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<Scritti orientalistici
di Riccoldo da Monte di Croce:
Presentazione, |
Titolo originale Presentazione del volume Fede e controversia nel ’300 e ’500, «Memorie domenicane» 17 (1986) pp. XL-348; con talune questioni introduttive e complementari al contributo di J.-M. Mérigoux, L'ouvrage d'un frère Prêcheur florentin en orient à la fin du XIIIe siècle. Le «Contra legem Sarracenorum» de Riccoldo da Monte di Croce, MD 17 (1986) 1-144, e alla relativa edizione del Contra legem Sarracenorum (= CLS), pp. 60-142. I temi riccoldiani di Presentazione pertanto, e loro genere compositivo, suppongono e spesso rinviano a questo contributo del Mérigoux, qui non riprodotto. Emilio Panella OP |
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Fede religione e controversia | Giovanmaria dei Tolosani da Colle di Val d’Elsa OP († Siena 1549) | Bartholomeus Picernus de Monte Arduo (XV-XVI sec.) |
2 | I codici d’autore di Riccoldo | # BNF, Conv. soppr. C 8.1173 |
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Il «Liber peregrinationis» del codice Berlinese | # Staatsbibliothek lat. 4°.466 | šakhs /aškhâs, aqnûm /aqânîm; bibbia in siriaco | b | Contrarietas alpholica |
4 | Spunti sulla scrittura di Riccoldo | dissoluta |
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Problemi di cronologia # Libellus ad nationes orientales # Contra legem Sarracenorum # Liber peregrinationis; §§ de mostris, de sabbeis | Matteo di Fidanza da Barletta OP, 1333 | b # Epistole ad ecclesiam triumphantem |
Conclusione:
opere composte entro un biennio che ha il fulcro nel 1300;
nell'ordine: - Epistole tra gli estremi 1291 e 1299, prossime a quest'ultimo; - Liber peregrinationis 1299-1300 ca.; - Contra legem 1299-1300 ca.; - capitoli De mostris e De sabbeis, sopraggiunti al Liber peregrinationis 1300 ca. - Ad nationes orientales 1300. | ë |
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Riccoldo? Come chiamarlo esattamente?
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e Monte di Croce?
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■ Le referenze di bibliografia riccoldiana utilizzano abbreviazioni date sotto, Mérigoux, L'ouvrage..., «Memorie domenicane» 17 (1986) pp. 3-6.
In questa edizione web vedi abbr&sigle comuni, voce "Riccoldo", aggiornamento bibliografico.
CLS (= Contra legem Sarracenorum), con indicazione di capitolo e righi, rinvia alla presente edizione, MD 17 (1986) 60-142. Rícordo, a beneficio dei lettori, che i rinvii al CLS fatti da Mérigoux sono per numero di capitolo e di relativa nota.
I sultani mamlúk d’Egitto, da Baibars a Qalawun ad Ashraf, abbattono sul finire del ’200 i residui regni latini d’oriente. I “luoghi santi” dei cristiani ritornano nelle mani dei musulmani. L’islâm dilaga e minaccia la fede cristiana. Nel 1520, nel cuore dell’Europa cristiana, a Lutero è permessa da Dio «potestas ex profundo puteo abyssi doctrine diabolice haurire diversas hereses et fierí magnus heresiarcha» (sotto p. 247 rr. 661-63). Riccoldo da Monte di Croce è invaso da sgomento; nelle Epistole ad ecclesiam triumphantem interpella la provvidenza di Dio, la contesta anzi al pari di Geremia e Giobbe, lenta com’è ad intervenire a difesa dei cristiani oppressi da ogniddove, cosícché «in oriente si proclama pubblicamente che tu, o Dio, sei impotente a venirci in soccorso» (Ep. I, ed. 265, 40-41). Per Giovanmaria dei Tolosani da Colle di Val d’Elsa «il fumo dell’eresia luterana tenta d’oscurare il sole» della chiesa cattolica e torme di locuste devastano i pascoli del gregge dei fedeli (sotto pp. 247-48/672 ss). In entrambe le congiunture, a Satana e seguaci «data est potestas super quattuor partes terrae» (Apoc. 6, 8), «data est potestas sicut habent potestatem scorpiones terrae» (Apoc. 9, 3).
