Del De subiecto theologie e Contra falsos ecelesie professores ho trattato espressamente altrove. Il primo è una questione collativa cui era tenuto il baccelliere sentenziario all'inizio dell'anno accademico (n° 26). Cade all'inizio del lettorato sentenziario parigino, tra 1297 e 1299 (Il «De subiecto theologie»... cit., § 1). Il trattato Contra falsos, citato dal De bono comuni (n° 14), è a questo anteriore; con molta probabilità precede la promulgazione dell'Unam sanctam (18.XI.1302) e del Liber sextus decretalium (3.III.1298) di Bonifacio VIII (Studio 68-78).
Quando il presente lavoro era sotto stampa inoltrata, è apparsa l'importante edizione integrale del Contra falsos: FRA REMIGIO DEI GIROLAMI O.P., Contra falsos ecclesie professores, edizione critica di Filippo Tamburini, Prefazione di Charles T. Davis, Roma (Libreria Editrice della Pontificia Università Lateranense) 1981. Per quanto concerne datazione e collocazione rispetto al pontificato di Bonifacio VIII († 11.X.1303) il Tamburini non apporta elementi nuovi a quanto già di comune possesso nella letteratura remigiana (vedi Introduzione pp. XXXII-XXX1X). «In conclusione, l'unico dato sicuro per la datazione del Contra lalsos è il rimando contenuto alla fine del trattato De bono communi» (ib. p. XXXVII). Per il resto - testo dell'edizione e notevoli contributi all'individuazione delle fonti - se ne farà ampio resoconto in altra occasione.
La Divisio scientie - annotata l'utilizzazione della IIa-IIa (1271-72) della Summa theologiae e De malo q. 16 (1272) di Tommaso d'Aquino (vedi note alle fonti di cc. 18-19) - beneficia d'un termine ante quem rispetto al Liber sextus decretalium (3.III.1298) (ignoto a Divisio scientie c. 14/27-30 § “Decreta vero Patrum…”) e alla prima traduzione degli Economici d'Aristotele (n° 28). Si noti l'interesse mostrato per tale libro: «... quamquam ego viderim eum». A traduzione avvenuta, l'interesse è confermato. Remigio legge gli Economici e li cita nel secondo sermone su santa Elisabetta d'Ungheria, Vidit autem Iesus et quandam viduam (Luc. 21, 2), in un brano dove fa la comparsa anche un proverbio in volgare fiorentino:
… quia «oculi Domini super iustos», ut dicitur in Ps. [33, 16], et iterum «Ubi amor ibi oculus», et iterum «Cui sol vede colui scalda»; et Philosophus in I Ychonomice: Quidam de Persis interrogatus quid equm magis impinguat, “domini oculus” inquit (cod. D, f. 379va).
Il testo degli Economici è libro I (A), c. 6 (Bekker 1345a 2-4).
Traduzione anagnina del 1295, cosiddetta di Durando d'Auvergne: «Nemo enim aliena et propria similiter curat; unde quotquot convenit per se fieri oportet et curare. Et Persiani et Libii proverbium bene habet: alius quidem interrogatus quid magis equum imping[u]at, “domini oculus” inquit. Libius vero interrogatus quale stercus optinium, “domiri vestigia” dixit» [Bekker 1344b 35 - 1345a 5] (Firenze, Bibl. Laurenz., S. Croce Plut. XIII sin. 6, f. 174r; cf. Aristoteles Latinus. Codices II, n° 1367). | Traduzione anonima: «Nemo enim curat similiter aliena et propria; quare quecumque convenit per se fieri oportet curam. Et Persis et Libii proverbium bene habet: unus quidem enim interrogatus quid maxime equum inpinguat, “oculus domini” inquit. Libius autem interrogatus quale stercus optimum, “vestigia domini” ait» (Bibl. Laurenz., Conv. soppr. 95, f.. 199va; cf: Aristoteles Latinus. Codices II, n° 1334; qui si continua a denominare «vetus» questa seconda traduzione in conformità a vol. I di Codices curato da G. Lacombe). |
Ma quando fu tradotto in latino per la prima volta il libro degli Economici? La questione, tra le traduzioni latine d'Aristotele, è delle più controverse. Gli Economici non sono ancora apparsi nella collana «Aristoteles Latinus». L'esame della tradizione manoscritta e l'edizione nell'«Aristoteles Latinus» diranno la parola definitiva sulla questione. Provvisoriamente e per quel che tocca il nostro problema, ecco come si possono riassumere le ricerche fin qui condotte e le conclusioni cui si è pervenuti.
