Torniamo al discorso cronologico.
Acri è ancora in mano ai cristiani (LP f. 2va) quando Riccoldo vi risiede. E ad Acri fanno capo (partenza e ritorno) i due itinerari palestinesi in Galilea e Giudea. Anche Athlît («Castrum Peregrini») è ancora in mano ai Templari (f. 2va; cadrà in luglio 1291). Da Acri Riccoldo riparte via mare lungo la costa settentrionale. Fa sosta a Tripoli, tocca Tortosa (cadrà in agosto 1291), poi procede (nessuna menzione di Antiochia, riconquistata dai mainlûk nel 1268) per la Cilicia e l’Armenia (f. 6ra-b). La notizia della caduta di Tripoli (27 aprile 1289) gli perviene che è a Sivas, nel cuore della Turchia, in giorno di domenica, presumibilmente il 1° maggio 1289 (Ep. II, f. 254r; ed. 273, 16-21). Precedentemente, nel racconto del secondo itinerario palestinese, aveva annotato che la visita al fiume Giordano coincise con la festa dell’Epifania (LP, f. 3rb), cioè 6 gennaio. Riccoldo era lettore in Prato durante il CP 1287 quando gli venne affidata la cura interinale del convento pratese finché non fosse stato eletto il nuovo priore (ACP 77-78); nel 1288 lettore di Prato era fr. Ruperto (o Roberto) da Lucca (ib. 83/15-16).
Priore di Prato in agosto 1288 risulta essere fr. Iacopo da Sarzana (ASL, Dipl. S. Romano 27.VIII.1288). Per l’errata segnalazione del nome di Riccoldo nel documento fiorentino del 14.IV.1289 vedi MD 17 (1986) 20 n. 66 Addendum.
In maggio 1288 (il CP Lucca fu tenuto a ridosso di quello generale celebrato nella medesima città nella settimana di Pentecoste), Riccoldo veniva inviato al convento fiorentino con dispensa dall’insegnamento (ib. 88/15-16). Il 6 gennaio, coincidente con la visita al fiume Giordano, non può che essere del 1289. Riccoldo dev’essersi imbarcato per la Palestina in autunno inoltrato del 1288 ed arrivato ad Acri in dicembre, se il 6 gennaio dell’anno successivo già visitava la Giudea dopo un primo itinerario in Galilea. Il viaggio attraverso la Turchia e la Persia cade in primavera-estate 1289. Da Tabriz (dove sosta sei mesi e predica in arabo tramite l’interprete: LP f. 11va-b) scende, attraverso le montagne curde, nella piana del Tigri. Qui sosta a lungo tra Mosul e Baghdad, verosimilmente dal 1290. È in Baghdad quando gli perviene la notizia della caduta di Acri, 18 maggio 1291 (Ep. IV, f. 263r; ed. 289, 14-18). Visita anche Takrit e Samarra. Conosce dunque essenzialmente l’islâm mesopotamico del xiii secolo, islâm aš‘arita e hanbalita (elemento decisivo per intraprendere una valutazione storica della polemica antislamica di Riccoldo, specie del Contra legem Sarracenorum). Nelle dispute e predicazioni presso i cristiani eterodossi ora parla in arabo (LP ff. 13va, 14ra) e non fa più menzione dell’interprete.
