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Libellus ad nationes orientales (1300)

originale latino

volgarizzamento (2008) di EP

(... 1. De cristianis nestorinis)

(... 1. Cristiani nestoriani)

Item[1]. Omne quod factum est aliquid, est illud quod factum est; sicut quod factum est homo, est homo; quod factum est album, est album. Sed «Verbum Dei factum est caro» id est factum est homo. Ergo Verbum Dei est homo. Impossibile est autem ut duorum differentium persona aut ipostasi aut supposito, unum de altero predicetur.

Tutto ciò che è divenuto qualcos'altro, è la realtà che è divenuto; così come ciò che è divenuto uomo è uomo, e ciò che è divenuto bianco è bianco. Ora «il Verbo di Dio si è fatto carne», ovvero si è fatto uomo. Dunque il Verbo di Dio è uomo. Impossibile infatti che due esseri differenti per persona o ipostasi o supposito, possano predicarsi l'uno dell'altro.

Cum enim dicitur "homo est animal", id ipsum quod animal est, homo est; et cum dicitur "homo est albus", ipse homo album(?) esse significatur, licet albedo sit extra rationem humanitatis. Et ideo nullo modo dici potest quod Sortes sit Plato, vel aliquod aliud singularium eiusdem vel alterius speciei. Si igitur Verbum caro factum est id est homo, ut evangelista testatur, impossibile est quod Verbi Dei et illius hominis sint due persone vel due ypostases vel duo supposita.

Quando si asserisce "l'uomo è un animale", la medesima realtà che è animale è uomo; e quando si dice "l'uomo è bianco", s'intende che il medesimo uomo è bianco, sebbene la bianchezza sia estranea all'essenza di uomo. In nessun modo quindi si può asserire che Socrate sia Platone, o un altro singolo soggetto della medesima o d'altra specie. Se dunque il Verbo si è fatto carne, cioè uomo, come afferma l'evangelista, è impossibile che il Verbo di Dio e e quell'uomo siano due persone o due ipostasi o due suppositi.

Adhuc. Pronomina demonstrativa ad personam referuntur vel ypostasim vel suppositum; nemo enim diceret "ego curro" alio currente, nisi forte figurative, ut pote quod alius loco eius curreret. Sed ille homo qui dictus est Iesus dicit de se «Antequam Habraham fieret ego sum», Io. 8 [,58],  et Io. 10[,30] «Ego et Pater unum sumus», et plura alia que maxime ad divinitatem Verbi pertinent. Ergo manifestum est quod persona illius hominis loquentis et ypostasis est ipsa persona Filii Dei.

I pronomi dimostrativi rinviano alla persona, ipostasi o supposito: infatti nessuno direbbe "io corro" se è altri a correre; a meno che non sia in senso figurato, quando un altro corre al posto suo. Ora, l'uomo chiamato Gesù dice di se stesso: «Prima che Abramo fosse, io sono», Giovanni 8,58; e ancora Giovanni 10,30: «lo e il Padre siamo una cosa sola», e molti altri asserti strettamente pertinenti alla divinità del Verbo. È dunque evidente che la persona di quell'uomo che così arlava, o sua ipostasi, è la persona stessa del Figlio di Dio.

Amplius. Patet quod nec corpus Christi de celo descend(isse), secundum errorem Valentini; neque secundum animam, secundum errorem Origenis[2]. Unte restat quod ad Verbum Dei pertineat quod dicitur "descendisse" non modo locali sed ratione unionis ad inferiorem naturam. Sed ille homo ex persona sua loquens dicit se descendisse de celo, Io. 6[,51] «Ego sum panis vivus qui de celo descendi». Necesse ist igitur personam et ypostasim illius hominis esse personam Verbi Dei.

Appare evidente che non discesero dal cielo né il corpo di Cristo, come vuole l'errore di Valentino, né la sua anima, secondo l'errore di Origene († 253/4) . Si deve quindi concludere che al Verbo di Dio csi addice l'espressione "discese", ma non in senso locale bensì a ragione della sua unione con una natura inferiore. Ebbene, quell'uomo parlando in prima persona dice d'esser disceso dal cielo, Giovanni 6,51: «lo sono il pane vivo disceso dal cielo». È necessario dunque è che persona e ipostasi di tale uomo sia la persona del Verbo di Dio.

Item. Manifestum est quod ascendere in celum Christo homini convenit, nam «videntibus apostolis elevatus est», Act. 1[,9]; descendere autem de celo Verbo Dei convenit. Sed Apostolus dicit Eph. 4[,10] «Qui descendit ipse est et qui ascendit». Ergo idem quod prius.

