precedente successiva

Sermones de pace

Sermoni sulla pace

originale latino

volgarizzamento (2007) di EP

  (VI)

Qui posuit fines tuos pacem et adipe frumenti satiat te. Ps. [147,14], et cantabitur hodie in vesperis.

 

Egli ha riposto i tuoi fini nella pace e ti sazia con delizia di frumento, Salmo 147,14, che canteremo stasera nell'ufficio dei vespri.

Tanguntur autem duo in verbo proposito ad comunionem pertinentia; quorum primum est pacis preambulum quod ad comunionem exigitur quia Qui posuit fines tuos pacem; secundum est comunionis sacramentum quod sumendum indicitur quia et adipe frumenti satiat te.

Le parole qui proposte come tema suggeriscono due elementi relativi alla comunione eucaristica: primo, il preambolo della pace necessario alla comunione, perché Egli ha riposto i tuoi fini nella pace; secondo, il sacramento della comunione da assumere, perché ti sazia con delizia di frumento.

Circa primum propheta tangit tria, scilicet pacis actorem quia Qui scilicet Deus et Dominus de quo |358vb| prelocutus fuerat; unde Ysa. 45[,7] «Ego Dominus faciens pacem», et in Ps. [121,7] «Fiat pax in virtute tua».

Circa il primo elemento, tocca tre punti: l'autore della pace, Egli, ossia Dio e Signore, |358vb| poco prima menzionato; e pertanto Isaia 45,7 «Io il Signore faccio la pace», e Salmo 122,7 «Sia pace per la tua potenza».

Secundo tangit pacis ordinem quia posuit. Positio enim includit ordinem, iuxta illud Sex principiorum «Positio est quidam situs partium et generationis ordinatio»[1]. Quando enim res non sunt ordinate secundum exigentiam sue nature pacem non possunt habere, puta quando gravia ascendunt sursum, scilicet terra et aqua  -  ex hoc enim causantur tempestates in aere, scilicet venti grandines tonitrua fulgura et huiusmodi  -  vel quando levia descendunt deorsum, puta quando aer detruditur in terra  -  ex hoc enim causantur tempestates in terra, scilicet terre motus.

Secondo punto, l'ordine della pace, perché ha riposto. Riporre infatti implica ordine, secondo quanto dice il Libro dei sei princìpi  § VI n° 60: «Posizione è locazione delle parti e ordine di successione». Quando le cose non sono ordinate come richiede la loro natura, non possono godere della pace. Ad esempio, quando i gravi muovono in alto, come terra e acqua: vi sarebbero tempeste nell'atmosfera, venti grandine tuoni folgori e simili; oppure se gli oggetti leggeri scendono in basso, come quando l'atmosfera è sospinta sulla terra: esploderebbero tempeste nella terra, ossia terremoti.

Unde et Augustinus dicit in libro XIX De civitate Dei quod «pax est hominum ordinata concordia». Unde quia peccatum est privatio modi speciei et ordinis, sicut dicit Augustinus  .  .  .  , inde est quod nullus peccator potest habere veram pacem, iuxta illud Ysa. 48[,22] «Non est pax impiis, dicit Dominus»; et quia «initium omnis peccati superbia», ut dicitur Eccli. 10[,15], inde est quod specialiter in Prov. 13[,10] dicit Salomon de superbis quod inter eos «semper sunt iurgia». Et quia superbia maxime apparet in appetitu dominii, inde est quod Augustinus dicit in Glosa super Ps. [1,1] quod cathedra pestilentie est amor dominii.

Agostino pertanto ne La città di Dio XIX, 13, dice: «La pace consiste nell'ordinata concordia degli esseri umani». Poiché dunque il peccato è privazione del modo, della specie e dell'ordine, come asserisce Agostino  .  .  .  , ne segue che nessun peccatore può avere vera pace; Isaia 48,22 «Non c'è pace per i malvagi, dice il Signore». E poiché «principio d'ogni peccato è la superbia», a detta dell'Ecclesiastico (Siràcide) 10,12, ne segue quanto espressamente asserisce Salomone dei superbi: tra loro «continui sono i litigi», Proverbi 13,10. La superbia si esprime massimamente nella bramosìa del potere, e pertanto Agostino nella glossa a Salmo 1,1, dice che scaturigine d'ogni male è l'attaccamento al potere.

