⌂ La seguente Tavola cronologica ripropone, a mo' di conclusione, la lista delle opere di cod. C secondo l'ordine cronologico di composizione. Vi compaiono, per motivi detti sopra, anche i trattati non pervenuti (marcati con asterisco). Va da sé che il valore, dalla certezza alla probabilità, da attribuire alle singole datazioni e alla distanza dei termini estremi, è da ponderarsi secondo i dati e i criteri di cui si dispone finora per la singola opera. Nella tavola, per l'anno 1303 s'intendano gli estremi del conseguimento del titolo magistrale di Remigio (22.XI.1303 - 7.VIII.1304). Opere che al margine sinistro non portano datazione propria hanno solo datazione relativa. In tal caso priorità/posteriorità va intesa solo in rapporto all'opera o alle opere per le quali testimoniano i rimandi. Così, per intenderci, De modis rerum è anteriore a De bono comuni e Quolibet I sulla base dei rimandi; ma la tavola non asserisce che sia posteriore a De subiecto theologie o anteriore a Speculum; De cruce* è sì anteriore a De misericordia, ma non necessariamente posteriore a De bono comuni. I numeri rinviano alla lista dei rimandi data sopra.
tavola cronologica |
|
1280-1295 | Divisio scientie |
— |
Contra falsos ecclesie professores (posteriore a Divisio scientie, anteriore a De bono comuni: nn. 14, 27) |
1297-1299 | De subiecto theologie |
— |
De modis rerum (posteriore al 1280, anteriore a De bono comuni e Quolibet I: nn. 13, 18) |
1301-1302 |
De bono comuni (posteriore a Contra falsos e De modis rerum, anteriore a De via paradisi: nn. 5, 13, 14) |
1302-1304 | Speculum |
1303-1307 | De uno esse in Christo (anteriore a Quolibet I: n° 19) |
1303-1307 | Quolibet I (anteriore a Quolibet II: n° 16a) |
1304-1307 | Quolibet II |
(mag-giu 1304) | De bono pacis |
post 1303 | Venditio ad terminum |
— |
De cruce* (anteriore a De misericordia: n° 8) |
— |
De misericordia (posteriore a De bono comuni, anteriore a De iustitia: nn. 7, 9) |
— |
De iustitia (posteriore a De misericordia, anteriore a De via paradisi: nn. 4, 7) |
— |
De virtute Christi* (anteriore a De via paradisi: n° 4) |
ante 14.IV.1314 |
De via paradisi (posteriore a De bono comuni: n° 5; e posteriore agli anni 1306-08) |
ante |
Termine ante
quem rispetto alla trascrizione di cod. G4 e D: De domo Dei*,
De bomine*, De malo peccati*, De mundo*,
De mutabilitate et immutabilitate, De
peccato usure anteriore a De contrarietate
peccati (n° 1a), Speculum. |
Al De peccato usure rimanda più volte il trattato-sermone De nomine usure scritto per intero da mano B a fine del de tempore e dopo l'indice, anch'esso di mano B: cod. G4, ff. 409v, mg. sup, 410rb, 410r, mg. d. Il De peccato usure «probabilmente fu scritto tra il 1305-06 ed il 1315-17»: CAPITANI, «Studi Medievali» 6/2 (1965) 555. Ricordo che nel De peccato usure si fa uso, come segnalato sopra, del De decem dubitationibus circa providentiam (traduz. 1280) di Proclo. |
|
Non contengono nessun rimando, né sono oggetto di rimando entro cod. C, le opere De bono pacis, De mixtione elementorum in mixto, De mutabilitate et immutabilitate, De subiecto theologie, Speculum. Tra i trattati non pervenuti nessuna menzione in cod. C di De domo Dei*, De bomine*, De malo peccati*, De mundo*. |
|
La letteratura della divisione delle scienze, a giudicare dalle edizioni di cui si dispone e da segnalazioni di trattati o quaestiones per lo più inediti, era un genere letterario abbastanza frequentato dagli autori scolastici, specie dai maestri delle arti, e mirava a illustrare che cosa fosse la philosophia e le discipline in cui questa si articolava. Una sorta d’introduzione alla filosofia centrata sull’organizzazione delle scienze e delle arti. Il genere era stato ampiamente inaugurato sia dai filosofi arabi ellenizzanti (falâsifa) che dai cultori del kalâm o teologia islamica d’ispirazione apologetica (mutakallimûn) all’interno della sistemazione razionale delle scienze islamiche. Al-Kindî († 873), al-Fârâbi († 950) e lo stesso Ibn Sînâ († 1037) - l’Avicenna dei Latini - avevano specificamente trattato il problema, e i loro tentativi ebbero non poco influsso nell’Occidente latino nella ripresa scientifica dell’organizzazione razionale del sapere. Se ne fecero tramite - per segnalare qualche testimone di sicura documentazione letteraria - un Domenico Gundisalvi nella metà del XII secolo, e un Michele Scoto nel primo quarto del secolo successivo. La progressiva penetrazione delle opere aristoteliche, specie della logica nova, dei libri naturales e del testo completo della Metaphysica, operano un riassetto epistemologico nuovo e rigoroso non solo nel quadro d’insieme delle discipline filosofiche come intese nella facoltà delle arti ma anche nel loro interno strutturarsi come modo di pensiero, di ricerca, d’interrelazione. Le Etymologiae d’Isidoro da Siviglia († 636) e lo stesso Didascalicon d’Ugo da San Vittore († 1141) potevano ancora servire - e abbondantemente - per dati informativi e documentari, o per citazioni decorative; ma l’animo e l’assetto interno dell’organizzazione delle discipline filosofiche nella letteratura scolastica della «divisione delle scienze» ne decreta nel contempo il superamento.