Bibliografia di base che tratta specificamente il problema: F. SUSEMIHL, Aristotelis quae feruntur Oeconomica, Lipsia 1887, pp. XVII-XX. A. PELZER, Un traducteur inconnu: Pierre Callego, franciscain et premier éveque de Carthagène (1250-1267), «Miscellanea F. Ehrle» I (Studi e Testi 37), Città del Vaticano 1924, 429-30. P. MANDONNET, Guillaume de Moerbeke, traducteur des «Économiques” (1267), «Arch. Hist. Doctr. Littér. du M.A.» 8 (1933) 9-29. ID., Albert le Grand et les "Économiques" d'Aristote, ib. pp. 29-35. G. LACOMBE, Aristoteles Latinus. Codices, I, Roma 1939, pp. 75-76. M. GRABMANN, I Papi del Duecento e l'Aristotelismo. I: Guglielmo di Moerbeke. O.P., il traduttore delle opere di Aristotele, «Miscellanea Hist. Pontificiae» XI (1946) 113-15. R.-A. GAUTHIER, Deux témoignages sur la date de la première traduction latine des Économiques, «Revue philosophique de Louvain» 50 (1952) 276, 278). ID. in «Bulletin thomiste» IX (1954-56) n° 1817, pp. 958-60. ID. in TOMAE DE AQUlNO, Sententia libri Ethicorum (ed. «Leonina» t. 47), Roma 1969, praefatio p. 232. E. FRANCESCHINI, Ricerche e studi su Aristotele nel Medioevo latino, «Rivista di Filosofia Neoscolastica» 48/Suppl. (1956) p. 154. B.A. VAN GRONIGEN - A. WARTELLE in ARISTOTE, Économique, Paris (Les Belles Lettres) 1968, pp. XXI-XXVI.
Aristotele, Il trattato sull'Economia, a cura di R. Laurenti, Bari 1967: traduz. ital. con ricche note testuali. R. LAURENTI [† 1999], Studi sull'Economico attribuito ad Aristotele, Milano 1968: sistematico studio su autore, composizione, traduzioni ecc., tutto quel che vuoi sapere su questo libro aristotelico; in p. 1 vi annotai a suo tempo: «dono dell'autore, Roma, Bibl. Vaticana, maggio 1982».
Contro Pierre Mandonnet (Guillaume de Moerbeke, traducteur des «Économiques” (1267), «Arch. Hist. Doctr. Littér. du M.A.» 8 (1933) 9-29), che riteneva gli Economici tradotti da Guglielmo da Moerbeke († 1286) e utilizzati da Alberto Magno (questi difatto non citava gli Economici ma la Politica), si è accertato che gli Economici erano sconosciuti all'enciclopedista Vincenzo da Beauvais († 1264) ad Alberto Magno († 1280) a Tommaso d'Aquino († 1274). Nel 1952 R.-A. Gauthier faceva conoscere due collezioni di questioni sull'Etica Nicomachea di maestri della facoltà delle arti (Parigi, BN lat. 14698 e 16110) dove si attestava esplicitamente che il libro aristotelico non era stato ancora tradotto. La prima collezione è certamente posteriore al 1272, probabilmente del 1275-77; la seconda è posteriore alla prima.
«Yconomica autem secundum quosdam traditur in libro separato, sed adhuc non pervenit ad nos» (Parigi, BN lat. 14698). «Yconomica autem [traditur] in quadam parte moralis philosophie quae nondum translata est» (Parigi, BN lat. 16110) (R.-A. GAUTHIER, Deux témoignages sur la date de la première traduction latine des Économiques, «Revue philosophique de Louvain» 50 (1952) 276, 278).
