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(... 3. Un’introduzione alla filosofia...) 

Sulla data di composizione è stato detto sopra:

- posteriore alla IIa-IIe (1271-72) della Summa theologiae di Tommaso d’Aquino, alla questione XVI (1272) del De malo del medesimo Tommaso (prestito letterale dal De malo XVI, 11, 215-24.316-18 di ed. Leonina XXIII, è in Divisio scientie 18, 92-98.104-05: ed. MD 1981, 114);

- anteriore alla prima traduzione (Anagni, agosto 1295) degli Economici d’Aristotele; anteriore al Liber sextus decretalium 1298 (conosciute le sole decretali Extra: Divisio scientie c. 14).

Altro si può suggerire a titolo di verosimiglianza e d’indizi probabili. Prima annotazione: negli anni 1269-72 Remigio attendeva ancora alla propria formazione intellettuale in Parigi, e sebbene il lettorato inizi di buon’ora, quand’ancora semplice diacono, sembra improbabile che il giovane lettore si fosse subito lanciato a mettere per iscritto a fine di pubblicazione i propri corsi. Seconda annotazione. Nello stendere nel 1280 la Divisio scientie Giovanni di Dacia non soltanto testimoniava implicitamente che la traduzione latina degli Economici non era ancora disponibile, ma ignorava che esistesse un libro degli Economici d’Aristotele; la materia della scienza “economica” era rimessa al libro della Politica. Giovanni, si noti, era maestro delle arti a Parigi e i libri aristotelici erano libri di testo della facoltà degli artisti. Persona e circostanze di tale ignoranza hanno un'implicanza non liquidabile dall’obiezione d’argomento “ex silentio” (R.-A. Gauthier, «Bulletin thomiste» IX (1954-56) n° 1817, che dal “silenzio” di Giovanni trae legittime conclusioni). Remigio invece in c. 14, 16-19 della propria Divisio scientie, oltreché dichiarare esplicitamente che la traduzione degli Economici non era stata ancora realizzata, asserisce nel contempo che lui, il libro degli Economici, l’ha veduto: «quamquam ego viderim eum» [cioè il testo greco: così scrivevo nell'edizione a stampa, p. 73 rigo 22]. Il testo greco? in un convento domenicano? presso la curia papale? A parte queste curiosità destinate a non avere risposte attendibili, non si potrebbe spiegare la cosa invocando, a favore di Remigio, più documentazione e più informazione di quanto ne possedesse Giovanni di Dacia in un centro universitario quale quello di Parigi? Nulla vi si oppone in linea di principio. Ma mi sembra più plausibile supporre che la Divisio scientie di Remigio sia alquanto posteriore a quella di Giovanni, quando cioè le informazioni fornite da Remigio erano acquisite, mentre non erano ancora disponibili alla facoltà delle arti dell’universita di Parigi intorno al 1280. Diciamo dunque, con l'elasticità del caso, che la Divisio scientie ruota attorno al decennio 1285-1295.

fonti

Per le fonti implicite della Divisio scientie, ricordiamo che il materiale delle diverse specie di divinazione in Tommaso d’Aquino, Summa theologiae IIa-IIe, q. 95, a. 3 (Utrum sit determinare plures divinationis species) è palesemente utilizzato da Remigio nei capitoli 18-20, talvolta in calchi testuali; gl’incidenti redazionali nelle due citazioni da Origene (c. 18, 17-18) e da Valerio Massimo (c. 19, 38-43) ne sono eccellente conferma. Si può semmai annotare che se l’abbondante materiale giace nel testo di Tommaso raccolto intorno a grosse categorie distintive, Remigio ha cura d’intessere la divisione delle forme magiche in uno schema più articolato e minuto, dove divisione e suddivisione pongono ordine alle singole unità e mettono in risalto la perspicuità didattica del temperamento di Remigio. Di Tommaso è altresì utilizzato, in c. 10, 16-33, il commento agli Analitici secondi.

