Ripercorriamo il De operibus sex dierum alla ricerca di meno appariscenti indicazioni cronologiche.
Il
capitolo 7 di tratt. IX, sopra trascritto per intero, ricompare in III, 9 della
continuazione del De regno ad regem Cypri di Tommaso d'Aquino, che
Tolomeo porta a termine entro i primissimi anni del Trecento, variabili sul
perno dell'anno 1300. Precisiamo:
1)
Le “tres
rationes”
del dominio umano sugli animali, §§ 2-4 del nostro cap. 7, si ritrovano alla
lettera in De regno III, 9 (ed. Marietti 1954, p. 307 §§ 971-73); il che
stabilisce la necessaria interdipendenza tra i due testi.
2) Anche il susseguente § 5,
dominio dell'uomo sull'uomo, ha la propria controparte in § 974 del De regno,
con qualche significativa variante. Origine e natura del dominio dell'uomo
sull'uomo: De regno rinvia a quanto precedentemente già detto («ex iam
dictis…»); De operibus rinvia al De iurisdictione imperii et
auctoritate summi pontificis.
3)
Tipo di dominio tra gli uomini nello stato d'innocenza ovvero
“offitium
consulendi et dirigendi”:
le due opere si ricongiungono di nuovo nell'elaborare identico contenuto
dottrinale, sebbene non del tutto coincidente nel dettato linguistico; in
entrambe ricorrono le autorità Politica I, 5 e De civitate Dei
XIX, 13 sulla definizione di “ordo”.
La redazione propria al De operibus comporta 7/8 righe letteralmente
identiche al De iurisdictione, da «(prelatio) non in quantum dominium
opponitur servituti, quia hoc est penale, sed offitio consulendi et dirigendi…»
(sopra segnalato e trascritto).
Quale il rapporto genetico tra i due testi? Ipotesi prima: De operibus posteriore alla continuazione del De regno (1300 ca.). Da questo il De operibus ricopia il lungo brano delle «tres rationes»; in luogo di rinviare «sopra» o comunque all'opera da cui sta copiando, rinvia a quanto sullo stesso soggetto aveva scritto nel De iurisdictione (1280) nei cc. 17-24. Pur dovendo poi redigere un breve testo dal medesimo tenore di quello che ha sott'occhio nel De regno a seguito del prestito letterale, si rivolge di nuovo al De iurisdictione e ne sfoglia le carte per rintracciare e prelevare dal corpo di c. 17 un brano di 7/8 righe sulla “prelatio”.
Ipotesi seconda: continuazione del De regno (1300 ca.) posteriore al De operibus. La continuazione preleva anonimamente un lungo testo dal De operibus IX, 7 sul dominio dell'uomo sugli animali; sul potere in genere, in luogo di rinviare al De iurisdictione (1280) (Tolomeo, si ricordi, sta scrivendo sotto il nome di Tommaso d'Aquino) rinvia a quanto già precedentemente detto nello stesso De regno, che per l'appunto verte specificamente sul potere politico. Continua poi utilizzando e in parte riformulando il resto del capitolo del De operibus sull'“offitium consulendi et dirigendi”.
Più faticoso raccontarlo che farlo. La seconda ipotesi ottiene di gran lunga la precedenza nell'ordine possibile degli eventi; a parità di esito, vanta a suo favore unità di fonte, linearità d'esecuzione, economia di lavoro. A sorprendere restano soltanto i sentieri traversi della trasmigrazione dei testi: le “tres rationes” a sostegno del dominio dell'uomo sugli animali provengono originariamente dalla Summa theologiae I, 96, 1 di Tommaso d'Aquino († 1274); a lui fanno ritorno nella continuazione del De regno passando per il De operibus di Tolomeo da Lucca!
Nelle pagine dedicate alla significazione delle comete, e in specie ad illustrare come il loro infausto presagio «de facto pluries accidit», oltre alle apparizioni raccontate da fonti antiche, Tolomeo s'intrattiene sulle comete apparse in tempi a lui prossimi o da lui osservate: quella in connessione con la discesa in Italia di Carlo d'Angiò e premonitrice della resa dei conti tra Carlo e re Manfredi in Benevento (1266); quella comparsa da settentrione nella stagione invernale, «quod ego vidi», circa sei anni dopo la precedente, a significare la fine del sultano per mano del tartaro (De operibus VI, 4: ff. 52v-54r, ed. 76-79).
