Libellus ad nationes orientales
Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, | |||
Titolo qui inserito in genn. 2005, da mia trascrizione del 1984; ma da ricontrollare sul codice originale quando se ne volesse far uso scrupoloso. EP, maggio '05. Testo ricontrollato, vacci sicuro. In caso di divergenze in citazioni fatte negli studi riccoldiani precedenti, prevale testo qui riproposto. Nov. '08. Riordino il testo e ne avvio traduzione italiana (colonna destra). Non senza una qualche interiore riluttanza. Di certo con dissenso, laddove al racconto Riccoldo sostituisce il pregiudizio. | |||
219r, 220r, 221r, 222r, 223r, 224r, 225r, 226r, 227r, 228r, 229r, 230r, 231r, 232r, 233r, 234r, 235r, 236r, 237r, 238r, 239r, 240r, 241r, 242r, 243r, 244r | |||
De cristianis nestorinis,
b, c | De saracenis | ||
De tartaris | |||
De iacobinis # Eutices # Maccarius Antiochenus | 6 | De aliis nationibus sub compendio | |
7 | Recapitulatio | ||
De iudeis in quo differant a nobis 3.1 quod Christus iam venit 3.2 quod est verus Deus 3.3 que inducunt contra veritatem | 8 | Regule generales 1a 2a 3a 4a 5a | expl. | |
A ripercorrere la tipologia degl'interventi di mano R (= l'autore Riccoldo), molti di natura redazionale, si ha la netta sensazione che il Libellus ad nationes orientales sia stato scritto di getto, passato al copista professionale (lavora in Firenze nei primi decenni del '300) ancora allo stadio di bozza. A testo trascritto, l'autore ripulisce, integra omissioni, aggiunge paragrafi nuovi, inserisce rubriche, prova a mettere ordine alla materia. Senza riuscirci a pieno. Le partizioni compositive dell'opuscolo didattico, pensato per i giovani frati destinati all'Oriente, restano spesso indefinite e lasciano smarrito il lettore. Incomplete e disomogenee appaiono rubriche e titolazioni. In Secunda regula, ultime battute, il rinvio «sicut supra dictum est in primo capitulo de iudeis» suppone una divisione del testo in capitoli, per di più numerati; intento di fatto non realizzato o non portato a termine. Qui la numerazione è mia; discreta; soprattutto attenta a rincorrere le articolazioni mentali di fra Riccoldo, solo sbozzate per iscritto. Libellus ad nationes orientales: titolazione molto contratta. Il senso esatto del titolo? chi è il destinatario dello scritto riccoldiano? La sezione finale del trattatello aiuta a fissare i termini della questione: Riccoldo intende redigere una guida informativa o un compendio in ausilio ai giovani frati destinati alle missioni in Oriente. Dunque: un vademecum o breviario indirizzato non ai popoli d'Oriente, bensi destinato ai frati inviati alla predicazione ai popoli d'Oriente. | |||
º Riccoldo? nome esatto? | e Monte di Croce? » º domande di Burkhard Roberg » º Dante conosceva il Contra legem di Riccoldo? » |
- limiti di fondamentalismo passionale? -
■ A proposito di: <3.2> Iterum de iudeis. Sequitur secundum... (ma anche di altri brani simili!)
Si notino le implicanze metodologiche del brano: minano sotterraneamente i percorsi argomentativi dell'intera sezione "de iudeis":
■ Bisognerebbe raggiungere - dice Riccoldo - testo e significato originali dell'antico testamento (hebraica veritas) per argomentare adeguatamente, visto che gli ebrei non recepiscono il nuovo testamento. Ma argomentare con quali strumenti filologici? Non so l'ebraico, né conosco la storia culturale semitica. Discordante è la "Septuaginta" (traduzione ebraico-greca tra 250 e 130 a.C., e di qui in latino) o la "Vetus latina"; molti loro brani tuttavia li rilancia autorevolmente la liturgia, in rilettura cristiana.
Sostanzialmente dispongo, io Riccoldo, della sola Vulgata (bibbia latina in gran parte su traduzioni geronimiane, ma ordinata in raccolta nel periodo carolingio). Per di più in una tradizione manoscritta (la "parisiensis") molto diffusa e perciò molto corrotta; al punto che abbiamo iniziato a raccoglier le varianti in circolazione, e a compilare i primi "correctoria biblica". Talune varianti le trovo riportate al margine della Vulgata a mia disposizione: "alia litera, alia translatio". Ma tra le molte varianti qual è quella autentica? e per quali ragioni? A questo, proprio non sappiamo rispondere!
Mando avanti il mio trattato apologetico, omnibus non obstantibus. Il significato "cristiano" di molti testi dell'antico testamento è quello vero (circolo vizioso?); gli ebrei negano l'evidenza, accecati da "odio e invidia" (sebbene Girolamo, nello stesso prologo Desiderii - riportato dalle bibblie medievali - avesse consigliato: "Laddove la mia traduzione apparisse inattendibile, consulta i maestri ebrei della tua città"!).
■ Nessuna condivisione, dunque, dell'indirizzo anti-ebraico del testo riccoldiano, né quanto a contenuto né quanto a processo argomentativo. Intento storico, invece; testimonianza d'un tracciato del passato. E proposito - inoltre -d'intendere, eventualmente, il perché e il come dell’antico affronto.
■ Si riscontra inoltre nel Libellus (ci si batte la testa nella traduzione!), specie nella lunghissima sezione sugli ebrei, una infelice partizione, che replica argomentazioni e materia, intreccia pletoriche ripetizioni. Come se l'autore non avesse avuto tempo o voglia di dare rigore distributivo alla materia, e conseguenti lucidi trapassi argomentativi.
■ Qualche merito riconosciamolo. Asserita la piena natura umana del Cristo, lo scolastico Riccoldo argomenta coerentemente a favore della piena psicologia dei sentimenti spettanti al Cristo uomo, e alla loro espressione; da altri invece ritenuti incongrui per un Messia. Breve, ma intensa la difesa che ne fa, fino a una discreta commozione:
«Risposta alla quarta obiezione. Il Cristo non era di temperamento malinconico bensì gioioso. Una persona saggia si rattrista in tempi e modi congrui; il Cristo non represse tristezza o altri sentimenti, ma li visse liberamente in rapporto alle circostanze; Giovanni 11, 33 ss: «Quando vide piangere Maria sorella di Lazzaro, Gesù si commosse profondamente, si turbò eccetera, e scoppiò in pianto».
Riccoldo non cita esplicitamente testimonianze evangeliche a proposito del temperamento gioioso, e non malinconico. Lo dava per scontato? Di certo, molti scambi di Gesù con gli amici/discepli, durante i tre anni della loro frequentazione, recano fasce di gioco amicale. Inclusi i soprannomi dati agli amici: "Ti chiami Simone? No, d'ora in poi ti chiamerai Kefa!" (cf. Giov. 1, 41-42), ovvero "pietra", come dire "testa dura"; che noi abbiamo ripulita in Pietro!
Firenze, nov. 2008