Il linguaggio antico della fede racconta l’impasto delle cose di Dio con le cose dell’uomo nel cuore del credente. Con ardore e amoroso istinto all’unità. Prevaricati i confini delle geografie teologiche, la cultura del sospetto contesta la possibile fraudolenza del linguaggio. Mentre Riccoldo nelle Epistole ad ecclesiam triumphantem implora l’intervento della corte celeste per frenare la dilagante perfidia dei saraceni all’indomani della caduta di Acri (1291), il cronista arabo rende omaggio all’altissimo Iddio che ha consumato giuste vendette con mirabili congruenze sul calendario della fede: «È mirabile a notarsi che Iddio altissimo fece conquistar Acri nello stesso giorno e nella stessa ora in cui l’avevano presa i Franchi; essi si impadronirono di Acri il venerdì diciassette gíumada secondo all’ora terza del giorno, dettero sicurtà ai Musulmani che vi si trovavano, e poi li uccisero a tradimento; e così Iddio dette in sorte ai Musulmani di riconquistarla questa volta il venerdì all’ora terza del giorno diciassette di giumada secondo, e il Sultano dette sicurtà ai Franchi e poi li fece uccidere, così come i Franchi avevan fatto coi Musulmani; onde Iddio altissimo trasse vendetta sui loro discendenti» (Storici arabi delle crociate, a c. di F. Gabrieli, Toríno 1973, 341).
Dei greci ortodossi Riccoldo parla una sola volta, e in questi termini: «De grecis autem nichil specialiter dixi quia sunt nobis valde propinqui loco litera ydiomate lingua moribus ritu fide vel credulitate, immo experientia teste principalis controversia inter nos et eos non est de fide sed de dominio temporali et imperio constantinopolítano, quod greci nolunt dare latinis. De processione vero Spiritus sancti faciliter concordarent nobíscum si libido dominandi et cupiditas acquirendi de medio tolleretur» (ADNO ff. 242v-243r).
Né Riccoldo né il Tolosani (né, in verità, i loro interlocutori dell’altra sponda) nutrono dubbi sul proprio linguaggio di fede. Di qui il bisogno apologetico. Questo mira a validare il proprio universo di fede, a ricostituírlo contro quanto ne mini unicità e universalità, a scalzare ogni pretesa d’ergerne di altri, siano essi in alternativa teologica che in concorrenza politico-geografica. Le coordinate mentali ed emotive dei due controversisti, benché distanti nel tempo e su differenti frontiere di fede, sono straordinariamente affini ed esprimono argomenti dai medesimi procedimenti dialetticí e dalle medesime istanze criteriologiche. Non sorprende che i due s’incontrino letterariamente: il Tolosani rinvia al Contra legem Sarracenorum di Riccoldo e ne riassume il primo capitolo.
MD 17 (1986) 241-42, rr. 529-54. In mancanza di citazioni letterali, la collazione testuale non decide perentoriamente se il Tolosani (1540-48) usasse l’originale latino di Riccoldo o la retroversione di Bartolomeo Picerno diffusa dal 1506. Scrive sì «Ricoldus» laddove Demetrio Cydones e il Picerno hanno «Ricardus», ma si allontana dall’originale titolazione dell’opera. Inoltre il testo del Tolosani testimonia contaminazione di fonti: parla del più divulgato «Sergio monaco » (informatore cristiano di Muhammad) contro il Bahira di Riccoldo. Il che invita all’ipotesi più economica: che il Tolosani conoscesse il Riccoldo della retroversione del Picerno diffusa insieme al corpus toletanum.
Bartholomeus Picernus de Monte Arduo dedica la sua traduzione greco-latina a Ferdinando II re Aragona (1479-1516). In Indices generales di AFP 51 (1981) 67a, è censito Bartolomeo Picerno come "O.P." (= frate domenicano) senza congrua testimonianza; e così ricorre talvolta nei repertori generali. Da escludere, perché proprio la stampa 1506, mentre specifica "Riccoldo dei frati Predicatori", non dà nessun titolo di stato al Picerno. Assente il suo nome tra gli Scriptores Ordinis Praedicatorum.
In «Memorie domenicane» 17 (1986) 50-51, tra gli autori domenicani che utilizzano il CLS si aggiunga Giovanmaria dei Tolosani da Colle di Val d’Elsa († Siena 22.I.1548/9).