■ «Et tunc fuit debellatus soldanus a tartaro, et magna strages est facta» (f. 54ra, ed. 78). Intende dire dell'ultimo califfo abbasside assassinato in occasione della presa e saccheggio di Baghdad, 1258, da parte dei mongoli di Hulagu? Il capitolo sulle comete (De operibus VI, 4: ff. 52va-54rb, ed. 77-79), tenendo fuori quanto Tolomeo confessa d'aver visto in proprio, è fortemente debitore di Alberto Magno, Meteor. I, 3, 5-11: Opera omnia, ed. Au. Borgnet, IV (1890) 502-08.
Negli Annales Tolomeo ricorda le medesime apparizioni (ed. 149-50), alle quali però aggiunge la cometa (simile a «croce vermiglia», secondo Dino Compagni) comparsa in concorrenza con la venuta di Carlo di Valois in Toscana nel 1301 (ed. 237-38). Lo schema si ripete nella Historia ecclesiastica nova (1313-16): XXII, 25, cometa del 1264 (Paris, Bibl. Nat. lat. 5127, f. 298r; BAV, Chigi F.VII.170, f. 127ra); XXV, 9, cometa del 1301: «Eodem anno in februarii apparuit cometa in occidente in signo Scorpionis, quod est domus Martis, que aliquando emittebat comam ad orientem aliquando ad meridiem, et tunc venit in Tusciam frater regis Francie dictus Karolus et mandato summi pontificis Bonifatii pape VIII» (Paris, BNL 5127, ff. 334v-335r; BAV, Chigi F.VII.170, f. 146ra; cometa 1264 ib. f. 298r. cf. ed. L. Muratori, Rerum ital. scriptores XI, Mediolani 1727, 1222B). Nefasto presagio delle violenze seguite in Firenze tra i partiti dei guelfi bianchi e guelfi neri, e dello sconvolgimento cittadino a favore di quest'ultimi. La densità degli eventi politici sovraccarica le suggestioni del segno celeste. Una memoria obbligata, per un toscano, la cometa del 1301: Dante Alighieri, Convivio II, 13, 22; Dino Compagni, Cronica II, 19; Giovanni Villani, Nuova Cronica IX, 48; Cronichetta anonima (XIV s.) di Firenze (BNF, Magl. XXV.505: ed. P. Santini, Ricerche di storiografia fiorentina, rpt. Roma 1972, 124). Da luglio 1300 a luglio 1302 Tolomeo risiedeva in Firenze, e successivamente in Lucca. Ignora nel De operibus cometa e fatti del 1301.
Quale l'età virile ovvero l'età dell'uomo perfetto? Trent'anni, a un dipresso. Così sant'Agostino, De civitate Dei XXII, 5, e così si argomenta convenientemente da Aristotele. Il primo uomo fu creato che era trentenne, ed ottenne subito il governo del paradiso terrestre:
Talis autem operatio et gubernatio sibi non convenisset nisi in etate perfecta, que consistit ultra tercium septennium secundum Philosophum in IX De animalibus, leges vero civiles ultra XXV annum et sanctorum canones, ut supra patuit; qui statuunt nullum clericum posse promoveri ad sacerdotium ante XXX annos, in quo maxime etas requiritur propter curam regiminis, ut patet distinctione LXXVIII105 c. 1° et 3° ca°.; quamvis iure novo tolleretur106 annus XXVus, ut Extra, De electione, c. Cum in cunctis. Sed in episcopo XXXus annus est necessarius quia gerit typum Christi, qui in eadem etate assumpsit predicationis offitium, ut scribit divus evangelista Lucas ij. In qua etate nos resurgemus, ut tradit beatus Augustinus in preallegato libro De civitate Dei [XXII, 5-6], et in etate eadem credibile videtur de paradyso terrestri fore ad celeste transferendos regnum in qua110 <homo> expulsus fuit de eodem propter peccatum (XII, 7: f. 102rb-va, ed. 144).
