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II.4 Tentativo di datare il Contra falsos

Il saggio di raffronto testuale tentato tra CF e alcuni testi canonistici potrebbe estendersi alla produzione giuridica e teologica cui dette luogo il conflitto tra Bonifacio VIII e Filippo il Bello. Ma la formulazione concisa, poco elaborata, prevalentemente rivolta a fonti comuni come Decreto, Decretali e loro glosse, i vaghi riferimenti ad altre fonti, rendono indefinibili le prossimità testuali con valore di connessione cronologica. E non perché manchino, entro tale produzione, similarità testuali. Semmai per motivi opposti. Dalla Quaestio in utramque partem al dossier dei libellisti papali e regalisti, ai grandi trattati teologici di Egidio Romano, Giacomo da Viterbo, Giovanni da Parigi, gli stessi argomenti, le stesse fonti (bibliche, canoniche, storiche, razionali), le stesse auctoritates ricorrono con regolarità - talvolta monotona - in tutti gli scritti (Rivière c. 3 La mêlée théologique, pp. 122-61; c. 4 Dossier de la controverse, 162-90). Cosicché vedere dipendenza testuale e dedurne successione temporale anche là dove il parallelismo sfiora l’ad litteram sarebbe rischioso. L’argomento della imprevidenza del Cristo, qualora avesse mancato di trasmettere al papa la regalità temporale (CF 27, 51-55), si ritrova nell’anonimo ierocratico Non ponant laici (1302) e nell’Additio alla glossa all’Unam sanctam (1302); ma l’argomento si tramandava da almeno un cinquantennio, visto che lo si ritrova nell’Apparalus d’Innocenzo IV († 1254) alle Decretali Extra (cf. CF 27, 51-55.115 ss e rispettive note). Dove lo leggeva Remigio?

L’importante Quaestio in utramque partem (1302), per la sua linearità compositiva, distribuzione delle auctoritates, concatenazione degli argomenti (ex rationibus naturatibus, ex rationibus tbeologicis, ex iure canonico, ex iure civili...), perfino per talune coincidenze di dettato, è estremamente allettante per un quadro sinottico con CF cc. 6-37. Altrettanto per le anonime Quaestio de potestate papae (o Rex pacificus) (1302-03) e Non ponant laici (1302; o 1296-97?) che commenta la bolla Clericis laicos (24.II.1296) di Bonifacio VIII. Ma non se ne ricava alcuna prova d’interdipendenza testuale.

L’intemperata reazione di Remigio contro chi nega la regalità temporale del Cristo in quanto uomo (CF 27, 56-61) non può non evocare alla memoria il nome di Giovanni da Parigi († 1306). Giovanni fu il primo, nel De potestate regia et papali (fine 1302, inizio 1303), a dare un robusto statuto teologico alla dottrina della regalità del Cristo, riallacciandola non alla natura umana del Verbo incarnato ma all’unione ipostatica. Veniva issofatto negata la regalità temporale del Cristo uomo (De potestate regia et papali cc. 2 e 8; pp. 178-79, 190-92; cf. J. LECLERCQ, L’idée de la royauté du Christ au moyen âge, Paris 1959, 159-64). Ma il «secundum quosdam sue mensure ignaros, presumptione insanos et carnalitate furiosos...» di CF 27, 56-57 mira e suppone con certezza Giovanni da Parigi? La negazione della regalità temporale del Cristo era già stata tema costante degli Spirituali e gioachimiti in clima di critica al temporalismo e corruzione della chiesa; così come lo sarà presso la letteratura regalista antibonifaciana e oltre.

Mi sembra, dunque, che il tono generale, la brevità dei temi, l’assenza di pezzi argomentativi che riscuoteranno principale attenzione e ampio sviluppo presso i trattatisti degli anni 1301-1303, persuadano a rimettere il CF cc. 5-37 (con le cautele sui cc. 19-36 di cui sopra) a una fase anteriore al clima infocato e alle tematiche focalizzate che caratterizzano la produzione letteraria del secondo conflitto tra papa Bonifacio e re Filippo.

assenze: I Re cc. 10.16 (Samuele unge i re); Gerem. 1, 10; Ugo da San Vittore, De sacramentis II, II, 4: PL 176, 418 C (sulla institutio del potere secolare); i temi «absolvere milites a iuramento fidelitatis», «de legatis et restitutionibus», «gladius sub gladio», decime, «homo spiritualis iudicat omnia»; distinzione tra potere dei duo gladii e executio; numerazione dei casi di supplenza...