Più spiccata in Riccoldo (frutto maturo - e già intemperato - dell’audacia della ratio nella grande scolastica) sembra l’istanza della razionalità: la dialettica della ragione e delle sue coerenze detta lo scrutinio delle più intime realtà di Dio, dei modi delle sue manifestazioni e delle occasioni delle sue grazie. Ambedue i controversisti testimoniano l’affievolirsi della discrezione teologica di fronte al mistero di Dio e degli interventi salvifici. Tommaso d’Aquino, a cui i due domenicani fanno ricorso, aveva dato prova di somma discrezione di fronte al mistero divino, benché coltivasse spiccata fiducia nel valore conoscitivo del discorso teologico. E in terra d’islâm al-Ghazâlî († 1111) aveva elaborato in Faysal al-tafriqa bayna l-islâm wa-l-zandaqa [= Principio di distinzione tra islàm ed empietà] una teologia della salvezza dei musulmani e dei non musulmani da cui il cristiano Riccoldo avrebbe potuto apprendere non poco, se non altro in fatto di moderazione di linguaggio e di rispetto della fede altrui.
Jean-Marie Mérigoux (pp. 1-144) e Salvatore I. Camporeale (pp. 145-252) ci propongono due “reazioni” d’un medesimo universo di fede a confronto con novità implicitamente sovversive. Il lettore potrà individuare e rincorrere processi conoscitivi già densi dell’antico impasto tra fede e mediazione culturale, e già turbati dall’estensione della fede in religione, inglobante persistenti solidarietà con assetti sociali sui cui ritmi di difesa, d’espansione, di conflittualità, il discorso della fede stenta ad articolare autonome ragioni. E potrà individuare altresì le coesistenze storiche - da quelle culturali a quelle militari - che piegano il linguaggio di fede alla controversia, creandone insieme gli estremi esegetici. Cosicché ha la comprensione del perché di espressioni «si dures et si excessives envers la lex Sarracenorum, dont la lecture nous est si pénible aujourd’hui» (sotto, MD 17 (1986) p. 2).
Non dunque il rilancio della polemica. La redazione di «Memorie domenicane» crede fermamente alla lettera e allo spirito dei documenti del Vaticano II Unitatis redintegratio (1964) e Nostra aetate (1965). Fa proprio, in particolare, quanto Nostra aetate n° 3 dice sui trascorsi tra islâm e cristianesimo: «Se nel corso dei secoli non pochi dissensi e inimicizie sono sorti tra cristiani e musulmani, il Sacro Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e a esercitare la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme, per tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori umani, la pace e la libertà» [giunta sett. '01: muslimus latinizzano i padri conciliari dall'arabo muslim in Nostra aetate n° 3 di ott. 1965, mentre musulmanus dal turco-persiano musulmân in Lumen gentium n° 16 di nov. 1964]. Se ha intrapreso l’edizione critica del Contra legem Sarracenorum di Riccoldo non è per ferire i sentimenti religiosi dei nostri fratelli musulmani (si dissocia anzi fin d’ora da chi ne facesse tale uso) ma per contribuire a capire il perché e il come dell’affronto. Crede che la ricerca storica, sostenuta dal rispetto degli uomini e dei loro valori, possa aiutare a intravedere come una fede - ieri e oggi - si armi d’un assetto mentale e istituzionale che, anziché aprire il cuore a Dío e ai fratelli, definisca confini e geografie dove la proclamazione della verità dissimula l’esercizio della sopraffazione. Invita semmai alla medesima ricerca nella tradizione religiosa altrui. Ha motivo di credere che, in contesti analoghi a Riccoldo e a Giovanmaria dei Tolosani [= MD 17 (1986) 145-252], i controversisti dell’altra sponda non siano stati né meno «durs» né meno «excessifs».
La Bibliographie du dialogue islamo-chrétien, intrapresa in «Islamochristiana» 1 (1975) 125-76 e continuata nei fascicoli successivi, è un prezioso repertorio che recensisce sistematicamente quanto nel corso dei secoli è stato scritto dall’una e dall’altra parte. Eccellenti esempi (con testo arabo e traduzione francese) della radicale affinità del procedimento mentale della refutatio e dell’intemperanza di linguaggio in autori musulmani (vi si troveranno gli stessi argomenti riccoldiani rovesciati) in J.-M. Gaudel - R. Caspar, Textes de la tradition musulmane concernant le «tahrîf» (falsification) des Ecritures, «Islamochristiana» 6 (1980) 61-104. Vedi anche A. Charfi, Christianity in the Qur’an commentary of Tabarî, ib. 6 (1980) 105-48; J. Jomier, Unité de Dieu, chrétiens et Coran selon Fakhr al-Dîn al-Râzî, ib. 6 (1980) 149-77; G. Monnot, Les doctrines des chrétiens dans le «Moghnî» de ‘Abd al-Iabbâr, «Mélanges de l’Institut dominicaín d’Etudes Orientales» 16 (1983) 9-30.