■ le auctoritates sono: Arist., De animalibus IX (= Historia animalium IX). Silloge arabo-latina di Michele Scoto, BAV, Vat. lat. 2092 (xiii), f. 34vb: «generatio vero filiorum non est conveniens nisi post tria septennia annorum»; greco-latina, Vat. lat. 2093 (xiii), f. 93ra: «ut in pluribus autem mulieres post tria septennia convenientes efficiuntur ad partum».
«ut supra patuit»: non trovo congruo riscontro in De operibus sex dierum
Decretum Gratiani I, dist. 78, cc. 1 e 3 (ed. Ae. Friedberg, rpt Graz 1955, I, 275); Decretales Gregorii IX (= Extra) I, tit. 6 (De electione), c. 7 (Quum in cunctis) (ed. cit. II, 51-52).
Luc. 3, 23: «Et ipse Iesus erat incipiens quasi annorum triginta…».
Un brano ipersimbolico, restio a uscir fuori dai segni linguistici? troppo carico di “significati” perché sia idoneo a rilasciare informazioni documentarie? Il medievale intesse senza idiosincrasie cronaca e mito, istituzioni e metafore. Se il numero 30 vien riservato a ricettacolo di perfezione (età della pienezza del sacerdozio, l'episcopato, ed età dell'uomo risorto), il passaggio intermedio sulla riduzione dell'età minima legale del presbiterato a 25 anni è costruito sulla legislazione canonica, e faceva parte della quotidiana disciplina che regolava cose e uomini di chiesa. L'antica tradizione decretista, Decretum I, dist. 78, cc. 1-3, fissava l'età minima per l'ordinazione presbiterale a 30 anni; dist. 78, c. 5 derogava a favore del 25° anno in caso di necessità (ed. Ae. Friedberg, rpt. Graz 1955, I, 275-76). Le Decretales Extra di Gregorio IX, lib. I, tit. 6 (De electione), c. 7 (Quum in cunctis), così legiferano sull'età minima legale: 30 anni per l'ordinazione episcopale; 25 per ministeri inferiori che importino cura d'anime, congiuntamente all'obbligo d'accedere all'ordinazione presbiterale (ed. Ae. Friedberg II, 51-52). Nel frattempo anche prassi e giurisprudenza avevano abbassato a 25 anni l'età minima per il presbiterato:
Raimondo da Peñafort, Summa de paenitentia (1224-34) III, 22, 1 (ed. X. Ochoa e A. Diez, Roma 1976, 638). CP Viterbo 1264: «caveant priores quod iuvenes ante XXV annum ad sacerdotium non promoveant» (MOPH XX, 29 rr. 34-35).
Età «tollerata», dice Tolomeo. E allo «ius novum» delle decretali Extra, promulgate nel 1234, Tolomeo si arresta. Silenzio assoluto sulle successive collezioni canoniche ufficiali: Liber sextus decretalium promulgato il 3 marzo 1298 da Bonifacio VIII, e Clementinae (dette inizialmente Liber septimus) promulgate da Giovanni XXII il 25 ottobre 1317.
■ Liber sextus ricordato invece in Annales (1303-06) (ed. Schmeidler, Die Annalen… 235); e quasi con le stesse parole in Historia ecclesiastica nova (1313-16) XXIV, 6: «Hoc eodem anno Sextum decretalium publicat <scil. Bonifatius VIII> in quo plures decretales ponuntur secundum rubricas antique compilationis de diversis materiis per multos summos pontifices editas» (Paris, Bibl. Nat. lat. 5127, f. 334r; BAV, Chigi F.VII.170, f. 145va). E molte altre volte: cf. A. Dondaine, AFP 31 (1961) 160; L. Schmugge, «Deutsches Archiv f. Erforschung des Mittelalters» 32 (1976) 521.
