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donna Diana

a suo figlio Alessio degli Strozzi:

«Non devi farti frate!»

 Firenze 1365-66 

 Le ragioni della vedova donna Diana

■  "Mio figlio Alessio non deve farsi frate. Quelli di Santa Maria Novella l'hanno plagiato, e ne vogliono riscuotere la ricca eredità!" 

 

 

 

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  donna Diana di Domenico dei Giambullari da Firenze (popolo San Pancrazio) contrasta la vocazione religiosa del figlio Alessio   

Donna di polso. Combattuta tra affetti materni e obblighi patrimoniali. Nel 1351 le muore il marito, messer Iacopo di Strozza di Rosso degli Strozzi (popolo Santa Maria degli Ughi, odierna area di Piazza Strozzi, e prima che fosse costruito l’attuale palazzo Strozzi!). Unico figlio Alessio: quattordicenne, acciaccato di salute, si fa frate in Santa Maria Novella nel 1365, emette professione in maggio 1366; muore il 19 agosto 1383 quasi trentatreenne.

E la gestione del patrimonio familiare? E la successione ereditaria (allora solo maschile) all'enorme patrimonio degli Strozzi? Donna Diana mette in moto i cognati, mercanti che contano in Avignone; nonché i priori cittadini. Fa appello al papa avignonese Urbano V (1362-1370) perché invalidi noviziato ed eventuale professione del figlio Alessio. “I frati di Santa Maria Novella hanno plagiato mio figlio per subentrarne nell'eredità!” - più o meno questo l’argomento principe di donna Diana e dei suoi avvocati.

Febbraio-maggio 1366. La commissione papale, composta da prelati e giuristi, indaga, convoca e interroga Alessio; vaglia testimonianze d’entrambe la parti in causa. Accerta legalità di procedura conventuale e conferma libera decisione dell'aspirante frate. Nessun plagio! I notai stendono una filastrocca di verbali e di diplomi (S. ORLANDI, “Necrologio”di S. Maria Novella, Firenze 1955, II, pp. 449-465).

Alessio conferma le proprie scelte di vocazione religiosa ed emette professione il 24 maggio 1366.

Il 23 settembre 1367, col consenso del priore e sottopriore conventuali di Santa Maria Novella, fra Alessio degli Strozzi dispone - dai beni ereditati dal padre - talune donazioni alla madre Diana e sue serve (nel testo originale fante = garzone/a, servo/a); il tutto redatto di proprio pugno:

«Io frate Alexo, figliuolo che fu di Iacopo di Stroçça, al presente frate professo de l'ordine de' frati Predicatori, per la presente scripta, fatta di licentia e consentimento del priore e del convento di Firençe del detto Ordine, dimostro e dichiaro quanto e[=? è] quello ch'io voglio: che mona Diana mia madre abia di quello che mi lasciò Iacopo mio padre, oltra la sua dota ch'ella diede al detto mio padre e oltra ogni altro lascio che 'l mio padre le lasciò nel suo testamento.

Le lascio e dono e voglio ch'abia il podere da Sancto Piero a Ponti presso a la strada nuova, con tutto el suo continente, case e terre e ogni altra sua ragine[sic] ch'a quello podere s'apartenga.

Ancoro voglio che le sia comperata una casa in Firençe a sua petitione e comandamento e contentamento, nela quale si spendano fiorini cinquecento d'oro.

E voglio ch' el' abia le spese del mio tutta la vita sua, come ell' à avute insino al presente tempo.

E voglio che 'lla Godina mia balia le sieno dati fiorini cento d'oro.

E al'Uliva, fante di mona Dina[sic] mia madre, fiorini trenta d'oro.

E venti a Franceschino, fante della detta mona Diana.

Queste cose sopra scripte voglio che al presente o al più tosto che ssi può, e quando piace alla detta mona Diana mia madre, facciano e mettano a esecutione Charlo e Smeraldo miei çiij e frategli che furono del detto Iacopo mio padre, i quali possegono e tengono - o altri per loro - i miei beni mobili e inmobili, e de' detti miei beni paghino la detta casa la quale sia sua propia e lei dica[sic] la carta, e diano le dette spesse e paghino e detti cento fiorini e venti e t<r>enta, come di sopra ò scripto.

D'ogni altra cosa ch' a me s'apartenga - mobile e inmobile - e detti Charlo e Smeraldo, restituita l'usura od ogni altra cosa male aquistata ch' a me s'apartenga a restituire, si compongano col conve<n>to e priore sopradetti.