Più interessante accertare se Remigio abbia conosciuto e utilizzato il De ortu scientiarum (1250) d’un altro suo grande confratello, Roberto da Kilwardby, maestro delle arti in Parigi tra 1237 e 1245, poi arcivescovo di Canterbury e tenace oppositore della teologia tomasiana. Nelle note al testo remigiano si troveranno frequenti rimandi al De ortu scientiarum di Roberto; ma bisogna guardarsi dal vedervi - come per altri autori portati a commento - dipendenze dirette in un genere letterario della “divisione delle scienze” molto formalizzato, dove schemi, tópoi, auctoritates, sono di comune possesso e creano moduli linguistici, forme redazionali e ricorsi tematici che si trasmettono da lunga data. Ma taluni brani del testo di Remigio mi sembrano contenere coincidenze testuali di natura tale da far pensare a utilizzazione diretta, benché taciuta, del De ortu scientiarum; a meno che edizioni d’altri testi della medesima letteratura non spieghino altrimenti le coincidenze. Penso in particolare a c. 11, 19-49: la divisione tripartita dell’astrologia, la definizione di ciascuna di esse, i termini tecnici sull’astrologia superstiziosa, le differenze tra i dati originali delle fonti invocate e le coincidenze delle forme come riportate, hanno una stretta affinità col De ortu scientiarum c. 12 § 69-71 che sembrano andare oltre le consonanze tematiche. A c. 12, 8-10 si ha un incidente di citazione che testimonia la dipendenza da Roberto (a meno che non si scopra una comune terza fonte) e spiega nel medesimo tempo l’inesatto ricorso all’autorità di Ugo da San Vittore.

Ugo da San Vittore († 1141) Roberto da Kilwardby, 1250 Remigio, 1285-1295

areth graece, virtus interpretatur latine: arithmus numerus; inde arithmetica virtus numeri dicitur. Virtus autem numeri est, quod ad eius similitudinem cuncta formata sunt (Didascalicon 11, 8: PL 176, 755).

 ... arismetica dicitur, id est numeri virtus, quia “ares” graece virtus est latine, et “rithmus” numerus, ut dicit Hugo. Unde veteres scripserunt arithmetica et non arismetica (De ortu scientiarum c. 19 § 136: ed. A.G. Judy, Toronto 1976, 54).

Unde sic <arithmetrica> videtur dici ab “ares” quod est virtus et “rithmon” quod est numerus. Unde veteres, sicut dicit Hugo de Sancto Victore in Didascalicon, scripserunt arithmetrica et non arismetrica (c. 12, 8-10).

Quanto Remigio attribuisce a Ugo («Unde veteres...») non si ritrova nel Didascalicon bensì in Roberto. Auguriamoci che le edizioni non abbiano aggirato insidiosi grafemi messi a fronto dalle due derivationes, la classicheggiante e la mediolatina: arithmetica / arismetrica. Di certo Remigio in fase di documentazione ha letto frettolosamente il testo di Roberto. Costui attribuisce correttamente a Ugo l’etimologia di «arismetica», poi aggiunge in proprio: «Unde veteres scripserunt...». Remigio riporta l’etimologia di aritmetica, ma ritenendo quel che segue una citazione da Ugo rimette alla paternità di costui («Unde veteres...») quanto Roberto aveva scritto in proprio.

In c. 15, 20 ss di Remigio, la tradizionale denominazione delle arti meccaniche trasmessa da Ugo da San Vittore è riadattata con più pertinenti e specifiche denominazioni accompagnate da un «melius vocatur..., melius dicitur...»; esse si ritrovano tutte nel De ortu scientiarum di Roberto, c. 40 § 374-377. Così in c. 17, 21-23 la divisione dell’arte sermocinale in grammatica da una parte e in logica-retorica dall’altra sulla categoria del sermo significativus noti e sermo inquisitivus ignoti presenta un calco linguistico fortemente aderente alle formule usate da Roberto in c. 49 § 468.