È in Baghdàd che Riccoldo si dedica all’apprendimento della lingua e scrittura araba (CLS prol. 57-58). Sugli interpreti, nella prima regola, delle cinque che chiudono l’Ad naliones orientales: «Prima regula est quia scire oportet quod nullo modo expedit predicare vel disputare cum extraneis de fide per interpretem. Nam interpretes comunes, quantumcumque bene sciant linguas et sufficienter quantum ad vendendum et emendum et ad comuniter convivendum, nesciunt tamen fidem et ea que sunt intima fidei exprimere per verba propria et convenientia, et verecundantur dicere “Ego non intelligo” vel “Nescio dicere”; et ideo pervertunt verba et dicunt alia pro abis. Non enim sciunt quid est natura vel ypostasis vel persona vel forma vel materia et alia multa enuntiabilia incomplexa, sicut accidens substantia accidentaliter substantialiter dimensionaliter et cetera talia huiusmodi. Minus etiam sciunt quasdam enuntiationes; nesciunt enim dicere “Pater est alius a Filio non aliud” et alia huiusmodi. Unde oportet quod fratres bene discant linguam, et opportuit me inter arabes non solum discere linguam sed etiam dyaleticam» (ADNO f. 243r). Ricorrenti le lamentele sull’incompetenza degli interpreti in Guglielmo da Rubrouck O.F.M. nel suo viaggio nell’impero mongolo (1253-55): cf. Guillaume de Rubrouck, Voyage dans l’empire mongol, traduction et commentaire de C. et R. Kappler, Paris 1985.
La lista degli ilkhân persidi dell’impero mongolo (si noti che lasciata la Palestina, Riccoldo viaggia e risiede sempre in territori d’obbedienza mongola, separati in Mesopotamia da quelli del sultanato mamlûk dal fiume Eufrate) si arresta alla morte di Arghun (1291).
«Primus autem chan et inperator tartarorum in Perside et in Baldacco fuit Aahalau, amicus christianorum et homo iustissimus sine lege et fide. Cui successit filius eius Ahabaga, minus iustus. Cui successit filius eius Argon, homo pessimus in omni scelere, amicus tamen christianorum. Cum autem predictus Argon multum sanguinem effudisset et multos innocentes parvulos et mulieres peremisset, infirmatus est graviter (...) et post modicum mortuus est» (LP f. 11ra-b; cf. ed. 121-22 con deformazioni onomastiche; «Cinciscanus» di LP f. 9vb diventa «Camiustan» in ed. 119, c. 12 § 2). R. Röhricht in Ep. 260 n. 16 suggerisce la possibilità che LP faccia riferimento al mongolo Ghazzan (1295-1304) e alle sue temporanee vittorie in Siria e Palestina sui mamlûk (v. sotto nota 45). Riccoldo sta parlando della primitiva espansione mongola, delle cui tre «turme» la terza invase Mesopotamia Turchia Siria e Palestina dal mar indiano al mediterraneo (LP f. 10ra-b; cf. ed. 120 § 12-13, dove un’omissione tronca il testo della seconda «turma» e l’inizìo della terza); non vi si può vedere un’allusione alle tardive conquiste di Ghazzan.
Anche nel Liber peregrinationis, nel contesto della lodevole condotta dei musulmani (rubrica De gravitate in moribus) ci si dice: «In pluribus annis quibus conversatus sum cum eis in Perside et in Baldacco... » (LP f. 18rb). E in rapporto all’irrazionalità della legge coranica: «Hec quidem referre verecundum est quidem, sed magis tristandum quod per talem legem dyabolus magnam partem bumani generis fere iam septingentis annis decepit» (ff. 20vb-21ra).
§ Epistole ad ecclesiam triumphantem
Del genere epistolare hanno soltanto la cornice. Sono un’appassionata preghiera-protesta alla curia celeste per la presente abiezione dei cristiani e prosperità dei saraceni seguìta alla caduta di Tripoli (1289) e di Acri (1291). All’inspiegabile mancata risposta alla lettera inviata a Dio (I) segue quella alla Vergine Maria (II), e per la medesima ragione agli angeli e santi tutti del cielo (III), a Nicola de Hanapis O.P. patriarca di Gerusalemme vittima della tragedia di Acri (IV). La risposta, sugl’inscrutabili decreti divini, viene dalla meditazione dei Moralia super Iob di Gregorio Magno (V), libro riscattato dalle spoglie di Acri. «Data in oriente», si dice a fine d’ogni lettera. Scritte in Baghdad, sembra far intendere il prologo.