RIVIÈRE c. 1, II (Deuxième phase du conflit), pp. 70 ss. Diciamo «Contra falsos cc. 5-37», perché il resto del trattato non offre spunti per la datazione. Ma ovvia è l'unità compositiva del trattato, fermo restando quanto detto a proposito dei cc. 19-36.

Luogo obbligato della letteratura sul potere papale era la bolla Unam sanctam di papa Bonifacio, 18 novembre 1302 (Extravagantes communes I, 8, 1: Fried. II, 1245-46). Il CF di fra Remigio dei Girolami non la cita. Se ne può trarre argomento di priorità temporale per il CF?

M. Maccarrone l’ha sostenuto senza esitazione. Anzi, coerentemente, anticipa al 1298 il termine ante quem per analoga argomentazione in rapporto al Liber sextus Decretalium, promulgato da Bonifacio il 3 marzo 1298 (MACCARRONE, Vicarius 150 n. 128). O. Capitani - che, come abbiamo visto, preferisce il criterio della nota magister nei trattati di cod. C - mette in guardia dall’argomento ex silentio (Il De pecc. usure 554).

Sulla base d’un quadro d’insieme del CF e dell’edizione dei cc. 5-37, si può illustrare la questione e saggiare, eventualmente, la natura dell’absentia dell’argomento ex silentio?

Notiamo subito - benché la cosa sappia d’ovvietà - che fra Remigio dei Girolami, lettore d’uno studium filosofico-teologico, membro di molti capitoli generali e provinciali dell’ordine dei Predicatori, non poteva ignorare l’Unam sanctam. Il riferimento a bolle pontificie, a breve distanza dalla promulgazione, fa regolare comparsa negli atti dei capitoli generali e provinciali dell’ordine; tempestiva, a titolo d’esempio, la recezione del Liber sextus dal capitolo generale Metz 1298 (MOPH III,290/22) e dal capitolo provinciale Pistoia 1299 (MOPH XX, 130/21-24). La lettera Super cathedram (18.II.1300) di papa Bonifacio - che entrerà nelle Extravagantes communes III, 6, 2 - è transunta, dal registro del vescovo di Firenze per conto dei frati di SMN, il 22 aprile del medesimo anno (ASF, Notar. antecos. 11484, già L 76, ff. 17v-19v. ASF, Dipl. S. Maria Novella: 1300, apr. 18).

«Eodem die [22.IV.1300]… dicti sindici et procuratores nomine quo supra dimiserunt |19v| et ipsis priori, guardiano et fratribus utriusque ordinis unam copiam assignaverunt et dederunt in forma publica dictarum licterarum apostolicarum transumptam per me Lapum notarium infrascriptum de regestro curie venerabilis patri domini Francisci… episcopi florentini, scripto per ser Franciscum eius notarium condam Neri de Barberino et subscriptam etiam per eundem ser Franciscum notarium» (ASF, Notar. antecos. 11484, f. 19r-v).

Le decretali extravagantes, non ancora incorporate nelle collezioni canoniche ufficiali, sono regolarmente citate nella letteratura giuridica e teologica. Remigio stesso cita la decretale Quod olim (12.V.1304) di Benedetto XI quando ancora non inserita nelle Extravagantes communes IV, 13, c. un. Pietro de la Palu (Tractatus de potestale papae, p. 202) intorno al 1317 argomenta «per decretalem extravagantem que incipit Unam sanctam» prima che comparisse nelle Extravagantes communes I, 8, 1; Tolomeo da Lucca nella Determinatio (1280-81, c. 29, p. 59) fa uso della «novissima Extra, de electione, c. Avaritiae» (1274) prima che fosse inserita, nel 1298, nel Liber sextus I, 6, 5. Mentre nel 1338 Galvano Fiamma in Utrum papa romanus ist dominus in temporalibus argomenta dall’Unam sanctam come ormai entrata nelle Extravagantes communes I, 8, 1 (Fried. II, 1245-1246) (AFP 15 (1945) 121). Quanto al Liber sextus, promulgato il 3.III.1298, Remigio lo cita esplicitamente due volte nel De bono pacis, ed. MD 16 (1985) 178-79. E citerà - lo vedremo tra poco - anche il Liber septimus o Clementinae.