È chiaro che l'ascensione al cielo è propria del Cristo uomo, e infatti «alla vista degli apostoli egli fu elevato in alto», Atti 1,9; mentre la discesa dal cielo è propria del Verbo di Dio. Dice l'apostolo Paolo, Efesini 4,10: «Colui che discese è lo stesso che ascese». Medesima conclusione.

Adhuc. Et quod originem habet ex mundo et quod non fuit antequam esset in mundo, non convenit venire in mundum. Sed homo Christus secundum carnem, originem habet ex mundo, quia verum corpus humanum et terrenum habuit; secundum animam vero non fuit antequam esset in mundo. Habuit enim veram humanam animam, de cuius natura est ut non sit antequam |222r| corpori uniatur. Relinquitur igitur quod homini illi ex sua humanitate non conveniat venire in mundum. Ipse autem se dicit venisse in mundo: «Exivi a Patre et veni in mundum», Io. 16[,28]. Verum est igitur quod id quod Verbo Dei conuenit, de homine illo dicitur vere; nam quod Verbo Dei convenit venire in mundum ostendit evangelista Iohannes dicens «In mundo erat et mundus per ipsum factus est etc.», «in propria venit etc.». Ergo idem quod prius.

Inoltre: ebbe origine dal mondo, non esistette prima di essere nel mondo, non gli si addice "venire nel mondo". L'uomo Cristo secondo la carne ha origine dal mondo, poiché ebbe vero corpo umano e terrestre. Secondo l'anima non esistette prima di essere nel mondo; ebbe infatti vera anima umana, che per natura non esiste prima d'unirsi |222r| al corpo. E infine a tale uomo, a motivo della sua umanità, non spetta di venire nel mondo. Egli stesso dice dice di essere venuto nel mondo: «Sono dal Padre e sono venuto nel mondo», Giovanni 16,28. È dunque vero che quanto spetta al Verbo di Dio, viene affermato con verità di quell'uomo; e che infatti al Verbo di Dio spetti di venire al mondo lo mostra l'evangelista Giovanni: «Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui eccetera, venne tra i suoi eccetera» (Giovanni 1,10-11). Medesima conclusione.

Item. Apostolus dicit Hebr. 10[,5] «Ingrediens mundum dicit: Hostiam et oblationem noluisti, corpus autem aptasti michi». Ingrediens autem mundum Verbum Dei est, ut ostensum est. Ipsi igitur Dei Verbo corpus aptatur, ut scilicet sit proprium corpus, quod dici non posset nisi esset eadem ypostasis Dei verbi et illius hominis.

Scrive l'Apostolo, Ebrei 10,5: «Entrando nel mondo egli dice: Non hai voluto né sacrificio né oblazione, un corpo invece mi hai preparato». Colui che entra nel mondo è il Verbo di Dio, come mostrato. E quindi al medesimo Verbo di Dio fu formato il corpo, da essere il suo corpo. Cosa che non si potrebbe asserire, se medesima non fosse l'ipostasi del Verbo di Dio e di quell'uomo.

Amplius. Omnis mutatio vel passio conveniens corpori alicuius potest attribui ei cuius est corpus; si enim corpus Petri vulneretur flagellatur aut moritur, dici potest quod Petrus vulneretur aut moritur. Sed corpus illius hominis fuit corpus Verbi Dei, ut ostensum est. Ergo omnis passio que in corpore illius hominis fuit facta, potest attribui verbo Dei. Recte igitur dici potest quod verbum Dei et Deus est passus crucifixus mortuus et sepultus; quod ipsi negabant.

Ogni passiva mutazione spettante al corpo di qualcuno, la si può attribuire alla persona cui il corpo appartiene; se il corpo di Pietro viene ferito, flagellato o muore, diciamo che Pietro viene ferito, flagellato o muore. Ora il corpo di quell'uomo era il corpo del Verbo di Dio, come mostrato. Dunque ogni azione subìta dal corpo di quell'uomo, la si può attribuire al Verbo di Dio. Giustamente pertanto si può affermare che il Verbo di Dio, e Dio stesso, ha sofferto, è stato crocifisso, è morto e sepolto. Cosa invece che essi negavano.