Nel 1956 Gauthier tornava sulla questione, e a partire dall'edizione della Divisio scientie (1280) di Giovanni di Dacia (in contesto della divisione delle scienze affine alla Divisio scientie di Remigio), confermava che «il n'exista avant 1280 aucune traduction des Économiques du Pseudo-Aristote» («Bulletin thomiste» IX (1954-56) n° 1817, p. 959). Nel 1280 infatti Giovanni di Dacia, a differenza di Remigio, ancora ignora che esista un libro degli Economici e rimette alla Politica la trattazione dell'economica: «Docet enim Philosophus in octo libris Politicorum modum constituendi domum, vicos, civitates et regna, et quomodo quilibet alteri convivere debet tam in domo quam in civitate seu regno. Propter quod dici potest, quod yconomica et politica in octo libris Politicorum satis sufficienter tradite sunt, monastica autem in deceni libris Ethicorum» (GIOVANNI DI DACIA, Divisio scientie in JOHANNIS DACI, Opera, vol. 1, ed. A. Otto, Hauniae 1955, 23).
Già nel 1887 F. Susemihl (Aristotelis quae feruntur Oeconomica, Lipsia 1887, XIX-XX) aveva segnalato due traduzioni degli Economici, di cui una certamente condotta alla corte papale di Anagni e terminata in agosto 1295 ad opera d'un arcivescovo e un vescovo greci in collaborazione con maestro Durando d'Auvergne procuratore dell'università parigina; l'altra - di cui nessuna data è attestata - fu, per critica interna, ritenuta dal Susemihl posteriore all'anagnina. G. Lacombe sostenne nel 1939 il contrario, «sull'assioma: tra due traduzioni affini quella che usa ellenismi rispetto all'altra va ritenuta anteriore» (Aristoteles Latinus. Codices, Roma 1939, p. 76). Le edizioni dell'«Aristoteles Latinus» e lo studio sistematico della tecnica di traduzione delle versioni medievali hanno contraddetto - secondo gli stessi editori dell'«Aristoteles Latinus» - l'assioma del Lacombe.
«Nous croyons que 1'axiome sur lequel se base M. Lacombe pour rejeter l'opinion de Susemihl est assez discutable: il s'est avéré par exemple que Moerbeke dans ses révisions introduit des ellénismes là ou les traductions antérieures avaient des mots latins»: lettera 24.V.1980 del prof. G. Verbeke, attuale direttore dell'«Aristoteles Latinus», che mi ha gentilmente messo al corrente della questione.
«En tout cas la discussion en littérature se maintient autour de la date 1295 dont [la traduction] les auteurs considèrent comme antérieure»: da lettera 19.VII. 1980 della dott. Anna Słomczyńska, che prepara l'edizione degli Economici nel1'«Aristoteles Latinus».
L'opinione del Susemihl - che la prima traduzione fosse quella anagnina 1295 - regge dunque alla critica ed è comunemente accettata come la più probabile, fino a quando l'edizione critica delle traduzioni latine degli Economici non scioglierà definitivamente i dubbi. La Divisio scientie di Remigio - posteriore alla IIa-IIa (1271-72) della Summa theologiae di Tommaso d'Aquino - è certamente anteriore alla prima traduzione latina degli Economici. Per ora e provvisoriamente, si può dire che è anteriore al 1295. Di certo anteriore al 1298 del Liber sextus decretalium, perché la lista delle delle fonti canoniche abbozzata in Divisio scientie c. 14/27-30 § “Decreta vero Patrum…” si arresta alle decretali Extra (1234).
Il trattato De via paradisi - ultimo nel cod. C e il più lungo scritto di Remigio, di ben 144 carte scritte in recto e verso - beneficia d'un termine ante quem esterno. Il sermone in morte di Clemente V (14.IV.1314) scritto da mano A in cod. G4 vi fa esplicito riferimento (n° 6).
A questo punto non resta che il criterio dei rimandi da opera a opera, e che come tale stabilisce (se credibile) soltanto una datazione relativa, cioè di priorità/posteriorità tra le opere chiamate in causa dal rimando. Sui caratteri generali dei rimandi si è detto sopra. Specifichiamo qui che saranno presi in considerazione soltanto i rimandi scritti da mano A nel corso del testo in colonna, che compaiono in regolarità di scrittura di mano A entro la continuità testuale del corpo d'uno scritto. In altre parole, perché possano costituire indizio di successione cronologica, i rimandi dovrebbero garantire di risalire ai tempi di composizione dell'opera e non agli anni del riordinamento e trascrizione dei codici. Esistono elementi per accertare tale garanzia?
