 176; «doctor excellentissimus» nella red. A, ib. 177); ma se nel remoto De iurisdictione imperii et auctoritate summi pontificis (1280 ca.) il nome di Tommaso non compariva, nella tardiva Historia ecclesiatica nova (1313-16) Tolomeo accoglie il titolo allora di gran lunga prevalente di «venerabilis doctor» e invalso fin dagli anni '70 del secolo precedente, senza rinunciare al «preclarus doctor» nel racconto della morte.
A. Dondaine, Venerabilis doctor, AA. VV., Mélanges offerts à É. Gilson, Toronto-Paris 1954, 211-25; p. 220 per Tolomeo della Historia ecclesiastica nova.
Riteniamo dunque per certo l'anno 1323 quale termine ante quem. Non ci dice invece, il Masetti, su quale base riponeva l'altro estremo sul finire del Duecento, preferibilmente dopo l'anno 1300.
Il De operibus posteriore agli Annales (1303-06), asserisce Bernhard Schmeidler, visto che l'apparizione della cometa del 1264 è descritta nel De operibus con le medesime parole degli Annales. Tutto qui (Schmeidler, Die Annalen…, p. xxxii e nota 1). Rileggiamo i testi:
Annales B |
Annales A |
De operibus |
Anno Domini MCCLXIIII. Apparuit cometa maximus in mense augusti iuxta signum Cancri paulatim procedens versus meridiem, donec constellationi Orionis apropinquavit, et nunc ad unam partem et nunc ad aliam dirigebat comam, duravitque per plures menses. Cuius coma se extendebat in longitudine per quartam partem nostri emisperii (ed. Schmeidler 149 red. B). |
Eodem anno cometa apparuit mire magnitudinis in Ytalia, qui primo visus est in Cancro, paulatim procedens versus meridiem, donec propinquaret constellacioni Orionis, et nunc ad unam partem suam comam dirigebat, nunc ad aliam, duravitque per plures menses. Coma autem eius aliquando visa est extendi in longitudinem per quartam partem nostri emisperii vel circiter (ed. Schmeidler 150 red. A). |
Anno autem ab incarnatione Domini M°cc°lxiiij° in Ytalia cometes apparuit iuxta signum Cancri paulatim procedens versus meridiem donec constellationi Orionis apropinquavit, et nunc ad unam partem nunc ad aliam dirigebat comam, duravitque per plures menses. Cuius coma se extendebat in longitudine per quartam partem nostri emisperii (VI, 5: ff. 53vb-54ra, ed. 78). |
La segnalazione conferma la consuetudine di Tolomeo di riutilizzare alla lettera brani già scritti in altra occasione. Qui segnalazione preziosa perché ratifica l'autenticità della redazione B degli Annales, visto che è appunto il testo B a comparire alla lettera, salve le varianti di raccordo contestuale, sotto la penna dell'autore nel De operibus. Ma a studiare i testi in sinossi, non si riscontra alcun incastro redazionale tra le due opere tale da decidere la questione: sono stati gli Annales (red. B) a prestare il brano al De operibus o viceversa? Così almeno a nostro giudizio. Come dire che la posteriorità di quest'ultimo rispetto agli Annales non esce confermata dalla pur importante segnalazione del brano comune.
Quanto al contesto delle “significazioni” della cometa, le due opere corrono su binari indipendenti: nel De operibus la cometa è premonitrice della venuta in Italia di Carlo d'Angiò e della fine di re Manfredi a opera del medesimo (1266; lo si dice prima e dopo il brano della cometa surriportato, De operibus f. 53rb ed. 77 circa finem, f. 54ra ed. 78 circa finem); negli Annales nessun rapporto del genere, essendo la notizia del segno celeste immediatamente seguita da quella della morte di papa Urbano IV (2 ottobre 1264), conforme alla fonte qui utilizzata, il Chronicon di Martino Polono, che pone esplicito rapporto tra cometa e morte del papa (ed. L. Weiland, MGH, SS 22 (1872) 473). Significativo l'esito finale; nella Historia ecclesiastica nova XXII, 25 Tolomeo cumula i due significati divinatorii della cometa:
«Referunt autem ystorie comuniter sed precipue Vincentius scribit quod ante mortem ipsius <scil. Urbani IV> apparuit cometa tam admirabilis qualem nullus tunc vivens ante vidit. Ab oriente enim cum fulgore surgens usque ad medium celi versus occidentem comam perlucidam pertrahebat; et licet in diversis partibus forte multa significavit, pro certo unum compertum est quod plusquam per iij menses duravit. Ipsa primo apparente cepit Urbanus infirmari, et eadem die qua moritur cometa disparuit. Potuit etiam adventum Karoli insinuare in Italia ad novum dominium acquirendum occiso Manfredo, quod et in sequenti anno dicitur accidisse» (Paris, Bibl. Nat. lat. 5127, f. 298r. Cf. ed. L. Muratori, Rerum ital. scriptores XI, Mediolani 1727, 1155A).