Item Apostolus dicit ad Hebr. 2[,10] «Decebat eum, propter quem omnia et per quem [quam cod.] omnia, qui multos filios in gloriam adduxerat [adduxerant cod.], auctorem salutis eorum per passionem consumari». Ex quo habetur quod ille, propter quem sunt omnia et per quem omnia et qui homines in gloriam adducit et qui est actor salutis humane, passus est et mortuus. Sed hec quattuor singulariter sunt Dei, et nulli alii attribuuntur; dicitur enim Prov. 16[,4] «Universa propter semet ipsum operatus est Dominus»; et Io. 1[,3] de Verbo Dei «Omnia per ipsum facta sunt», et in Ps. «Gratiam et gloriam dabit Dominus», et alibi «Salus autem iustorum a Domino». Manifestum est igitur recte Deum et Dei verbum esse passum.

Dice l'apostolo Paolo, Ebrei 2,10: « Era ben giusto che colui, per il quale e del quale sono tutte le cose, avendo portare molti figli alla gloria, rendesse perfetto mediante la passione l'autore della loro salvezza». Da queste parole si ricava che colui dal quale e per il quale esistono tutte le cose, che conduce gli uomini alla gloria, ed è l'autore della salvezza umana, ha sofferto ed è morto. Ora, questi quattro elementi appartengono esclusivamente a Dio, e non vengono attribuiti a nessun altro; sta scritto infatti, Proverbi 16,4, «Tutte le cose il Signore le ha create da se stesso»; in Giovanni 1,3, a proposito del Verbo di Dio, «Tutte le cose furono fatte per mezzo di lui»; nel Salmo 83,12 «La grazia e la gloria la darà il Signore»; e in 36,39 «La salvezza dei giusti viene dal Signore». È dunque corretto affermare in senso proprio che Dio e il Verbo di Dio ha sofferto la passione.

Preterea. Licet aliquis homo participatione dominii dominus dici possit, nullus homo nec aliqua creatura potest dici Dominus glorie, quia gloriam future beatitudinis solus Deus ex natura possidet, alii vero per donum gratie. Unde in Ps. [23,10] «Dominus virtutum ipse est rex glorie». Sed Apostolus dicit: «Dominum glorie crucifixum esse», I Cor. 2[,8]. Igitur dici potest quod Deus sit crucifixus.

Sebbene qualche singolo uomo possa esser chiamato signore in quanto partecipe della signorìa, nessun uomo tuttavia e nessuna creatura può esser detto Signore della gloria, perché la gloria della beatitudine futura la possiede solo Dio per natura, mentre gli altri per dono di grazia. Infatti «il Signore degli eserciti, egli è il re della gloria», Salmo 24,10. Mentre l'apostolo Paolo afferma che il «Signore della gloria è stato crocifisso», I Corinzi 2,8. Si può pertanto asserire che Dio è stato crocifisso.

Adhuc. Verbum Dei dicitur Dei Filius per naturam, homo per gratiam adoptionis. |222v| Si igitur in domino Iesu Christo secundum positionem predictam est utrumque accipere filiationis modum  -  nam Verbum inhabitans est Dei Filius per naturam, homo inhabitatus est Dei Filius per gratiam adoptionis  -  unde homo ille non potest dici proprius vel unigenitus Filius Dei sed solum Dei verbum; nec iterum Christus erit unus filius, inmo erunt duo filii, unus naturalis et alius adoptivus.

Il Verbo di Dio è detto Figlio di Dio per natura, l'uomo invece per grazia di adozione. |222v| Ma se, stando alle tesi di costoro, nel Signore Gesù Cristo si dovessero recepire entrambe le modalità di filiazione - ossia il Verbo inabitante è Figlio di Dio per natura, mentre l'uomo inabitato è figlio di Dio per adozione -  ne seguirebbe che tale uomo non potrebbe esser detto Figlio di Dio proprio o unigenito; né il Cristo sarebbe unico figlio, ma sarebbero due figli, uno naturale e l'altro adottivo.

Attribuit autem scriptura proprio et unigenito Filio Dei passionem et mortem, Rom. 8[,32] «Proprio filio suo non pepercit sed pro nobis omnibus tradidit illum»; et Io. 3[,16] «Sic Deus dilexit mundum ut Filium suum unigenitum daret etc.». Et quod loquatur de traditione ad mortem patet per illud quod premiserat de filio hominis crucifigendo, dicens «Sicut Moyses exaltavit serpentem in deserto etc.».

La Scrittura invece attribuisce al proprio e unigenito Figlio di Dio passione e morte; Romani 8,32: «Dio non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi»; Giovanni 3,16: « Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, eccetera». E che si tratti della consegna a morte, risulta evidente dalle parole precedenti circa il figlio dell'uomo destinato ad esser crocifisso: «Come Mosé innalzò il serpente nel deserto, eccetera» (Giovanni 3,14).

Unde notandum est quod nec ipsi dicunt Christum esse duos filios nec aliqua scriptura dicit Christum esse duo.