Cf. A. CORTABARRIA BEITIA, La classification des sciences chez al-Kindi, «Mélanges Institut Domincain d'Études Orientales» 11 (1972) 49-76. C. BÄUMKER, Alfarabi. Ueber den Ursprung der Wissenschaften, Münster 1916. M.A. ALONSO, Domingo Gundisalvo, Madrid 1954. L. GARDET - M.-M. ANAWATI, Introduction à la théologie musulmane, Paris 1948, c. 2 (La place de la théologie musulmane (kalâm) dans l'organisation du savoir), pp. 94-134. L. BAUR, Dominicus Gundissalinus. De divisione philosophiae, Münster 1903, pp. 124-33 (Avicenna), pp. 342-45 (Alfarabi), pp. 398-440 (Michele Scoto).
Avicenna (Ibn Sînâ, † 1037), Opera philosophica, ed. Venezia 1508, reimpressione Louvain 1961 (Bibl. SMN - Campo 61.85).
Annoto che le «divisiones philosophiae» di Domenico Gundisalvi e Michele Scoto non sono mai citate da Remigio, né la Divisio scientie di costui presenta indizi testuali che ne esigano necessariamente l’utilizzazione. Ma i due non sono sconosciuti al frate fiorentino. A Domenico Gundisalvi si fà esplicito riferimento nella Extractio di BNF, Conv. soppr. G 3.465, f. 20ra; mentre Michele Scoto è messo, con Beda e Alberto Magno, tra le eccezioni di... buone teste in regioni gelide! Sermone VIII per san Pietro Martire, Scio cui credidi: «Sicut etiam in genere loquendo certior est cognitio visus quam auditus, et tamen auditus apri est certior quani visus noctue. Sicut etiam in genere loquendo habitantes in regionibus temperatis habent melius capud et ingenium quam habitantes in regionibus frigidis; et tamen in particulari invenitur contrarium, puta in Beda Anglico, in Micaele Scoto, in Alberto Theotonico» (BNF, Conv. soppr. D 1.937, f. 159ra).
Dal De divisione philosophiae (1150 ca.) di Domenico Gundisalvi alla Divisio philosopbiae di Michele Scoto († ante 1235), al vademecum degli esami per studenti (1230-40) scoperto dal Grabmann, ai trattati e questioni, editi e inediti, dei maestri delle arti della metà del ’200 - Nicola da Parigi, Arnolfo di Provenza, Roberto da Kilwardby - fino alla Divisio scientie (1280) di Giovanni di Dacia, si assiste alla sistematica e robusta operazione intellettuale di ricomporre le discipline del sapere filosofico in un assetto che dia ragione a nuovi modi di pensiero e a nuovi sviluppi dei metodi di ricerca cui le opere aristoteliche, specie gli Analitici secondi, provvedevano congrui strumenti epistemologici.