«“Et factum est cum essem” in Baldacco “in medio captivorum iuxta fluvium Chobar” [Ezech. 1, 1] Tigris,... post flebilem captionem Accon... cepi stupens cogitare intencius solito iudicia Dei super gubernatione mundi (...). Unde... cogitavi super hoc scribere Deo et celesti curie» (Ep. prol. f. 249r; ed. 264, 4-5.10.15-16.19-20). Ma in Ep. IV, f. 263r (ed. 289, 14-18): «Quantus fuerit mihi dolor et tristitia cordis in captione Accon quilibet vestrum ex semetipso de facili cognoscere potest; experti estis similia. Nam usque ad profundas partes orientis, usque Baldaccum, tunc eram, cum non solum nova sed etiam spolia christianorum venerunt ». Cf. CLS prol. 56-65.
Le Epistole hanno una profonda unità redazionale, agitate dallo sgomento per la vittoria degli infedeli ed esaltazione dei seguaci di Muhammad. L’espediente letterario della missiva, di volta in volta indirizzata ai sordi protettori celesti, crea un crescendo di solitudine e d’impotenza filtrate dal linguaggio della protesta. Riccoldo rivive al presente i fatti che hanno traumatizzato la sua fede. Sarebbe imprudente ignorare il peculiare genere delle Epistole, in cui la finzione letteraria alimenta la commozione. «Set si sic continuabunt [scil. sarraceni] et ita fecerint, sicut modo fecerunt in duobus annis in Tripoli et in Accon, occidentes, captivantes... », si legge in Ep. III, f. 256r (ed. 276, 33-34 ); e in Ep. IV, f. 265r (ed. 293, 4-6): «si solum sic dimiserint nos Deus et angeli eius et Sarraceni sic continuaverint, sicut modo fecerunt in duobus annis in Tripoli et in Accon, timeo quod... ».«Modo»: bisogna intendere «ora», poco dopo la caduta di Acri, giusto il tempo che la notizia arrivi a Baghdad? E come accordarlo con «pluribus annis» della prima lettera? «Et relictus sum solus in Baldacco a sociis in profundis partibus orientis et de occidente a pluribus annis aliqua nova non habeo de fratribus meis sive de ordine» (Ep. I, f. 252v; ed. 270, 28-30). Come accordarlo con la matura conoscenza già acquisita dell’islâm e dei testi coranici su cui abbozza gli stessi argomenti controversisti che si ritrovano nel Contra legem? E come accordarlo soprattutto con quanto si legge nella stessa lettera terza: «Set ecce, proh dolor!, quia dicunt Sarraceni quod nomen Machometi scriptum est in evangelio et quod Christus prophetavit de ipso. Ita enim legi in alchorano capitulo lxi: “dicit Iesus filius Marie: Ego sum nuncius Dei, o filii Israel, et sum nuncius verax, ego evangelizo vobis quod legatus veniet post me et nomen eius Machometus” (Cor. 61, 6; cf. CLS 1, 95-97, e più specificamente 3, 22-28.49-53.86-92). Ego vere ista non invenio in evangelio, nec in latino nec in caldeo nec in arabico, quod quidem diligentissime in oriente perlegi» (Ep. III, f. 259r; ed. 282, 11-17). Nella foga della scrittura Riccoldo si dimentica che la finzione letteraria voleva che egli si trovasse sul campo, per di più non da molto tempo? Facciamo pure credito (ma con la cautela del caso) al prologo e al datum delle lettere che le vogliono scritte in Baghdad e «inviate» dall’oriente. Scontata la posteriorità alla caduta di Acri (1291), le Epistole offrono due elementi meritevoli d’attenzione ai fini della cronologia.