Roberto, come si sa, nominato cardinale vescovo di Porto nell’aprile 1278, si trasferì alla curia papale, a Roma e poi a Viterbo; qui morì il 10.IX.1279 e fu sepolto nella chiesa di Santa Maria in Gradi dei frati Predicatori. In quegli anni lo studium generale dei domenicani della provincia Romana seguiva gli spostamenti della curia romana.

orientamento generale

E sull’orientamento generale della Divisio scientie, annotiamo ancora il caso dell’arte teatrica. In tutta la letteratura della divisione delle scienze d’ispirazione scientifica, la teatrica è severamente censurata. Sull’autorità delle Etymologiae XVIII, 59 d’Isidoro, l’arte teatrica è inappellabilmente bollata ed espunta dal catalogo delle arti meccaniche. La Divisio scientie di Remigio non fa eccezione: l’arte teatrica è da esecrare perché vi si annida l’opera del demonio; pertanto «non est ponenda scientia theologis» (si noti l’intento d’ancillarità teologica della Divisio scientie) (c. 15, 38-41; cf. c. 16, 68-70). L’armifattura è suddivisa in architettura e fabrile, cosicché - detratta la teatrica - il tradizionale numero settenario delle arti meccaniche è fatto salvo (c. 15, 57-59). Ma se l’avaro assetto scolastico delle scienze non riserva alcun posto all’arte teatrica, l’ispirazione omiletico-allegorica d’un’opera quale il Contra falsos ecclesie professores - dove tutte le scienze e le arti concorrono alla sapienza universale della chiesa - recupera alla spiritualità cristiana dell’uomo medievale l’arte teatrica. A confronto con la posizione della Divisio scientie, il c. 97 del Contra falsos acquista un risalto e un valore sorprendenti: 

«Qualiter in ecclesia invenitur theatrica sub vocabulo “ludicra”» (Per lo studio…, MD 10 (1979) 172-73; ed. F. Tamburini, Roma 1981). 

Remigio non passa sotto silenzio né le riserve d’Isidoro né quelle di sant’Agostino, ma cambia la denominazione: non più theatrica bensì ludicra. I nomi hanno una continuità, acquistano persino una sorta d’identità personale nella catena delle auctoritates. Meglio dunque chiamarla ludicra. Le distinzioni e l’interpretatio non rendono servile il medievale ossequio alle auctoritates. L’intransigenza della Divisio scientie e le censure d’Agostino e d’Isidoro non sono cancellate dalla memoria di Remigio: «potest... tutius a nobis vocari “ludicra”» (Contra falsos 97, 16). Riscattata nel nome e inserita di diritto come settima arte delle meccaniche, la ludicra ispira una stupenda pagina di teologia spirituale all’insegna del ludus. Il ludus sovviene alle fatiche del corpo. Persuade la quiete. E ben si conviene a spirituale discrezione che anche il santo cristiano riservi dei tempi al gioco nella quiete e alla quiete nel gioco. Farà ritorno, poi, a più sana tensione di spirito. Altrove le auctoritates filosofiche e teologiche costringono la disciplina intellettuale al rigore del trattato scolastico, qui l’exemplum dilata gli spazi umani, ispira persino cadenze liriche. Si legge di san Giovanni l’Evangelista come una volta s’intrattenesse a giocare con una pernice. Un giovane cacciatore, arco e faretra a tracolla, ne è mosso a derisione. E tu - gli chiede san Giovanni - perché tieni l’arco a riposo? L’arco troppo teso si spezza - risponde il giovane. «Così pure - commenta san Giovanni - l’uomo, a motivo della propria fragilità, si renderebbe inabile alla contemplazione se insistendo oltremodo nel suo rigore non condiscendesse a tratti alla propria fragilità: sic et humana fragilitas ad contemplationem minus valida fieret si semper in suo rigore persistens fragilitati sue interdum condescendere recusaret». L’aquila vola a grandi altezze eppure anch’essa scende talvolta a fior di terra. L’animo, temperato dalla ricreazione, farà ritorno alle cose celesti con rinnovato vigore. E dopotutto, quale altro servizio dobbiamo al Signore se non quello animato dalla letizia (Ps. 92, 2)? Dio ama chi dona col sorriso sulle labbra (II Cor. 9, 7). Da tempi antichi la Sapienza presiede alla creazione nella letizia del ludus:

«Cum eo ero cuncta componens, et delectabar per singulos dies ludens coram eo, omni tempore ludens in orbe terrarum, et deliciae meac esse cum filiis hominum» (Prov. 8, 30).

Quanto l’intellettuale della schola aveva negato al sapere universitario, il predicatore restituisce alla città medievale.

G. Olson, The medieval fortunes of theatrica, «Traditio» 42 (1986) 265-86.

- ludicrus (non ludicus) anche nel dizionario del tempo Uguccione da Pisa [1210], Derivationes II, 708 § 8.

Così se il clima razionalizzante della Divisio scientie - e per altri versi quello allegorizzante del Contra falsos ecclesie professores - sacrificano attività e prodotto specifici delle arti meccaniche, altri contesti danno occasione al fiorentino Remigio di discorrere a lungo e a più riprese dei mestieri. Soprattutto i sermonari ne portano evidenti testimonianze: ma bisognerà ritornarci dopo recensione sistematica dei testi. Notiamo soltanto che il frate e cittadino fiorentino del secondo Dugento, uscito dalla famiglia dei Girolami - tipica rappresentante del ceto del “popolo grasso” e attiva nella corporazione della lana - non pecca d’ingenuita nei confronti delle forme della società mercantile della Firenze del tempo. Descrive in più occasioni le dissimulazioni del credito ad interesse come le frodi del commerciante o del negoziante. Una questione di morale pratica, tutta legata ai caratteri dei comuni italiani del tardo medioevo, dà la misura della pertinenza di annotazioni che non potevano figurare tra gl’interessi della Divisio scientie: il religioso, o il chierico, può attendere alla mercatura? Una consolidata tradizione canonica era la per una ferma risposta negativa. E Remigio, definita la mercatura in senso stretto come compravendita senza trasformazione alcuna dell'oggetto di scambio, si attiene alla prescrizione canonica:

«<Negotiatio> accipitur proprie puta cum emitur vilius ut vendatur carius non mutata forma; et sic negotiatio est peccatum mortale omni religioso et etiam omni clerico quantum est de genere suo et etiam per se loquendo. (...) Si autem religiosus vel clericus emat librum vel aliud vilius ea intentione ut ipsum non mutatum carius vendat, mortaliter peccare videtur» (Quolibet II, 14: BNF, Conv. soppr. C 4.940, f. 88vb).

Ma supponiamo - in una «negotiatio» in senso lato - che il religioso acquisti pergamena e confezioni un codice, oppure acquisti vinchi e intrecci una cesta. In tal caso venderà codice o cesta a prezzo superiore alla rispettiva materia prima; ma non saremmo di fronte ad atto di mercatura (negotiatio) bensì a lavorazione d’artigianato (artificium); il lavoro dell’artigiano induce trasformazione nel manufatto e incorpora valore nel prodotto. Remigio lo dirà con le categorie dell’uomo di scuola: nel manufatto c’è una nuova «forma que quidem per artificium introducta est»; ma non mi sembra sollecitare oltremodo il testo se vi si riconosca la chiara distinzione di due fatti economici distinti, su cui s’innestano due distinte soluzioni etiche: pura mercatura di scambio (negotiatio) da una parte e artigianato di trasformazione (artificium) dall’altra; la prima proibita al religioso, la seconda lecita. Di tale artificium invano si cercherebbero tracce nella trattazione formale delle arti meccaniche come nella Divisio scientie o in opere affini.