■ Ancora fondamentale l'opera di L. BAUR, Dominicus Gundissalinus..., citato. M. GRABMANN, Storia del metodo scolastico, rist. Firenze 1980, voI. II, 41 ss. ID., Eine für Examinazwecke abgelasste Quaestionensammlung der Pariser Artistenlacultät aus der ersten Hälle des 13. Jahrhunderts, in Mittelalterlisches Geistesleben, II, München 1936, 183-98; su Nicola da Parigi, ib. voI. I, München 1926, 222-48. Per Arnolfo di Provenza e testi anonimi in R.-A. GAUTHIER, Arnoul de Provence et la doctrine de la "Fronesis", vertu mystique suprême, «Revue du moyen âge latin» 19 (1963) 129-70. ROBERT KILWARDBY O.P., De ortu scientiarum, ed. A.G. Judy, Toronto 1976. GIOVANNI DI DACIA, Divisio scientie, in Opera I, ed. A. Otto, Hauniae 1955, 1-44. Vedi ancora R.J. PALMA, Grossatesta's Ordering of «Scientia», «The New Scholasticism» 50 (1976) 447-63. Ch. WENIN, Les classifications bonaventuriennes des sciences philosophiques, «Scritti in onore di C. Giacon», Padova 1972, 189-216. E. CHAVARRI, El orden de los éscritos logicos de Aristóteles segùn San Alberto Magno, «Estudios Filosoficos» 20 (1960) 97-134. F. VAN STEENBERGHEN, La filosofia nel XIII secolo, Milano 1972, 35-56, 99-112. J.A. WEISHEIPL, Classification of the Sciences in Mediaeval Thought, «Mediaeval Studies» 27 (1965) 54-90. ID., The nature, scope and classification of the sciences, «Studia Mediewistyczne» 18/2 (1977) 85-101: non riuscito a consultare (cf. recens. in «Rassegna di Letteratura Tomistica» XIII, n° 446). G. DAHAN, Notes et textes sur la Poétique au moyen âge, «Arch. Hist. Doctr. Littér. M. A.» 47 (1980) 175-85.
Sotto questo aspetto, la Divisio scientie del fiorentino Remigio dei Girolami non presenta alcunché di nuovo, oltreché confermare il corso culturale prevalente negli uomini della schola e nelle facoltà delle arti dei centri universitari, specie parigino. Gli schemi di massima e i procedimenti redazionali sono i medesimi. Divisione e suddivisione delle scienze e delle arti, assegnazione del soggetto, natura delle singole discipline, relazioni di dipendenza e subalternazione, libri in cui la singola disciplina è trasmessa; spesso si conclude ragguagliando circa l’«inventore» della disciplina. Delle coesistenze culturali e letterarie, si è cercato di stabilire tracce e filoni - talvolta di sola consonanza tematica, talaltra di possibile contatto testuale - nelle note che accompagnano l’edizione della Divisio scientie. Si può notare semmai che, pur nella sinteticità della trattazione, Remigio fa all’occasione nette scelte metodologiche e redazionali a confronto di trattazioni simili (c. 1) e non rinuncia a punti di qualificante problematica epistemologica quando il caso si ponga: per la subalternazione, ad esempio, delle discipline che confinano tra scienza naturale e matematica (cc. 10-11); sviluppa ampiamente il discorso sull’arte magica (cc. 18-20) che, nell’economia modesta della Divisio scientie, ottiene uno spazio rilevante, specie se si paragona con la sezione parallela delle opere affini; qui, a valutare dalle opere edite, come quelle d’ampio respiro d’un Domenico Gundisalvi, d’un Roberto da Kilwardby e dello stesso Giovanni di Dacia, l’arte magica - astraendo dallo specifico problema “astronomia/astrologia” - è appena evocata e frettolosamente descritta dopo che se ne è perentoriamente negato il valore di scienza. I destinatari e l’area geografica della Divisio scientie di Remigio sollecitavano una più dettagliata trattazione?
■ Gerardo da Feltre OP, che nel 1264-65 scrive la Summa de astris, afferma nel prologo la recrudescenza delle pratiche magiche nelle regioni italiane: «Jam fermentum malitie ac nequitie, quod totam illius scientie massam corrumpit atque sua commixtione denigrat, a qua civitas ecelesie paululum quieverat preterito tempore, donec in diebus nostris fermentaretur quasi totum in Ytalie partibus expurgandum, ut fiat nova dispersio»: AFP 11 (1941) 76.