Il rimando n° 23, a fine testo della Venditio ad terminum, rimesso anzi dopo l'explicit, ha tutta l'aria d'essere stato aggiunto, ai fini della consultazione, al tempo della trascrizione delle opere. Non vi si può vedere una prova di priorità temporale del De peccato usure rispetto alla Venditio ad terminum. E dopotutto il rimando n° 23 anziché rivendicare eccezione stabilisce diversità qualitativa nei confronti degli altri rimandi. Notiamo anzitutto il n° 7: il rinvio al De misericordia (il testo potrebbe essere stampato «Cum De misericordia tractatum fecerimus...») è motivato dall'autore con l'opportunità di scrivere anche sulla giustizia (De iustitia) dopo aver scritto sulla misericordia (De misericordia).
O. Capitani riallaccia, sia pur dubitativamente, il De iustitia agli anni della politica antimagnatizia di Giano della Bella in Firenze (1294-95) sulla base del brano: «Unde et peccata principum et multitudinum multurn oportet pertransire et etiam magnorum interdum, et etiam aliquid esset puniendum in uno loco quod non esset puniendum in alio loco. In civitate namque ubi populus dominatur magis potest puniri magnus quam alibi et cetera» (De iustitia, ed. «Bull. Ist. Stor. Ital. per M.E.» 1960, 127-28; per la datazione proposta. ib. pp. 92, 119, 123). L'accenno nel testo è troppo generico perché se ne possa trarre una datazione, e comunque definisce più lo status costituzionale dei magnati dopo gli Ordinamenti di giustizia (1293) che lo specifico conflitto degli anni '94-95; i provvedimenti antimagnatizi degli Ordinamenti sopravvissero alla caduta di Giano della Bella. Quanto allo stato incompleto del testo del De iustitia discusso dal Capitani nel medesimo articolo, pp. 108-10 - il rimando n° 4 della lista data sopra, testimonia che non si tratta d'incompiuto d'autore. Certo è che il De iustitia originariamente conteneva anche quanto esige il rimando e che ora non trova riscontro nel breve frammento di testo trasmesso da cod. C.
Nel caso di n° 16a la redazione scritta di Quolibet II, a. 1, fa proprio con un semplice rimando tutto il materiale del corpo della questione e delle risposte alle prime tre obiezioni contenuto in Quolibet I, a. 1. Nella disputa quodlibetale il maestro non è libero di proporre a suo piacimento il tema del dibattito; l'iniziativa gli sfugge e passa alla platea. In due diverse dispute quodlibetali, tra le questioni mosse una è caduta sul medesimo argomento: se Dio possa fare che la materia esista senza l'atto. Il maestro non può sottrarsi alla risposta, senza rischiare la reputazione. Ma nella redazione scritta e intesa alla pubblicazione, Remigio si dispensa da tutto riscrivere una seconda volta; rimanda semplicemente a quanto già scritto altrove sul medesimo argomento, vale a dire in Quolibet I, a. 1. Mi sembra l'interpretazione più economica e più lineare del rimando e della lacuna redazionale. Quolibet I è temporalmente anteriore a Quolibet II.
La formulazione d'una serie di rimandi comporta due interessanti connotazioni, una grammaticale, l'altra redazionale; quella grammaticale nel verbo coniugato al passato, quella redazionale nel riferimento a luoghi paralleli dove il soggetto è svolto ex professo o più diffusamente: «sicut, ut diffusius ostensum est» (n° 1b, 5a), «ut diffuse ostensum est» (n° 5d), «diffusius ostendimus» (n° 5b-c, 18c), «distinximus» (n° 13), «sicut multipliciter ostendinus» (n° 14), «plenius executi sumus» (n° 19); e ancor più apertamente «sicut diffusius iam ostendimus» (n° 18a). «Iam» rimanda a cosa già fatta. E che senso avrebbe avuto scrivere «sicut iam ostendimus» in fase di coordinamento dei raccordi a scopo di consultazione, e dunque al tempo della trascrizione dei codici? Più logica e più economica sarebbe stata la semplice formula «vide..., require... », come appunto sono formulati i numerosissimi rimandi da sermone a sermone. Pochi rimandi comportano un semplice «vide..., require..., videat...» (nn. 3a-b, 4, 27). Mentre il futuro «sicut dicetur» di n° 16b non può che rafforzare, nei riguardi degli altri rimandi, l'intenzione cronologica (non solo di coordinazione ai fini della consultazione) di rinviare a opera precedentemente composta. In altre parole, mi sembra che Remigio, incline a stabilire frequenti richiami ad altri suoi scritti, lo faccia anche in fase di composizione.