Eppure il Liber sextus I, 6, 14 (Licet canon), tornando sulla materia di Extra I, 6, 7, incorpora la costituzione 13 del secondo concilio di Lione 1274 (Conciliorum oecumenicorum decreta, Bologna 1973, 321-22) e ribadisce con toni energici le prescrizioni circa l'età legale a repressione d'ogni abuso in contrario: almeno 25 anni per accedere al «regimen parochialis ecclesiae» con obbligo dell'ordinazione presbiterale entro l'anno (ed. Ae. Friedberg II, 953-54). Le decretali Clementinae poi, I, 6 (De aetate), 3 (Generalem), emanando disposizioni già di Clemente V (1305-14), fissano formalmente e definitivamente la disciplina tardomedievale sull'età minima legale delle ordinazioni sacre: «Generalem ecclesiae observantiam volentes antiquis iuribus in hac parte praeferri, decernimus ut, alio non obstante impedimento canonico, possit quis libere in 18° ad subdiaconatus, in 20° ad diaconatus et in 25° aetatis suae anno ad presbyteratus ordines promoveri» (ed. Ae. Friedberg II, 1140).
■ Disposizioni di Clemente V nel concilio di Vienne (1311-12) sono conosciute e ricordate da Tolomeo nella Historia ecclesiastica nova (1313-16), dunque a brevissima distanza dalla promulgazione: cf. A. Dondaine, AFP 31 (1961) 161; L. Schmugge, «Deutsches Archiv f. Erforschung des Mittelalters» 32 (1976) 521-22.
Il capitolo generale OP 1405, richiamando all'osservanza dell'età legale nelle ordinazioni sacre, dà un'interessante somma delle auctoritates canoniche in materia, divenute ormai luogo comune; sono appunto quelle sopra menzionate, con relative glosse ordinarie: MOPH VIII, 116-7. Presbiterato al 25° anno persiste nella legislazione canonica moderna: Codice di diritto canonico (1983) can. 1031 § 1.
Contro tale incondizionata e formale abilitazione all'ordinazione presbiterale al 25° anno d'età, non è pensabile che Tolomeo invocasse il Decretum a sostegno del 30° anno e si arrestasse alle indulgenti decretali Extra come a «nuovo diritto che tollera» il 25° anno; quando al contrario nelle Clementinae la consuetudine un tempo tollerata è ormai promossa a diritto; lo ius (novum per Tolomeo) che in passato la tollerava è nel frattempo invecchiato, declassato ad antiquum e spogliato pertanto d'ogni vigore canonico («volentes antiquis iuribus in hac parte praeferri»). È giocoforza concludere che il frate lucchese componeva il De operibus sex dierum anteriormente alla promulgazione delle Clementinae (1317); e probabilmente molti e molti anni prima.
Il paradiso terrestre, “locus deliciarum”, fisicamente locato in una indefinita geografia orientale fa parte del bagaglio esegetico dell'uomo di scuola; anche quando questi s'intriga nel ricondurvi a forza, come a unica sorgente, il capo dei quattro mitici fiumi, dal Gange al Nilo (De operibus XIV, 1-2: ff. 140r-143r, ed. 196-99). Lo abitavano almeno due provvisori inquilini, Enoch ed Elia, in attesa del giorno del giudizio (XIV, 11: f. 155vb, ed. 217-18). Chi aveva peregrinato passo passo l'oriente intero fin sulla bassa costa occidentale dell'India («India marior» o «secunda»), e il paradiso terrestre non l'aveva trovato, non rinuncia a rinviare a un oriente ancor più orientale, in un “oltre” non