Ora il CF non fa alcun riferimento esplicito né all’Unam sanctam né al Liber sextus, che pure dovevano costituire la documentazione canonica più aggiornata e più autorevole nel dibattito sul potere papale.

E lo stesso discorso andrebbe fatto per i numerosi documenti papali che intercorsero nelle due fasi di conflitto tra Bonifacio e Filippo; laddove in CF 21, 75-76, c’è un vago «sicut apparet per multas decretales imperatoribus missas», che sembra guardare indietro almeno di qualche decennio, vista la vacanza dell’impero dalla morte di Federico II. L’Ausculta fili (dic. 1301) mira a dissuadere il re di Francia dal ritenersi non soggetto a potere superiore. Remigio, rifacendosi all’autorità d’Innocenzo III, trasmessa nelle Decretali Extra, si trova palesemente in contrasto con la bolla bonifaciana:

Ausculta fili

Contra falsos 21, 60-62

Quare fili carissime, nemo tibi suadeat quod superiorem non habes et non subsis summo ierarche ecclesiastice ierarchie. Nam desipit qui sic sapit et pertinaciter hoc affirmans convincitur infidelis (Rivière 74). Insuper cum rex Francie superiorem in temporalibus minime recognoscat, sine iuris alterius lesione in eo se iurisdictioni nostre subicere potuit.

E riferimenti o contatti impliciti ma sicuri con l’Unam sanctam, del tipo - per intenderci - documentabili nel De ecclesiastica potestate di Egidio Romano?

Vedi De potestate ecclesiastica 1, 5, pp. 13-16, che riprende punto per punto gli argomenti della excellentia del potere spirituale come nell’Unam sanctam (ex decimarum datione, ex benedictione ... ). Cf. U. MARIANI, Scrittori politici agostiniani del sec. XIV, Firenze 1927, 150-51, 175-78.

La novità dell’Unam sanctam - come si sa - è nella direzione impressa al materiale documentativo più che nelle singole auctoritates invocate; le quali sono tutte d’antico calco e venerabile tradizione. Il principio dell’unitas, le metafore della colomba, dell’arca, dell’unum caput contro il monstrum d’un corpo a più teste, i testi biblici, i due gladii, le auctoritates dello Ps.-Dionigi, san Bernardo, Ugo da San Vittore (queste due ultime implicite), hanno tutte un’antichissima storia nella letteratura sul sacerdotium et regnum. Esse si ritrovano tutte - o quasi - nel CF così come in simili trattazioni prima e dopo l’Unam sanctam.

Rivière 79-91; G. DIGARD, Philippe le Bel... II, 132-45; M.D. CHENU, Dogme et théologie dans la bulle ‘Unam sanctam’, «Rech. Scien. Relig.» 40 (1951-52) 307-16; Y. CONGAR, L’Eglise de st. Augustin à l’époque moderne, Paris 1970, 272-77.

Colpiscono, comunque, alcuni dati che sembrano di valore distintivo nel confronto dei due testi.

1) «Subesse Romano pontifici omni humanae creaturae declaramus, dicimus, diffinimus et pronunciamus omnino esse de necessitate salutis» (Fried. II, 1246).

Non vi sono tracce, nel Contra falsos, del famoso asserto finale della bolla bonifaciana.

2) «Spiritualis potestas terrenam potestatem instituere habet».

L’auctoritas è d’Ugo da San Vittore, De sacramentis II, II, 4: «Nam spiritualis potestas terrenam potestatem et instituere habet ut sit, et iudicare habet si bona non fuerit...» (PL 176, 418 C). Essa ritornerà metodicamente nella letteratura sul potere papale degli anni 1301-03 e seguenti; assumerà, anzi, un posto preminente nel repertorio argomentativo. Essa è assente nel Contra falsos; eppure poteva autorevolmente avallare che «potestas regalis dependet a sacerdotali et causatur ab ea» (CF 28, 13-14).

Egidio Romano, De ecclesiastica potestate I, 4 (p. 11, 12); I, 5 (p. 14, 17); Giacomo da Viterbo, De regimine christiano II, 7 (p. 231, 234); Quodl. I,17 (ed. Ypma 1968, p. 209).

Giovanni da Parigi, per l’uso che se ne doveva fare, tronca corto: «dicta Hugonis non sunt authentica, et modicum roboris afferunt»: De potestate regia et papali c. 17 (p. 226). Cf. Tomm. d’Aquino, Summa theologiae II-II, 5, 1, ad  1.