L'agglomerazione giustappositiva delle due significazioni non tradisce l'incremento amplificante tipico dei rifacimenti? La Historia ecclesiastica nova (1313-16) dunque posteriore al De operibus?
Già M. Grabmann aveva notato che il De operibus sex dierum contiene un esplicito rinvio al De iurisdictione imperii et auctoritate summi pontificis, il pù antico scritto di Tolomeo e datato intorno all'anno 1280. Rinvio a lungo dissimulato dal titolo convenzionale Determinatio compendiosa invalso con l'edizione del 1909?
M. Grabmann, Ein Selbstzeugnis Tholomeos von Lucca für seine Autorschaft an der Determinatio compendiosa de iurisdictione imperii, Neues Archiv 37 (1911) 818-9.
Sotto titolo in parte confezionato dall'editore: M. Krammer, Determinatio compendiosa de iurisdictione imperii, Hannoverae-Lipsiae 1909, 4-64. «Explicit brevis libellus de iurisdictione imperii et auctoritate summi pontificis» (p. 64); che coincide alla lettera con la formulazione nel rinvio dal De operibus sex dierum.
Data l'importanza del testo e il molteplice uso che se ne farà, rileggiamo nell'originale l'intero capitolo 7 del tratt. IX; i capoversi sono qui numerati per comodità di rinvio.
1. Terciam vero clausulam87 ad participationem divine providentie adaptamus, cum in hystoria Gen. <1, 28b> subdit: «Et dominamini piscibus maris et volatilibus celi». Sic enim omnia inferiora erant |81va| homini subiecta sicut ipse suo obediens erat creatori, ut glosa dicit venerabilis Bede. In cuius argumentum, ut ibidem habetur, legimus: Viris sanctis, qui quasi ad statum prime creationis pertingunt, aves servivisse et obedisse, rictus bestiarum ac88 serpentum venenum cessisse. Tale autem dominium competebat ex tribus creature humane.
2. Primo quidem ex ipso nature processu. Sicut enim in generatione rerum intelligitur quidam89 ordo quo de imperfecto ad perfectum proceditur - nam materia est propter formam et forma imperfectior propter perfectiorem - ita est et in usu rerum naturalium. Nam imperfectiora tendunt in perfectiorem usum. Plante enim utuntur terra |81vb| ad suum nutrimentum, animalia vero plantis, sed homo plantis et animalibus. Unde naturaliter homo dominatur animalibus. Et propter hoc Philosophus dicit in I Politice [I, 8: 1256a 38-40, b 15-25] quod venatio animalium silvestrium est iusta naturaliter quia per eam homo vendicat sibi quod naturaliter est suum.
3. Secundo apparet hoc ex ordine divine providentie que semper inferiora per superiora gubernat. Unde cum homo sit supra cetera anumalia, ut pote ad ymaginem Dei factus, convenienter eius gubernationi alia animalia subdundur.
4. Terio apparet idem ex proprietate hominis et aliorum animalium. In aliis enim animalibus invenitur secundum extimationem naturalem quedam participatio prudentie ad aliquos particulares actus; in homine autem invenitur universalis prudentia, que est ratio |82ra| omnium agibilium. Omne autem quod est per participationem, subditur ei quod est per essentiam et universaliter. Unde patet quod naturalis est subiectio aliorum animalium ad hominem.
5. Sed utrum homo homini tunc fuisset dominatus, et unde - hoc est post peccatum - dominium traxit originem91, et in libello sive tractatu de iurisdictione imperii et auctoritate summi pontificis satis convenienter tradimus. Sed nunc ad presens tantum dixisse sufficiat quod tunc eo modo fuisse dominium inter homines quomodo nunc in angelis est prelatio, non secundum quod dominium opponitur servituti sed ex offitio consulendi et ei dirigendi, quod ei competebat in quantum homo etiam tunc erat animal sociale et amicabile, quem oportebat ad invicem |82rb| ordinare. In hiis autem que sunt ad invicem ordinata, ut tradit Philosophus in I Politice [I, 5: 1254a 28-31], oportert semper esse aliquid principale et dirigens primum. Non autem est credendum quod tunc omnes fuissent pares in gratia, sicut nec angeli modo; quod quidem hoc manifestat ordinis condicio qui maxime viguisset in primo statu sicut modo in natura angelica confirmata et glorificata. Est autem, secundum beatum Augustinum XIX [,13] De civitate Dei , ordo «parium dispariumque rerum sua cuique loca tribuens dispositio». Unde manifestum est quod nomen ordinis status inequalitatem significat (ff. 81r-82r, ed. 115-17).