«Quis modo gubernat cenobia vestra [o sancti cremite], ubi simplicitas et abstinencia vestra? Certe successor Machometi soldanus ille Babilonie Aman, hostis noster et Christi, homo lubricus et fictus, absque contradietione totum Eyptum pacifice possidet» (Ep. III, f. 257v; ed. 279,17-21). Nessun Aman tra i sultani mamlûk: cf. E. De Zambaur, Manuel de généalogie et de chronologie pour l’histoire de l’Islam, Hanouvre 1927, 103. Con tutta verosimiglianza «Aman» (= Amar) mira al grande conquistatore arabo dell’Egitto ‘Amr al-Sahmî († 663) (cf. A.J. Wensinck, «‘Amr b. al-‘As al-Sahmî», Enc. de lslam2). Come al solito Riccoldo attualizza il passato. Considerato invece il punto centrale delle Epistole (Dio e i santi hanno consegnato i cristiani alla mercé dei saraceni che hanno riconquistato i luoghi santi della Palestina), l’assenza di qualsiasi riferimento alla conquista della Siria-Palestina tra fine 1299 e 1300 da parte di Ghazzan, che suscitò molte speranze tra i cristiani, potrebbe rivelarsi un attendibile termine ante quem delle Epistole. Il fatto produsse tanto clamore in Europa che il fiorentino Giovanni Villani [† 1348] ne scrisse a lungo nella Nuova cronica IX, 35, alla data gennaio 1300 (ed. critica G. Porta, Parma 1990-91, II, 53-57). Cf. S. Runciman, Storia delle crociate, Torino 1966, II, 1059-60.
In Ep. I Riccoldo indica gl’ispiratori della sua missione presso l’islâm: san Domenico, san Francesco, «magister Iordanus [di Sassonia], sanctus et famosus», poi: «Taceo de nostris principibus secularibus, ut de Ludovico illo sancto rege Francie, et aliis regibus et baronibus sanctis qui multis vicibus mare transierunt, assumpto crucis caraetere... » (ed. 268-69). Luigi ix re di Francia fu canonizzato in agosto 1297. Ma la formulazione («sancto» preposto non a «Ludovico» bensì all’attributivo «rege») non sembra comportare formale implicazione della canonizzazione. Non la esclude però, visto che di san Francesco non si dice né sanctus né beatus ma semplicemente «pauper ille perfectus et vere paupertatis amator Franciscus, vir catholicus et totus apostolicus» (ed. 268, 28-29).
Molto simile la formula di Guglielmo da Tripoli O.P. che scrive nel 1271-73: «Regno itaque translato de manu Arabum ad Turchos anno domini MCCLIII°, anno in quo sanctus rex Francorum Ludovicus reversus est ad sua de Syria» (De statu Saracenorum, ed. H. Prutz, Kulturgeschichte der Kreuzzüge, Berlin 1893, 586). In Remigio dei Girolami invece la canonizzazione di Luigi ix comporta sicure indicazioni di priorità/posteriorità temporali (Dal bene comune..., MD 16 [1985] 28, 32, 35, 111, 135, 194). Il confronto tra i molti testi coranici citati (e tradotti) da Guglielmo da Tripoli (De statu Saracenorum, ed. cit. pp. 591-95) con le relative citazioni coraniche di Riccoldo esclude che costui utilizzasse i testi coranici del De statu Saracenorum di Guglielmo.