Tertio tangit pacis optimitatem quia fines tuos. Finis enim est optimum in unoquoque, secundum Philosophum. Sed dicit “fines” in plurali quia ordo quidam est in finibus; pax enim temporis, licet et ipsa sit finis, tamen ulterius ordinatur sicut ad finem ad pacem pectoris, et pax pectoris ad pacem eternitatis. Pax ergo pectoris est illud prea<m>bulum quod ad comunionem exigitur, sine qua ad sacramentum istud accedens «iudicium sibi manducat et bibit», quia «in pace factus est locus eius», ut dicitur in Ps. [75,3].

Terzo punto, l'eccellenza della pace, dove dice i tuoi fini. Il fine infatti è la perfezione stessa di ciascuna cosa, secondo Aristotele. Dice "fini" al plurale, perché esiste un certo ordine nei fini; la pace temporale, sebbene anch'essa sia fine, è tuttavia ordinata ulteriormente alla pace interiore, e la pace interiore è ordinata a quella eterna. La pace dunque interiore è quel preambolo necessario alla comunione eucaristica. E chi senza di essa si accosta a questo sacramento, «mangia e beve la propria condanna», I Corinzi 11,29. «Città della pace (= Salem, Ierusalem) è la sua dimora», Salmo 76,3.

Circa secundum tangit |359ra| duo, scilicet huius sacramenti materiam quia frumenti; non enim confici potest nisi in pane frumenticeo. Secundo tangit huius sacramenti efficatiam duplicem. Quarum una est quia reficit mentem delicate quia adipe; unde Ierem. 31[,14] «Replebo animas sacerdotum pinguedine». Sacerdos enim esse debet qui hoc conficit sacramentum.

Circa il secondo elemento, |359ra| tocca due punti: la materia di questo sacramento, dove dice di frumento; perchè può essere celebrato soltanto con pane fatto di grano. E inoltre la duplice efficacia di questo sacramento. La prima: ristora la mente con delicatezza, dove dice con delizia. «Sazierò di delizie l'anima dei sacerdoti», Geremia 31,14. Dev'essere infatti il sacerdote a celebrare questo sacramento.

Secunda est quia reficit mentem habunde quia satiat te; «caro enim Christi interiorem hominem pre ceteris gratiis reficit et saginat», ut dicit Magister in libro IV Sententiarum dist. 9[2]. Qui autem sine pace conscientie accedit, comedit quidem sed non satiatur sed potius evacuatur, iuxta illud Ysa. 9.d[3] «Comedet ad sinistram et non saturabitur»; non inpinguatur sed potius attenuatur. In cuius figuram dictum est II Reg. 13 [,4] ad Annon  -  qui interpretatur gratis iniqus[4]  -  «Quare sic attenuaris macie?»[5].

Seconda efficacia: ristora la mente con abbondanza, perché ti sazia. «La carne di Cristo ristora l'uomo interiore più di altre grazie, e lo impingua», dice maestro Pietro Lombardo († 1160) nelle sue Sentenze, libro IV, distinzione 8, capitolo 7. Chi accede a tale sacramento senza pace della coscienza, mangia sì, ma non si sazia, anzi si svuota: «Mangia a sinistra, ma non si sazia», Isaia 9,19; non ingrassa, anzi insecchisce. E a figura di ciò, fu detto ad Amnòn -  che significa "gratuitamente iniquo" -, in II Samuele 13,4: «Perché vai tanto dimagrendo di giorno in giorno?».

Ut ergo melius possimus habere pacem conscientie, vos absolvetis me et ego absolvam vos.

E per meglio meritare la pace della coscienza, voi assolvete me ed io assolvo voi.


[1] Liber sex principiorum § VI n° 60 (Arist. Lat. 1/6-7, p. 48). Autore anomimo del XII secolo (falsamente attribuito a Gilberto de la Porrée, † 1154); trattato compilatorio, prevalentemente di materia logica, tra i libri di testo della facoltà delle arti.

[2] Pietro Lombardo, Sententiae in IV libris distinctae (1155-58), IV, dist. 8 (non 9), c. 7 § 2; ed. cura PP. Collegii S. Bonaventurae, Grottaferrata 1971, II, 285.