E io frate Aleso ò scripto queste dette cose di mia mano propia anno Domini MCCCLXVII a XXIII dì di settembre» (Archivio di Stato di Firenze, Conv. soppr. 102 n° 105, testo autografo di fra Alessio; lo leggo nella riproduzione fotografica in ORLANDI, “Necrologio” I, p. 529, tavola XXIIb; vedi anche vol. II, pp. 462-463).

Al centro di tutta la vicenda c'è più il dramma d'una donna che i progetti d'un quattordicenne (gli annali conventuali preferiscono l'epopea di Alessio). Dramma di vedova, che rimasta sola ha da gestire il patrimonio domestico; poi di madre, che vuol tenere per sé l’unico figlio. Non il notaio del processo, ma il cronista conventuale di Santa Maria Novella, nel redigere la notizia di fra Alessio (1383), racconta che al tempo del processo donna Diana aveva ottenuto facoltà d’incontrare e intrattenersi da sola col figlio nel palazzo episcopale di Firenze, luogo neutro, in assenza di frati. Andate a vuote le petizioni degli avvocati, la mamma tenta a suo modo a far recedere il figlio dalla decisione:

«Que mater unguibus manuum totam faciem scindedat [correggi scandebat di ed. ORLANDI] et sanguis inde multus fluebat in conspectu eius» (Arch. del convento Santa Maria Novella di Firenze, I.A.1, Cronica fratrum Sancte Marie Novelle de Florentia, n° 513, f. 53v). Donna Diana si lacerò con le unghie tutta la faccia, e si fece sgocciolare sangue sotto gli occhi del figlio!

Nulla da fare. Madre e avvocati  - stanchi! - devono mollare. Fra Alessio conferma le proprie scelte, ed emette i voti religiosi.


Non una leggenda (legenda?). Anzi, sì! Perché porta con sé il fascino del racconto e dei sentimenti familiari, a contrasto delle puntigliose testimonianze notarili. Fatti reali, attestati da atti legali rogati da avvocati e notai di entrambe le parti in causa. Tutti a noi pervenuti, e conservati ancora nell’Archivio di Stato di Firenze.

Vedi S. ORLANDI, “Necrologio” di S. Maria Novella, Firenze 1955, I, pp. 131-133 (testo di Archivio storico del convento Santa Maria Novella, I.A.1, Cronica di SMNovella, qui di seguito riletto nell’originale, e in più luoghi  -  così mi auguro! – corretto; confronta testo); I, 623-642; II, 449-465.

Donna Diana muore nel 1377, sepolta anch'ella nella cappella della famiglia Strozzi in Santa Maria Novella (ORLANDI, Necr. I, 637).

Emilio Panella OP

 San Domenico di Fiesole, aprile 2017


 

Muore un frate? Il cronista di turno ne redige breve biografia

Cronica fratrum di SMN, f. 53r-v

Traduz. ital., EP

Frater Alexius Iacobi de Stroççis, sacerdos et magister in theologia, etatis quasi XXXIII annorum obiit predicto Domini anno [1383], die XIX augusti, currente anno XIX ab ingressu ordinis et tertio a suo magisterio. Hic quando intravit ordinem erat heres ultra XX milium flor(enorum), unicus in domo sua et in dicta hereditate patris sui. Que omnia - et matrem viduam - reliquit pro amore sancte religionis, ymitator factus sancti Alexii nobilissimi romani.

Unde propter eum, tempore sui novitiatus multa passi sunt fratres. Et tandem, procurante patruo suo potentissimo cive, facta informatione quod propter eius divitias fratres eum ex avaritia receperant et violenter tenebant, mandante papa Urbano V positus fuit in episcopatu solus, ubi per matrem et consanguineos examinaretur, ymmo subverteretur eius voluntas in absentia fratrum. Qui constanter perseverans in sancto proposito |f. 53v| novem diebus continuis, die X cum magna gloria ordinis restitutus est ordini. Eo vero tempore quo in episcopatu fuit, numquam exuit habitum vel etiam noctibus; quin ymo timens ne violenter exueretur, quando tempus erat dormiendi corigiam cingebat super capam et totum habitum, etiam calcios, numquam deponens.

Post istam probationem, consanguinei tepuerunt, qui prius etiam priores civitatis adduxerant duabus vicibus ad conventum ut concederetur eis libera locutio, et ut mater loqueretur in absentia fratrum cum eo. Que mater unguibus manuum totam faciem scindebat, et sanguis inde multus fluebat in conspectu eius. Etiam tam diu moram cum eo faciebant provocando eum ad exitum ordinis; quod tamdem ipsi fatigati recedebant. Unde vix in novitiatu potuit offitium adiscere propter frequentes molestias et infirmitatem quam babuit.