Nel § 5 Tolomeo non soltanto rinvia al suo precedente scritto («et in libello sive tractatu… satis convenienter tradimus») ma ne riprende un frammento alla lettera, salvi minuti ritocchi voluti dal nuovo contesto redazionale:
De iurisdictione imperii et auctoritate summi pontificis c. 17: Licet enim in hominibus etiam in statu innocentie fuisset prelatio, sed alio intuitu et secundum aliam rationem, quia non in quantum dominium opponitur servituti, quia hoc est penale, sed offitio consulendi et dirigendi, sicut in angelis, quod quidem homini competebat in quantum homo naturaliter est animal sociale, quem oportet ad invicem ordinare. In hiis autem que ad invicem sunt ordinata, oportet semper aliquid esse principale et dirigens, ut Philosophus dicit in primo Politice (ed. Krammer, Determinatio compendiosa 36).
Nessun dubbio sull'attendibilità del rinvio al De iurisdictione imperii (1280) dal De operibus sex dierum, e dunque della posteriorità di questo rispetto a quello. Sfortunatamente un incidente di copia ha colpito, a inizio brano di § 5, un testo dottrinalmente rilevante: «Sed utrum homo homini tunc fuisset dominatus, et unde homo, hoc est post peccatum, dominium traxit originem, et in libello…»: così legge di fatto il nostro codice (f. 82ra). Nessuna benevola difesa, neppur se invocasse esegesi di contesto, riuscirebbe ad assolvere il dettato trasmesso dal nostro unico testimone. L'edizione Masetti dissimula il guasto dando un testo sottoposto a tacito rimedio, a completa insaputa del lettore: «Sed utrum homo homini tunc fuisset dominatus et unde hodie, hoc est post peccatum, dominium traxit originem, in libello…» (ed. 116). Restauro inattendibile, perché «hodie» è respinto dal tempo perfetto «traxit» laddove il periodo chiude col presente «tradimus»; e perché Tolomeo non sta ponendo la questione come s'instauri «oggi» il potere, bensì come ebbe origine e di quale natura fosse il potere ai veri albori della storia dell'uomo, sia prima che immediatamente dopo il peccato originale.
Stabilito anzitutto il dominio dell'uomo sugli esseri inferiori, De operibus IX, 7 si domanda se nello stato d'innocenza l'uomo detenesse anche il dominio su altri esseri umani; e si domanda in subordine quando e come siffatto dominio ebbe origine. È qui che Tolomeo apre la citazione sul suo precedente scritto e ne riassume brevemente gli asserti principali, che costituiscono poi i capisaldi della teoria politica del frate lucchese:
a) all'uomo non competeva,
nello stato d'innocenza, alcun dominio su altre persone umane;
b) in forza della radicale
socialità dell'essere umano e della struttura
“ordinata”
della creazione, vigeva sì allora tra gli uomini una prelazione, ma quasi a mo'
di servizio (offitium), di natura consultiva e direttiva, simile a quella
che vige tra le gerarchie angeliche (il punto era stato toccato
precedentemente: «Differenter ergo ordinant isti duo doctores hos angelorum
ordines, quia divus Dyonisius secundum viam politice, Gregorius vero more
dispostico. Et ideo non eodem modo disponuntur per eos officia sive nomina
officiorum, ut patet ex iam dictis. Dyonisius enim generalius ponit nomen
potestatis quam principatus, Gregorius e converso. Modus Dyonisii competit
secundum norem Ytalie, ubi potestates principibus dominantur, sed modus Gregorii
in provinciis ubi sunt regna, quia ibi principes potestatibus preminentur» (III,
9: ff. 29vb-30ra, ed. 45); a sua volta il tema della costituzione politica delle
città d'Italia, a distinzione di quella regale delle monarchie d'altri paese,
sarà ripreso più sistematicamente nella continuzione del De regno di
Tommaso d'Aquino, III, 20; IV, 1);
c) il dominio dell'uomo
sull'uomo (il vero dominium, quello che asimmetricamente instaura
asservimento altrui) subentrò dopo il peccato originale; indotto da una brama di
potere smodata, perfino usurpatrice dell'ordinamemto divino («ex quodam fastu
superbie ac dominandi libidine per usurpationem incepit», «fastigio superbie et
tyrannidis», «quedam usurpatio divini regiminis»);
d) tale dominio, benché
usurpativo e tirannicamente esercitato dalle prime
“perverse
generazioni”
(Caino, Cam, Nemrot e giù giù), proviene in ultima istanza da Dio; il quale in
parte lo permette a freno e pena dei malvagi, in parte lo preordina a
mantenimento della giustizia e promozione della concordia («dominium permissum
et provisum»).