3) Lo Ps.-Dionigi, invocato nell’Unam sanctam per sostenere la subalternanza gerarchica degli esseri, compare nella medesima funzione in CF c. 18; ma in c. 28 è invocato per sostenere che dalla tipologia vetero-testamentaria non si può trarre argomento probativo in scienza teologica.

4) Bernardo da Clairvaux è invocato, nel nostro contesto, cinque volte:

De consideratione  Contra falsos
II, 8 c. 10, 57-60
III, 4, 18 c. 10, 60-66
IV, 3, 7 c. 10, 66-69
I, 6, 7 c. 20, 2-5
IV, 3, 3 c. 20, 6-10

In c. 30, 8-44 Remigio ritorna sull’autorità di Bernardo con insolita ampiezza e con evidente interesse («que subduntur de Bernardo plus premunt»: 30, 8). Ma si leggano attentamente le tre sezioni dedicate a Bernardo: cc. 10, 20, 30. Si noterà che l’autorità di Bernardo è piegata a contenere l’inferenza analogica che si vorrebbe trarre tra tipo e antitipo: “Mosè - Pietro”; “Dio (angeli) - papa (uomini)”; “spada spirituale - spada materiale”. Si fa leva anzi sull’impeto etico-spirituale che animava il discorso di Bernardo a papa Eugenio III - elemento sottaciuto nella letteratura ierocratica, la quale usa invece Bernardo in direzione temporalista.

«Ex quibus quidem verbis duo videntur baberi: unum est quod auctoritas commissa Petro, Io. ultimo, non accipiatur de temporalibus; secundum est quod papa accepit temporalia ab imperatore Constantino» (CF 20, 10-13).

L’uso di Bernardo nell’Unam sanctam corre per tutt’altro verso.

Quanto al Liber sextus (3.III.1298), va notato che nel capitolo di CF su scomunica, traslazione, deposizione (c. 12), mentre si fa uso sistematico del Decreto e Decretali (perfino laddove si dice «legitur in cronicis»), nel caso di Federico II si rimanda a quanto contenuto «in sententia depositionis ipsius» (c. 32, 15); deposizione decretata da Innocenzo IV «in concilio lugdunensi» (c. 12,21). Perché non continuare sul filo delle collezioni canoniche fino al caso dell’Ad apostolicae (bolla di deposizione di Federico II, del 17.VII.1245) ricevuta nel Liber sextus II, 14, 2 (Fried. II, 1008-1011) del 1298? Remigio scriveva prima della promulgazione del Liber sextus?

Dato il contesto tematico e redazionale dell’absentia, e dato il fatto che chi scrive è un teologo, per di più ben inserito nelle istituzioni ecclesiastiche, non si può negare a questi casi d’argomento ex silentio ogni probabilità. Specie se occorre di fare letture parallele:

Remigio

Giovanni da Napoli (1324 ca.)

Çacharias enim papa (…) regem Francorum Ludovicum nomine deposuit: Decr. C. 15, q. 6, c. 3 (Alius). In papa est potestas instituendi et deponendi (…). Confirmatur: Decr. C. 15, q. 6, c. Alius: Zacharias papa regem Francorum deposuit…
(…) Innocentius IV omnino ipsum deposuit... in concilio lugdunensi..., ut tangit papa in sententia depositionis ipsius [bolla Ad apostolicae] (CF 12, 3-5.20-21; 32, 14-15). Et Innocentius papa deposuit imperatorem Fridericum in concilio Lugdunensi (…), ut recitatur lib. 6, De sententia et re iudicata, Ad Apostolicae» [= Liber sextus II, 14, 2] (Questione «Utrum imperator et alii domini temporales quicumque sint subiecti pape», in Quaestiones variae…, ed. D. Gravina, Napoli 1618, 337 B).

 Così Pietro de la Palu nell’articolo «De depositione principum et prelatorum» del De potestate papae (1317):

 [Inter causas depositionis:] Alia, quod de heresi evidentibus argumentis suspectus haberetur cum prernittatur quod excommunicationem diu sustinuerat animo indurato, De sententia et re iudicata, c. Ad apostolice [= Liber sextus II, 14, 2] (Tractatus de potestate papae q. II, a. 5, p. 265).