Secondo elemento. «Et tu [Domine] tali bestie dedisti tantam potentiam contra christianos fere septingentis annis» (Ep. I, f. 251r; ed. 267, 33-34). «Et ecce modo bestia Machometus, cuius tirannidem roborasti contra christianos fere septingentis annis, occidit corpore » (III, f. 256r; ed. 277, 12-14). «Nam parum post tua [scil. sancti Gregorii] tempora surrexit et in suo alchorano mores corrupit et virtutes, vicia inseruit fidem christianam molliter extinguere, civitates et ecclesias christianorum destruxit et nunc fere septingentis annis armis et viribus prevalet» (III, f. 258r; ed. 280, 10-13). «Ecce quantum prevaluit contra nos Machometus, blasphemus et inimicus Christi! Ecce iam dominatur christianis soldanus Babilonie fere septingentis annis» (III, f. 258r; ed. 280, 20-22). «Et hec dicentes Sarraceni prevalent contra nos, et alchoranum prevalere videtur maxime in partibus orientis contra evangelium modo fere septingentis annis» (III, f. 259r-v; ed. 282, 25-27). «Et ecce Machometus... precipit et repetit dicens "futigate"! Et hec dicens prevalet contra nos fere septingentis annis» (III, f. 259v; ed. 283, 11-13). «Set si non est verbum Dei, unde ei tantus bonor et tanto tempore modo fere septingentis annis?» (III, f. 260v; ed. 285, 2-4). «Et ecce insurrexit contra nos... Machometus, et tantus bonor exhibetur libro suo et tantam potentiam dedisti populo suo contra fideles tuos et tanto tempore contra christianos! Domine, iste fere septingentesimus annus est, et nos quidem credebamus quod motus et potentia in fine ipsius lentesceret et debilitaretur quasi motus quidam et potentia violenta» (III, f. 261v; ed. 286, 19-25). La formula dei 700 anni l’abbiamo già incontrata due volte nel Contra legem Sarracenorum e una nel Liber peregrinationis. «Non sono ancora trascorsi 700 anni da Muhammad» nel Contra legem non solleva alcun problema, al pari del correlativo «sono 1200 anni e più dal tempo di Cristo e degli apostoli». Nel Liber peregrinationis invece la formula temporale è delimitata da «fere iam», e simili delimitazioni ricorrono nelle Epistole. La formula è sempre in rapporto all’origine dell’islâm. Se si vuol dire in termini vaghi che dall’apparizione dell’islâm ad oggi (tempo in cui scrive Riccoldo) sono trascorsi sette secoli, non si rende ragione delle minute delimitazioni temporali «fere iam», «fere», «nunc fere», «modo fere», «ecce iam», accostate a un generico «sette secoli»; né si rende ragione del più esplicito «iste fere septingentesimus annus est» di Ep. III, f. 261v (ed. 286, 19-25). Se intendiamo settecento anni del calendario solare dall’anno 622 dell’egira (o degli anni di Eraclio, durante il cui regno, nel 626, «surrexit Mahometus» secondo CLS 13, 29-32) otteniamo gli anni 1322 e 1326, incompossibili con i dati biografici di Riccoldo. Esiste un’alternativa plausibile? Supponiamo che Riccoldo, contando gli anni che lo separano dalla nascita dell’islâm, usi il calendario lunare islamico a partire dal 622 dell’egira. L’anno dell’egira non gli poteva essere ignoto, se un fr. Giordano da Pisa, sprovvisto di specifiche conoscenze islamologiche (convive per più anni con Riccoldo in Firenze dal 1302-03), lo conosce con esattezza:
Sermone Exaltavit lignum humile, nella piazza di SMN 14.IX.1309: «Al tempo di questo imperadore di Roma Eraclio, incominciaro a nascere i Saracini; correano allora gli anni di Cristo 622, e così l’anno i Saracini, che dicono che Maometti venne nel 622 da Cristo, e da lui cominciano la ’ndizione» (Prediche del b. fra Giordano da Rivalto, ed. D. Moreni, Firenze 1831, II, 41). Sermone Nemo ex vobis facit legem, SMN 15.III.1306: «questo è il nome del soldano, podestade; onde soldano in nostra lingua è podestade. Onde dice il vangelo, il quale fa iscritto in quella lingua de’ saracini, quando dice: "Io hoe podestade di porre l’anima mia etc." <Io. 10,18> sì dice "soldayn" etc. (Frate Giordano il disse in quella lingua egli)» (Quaresimale fiorentino 277 secondo ms Ashburnham 533, carta 166v riprodotta in tavola fuori testo). Nelle tavole fuori testo non riscontro tentativi dei copisti di scrivere la parola in caratteri arabi (cf. ib. p. 277, apparato a 62-63).