ancora veduto ma reale come il luogo dei propri desideri, il giardino delle delizie: «De tertia autem Yndia dicam que non vidi eo quod ibi non fui… Inter istam Yndiam et Ethyopiam dicitur esse versus orientem paradisus terrestris, quia de partibus illis descendunt quatuor illa flumina paradysi que habundant quamplurimum in auro optimo et lapidibus preciosis» (London, British Library, Add. 19513 (xiv s.), f. 9ra, 9va): così un confratello di Tolomeo, il viaggiatore e missionario Giordano da Sévérac, intorno al 1329. Qualche decennio dopo, il mdesimo modello mentale si ripete sotto la penna di Giovanni da Marignolle OFM (A. van den Wyngaert, Sinica franciscana I, Quaracchi 1929, 531 ss). Dei quattro fiumi primordiali tuttavia Tolomeo si propone di dire non su misura dell'onnipotenza divina bensì di quel che in natura si dà («non… quid Deus possit sed quid rerum natura patiatur», De operibus XIV, 3: f. 143rb, ed. 200). Quel che segue delude. Guida obbligata sono le tradizionali fonti della geografia mitica dell'oriente (Plinio, Solino, Isidoro, Beda ecc.). Almeno per il Tigri e l'Eufrate (XIV, 6) Tolomeo avrebbe potuto raccogliere informazioni di qualità e di primissima mano. Quelle offerte dal fiorentino fr. Riccoldo da Monte di Croce. Costui aveva attraversato a piedi l'Armenia, accostato le sorgenti dei due fiumi, soggiornato in terra mesopotamica tra Mosul Takrit e Baghdad nel corso dell'ultimo decennio del Duecento, e aveva navigato a zattera, come allora usava, sulle correnti del Tigri. Tolomeo convive nel convento di Santa Maria Novella con Riccoldo quando questi è appena tornato dalla sua straordinaria esperienza orientale; nei primissimi anni del Trecento, certamente durante il biennio del priorato fiorentino dello stesso Tolomeo, luglio 1300 - luglio 1302.
■ MD 17 (1986) XXV-XL, 23-27; 259, 263-65, 276-77; AFP 58 (1988) 9-12. Non oserei asserire che negli scritti successivi di Tolomeo abbiamo inequivoche testimonianze di confidenze provenienti da Riccoldo; annoto comunque un curiosa corrispondenza numerica: raccontando negli Annales (1303-06) della caduta di Acri (1291) Tolomeo dice che vi furono trucidate 30 mila persone (ed. Schmeidler, Die Annalen … 218A, 220); è lo stesso numero che per due volte dà Riccoldo nelle sue epistole: BAV, Vat. lat. 7317 (xv), f. 256r in fine, f. 258r; cf. ed. R. Röhricht, «Archives de l'Orient Latin» t. II, Doc., II Lettres, Paris 1884, 277, 280.
Etica domestica o “economica”. Il De operibus sex dierum vi si sofferma a più riprese, e in trattazioni specifiche, non di transenna. Là dove pone la questione se l'"imago Dei" impressa nell'uomo dall'atto creativo si estenda anche alla donna (risposta affermativa), apre il discorso sulla società domestica e mette a fuoco importanti categorie analitiche del potere: principatus dispoticus, regalis, politicus; regimen paternale, coniugale, dominativum ecc.: IX, 5 (ff. 78r-79r, ed. 112-13);
■ questa pagina ha fortemente interessato N. Rubinstein, Marsilius of Padua and Italian political thought of his time, AA. VV., Europe in the late Middle Ages, Evanston 1965, 52-54, 60-61; Ch.T. Davis, Dante's Italy and other essays, Philadelphia 1984, 228.