Ma il valore storico dell’opera di Remigio va ricercato nell’area scolastica in cui si colloca: uno studium regionale dei Mendicanti, fuori e lontano dai grandi centri universitari del XIII secolo. Il piano didattico delle università disponeva di più facoltà, tra le quali veniva distribuita, secondo competenze scolastiche e ruoli accademici, la trasmissione del sapere scientifico del tempo. La «divisio scientiae» - una vera introduzione alle discipline che si raccolgono nella philosophia, dei loro metodi come dei relativi libri textus - era competenza della facoltà delle arti, così come la lectio dei libri di testo della singola disciplina (P. Glorieux, La Faculté des Arts et ses maîtres au XIIIe siècle, Paris 1971; A. Maierù [† 12.IX.2011], University Training in Medieval Europe, Leiden 1994). Negli studi, generali e provinciali, degli ordini Mendicanti tale separazione non esisteva, perlomeno non era così netta, sebbene il programma di studi prevedesse un curriculum che dalla logica vetus e nova andava agli studia in naturalibus per terminare allo studium theologie (M.M. Mulchahey, "First the Bow is Bent in Study...". Dominican Education before 1350, Toronto 1998). Dagli Atti dei capitoli provinciali dei frati Predicatori si ricostruiscono carriere professorali di medesimi lettori che insegnano successivamente in tutti gli stadi del curriculum accademico. Li si vede lettori in logica, poi in naturalibus, poi baccellieri biblici e/o sentenziari, per terminare eventualmente lettori principali nello studio di teologia. Almeno nel corpo professorale, le materie istituzionalmente riservate alla sapienza filosofica convivevano didatticamente in più stretto rapporto con la scienza della sacra dottrina. Così se in una carriera prevalentemente universitaria come quella d’un Tommaso d’Aquino la Sententia libri Ethicorum non è frutto della lectio scolastica (R.-A. Gauthier, EL 47, p. 242*; mentre Alberto Magno sembra abbia letto l’Ethica nelle scuole a Colonia, ib.; EL 45/1, p. 276*b), c’è invece da domandarsi se in uno studio regionale - generale o provinciale che fosse - Remigio non avesse “letto” a scuola l’Ethica Nicomachea. La sezione Prologi di BNF, Conv. soppr. C 4.940, ff. 268v-345r, contiene prologi o principia dei corsi scolastici sui libri biblici e sulle Sententiae di Pietro Lombardo, i libri di testo dell’insegnamento teologico. Molti brani di tali prologhi non lasciano dubbi che si tratti di frutto d’insegnamento scolastico. Dello stesso genere letterario e redazionale, un Prologus super librum Ethicorum chiude la serie dei prologhi (ff. 344v-345r; Il Repertorio dello Schneyer..., MD 11 (1980) 636-41). Non dovrebb’essere anche quest’ultimo un principium alle lezioni sull’Ethica tenute a scuola? Il thema, stretto appannaggio del testo biblico, dà qui accesso a un testo aristotelico: Videtur igitur philosophia admirabiles delectationes habere puritate cum firmitate. X Ethicorum c. 8 [1177a 25-26]. E sul tema s’intesse, senza riserve e senza censura alcuna, la lode e l’amore alla philosophia. I tempi in cui i teologi lusingati dalla filosofia erano ammoniti ad esser più theodocti e meno theophanti, i tempi in cui gravi remore non erano estranee neppure nell’ordine dei Predicatori, sono veramente lontani (G.G. Meersseman, In libris gentilium non studeant. L’étude des classiques interdite aux clercs au moyen âge, «Italia medioevale e umanistica» 1 (1958) 1-13). Ecco come inizia il Prologus super librum Ethicorum di Remigio:
«Philosophus in verbo proposito quatuor nobis aperte insinuat propter que philosophiam maxime debemus appetere et desiderare et ipsi acquirende totis insudare conatibus...» (f. 344va); difatti le «delectationes que sunt circa philosophiam sunt maxime et optime» (ib.).
Certo è che la produzione letteraria di Remigio, accanto a opere legate all’insegnamento teologico, registra scritti che testimoniano attività didattica nel campo più strettamente filosofico; per essere più esatti, in quello che nelle università era riservato alla competenza dei maestri della facoltà delle arti. Taluni scritti sono sollecitati dagli stessi confratelli. Così il De mixtione elementorum in mixto:
«Importunis petitionibus et instantiis multis fratrum quorundam amplius non valens resistere acquiesci conscribere aliqua secundum modulum parvitatis mee de re valde difficili et vires meas excedenti... » (C 4.940, f. 11vb).
Studenti e frati dei conventi lontani dai centri universitari non potevano beneficiare di biblioteche, testi e ausili didattici come altrove. Abbiamo visto che l’edizione dei sermonari di Remigio - ma anche degli altri scritti - porta evidentissimi intenti di ausilio omiletico e di consultazione per i frati. E i volumi risultarono «perutilia», attesta Cr SMN n° 220.
sermones utiles. Frater Iacobus Perusii, sacerdos. Fuit magnus et graciosus predicator et bonus clericus, qui et fecit sermones utiles et acceptos fratribus, quos conventus pro comuni utilitate ad catenam armarii apposuit (Cr Pg f. 35r). Frater Andreas Iannis, sacerdos et predicator. (...) Qui etiam ex sua inventione sermones compilavit perutiles tam de tempore quam etiam de festis quos librarius adposuit ad armarium comune (Cr Pg f. 36r). Frater Taddeus Dini… Composuit multa milia sermonum qui multum diffusi sunt per ordinem, quia liberalis erat in prestando vel comunicando (Cr SMN f. 40v n° 418). L. Pellegrini, I manoscritti dei Predicatori, Roma (Istituto Storico Domenicano) 1999.