D’altra parte l’uso del calendario islamico non è alieno, in particolari contesti, dagli scrittori latini. Se ne servono i traduttori arabo-latini di opere che circolavano tra le mani degl’intellettuali della scuola, e in particolare di Riccoldo per quanto riguarda la traduzione coranica di Marco da Toledo. Se ne serve un Pietro d’Auvergne, che non è né arabista né islamologo.
Liber Alphragani «interpretatus in Luna a Iohanne Hyspalensi atque Lunensi et expletus 20 die 5 mensis lunaris anni arabum 529» (Aristoteles latinus, Codices, Pars posterior, Cambridge 1955, 961). Roberto da Ketton traduce il corano «anno Domini MCXLIII, anno Alexandri MCCCCIII, anno Alhigere DXXXVII» (in U. Monneret de Villard, Lo studio dell’Islâm in Europa nel XII e nel XIII secolo, Città del Vaticano 1944, 11). Marco da Toledo lo traduce nell’anno dell’egira 606 (cf. M.-Th. d’Alverny - G. Vajda, Marc de Tolède, traducteur d’Ibn Tumart, «Al‑Andalus» 16 [1951] 116-17).
Pietro d’Auvergne, Quodlibet V, 16 (Utrum expediat scire determinatum tempus adventus Anticbristi) di Natale 1300, nelle obiezioni: «Secundo arguitur quod venturus sit [Antichristus] abhinc usque ad 14 annos...». L’Anticristo dovrebbe abolire la legge dei saraceni. «Sed lex Machometi non potest durare ultra 14 annos ab anno isto, scilicet 1300 Christi ( ... ). Minoris probatio est quia Albumasar... dicit quod lex Machometi non potest perseverare ultra 693 annos solares; sed... anni arabum qui computantur a Machometo secundum Alphagranum iam transierint in septembri sequenti, scilicet anno Domini 1301, 790 anni qui faciunt 679 annos solares et 52 dies» (in P. Glorieux, La littérature quodlibétique de 1260 à 1320, Kain 1925, 258).
Niente dunque d’inverosimile che Riccoldo, vissuto a lungo tra i musulmani d’oriente e intrattenutosi a disputa con loro (non avrà dovuto usare a voce il computo islamico?), nell’atto di redigere le sue opere formuli l’argomento antislamico col computo dei musulmani stessi per provare che la loro lex dura appena da settecento anni (anzi «iste fere septingentesimus annus est») e non può pertanto rivendicare precedenza cronologica alla rivelazione biblica. Analogamente, polemizzando con gli ebrei Riccoldo asserisce che il loro regno è cessato «modo... iam sunt mille cccti anni» dalla venuta del Messia (ADNO f. 229r). L’anno 700 dell’egira coincide col 1300 dell’èra cristiana.
<Conclusione>. Che cosa concludere in fatto di cronologia riccoldiana?