<Negotiatio accipitur> large, puta quando mutatur forma rei vilius empte quam vendatur, puta quia emuntur carte et venditur liber quem scribit, emuntur iunci et venditur sportula; tunc enim potius dicendum est artificium quam negotiatio, quia denominatio fit a forma que quidem per artificium introducta est. Et sic licet quibuscumque religiosis negotiari, servatis aliis debitis circumstantiis (ib., f. 88va-b).

4. Note all’edizione della “Divisio scientie” | ö

Alla Divisio scientie Remigio rimanda tre volte. Nel capitolo primo del Contra falsos, annunciata l’universalità sapienziale della chiesa in cui si raccolgono le notitiae di tutte le scienze ed arti, si dice: «Si quis autem ordinem artificialem magis scientiarum requirit, videat in tractatu nostro de divisione scientie» (c. 1, 30-31). L’«ordo artificialis» è quello appunto che l’insegnamento scientifico della schola e l’epistemologia aristotelica inducono nella letteratura della «divisione delle scienze».

artificiosus, artificialis, artificialiter, in arte, secundum artem, redigere in artem.
Ugo da San Vittore, Didascalicon 111, 9: «In narratione <ordo attenditur> secundum dispositionem, quae duplex est: naturalis, scilicet quando res eo refertur ordine quo gesta est; et artificialis, id est quando id quod postea gestum est prius narratur» (PL 176, 771 D). Roberto da Kilwardby, De ortu scientiarum (1250) c. 46 § 417: «Sciendum igitur quod sicut in mechanicis artibus est quod prius sunt in usu quam in arte...»; c. 46 § 421: «Ideoque propter commoditatem addiscendi et docendi et omnino mutuos conceptus animi exprimendos modum loquendi et scribendi, qui prius in solo usu erat, per studii diligentiam redegerunt in artem»; c. 46 § 422: «Sicque de sermone humano pars philosophiae constituta est quae docet artificialiter loqui, scribere et ratiocinari. Sicut igitur aliae scientiae prius fuerunt in usu quam in arte, sic et sermocinales (...). Ex quo patet quod sermocinalis scientia ultima est in humana inventione, prima tamen debet esse in ordine humanae doctrinae, et ideo ante alias doceri debet»; c. 47 § 440: «Et sic sermo artificialis per sermonem usualem et inertem forte addiscitur»; c. 47 § 442: «... sermo artificialis et ignotus <addiscitur> per inertem et notum, quia usualis est, et sermo in universali quoad modum artis per sermonem sensibilem et singularem»; c. 53 § 493: «Haec igitur scientia ratiocinativa est sive rationalis quia motu rationis docet uti artificialiter, et sermocinalis quia docet illum artificialiter sermocinari». Tommaso d’Aquino, In I Sent., prol. a. 5, ob. 1 e ad 1. Brunetto Latini, Rettorica (1260-65), ed. F. Maggini, Firenze 1968, 49-50: «Altressì quella civile scienzia ch’è con lite è di due maniere, ch’è  ll’una artificiosa, l’altra non artificiosa». Remigio, Divisio scientie c. 4, 29-30: «artifitiosius et melius aliter dividenda est». Dante, Vita nuova (1293-96) XIX, 15: «Questa canzone, acciò che sia meglio intesa, la dividerò più artificiosamente che l’altre cose di sopra». Giovanni Boccaccio, Decameron (1349-51), VIII 10, 22 «artificiosa piacevolezza».