La medesima preoccupazione deve aver dettato a Remigio il bisogno di comporre delle Distinctiones bibliche, strumento per eccellenza e dalle pure funzioni di consultazione, indispensabile per chiunque avesse dovuto comporre un sermone o un trattato di teologia spirituale.
La Divisio scientie ha tutte le caratteristiche d’un’introduzione alla filosofia fatta agli studenti d’uno degli studia della provincia Romana dei frati Predicatori. Si dice anzitutto in c. 1 che la «divisio scientie generalis frequenter recitanda incumbit», dove il «recitare» sembra ben alludere all’atto dell’insegnamento. Altri hanno già trattato dell’argomento: taluni con risultati non del tutto soddisfacenti, talaltri con una trattazione ingombrante, «propter multorum insertionem». Lui, Remigio, si propone una divisione generale della scienza in forma sintetica e chiara («ad quandam ordinatam brevitatem reducere»: c. 1, 7). Difatti se paragonata alle poderose trattazioni d’un Domenico Gundisalvi e d’un Roberto da Kilwardby, la Divisio scientie di Remigio porta chiari segni d’un’ispirazione elementare ed essenziale nello stesso tempo. Divisione, sottodivisione, soggetto, natura, inventore delle singole discipline sono illustrati con tratti rapidi: marcati sì da una consapevole scelta d’epistemologia aristotelica, ma sgombri da dibattiti specialistici che distinguono le trattazioni più impegnate. L’esposizione e il clima sono calmi. Il bisogno di sintesi e l’intento didattico astraggono da controversie specialistiche. A differenza d’altri contesti compositivi (penso al De subiecto theologie, due quodlibeti, De uno esse in Christo, De mixtione elementorum in mixto) dove Remigio è impegnato a dibattere aspetti tecnici della problematica della scuola e a commisurarsi direttamente con tesi opposte, qui la polemica dottrinale e il confronto con tesi altrui sono praticamente assenti. L’autore non si spinge, come altrove, a produrre elaborazioni e soluzioni personali su dibattiti in corso. Mira semplicemente a dare agli studenti una visione d’insieme, accurata ma cursoria, della filosofia e delle discipline che la compongono. Un accenno critico è discretamente rimesso al capitolo introduttivo, «Licet enim aliqui sufficienter videantur ipsam divisisse, fortassis tamen in aliquo defecerunt...» (c. 1, 9-10); il resto si attiene al proposito didattico d’un’introduzione rapida ed essenziale all’organizzazione del sapere filosofico del tempo. La Divisio scientie, in altre parole, ha davanti a sé degli studenti, non dei colleghi professori. E per quel che si è potuto accertare della cronologia degli scritti remigiani, la Divisio scientie è un’opera del giovane Remigio.
L’arca geografica dei destinatari della Divisio scientie è certamente l’Italia. L’arte meccanica, arte “adulterina”, imita imperfettamente la natura: di qualcuno o di qualcosa che degrada «dicimus vulgariter...: elgli imbastardisce» (c. 15, 6-7). Gli studia delle discipline filosofiche erano distribuiti in diversi conventi della provincia Romana dei frati Predicatori ed erano sottoposti a frequente rotazione tra i conventi del centro Italia. Il luogo d’attività accademica di Remigio più ampiamente documentato è fuor di dubbio Firenze, dove egli è nominato lettore ancora diacono e dove lettore risulta nel 1286, 1289 e dal 1293 in poi. Firenze ha senz’altro il diritto di precedenza quando si volesse avanzare un’ipotesi. Ma oltre al periodo parigino (1297/8-1300) e quello perugino (1303-1305/7), altre sedi non possono essere escluse a priori. I decenni ’70-80 della cronologia di Remigio presentano ancora molti vuoti documentari, e nulla vieta che la preferenza per la città di Firenze possa esser contesa da lettorati in altri conventi, specie in quelli dove di volta in volta si trasferiva la curia romana: Orvieto, Viterbo, Perugia... Sfortunatamente le assegnazioni dei lettori in quei decenni sono lacunose e frammentarie negli Atti dei capitoli provinciali (MOPH XX).