Isoliamo a mo’ di sommario quanto ci sembra certo o sufficientemente assodato. Partito per l’oriente sul finire del 1288, Riccoldo è in visita ai luoghi santi in gennaio 1289. Viaggia in Turchia e Persia in primavera-estate 1289. Dal 1290 è nella valle del Tigri, dove dimora a lungo. La permanenza in oriente si protrae per «molti anni» (ADNO f. 243r; LP f. 18rb); «plurimo tempore», secondo la Cronica di Santa Maria Novella di Firenze. A Baghdad - se bisogna dar credito al prologo - Riccoldo scrive le Epistole; certamente dopo la caduta di Acri (1291) e dopo un ragionevole lasso di tempo che spieghi l’acquisita padronanza dell’arabo, l’utilizzazione diretta dei testi coranici (cf. CLS prol. 57-65) e l’incipiente abbozzo del repertorio controversistico antislamico. Le Epistole sono anteriori al Contra legem Sarracenorum. Anteriore a quest’ultimo è anche il Liber peregrinationis, trascritto in SMN dal copista A (il medesimo che trascriverà le opere di Remigio dei Girolami: cod D 278v autografia di Remigio a sinistra, mano A a destra) nell’attuale Berlin, Staatsbibliothek lat. 4°.466 (B), e rivisto dall’autore. Quando Riccoldo componeva il Liber peregrinationis non aveva ancora in mente di scrivere il Contra legem. Qualche tempo (non precisabile) dopo la trascrizione di B, Riccoldo fa aggiungere nel medesimo codice e dal medesimo copista altri due capitoli al Liber peregrinationis; quando il copista esegue la trascrizione dei due capitoli additivi, il Contra legem era già composto. Composto, non necessariamente trascritto nell’attuale codice fiorentino C 8.1173 (F). Questo, originalmente distinto da codice B, contiene il Contra legem di mano del copista C, salvo le ultime carte trascritte dallo stesso Riccoldo, e l’Ad nationes orientales di mano A; entrambe le opere sono corrette e integrate dall’autore. L’Ad nationes orientales risulta composto nel 1300, e ad esso il Contra legem è anteriore. Quando Riccoldo verga di proprio pugno la nota heretici in calce a f. 219v dell’Ad nationes orientales, non doveva esser trascorso molto tempo dal suo rientro in Italia. Una testimonianza notarile attesta che Riccoldo era in Firenze il 21 marzo 1301, e dunque rientrato dall’oriente anteriormente a tale data. Questo, a nostro giudizio, quanto solidamente accertato.
Se poi l’interpretazione sopra proposta dei «700 anni» con delimitazioni temporali risultasse attendibile, la cronologia riccoldiana potrebb’essere così precisata. Tutte le opere orientalistiche sarebbero state composte intorno al 1300 e in Firenze, ad esclusione forse delle Epistole; queste potrebbero cadere sul finire della permanenza di Riccoldo in oriente.
Ordine cronologico di composizione: (1) Epistole, (2) Liber peregrinationis, (3) Contra legem Sarracenorum, (4) Libellus ad nationes orientales.
La composizione delle quattro opere entro gli estremi massimi d’un biennio che ha il fulcro nell’anno 1300 non è contestata da alcun dato, né l’estensione delle medesime è di tale mole che i prolifici scrittori scolastici non sarebbero stati capaci di portare a termine entro i tempi suggeriti.
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Epistole ff. 249r-267r;
Liber peregrinationis ff. 1r-24r; Contra legem Sarracenorum ff.
185r-218r; Libellus ad nationes orientales ff. 219r-244r: = 101 carte in
tutto.
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Negli stessi anni dell’attività compositiva di Riccoldo,
Nicola Trevet scrive in otto settimane un
commento di «300 carte» alla Philosophiae consolatio di Boezio.
Riccoldo, come sappiamo, scrive di getto e non perde tempo nel rivedere i suoi scritti. L’ipotesi risulta verosimile se si consideri la profonda unità dei temi trattati e i molteplici passi paralleli. Tornato in patria per interpellare il papa su talune questioni teologiche dei cristiani orientali, Riccoldo raccoglie nei suoi scritti quanto ha conosciuto e studiato su costumi e religione dei tartari, maroniti, nestoriani, giacobiti, sabei, musulmani. Entro gli estremi massimi d’un biennio dell’attività compositiva vi è spazio anche per la decisione di redigere il Contra legem, quando nel Liber peregrinationis non vi si pensava ancora. Infine il decennio 1289-1299 è un lasso ragionevolmente congruo di tempo sia per interpretare quantitativamente i «molti anni» della permanenza orientale sia per render ragione delle ampie conoscenze di Riccoldo in fatto di credenze religiose di comunità tanto diverse. La nota heretici, nella quale Riccoldo è in attesa d’una determinazione papale o magistrale, è in calce alle carte dell’Ad nationes orientales (1300), ultima delle quattro opere; il tenore della nota suppone che dal rientro in Italia non sia trascorso molto tempo.