Ed Enrico da Cremona nel De potestate pape (1301-02) proprio nel bel mezzo della pubblicistica del secondo conflitto tra papa Bonifacio e re Filippo:

XV, q. VI c. alius [Decr. C. 15, q. 6, c. 3] continetur quod papa deposuit quendam regem Francorum; dominus etiam Innocentius IIII deposuit Fredericum, de sent. et re iudic. c. ad apostolice in sexto libro [= Liber sextus II, 14, 2] (De potestate pape, in SCHOLZ, Die Publizistik p. 466).

Mentre nella Determinatio di Tolomeo da Lucca, anteriore certamente al Liber sextus, si ha né più né meno il medesimo schema che in CF:

- papa Zaccaria depone il re dei Franchi: Decr. C. 15, q. 6, c. Alius;

- papa Innocenzo depone Federico II, e «Lugduni celebrato concilio non solum suorum predecessorum (…) excommunicationis roboravit sententiam, sed etiam ipsum imperio privavit expresse» (Determinatio compendiosa c. 14, pp. 31, 32).

Il prof. Capitani aveva scritto: «Veramente, se fosse esatta la nostra ricostruzione, il CF rappresenterebbe, all’indomani dell’assoluzione di Filippo il Bello e nel clima di distensione che Benedetto XI [ott.1303 - luglio 1304] cercò di creare dopo l’urto drammatico avvenuto tra il suo predecessore e il re di Francia, un documento ancor più interessante».

CAPITANI, Il De pecc. us. 554. Poco prima aveva scritto: Remigio «poteva nel caso dell’Ad Apostolice, non riferirsi direttamente alla raccolta bonifaciana, proprio perché in quel punto del CF discuteva, come apprendiamo dal Maccarrone stesso, la teoria ierocratica di Innocenzo IV, che aveva promulgato l’Ad Apostolice, documento centrale per la questione» (ib. p. 554). Non esattamente. Un probabile riferimento critico a Innocenzo IV (dottrina sulla regalità temporale e vicarìa papale) è in CF c. 27, 51-55.115-119; mentre in cc. 12 e 32 Innocenzo IV è evocato solo in riferimento alla deposizione di Federico II.

L’ipotesi Capitani - ad esser sinceri - aveva lusingato anche il sottoscritto, che nutriva anzi la speranza di confermare una pista di notevole interesse per la collocazione storica e dottrinale di Remigio.

Ma, a parte il fatto che i rapporti tra Remigio e papa Bonifacio nel triangolo “conferimento del magistero - dibattito sul potere papale -politica comunale di Firenze” vanno ancora studiati e chiariti, l’ipotesi trascina con sé supposizioni plurime sottratte alla documentazione; mentre l’unico appoggio resta l’argomento della nota magister, di cui s’è detto sopra.

Per il resto, Remigio - almeno il Remigio del periodo della maturità, maestro in teologia e vicino alla curia papale dal 1302-03 in poi - se evita l’adulazione non tradisce certo segni di disagio nell’atmosfera evocata dalla serie di sermoni ai papi, cardinali e ufficiali di curia. È stato riferito uno stralcio dai sermoni per Clemente V, e delle speranze riposte in Giovanni XXII («... propter quod bene de eo debemus sperare») verosimilmente in rapporto alla politica papale circa gli ordini mendicanti dopo la morte del domenicano Benedetto XI. La bolla Inter cunctas 17.II.1304 di Benedetto XI aveva soppresso la Super cathedram 18. II.1300 di Bonifacio (bolla «gravis et aspera» per il maestro dei frati Predicatori: MOPH V,174/22), e aveva fatto inclinare la bilancia a favore dei privilegi dei mendicanti nelle liti col clero secolare; ne fa copia per il convento SMN il medesimo copista (mano A) che lavora ai codici di Remigio, BNF, Conv. soppr.  D 9.1157, ff. 73r-75v (Pomaro, Censimento I, 387-88). La Dudum di Clemente V nel concilio di Vienne (1311-12) aveva abrogato l’Inter cunctas e rimesso in vigore la Super cathedram. Giovanni XXII sancì definitivamente la cosa inserendo la Dudum, integrata dalla Super cathedram, nella collezione canonica Clementinae III, 7, 2 (Fried. II,1161-64). Non sappiamo se Remigio soffrisse la delusione. Ma sul titolo seguente delle Clementinae III, 8, 1 si può documentare una reazione del teologo fiorentino. Nel De decimis c. 1 (Clementinae III, 8, 1) sono inserite le norme, già decretate dal concilio di Vienne (1311-12), restrittive dei privilegi dei religiosi circa la decima. Ora in calce alla questione Utrum detentio decimarum sit peccatum mortale della Extractio per alpbabetum si legge un’aggiunta di mano B, autografa di Remigio:

Sed quia papa modo in septimo videtur magis artare, cui oportet per omnia obedire, ideo per omnia fiat de datione decimarum sicut ipse mandat (cod. G 3.465, f. 124rb; marg. destro, mano B).