Cf. DAVIS, Lector…pp. 288-90. «Even when the citation [in cod. C 4.940] is to an immediately preceding or following treatise only its title is given to identify it and no mention is made of its location in the volume. Perhaps this means that the cross-references in the text of the treatise were inserted at the time the treatises were first written and before they were assembled in one volume. If this is the case, such cross-references provide valuable clues to the sequence in which the treatises were composed» (p. 289). L'osservazione del Davis ha la sua plausibilità se si considera che nei rimandi del tempo del riordinamento il «vide.... require...» è con una certa frequenza accompagnato da indicazione topica (a scapito dell'intenzione cronologica) nel codice: «supra» «post...». Qui talvolta ci sono tracce d'interessanti sviste. «De hoc supra in sermone beati Thome martiris» era stato scritto in cod. G4, f. 44va, poi «supra» è stato cassato con barra; difatti il riscontro non è nel medesimo codice ma nel de sanctis cod. D. E ancora: «Vide supra in sermone de sinodo Auferam cor lapideum etc. Item cor est prior nobilitate sicut patet per Philosophum, quod est contra Galienum. Vide supra in secundo quolibet» (cod. G4, f. 51ra), Ambedue i «supra» sono cassati con barra. Nel primo caso si rinvia sì al medesimo codice ma «infra», ff. 247ra-250ra; nel secondo si rinvia a Quolibet II, a. 10, in cod. C. Il rimando topico del tempo del riordinamento delle opere non può testimoniare, in linea di principio, neppure della cronologia della stessa trascrizione. Nel sermone in morte di Clemente V, Omnis potentatus, il copista A trascrive il rimando «Vide in sermonibus de defunctis, de episcopo fiorentino Pontilex ex bominibus assumptus» (cod. G4, f. 379va) quando quest'ultimo sermone non era stato ancora trascritto; lo trascriverà il medesimo copista nelle carte successive, ff. 384va-385va. Mentre, tali rimandi e tali sviste potrebbero risultare utili per intravedere lo stato del testo da cui A copiava.
Un caso dal De peccato usure (non trascritto nella lista data sopra) se da una parte lascia un margine d'incertezza circa l'opera cui s'intende rinviare, dall'altra è altamente significativo della distinzione tra rimandi a opere già composte e rimandi a progetti del futuro. Dopo aver illustrato la «perversitas actus» del peccato d'usura contro la «regula nature» rispetto ai corpi subcelesti, a quelli celesti e agli angeli (capitoli 11-20), Remigio passa a illustrare la medesima idea contro la «regula legis»: innata (c. 21), infusa (c. 22), scritta (cc. 23-24), umana in generale (cc. 25-31), umana civile (c. 32), umana canonica (c. 33). A termine di quest'ultimo capitolo scrive:
«Omnia autem predicta vel multa ex eis possent particulariter secundum diversas condiciones ad quodlibet peccatum generaliter adaptari; sed hoc commodius faciendum est per specialem tractatum» (ed. Capitani, «Studi Medievali» 6/2 (1965) 655).
Quale in particolare l'aspetto che s'era ripromesso d'illustrare nella futura opera? Bisogna cercare riscontro nel De contrarietate peccati (che a sua volta ha un rimando al De peccato usure: cf. n° 1a) o nel trattato non pervenuto De malo peccati*? Ma ai fini del nostro discorso, questo brano del De peccato usure conferma la consuetudine di Remigio di rinviare in fase di composizione ad altri suoi scritti, e dunque l'attendibilità dell'implicanza di successione temporale nei rimandi con caratteristiche di cui ho detto sopra.
Concludendo: i rimandi in questione non sono mai contraddetti dai casi di cronologia stabilita su sicuri dati esterni, almeno per quanto si è finora accertato nella produzione letteraria di Remigio; sono inseriti in contesti che ben sorreggono redazionalmente un rinvio ad opera precedentemente composta; sono formulati in un calco grammaticale e sintattico che persuade riferimento, in fase di composizione, a scritti anteriori. Finché dunque non siano positivamente contestati da dati certi esterni, e in funzione d'una prima proposta d'ordinamento cronologico, i rimandi possono essere assunti quali criteri di datazione relativa per quelle opere di cod. C che non beneficiano di più solidi appoggi esterni.