- dunque artificialis = a regola d'arte, secondo le norme della rispettiva disciplina

Alla Divisio scientie fa inoltre riferimento Prologo VI, Aqua profunda verba ex ore viri (Prov. 18, 4) in un rimando parte scritto da mano A, «ut alibi notatum est», e parte da mano B, «scilicet in tractatu de divisione generali scientie» (BNF, Conv. soppr. G 4.936, f. 282vb). Vi rimanda infine sermone VII della Natività, Ecce enim evangeliço (Luc. 2,10), in un contesto omiletico dove si dice che il Verbo incarnato assume nella propria umanità tutti gli stati, le professioni e i mestieri dell’uomo. La lista potrà sembrare tediosa; ma, a parte l’evocazione di mestieri che non potevano comparire nell’assetto formale della Divisio scientie, vi soggiace la medesima idea del Contra falsos trasferita al Cristo; come - in altre parole - tutte le scienze sono nella chiesa, così il Cristo ha assunto in sé e santificato tutte le arti, liberali e meccaniche. Ecco il brano centrale:

Circa septimum nota quod <Christus> suscepit omnes artes liberales, iuxta illud Col. 2[,3]: in ipso «sunt omnes thesauri sapientie et scientie absconditi», quia «unusquisque in arte sua sapiens est», ut dicitur Eccli. 38[,35]. Unde omnibus est gaudendum.

Item omnes mecanicas ipse approbavit artes, scilicet lane et per consequens omnium inferiorum artificum, quia usus est vestimentis laneis; lineariorum, quia «lintheo se precinxit», Io. 13[,4], et lintheo impressit figuram suam, et lintheaminibus et sudario in morte usus est; et sartorum, quia incisis et sutis usus est; et pellipariorum, quia pellem humanam induit, et Iohannem Baptistam çonam pelliceam portare voluit, qui et primis parentibus tunicas pelliceas fecit; et cerdonum, quia Iohannes de eo dicit «Non sum dignus solvere corrigiam calceamentorum eius»; et fabrorum, unde et fabri filius vocari voluit. Omnes autem dicuntur fabri, scilicet lathomi et carpentarii. Item mercatoris, unde et beata Virgo dicitur, Prov. ultimo [31,14] «Navis institoris», qui dedit verba ut acciperet facta, dedit se ut haberet nos, dedit divinitatem et accepit humanitatem. Item sensualis [sic] iuxta illud I Tbim. 2[,5] «Mediator Dei et hominum homo Christus Iesus». Piscatoris hamo verbi. Item militis gladio verbi Dei bellando contra hostes. Iudicis, iuxta illud Act. 10[,42] «Ipse |40rb| est constitutus a Deo iudex vivorum et mortuorum». Item advocati, iuxta illud I Io. 2[,1] «Advocatum habemus apud Patrem, Iesum Christum». Item se dixit seminatorem, Mt. 13, et plantatorem, Mt. 21[,33 ss], et messorem et vindemiatorem etc. Item medici et cirurgialis et phisicalis, et quantum ad corpora et quantum ad animas, quorum curavit vulnera et sanavit febres et alias infirmitates. Unde ipse dicit de se, Mt. 9[,12] «Non est opus valentibus medicus sed male habentibus». Sub mecanica autem reponuntur multi artifices.

Advertendum est tamen quod si in aliquo statu vel officio vel arte appareat aliquod peccatum, talia vitavit et in se et in aliis. Talis enim status non est status sed casus, et officium non est officium quod ita dicitur, secundum Ambrosium libro I De officiis, sed destructio vel officit, cum per oppositum dicatur officium, secundum eum ibidem, scilicet eo quod omnibus proficit. Propter huiusmodi ergo ipse assumpsit artem medici quia medicus non solum est propter sanitatem conservandam sed propter infirmitatem fugandam. Unde omnes tales ipse paratus est curare. Unde quia arti campsorie frequenter admiscetur peccatum usure, et iterum quia est contra naturam, secundum Philosophum, idest consuetudinem naturalem, licet non sit contra naturalem rationem in necessitate, sicut nec est contra naturalem rationem in necessitate cum cerbelleria haurire aquam, ideo ipsam reprobavit mensas nummulariorum et es subvertendo, ut habetur Io. 2[,15] et Mt. 21[,12 ss] quamvis illi nummularii essent usurarii. Potest autem aliqualiter dici campsor in quantum dedit monetam argenteam verborum divinorum ut acciperet a nobis auream affectuum et operum caritativorum vel arduorum, puta virginitatis etc. Unde omnibus est gaudendum.