Il rimando «in septimo» dell’aggiunta va al titolo De decimis delle decretali Clementinae III, 8, 1, chiamate Septimus ovvero Liber septimus rispetto al Liber sextus di Bonifacio VIII prima che la glossa ordinaria volgarizzasse la denominazione Clementinae (Fried. II, p. LXII; Villani X, 81,35-40). L’aggiunta di Remigio al codice della Extractio è preziosa: perché testimonia che l’autore aggiornava i suoi scritti fino alla vigilia della morte (se dobbiamo riferirci alla promulgazione definitiva delle Clementinae 25.X.1317); e perché Remigio - se pure insinua un sentimento di rammarico nella costatazione «papa... videtur magis artare» - non ha l’aria di chi sfidi apertamente le decretali papali: «per omnia fiat... sicut ipse mandat».

La conclusione dunque inclina nettamente in altra direzione: sebbene la priorità del Contra falsos rispetto ad Unam sanctam (1302) e Liber sextus (1298) non vanti testimonianze esplicite, essa però è da ritenersi, per i motivi suesposti, molto probabile. Un teologo che dibatteva il potere papale non poteva tacere, se non barando, gl'interventi bonifaciani. Qui l'absentia non puntella argomenti ex silentio, denuncia bensì precedenza cronologica. Il Contra falsos dunque anteriore al 1298; ma di poco, se il bisogno di chiarire il proprio pensiero su un problema dibattuto faceva pressione su Remigio per un intervento redazionale non programmato:

(…) non fuit presentis intentionis tractare, et ideo in aliud tempus reservetur oportunius indagandum. Sed ne hoc ad presens ex quo occurrit omnino relinquatur intactum, et ne credatur, propter ea que dieta sunt, necessario sic esse tenendum, possumus sic opinando procedere sine preiudicio veritatis... (CF 19, 4-8).

Il discorso sul fatto politico sarà ripreso nel De bono comuni e nel De bono pacis tra 1302 e 1305. Ma qui ogni interesse per gli estremi (storicamente superati) della politologia medievale, consumata tra imperium e sacerdotium, potere papale e potere regale nel quadro d’un’unità universale (il corpus della societas cbristiana), scompare del tutto per cedere il posto a un nuovo soggetto politico, il Comune. L’analisi e gl’interventi di Remigio sui fatti specifici del comune fiorentino - dai discorsi ai priori durante la crisi di Giano della Bella (1293-95), alle lotte tra Bianchi e Neri, al bando del 1302, alla remissione del decreto di guasto dei beni - spingerà Remigio a svolgere la nozione di bonum comune in quella di bonum Comunis. Un fatto nuovo e di non poco valore storico nella trattatistica politica a cavallo del XIII e XIV secolo. E sarà lì, anziché nel Contra falsos, il contributo più originale del fiorentino fra Remigio dei Girolami.

Aspetto messo in risalto dal MINIO-PALUELLO, DAVIS, e più recentemente dal SARUBBI e DE MATTEIS. Ma tenere presenti i sermoni ai priori cittadini (Sermoni XXIV-XXVIII) e a pubblici personaggi (in SALVADORI-FEDERICI). Per contro, dei teologi che si batterono per il contenimento del potere papale, alcuni terminarono a rafforzare la teocrazia regal-imperiale: cf. Quaestio in utramque partem art. 5 (GOLDAST II, 102); gli stessi Giovanni da Parigi e Pietro de la Palu (vedi di quest’ultimo, q. 11, a. 3 «De praeminentia dominii in speciali quoad regnum Francie» in Tractatus de potestate papae, pp. 236-56). Cf. W. ULLMANN, Principi di governo e politica nel medioevo, Bologna (Il Mulino) 1972: La regalità teocratica, pp. 147 ss.; Introd. pp. 13-22.

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