nel contesto della produzione della donna «in adiutorium homini», dove s'insiste sulla specifica diversità della «societas coniugalis» da quella politica: XV, 2 (ff. 157v-159r, ed. 221-23); XV, 4 (ff. 161r-162r, ed. 226-27); XV, 6 (ff. 165r-166v, ed. 233-34). Le onnipresenti autorità aristoteliche (preferenze di scuola apertamente confessate: «Sed quicquid sit de istis oppinionibus, positio tamen Aristotilis magis placet, quam nos imitamur, licet doctores sacri Platonem magis commendent», De operibus XIII, 17: f. 131ra, ed. 181) sono sempre l'Etica nicomachea e la Politica, da cui Tolomeo estrae spunti utili al suo discorso sull'etica economica. Il trittico delle opere etiche dello Stagirita comportava per tradizione anche gli Economici, dedicati espressamente all'etica domestica, così come l'Etica e la Politica erano rispettivamente dedicate all'etica della persona e a quella della polis. Degli Economici gli uomini della scuola conoscevano il titolo anche prima che l'opera fosse tradotta in latino, e ne parlavano nei corsi introduttivi alla filosofia (divisio scientiae) là dove d'ogni singola disciplina indicavano rispettivamente "inventor" autore e opera che la trasmetteva. Appena tradotta in latino, un'opera aristotelica diventava libro di testo nella facoltà delle arti e comune proprietà presso il sapere clericale del tempo. Gli Economici circolarono in due traduzioni, di cui una (la prima delle due?) eseguita presso la curia papale ad Anagni nel 1295 per procura dell'università parigina. Il De operibus di Tolomeo ignora gli Economici. Non sembra invece ignorarli la continuazione del De regno IV, 28 (1300 ca.), laddove Tolomeo ponendo la parola fine al «politiae tractatus», auspica un completamento del discorso con quanto spetta alla materia «de principatu oeconomico, hoc est de regimine domus»; trattazione a sé stante, da doversi comporre «distinguendo per libros sive tractatus et sua capitula prout natura facti requirit, qua in re Philosophus eundem modum tenet». Non intende dire degli Economici e delle sue partizioni (tre libri, il terzo pervenutoci soltanto nella traduzione latina)?
Riassumiamo. Il De operibus sex dierum certamente posteriore al De iurisdictione imperii et auctoritate summi pontificis (1280 ca.) e alla morte d'Alberto Magno 1280; anteriore alla canonizzazione di Tommaso d'Aquino 1323 e alla promulgazione delle decretali Clementinae 1317. Qualche credito meritano le ragioni a favore della precedenza anche rispetto alla Historia ecclesiastica nova (1313-16): cumulo concordistico, in quest'ultina, delle due significazioni accomodatizie della cometa del 1264. La posteriorità invece rispetto agli Annales (1303-06), comunemente asserita su autorità dello Schmeidler, è affidata a un argomento che spartisce pari probabilità col suo contrario.
Molteplici indizi riportano concordemente ad anni anteriori al 1300. Non fanno, a rigore, argomento perentorio. Tuttavia almeno due rivendicano speciale considerazione. L'assenza d'obbligati rinvii ad autorità canoniche, per chi - teologo e uomo di chiesa - ragionava sull'età minima legale delle ordinazioni sacre, risulta di grande peso: Tolomeo componeva il De operibus prima delle formali disposizioni delle Clementinae 1317; ma molto verosimilmente anche prima del 1298, perché anche a fronte del Liber sextus, che ratificava una prassi del presbiterato al 25° anno digià vecchia d'un secolo, non si vede come Tolomeo potesse insistere a parlare d'un «diritto nuovo che tollera» il 25° anno. Altrettanto peso va riconosciuto alla mancata utilizzazione degli Economici (traduzione greco-latina 1295) in contesti impegnati a svolgere la filosofia morale della casa; un amico e confratello di Tolomeo, il fiorentino Remigio dei Girolami (convivono in Santa Maria Novella per qualche anno a inizio Trecento), conosce l'esistenza del libro ps.-aristotelico quando ancora non disponibile in latino, successivamente lo utilizza a traduzione divulgata. Le ultime parole del De regno fanno credere che neppure Tolomeo tardò molto a prenderne conoscenza.
■ Un'introduzione alla filosofia in uno "studium " dei frati Predicatori del XIII secolo, MD 12 (1981) 59-61. Si integri la bibliografia: R. Laurenti, Studi sull'Economico attribuito ad Aristotele, Milano 1968; G. Dahan, Les classifications du savoir au XIIe et XIIIe siècles, «Enseignement philosophique» 40 (1990) 5-27.
Quanto alla datazione della Divisio scientie di Remigio si annoti l'anteriorità rispetto alla promulgazione del Liber sextus decretalium (1298), visto che nella indicazione dei libri degli «iura canonica» si menzionano soltanto il Decretum di Graziano e le Decretales Extra: Divisio scientie 14, 25-31 (ib. p. 100).
Diciamo dunque a conclusione: anni 1280-1317 estremi massimi certi di composizionne del De operibus sex dierum; attendibilmente riducibili all'ultimo ventennio del Duecento, e finanche al decennio 1285-95.