Illud etiam advertendum est quod omnes predicte artes secundum quosdam reducuntur ad septem, que sunt: navigatio, armifactura, lanificium, agricultura, venatio, medicina et theatrica, que quidem exponantur sicut dictum est alibi in divisione generali scientie. Sed circa theatricam nota exemplum de ioculatore converso per Pannucium » (cod. D, f. 40ra-b).

Ma il Cristo - si conclude - non assunse né «statum meretricis nec officium persecutoris bonorum, nec artem magicam»! (ib. f. 40rb).

Nei rimandi si dice «in tractatu nostro de divisione scientie», «in tractatu de divisione generali scientie», «in divisione generali scientie». Le varianti fanno credere che qui non s’intendesse indicare il titolo esatto del trattato. In BNF, Conv. soppr. C 4.940, ff. 1r-7r, il titolo Divisio scientie è ripetuto al margine superiore del recto delle carte; «divisio scientie» dicono incipit ed explicit. Pubblico dunque il trattato col titolo Divisio scientie.

titoli che ricorrono in questo genere letterario: de divisione (et laude) philosophie, de philosophia et partibus eius, divisio philosophie, de divisione scientiarun, de introitu scolarum

Il testo è stato trascritto nel nostro codice C 4.940 da un amanuense (X) diverso da mano A, che inizia il suo lavoro solo a f. 74v. Dall’apparato critico risulta che gl’incidenti di copia e le incertezze di scrittura sono relativamente più frequenti che in un brano della medesima lunghezza trascritto da A. La scrittura della prima carta di cod. C, f. 1r, più esposta all’usura (la rilegatura attuale del codice è moderna) è molto dilavata, in taluni punti illeggibile a occhio nudo; la lampada al quarzo ha permesso il recupero quasi completo del testo; qua e là rimane qualche dubbio (notato in apparato critico) e in due luoghi una breve lacuna incolmabile è segnalata con asterischi.

Il trattato non porta indicazione alcuna di partizione né ha a fine testo la lista dei capitoli, come è il caso invece per le altre opere del medesimo codice. Ma la lettera capitale marca l’inizio dei brani che, nelle altre opere, coincide con l’inizio dei capitoli o d’altra partizione. Il numero seriale tra parentesi quadre, in coincidenza con le lettere capitali, è dunque introdotto dall’editore a mo’ di capitolo.

La trascrizione si attiene ai criteri già adottati precedentemente: sono ridotte all’uso moderno la grafia dei numeri, delle maiuscole e minuscole, interpunzione, divisione in capoversi; per il resto nessuna normalizzazione della scrittura. Talune abbreviazioni con possibili esiti alternativi sono sciolte secondo la consuetudine delle forme del copista X quando occorrono scritte in extenso o delle forme dei codici remigiani. La s tra due punti è sempre sciolta scilicet (ed è il caso di gran lunga più frequente); le poche volte che appare in extenso si ha silicet, forma del resto ben conosciuta nel mediolatino e frequente nelle scritture notatili fiorentine. Così pure l’abbreviazione della nasale in nessi nasale‑dentale e nasale‑labiale è sciolta secondo la grafia normalizzata; ma s’incontrano scritture tipo inp- inm-, rispettate nel testo. Quanto chiuso tra parentesi acute < >, è integrazione dell’editore; quanto tra parentesi tonde (), è la parte sciolta, nei casi in cui l’abbreviazione fosse suscettibile d’altra lettura.


finis

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