Post professionem autem, cum penitus gramaticam ignoraret, tantum solicite studuit ut in brevi tempore fieret famosus magister artium; et similiter post modicum, magister phylosophie in melioribus conventibus provincie. Cuius lectiones, omnes cupiebant studentes provincie.

Unde cum haberet in ordine annos XIIII, legit Sententias in Florentia pro forma, cum magna gratia studentium et magistrorum in theologia. Quibus honorifice respondit de pluribus questionibus, assiduus semper in visitatione scolarum et disputationum intus et extra. Gradus pluries fugit. Tamen voce omnium factus est prior fiorentinus et diffinitor capituli provincialis ac predicator generalis.

Fuit autem in moribus valde religiosus, dilectus ab omnibus, valde sensatus, humilis et reverens, pacificus et patiens, et ubique famosus. Elemosynarius et hospitalis; unde de suo patrimonio hedificatum est dormitorium novitiorum cum cellis. Et plures annuas elemosynas reliquit ordini ac multos bonos libros.

Fra Alessio di Iacopo degli Strozzi, sacerdote e maestro in teologia, è deceduto quasi trentatreenne nell’anno del Signore 1383, 19 agosto, dopo diciannove anni di vita religiosa e tre dal conseguimento del magistero. Entrò nell’Ordine quando risultava erede di 20mila fiorini ed oltre, erede unico nella propria famiglia e in detta eredità paterna. Per amore della vocazione religiosa rinunciò a tutto, all’eredità e alla propria madre; imitatore di sant’Alessio, nobilissimo cittadino romano.

Durante il suo noviziato i fratri (di Santa Maria Novella di Firenze) tribolarono non poco. Suo zio paterno - cittadino molto potente - diffuse la voce che i frati avevano accolto fra Alessio per ingordigia delle sue ricchezze, e lo trattenevano forzatamente. Per ordine di papa Urbano V, Alessio fu relegato nel palazzo episcopale perché fosse vagliato dalla madre e dai consanguinei; ma meglio dire “indotto a cedere” in assenza dei frati. Vi stette novi giorni, e rimase fedele a sé stesso; il decimo giorno fu restituito ai sui frati. Quand’era nel palazzo episcopale, mai depose l’abito religioso, neppure di notte. Temendo anzi d’esserne spogliato a forza, prima d’addormentarsi cingeva la cappa con una cinghia, e mai si toglieva abito e calzature.

Dopo tale prova, i parenti si calmarono; i quali invece prima avevano due volte condotto al convento perfino i priori cittadini per poter avere libero colloquio; e perché la madre potesse parlare col figlio in assenza di frati. La madre si lacerava con le unghie tutta la faccia, e si faceva scorrere molto sangue sotto gli occhi di lui. S'intrattenevano a lungo con lui, e si provavano a fargli abbandonare la vita religiosa. Stanchi, dovettero desistere. E fra Alessio poté a stento apprendere gli uffici religiosi a motivo delle frequenti molestie e dei suoi malanni.

Dopo l'emissione dei voti, ignorava sì il latino ma lo apprese con sollecitudine, tanto che presto divenne maestro delle arti liberali; e poco dopo anche insegnante di filosofia nei migliori conventi della provincia. Tutti gli studenti della provincia desideravano ascoltare le sue lezioni.

Trascorsi 14 anni dall’entrata in religione, in Firenze insegnò le Sentenze [di Pietro Lombardo] in corsi formali, con molto gradimento degli studenti e dei maestri in teologia. Rispetto a costoro fece con onore da baccelliere di prima risoluzione nelle dispute scolastiche, sempre assiduo in aule sia interne che esterne. Rifuggì da promozioni. Fu tuttavia eletto a pieni voti priore fiorentino, definitore del capitolo provinciale e predicatore generale.

Fedele nello stile di vita religiosa, da tutti amato, saggio, umile e rispettoso, pacifico e paziente, ovunque rinomato. Disponibile al dono e all’ospitalità; cosicché col suo patrimonio fu costruito il dormitorio dei novizi, celle incluse. Lasciò all’Ordine molte elemosine annuali e numerosi libri pregiati.

 

 

 

 

 


Distingui da fra Alessio di Ubertino degli Strozzi da Firenze OP, † 1437: S. ORLANDI, “Necrologio”di S. Maria Novella, Firenze 1955, I, 154; II, 188-190. Th. Kaeppeli († 1984) - E. Panella, Scriptores Ordinis Praedicatorum Medii Aevi, vol. IV, Roma 1993, pp. 21-22.


  

 

finis!


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