Notandum autem quod frater Thomas in tertio Sententiarum, 8 d(istinctione), articulo 5, dicit quod «prima illa opinio que ponit in Christo duo supposita posset ponere duas filiationes in Christo, nec tamen poneret duos filios masculine sed duo filia neutraliter, si latine diceretur»[3].

Da notare: né essi sostengono che Cristo fosse due figli, né alcun testo scritturistico asserisce che Cristo fosse duplice.

Nota che fra Tommaso, nel commento [1256-67 ca.] a libro III delle Sentenze, distinzione VIII, articolo 5, dice: «La prima opinione, che pone nel Cristo duo suppositi, potrebbe intendere due filiazioni in Cristo, senza tuttavia asserire due figli maschi ma due "figli" di genere neutro, se in lingua latina si desse».

Item ex hoc dicitur aliquis filius alicuius matris quia corpus eius ex ea sumitur, licet anima non sumatur ex matre sed ab exteriori sit. Corpus autem illius ex virgine matre sumptum est; ostensum est autem corpus illius esse corpus filii [filius cod.] Dei. Convenienter igitur dicitur quod beata Virgo sit mater Verbi Dei et etiam Dei, licet divinitas Verbi a matre non sumatur. Non enim oportet quod filius totum quod est de substantia sua sumat [summat cod.] a matre sed solum corpus.

Usiamo dire che un tale è figlio di una data madre per il fatto che da essa desume il proprio corpo, sebbene l'anima non gli provenga dalla madre bensì da causa esterna. Ora, il corpo di Cristo fu desunto dalla Vergine Madre; e d'altra parte abbiamo dimostrato che quel corpo era il corpo del Figlio di Dio. Dunque è corretto dire che la beata Vergine è madre del Verbo di Dio, e anche madre di Dio, sebbene la divinità del Verbo non provenga dalla madre. Non è infatti necessario che un figlio in quanto tale desuma dalla madre tutto ciò che egli è nella sua sostanza, ma il solo corpo.

Amplius. Apostolus dicit ad Gal. 4[,4] «Misit Deus filium suum natum ex muliere»; ex quibus verbis ostenditur qualiter missio filii Dei sit intelligenda. Eo enim dicitur missus quo factus est ex muliere, quod quidem verum esse non posset nisi filius Dei ante fuisset quam factus esset ex muliere. Quod enim in aliquid mittitur, primum esse intelligitur quam sit in eo quo mittitur; sed si homo ille est filius adopt(ivu)s, secundum Nestorium, non fuit autem antequam natus esset ex muliere. Quod ergo dicit «Misit Deus Filium suum», non potest intelligi de filio adoptivo sed oportet quod intelligatur de filio naturali id est de Deo Dei Verbo. Sed ex hoc quod aliquis factus est ex muliere, dicitur filius mulieris. Deus ergo, Dei Verbum, est Filius mulieris.

Afferma l'Apostolo nella lettera ai GaIati 4,4: «Dio mandò il Figlio suo nato da donna»; e mostra con queste parole come si debba intendere la missione del Figlio di Dio. Lo si dice inviato per la medesima ragione che nacque da donna; che vero non potrebbe essere se il Figlio di Dio non fosse esistito prima d'essere generato da donna. Chi è inviato per una missione, preesiste alla missione medesima; ma se quelll'uomo è figlio adottivo, a giudizio di Nestorio, non sarebbe esistito prima di nascere da donna. L'affermazione dunque «Dio mandò il Figlio suo» non può riferirsi al figlio adottivo, ma bisogna riferirlo al figlio naturale, cioè a Dio Verbo di Dio. Ma poiché uno è fatto da donna, lo si dice figlio di donna. E pertanto Dio, Verbo di Dio, è figlio di donna.

Sed dicet aliquis non debere verbum Apostoli sic intelligi quod Dei filius ad hoc sit missus ut sit factus ex muliere, et sub lege ad hoc sit missus «ut eos qui sub lege erant redimeret». Et secundum hoc, quod dicit «filium suum» non oportebit |223r| intelligi de filio naturali sed de filio adoptivo. Sed hic sensus excluditur ex ipsis Apostoli verbis. Non enim a lege potest absolvere nisi ille qui supra legem existit, qui est actor legis: lex autem a Deo posita est; solius igitur Dei est a servitute legis eripere. Hoc autem attribuit Apostolus filio de quo loquitur. Filius ergo de quo loquitur est Filius Dei naturalis. Verum est ergo dicere quod naturalis Dei Filius, id est Deus Dei Verbum, est factus ex muliere.