Il nostro IX, 7 del De operibus rinvia esattamente ai cc. 17-24 del De iurisdictione imperii e in parte li compendia; si tratta della lunga «digressio» (così qui e altrove Tolomeo chiama un suo consueto procedimento compositivo) intesa appunto a stabilire «unde dominium exordium habuit» (ed. Krammer 35-47). Il frammento testualmente identico nei due scritti dimostra che quando redigeva il De operibus Tolomeo aveva sotto gli occhi e utilizzava il testo del De iurisdictione. Rileviamo gli stilemi paralleli: «oportet digressionem facere circa imperium sive quodcumque dominium unde ortum habuit, an licite vel illicite sit acquisitum» (ib. 36), «ostensum est unde exordium dominium habuit» (ib. 47), «ostensum est enim supra unde dominium traxit originem et quare a Deo permissum est et provisum» (ib. 48). Se mettiamo a frutto il brano del De iurisdictione servito da modello, e riconduciamo al minimo economico la genesi dell'incidente di copia occorso nel De operibus (indebita iterazione di homo in et unde homo per attrazione di persistenza col precedente utrum homo homini?), potremmo pervenire ad una restituzione dal tenore seguente:
Sed utrum homo homini tunc fuisset dominatus, et unde - hoc est post peccatum - dominium traxit originem, et in libello sive tractatu de iurisdictione imperii et auctoritate summi pontificis satis convenienter tradimus (De operibus sex dierum IX, 7: f. 82ra, ed. 116).
Improbabile sintassi d'una proposizione parentetica temporale aperta da hoc est su interrogativa indiretta avviata con unde? Identica costruzione ricorre sotto la penna di Tolomeo poco oltre: «Sed tunc est questio unde primis hominibus, hoc est prime etatis, tam longa fuerit vita…» (IX, 8: f. 82va-b, ed. 117). Così come ricorre nella scrittura di Tolomeo, verosimilmente sotto la pressione del volgare toscano, la congiunzione et di ripresa della proposizione principale («et in libello sive tractatu…») quando questa sia preceduta nel periodo da una subordinata (cf. Schiaffini, Testi fiorentini 285-90, modello: «se voi non gli avete, e voi andate per essi»).
Al termine post quem 1280 tratto dal rinvio al De iurisdictione, aggiungiamo conferma dall'inserimento del nome di Alberto Magno tra le autorità «moderne e somme». Aggettivazione e formulazione di taluni ricorsi devono supporre almeno il decesso del maestro (1280):
Quam quidem positionem nostri moderni philosophi et preclari doctores fidei orthodoxe, inter quos summi Albertus et Thomas, validissimis rationibus fulciunt, non tamen derogantes divine potentie quin ab eterno, si Deo placuisset, potuisset producere (I, 2: f. 11rb, ed. 19). Cuius oppinionis fuit Albertus in commento super II Meth(eororum), imitatus antiquos doctores ecclesie (V, 3: f. 41va, ed. 62). Cf. VI, 5 (f. 56ra-b, ed. 81); XIV, 2 (ff. 142vb-143ra, ed. 199); XIV, 5 (f. 147ra, ed. 205).
La citazione anepigrafica di Proclo, «et ex verbis Procli haberi potest, quam <scil. intelligentiam> dicit esse causam congnitionis et esse nostri intellectus» (De operibus XIII, 17: f. 130rb, ed. 180) non può far pensare a un'utilizzazione di qualche testo dei Tria opuscula (traduzione latina 1280 di Guglielmo da Moerbeke) ma trova riscontro nella Elementatio theologica prop. 174 (trad. lat. 1268).
87 Si riferisce alla terza ed ultima parte della pericope biblica Gen. 1, 25-31 con cui inizioa tratt. IX c. 1 (ed. 104); la «clausula secunda» (Gen. 1, 28a) è commentata in IX, 6 (ed. 113).
91
et unde - hoc est post peccatum - dominium traxit originem ]
et unde homo, hoc est post peccatum, dominium traxit originem cod.
Per la giustificazione dell'emendazione vedi più oltre.