Non trovato inizialmente la citazione nella dist. 9, mi ero rivolto altrove: (Ps.-Thomae de Aquino), Officium corporis Christi «Sapientia», Lectio secunda, in fine: «Porro illa species visibilis sacramentum est geminae rei, quia utramque rem significat et utriusque rei similitudinem gerit expressam. Nam sicut panis prae ceteris cibis corpus reficit et sustentat, et vinum hominem laetificat atque inebriat, sic caro Christi interiorem hominem plus ceteris gratiis spiritualiter reficit et saginat». Tutto il brano lo si legge nelle Sententiae del Lombardo, vol. II, 285 § 2.

[3] Ysa. 9.d (= Isaia 9,19). Rara, ma autentica usanza medievale nelle citazioni bibliche di capitoli molto lunghi. Esposta a sospetto, talvolta "corretta" o soppressa dagli editori.

Cf. A. D’Esneval, La division de la Vulgate latine en chapitres dans l’édition parisinenne deu XIIIe siècle, «Revue des sciences philosophiques et théologiques» 62 (1978) 559-68:
a)
nuova capitolazione (quella arrivata fino a noi) a opera di Stefano Langton in Parigi 1200-20 ca. (p. 561);
b)
suddivisione dei capitoli lunghi in pericope marcate da lettere A-G: sistema introdotto dalle concordantiae Sancti Iacobi (ancora usate, insieme con i versetti, in Concordantiae, ed. Venetiis 1719), diventa operativo nel corso del secondo Duecento (p. 567 n. 42).
c)
Nel 1555 Roberto Etienne introduce, nelle sue edizioni della bibbia, la numerazione dei versetti (con qualche variante in taluni libri biblici, arrivata fino a noi).

[4] STEFANO LANGTON, Interpretationes nominum hebraicorum (1200 ca.): «Anon: donator merens vel gratis iniquus seu gratie inutilis aut gratificationi murmurans» (Firenze, Bibl. Laurenz., Conv. soppr. 593, f. 393rc, ultimo della colonna). Cf. A. D'ESNEVAL, Le perfectionnement d'un instrument de travail au début du XlIIe siècle: les trois glossaires bibliques d'Étienne Langton, in AA.VV., Culture et travail intellectuel dans l'Occident médiéval, Paris 1981, 163-75.

[5] Episodio di Amnòn cui allude l'allegoria, e che fa capire l'etimoligia antroponimica medievale (derivatio nominis) Amnòn="gratis iniqus" (= iniquo senza ragione) o "gratie inutilis" (= refrattario alla grazia), ché difatti Amnòn è uno stupratore: «Avendo Assalonne figlio di Davide, una sorella molto bella, chiamata Tamàr, Amnòn figlio di Davide si innamorò di lei. Amnòn ne ebbe una tal passione, da cadere malato a causa di Tamàr sua sorella; poiché essa era vergine pareva impossibile ad Amnòn di poterle fare qualcosa. Ora Amnòn aveva un amico, chiamato Ionadàb figlio di Simeà, fratello di Davide e Ionadàb era un uomo molto astuto. Egli disse: «Perché, figlio del re, tu diventi sempre più magro di giorno in giorno? Non me lo vuoi dire?». Amnòn gli rispose: «Sono innamorato di Tamàr, sorella di mio fratello Assalonne». Ionadàb gli disse: «Mettiti a letto e fingiti malato; quando tuo padre verrà a vederti, gli dirai: Permetti che mia sorella Tamàr venga a darmi da mangiare e a preparare la vivanda sotto i miei occhi, così che io veda; allora prenderò il cibo dalle sue mani. (...). Ma mentre gliele dava da mangiare, egli l'afferrò e le disse: «Vieni, unisciti a me, sorella mia». Essa gli rispose: «No, fratello mio, non farmi violenza; questo non si fa in Israele; non commettere questa infamia! Io dove andrei a portare il mio disonore? Quanto a te, tu diverresti come un malfamato in Israele. Parlane piuttosto al re, egli non mi rifiuterà a te». Ma egli non volle ascoltarla: fu più forte di lei e la violentò unendosi a lei» (II Samuele 13,1-14).
Ma c'è anche da credere che il testo del sermone, così contratto nelle redazione scritta, lasciasse all'oralità della recitazione il racconto episodico, necessario per capire il "gratis iniqus" e per illustrare il dimagrimento di chi mangia a... sinistra, ossia in direzione d'iniquità!


precedente successiva