Qualcuno potrebbe obiettare, e sostenere che l'affermazione dell'Apostolo non è da intendere che il Figlio di Dio è stato inviato per il fatto che fu generato da donna; e inviato sotto la legge «per redimere coloro che erano sotto la legge» (GaIati 4,5). E in questo senso, «figlio suo» non bisognerebbe  |223r| riferirlo al figlio naturale ma al figlio adottivo. Ma questa interpretazione è esclusa dalle stesse parole dell'Apostolo. Non può dispensare dalla legge se non chi è al di sopra della legge, e che di essa è autore; ora la legge è stata posta da Dio, e dunque soltanto Dio può liberare dalla servitù della legge. Ebbene, l'Apostolo attribuisce tutto ciò al figlio di cui parla; e costui è il figlio naturale di Dio. È vero pertanto affermare che il figlio naturale di Dio, ossia Dio Verbo di Dio, è fatto da donna.

Preterea hoc idem patet per hoc quod redemptio humani generis ipsi Deo attribuitur, in Ps. [30,6] «Redemisti me Domine Deus veritatis».

Medesima cosa risulta dal fatto che la redenzione del genere umano è attribuita a Dio stesso, Salmo 31,6: «Tu mi hai redento, o Signore, Dio di verità».

Adhuc. Adoptio filiorum Dei fit per Spiritum sanctum, secundum illud Rom. 8[,15] «Accepistis spiritum adoptionis filiorum». Spiritus autem sanctus non est donum hominis sed Dei; adoptio ergo filiorum non causatur ab homine sed a Deo. Causatur autem a Filio Dei misso a Deo et facto ex muliere, quod patet per hoc quod Apostolus subdit: «ut adoptionem filiorum reciperemus». Oportet igitur verbum Apostoli intelligi de filio Dei naturali. Deus igitur, Dei verbum, factus est ex muliere id est ex virgine matre.

Inoltre, l'adozione a figli di Dio è opera dello Spirito santo, Romani 8,15: «Avete ricevuto lo Spirito di adozione a figli». Ma lo Spirito Santo non è dono dell'uomo, bensì di Dio; e pertanto l'adozione a figli non è causata dall'uomo ma da Dio. Essa viene causata dal Figlio di Dio mandato da Dio e fatto da donna, come appare da quanto dalle successive parole dell'Apostolo: «affinché noi ricevessimo l'adozione a figli» (GaIati 4,5b). L'asserto dunque dell'Apostolo (GaIati 4,4: «Dio mandò il Figlio suo nato da donna») va inteso del Figlio naturale di Dio. Quindi Dio, ossia il Verbo di Dio, fu fatto da donna, cioè dalla vergine madre.

Item Io. [1,14] dicit «Verbum caro factum est». Non autem habet carnem nisi ex muliere. Verbum igitur factum est ex muliere id est ex virgine matre; Virgo enim est mater Dei Verbi.

Dice inoltre Giovanni 1,14, «Il Verbo si è fatto carne». Ma egli non riceve la carne (ossia l'umana corporeità) se non da una donna. Il Verbo dunque si è fatto da una donna, cioè dalla vergine madre. E pertanto la Vergine è madre del Verbo di Dio.

Amplius. Apostolus dicit Rom. 9[,5] quod «Christus est ex patribus secundum carnem, qui est super omnia Deus benedictus in secula»; non autem est ex patribus nisi mediante virgine; Deus ergo qui est super omnia benedictus, est ex Virgine secundum carnem. Virgo igitur est mater Dei secundum carnem.

L'apostolo Paolo, Romani 9,5, afferma che «Cristo proviene dai patriarchi secondo la carne, ed è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli». Ma non proviene dai patriarchi se non mediante la Vergine. Dio dunque, che è sopra ogni cosa benedetto, secondo la carne proviene dalla Vergine. La Vergine pertanto è la madre di Dio secondo la carne.

   


[1] Tutti i brani di questa pagina web, sono prestito da Tommaso d’Aquino, Contra Gentes  IV, c. 34, §§ 3698-3714.

[2] Rispettivamente Tommaso d’Aquino, Contra Gentes  IV, cc. 30 e 33.

[3] «Unde notandum est ... esse duo»: parole assenti in Tommaso. E dopo segno di richiamo ÷, Riccoldo aggiunge di proprio pugno nel marg. inferiore: «Notandum autem quod frater Thomas ... si latine diceretur» (frater Thomas, prima della canonizzazione 1323).
= Tommaso d’Aquino, In III Sententiarum d. 8, a. 5 corp. (ed. M.F. Moos, Parigi 1933, 294 § 61).


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