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Libellus ad nationes orientales (1300)

originale latino

volgarizzamento (2008) di EP

(... 1. De cristianis nestorinis)

(... 1. Cristiani nestoriani)

Amplius[1]. Apostolus ad Phil. 2[,6-7] «qui cum in forma Dei esset exhinaniuit semet ipsum, formam servi accipiens etc.». Ubi manifestum est, si secundum Nestorium Christum dividamus in duos, scilicet in hominem illum qui est filius adoptivus, et in filium Dei naturalem qui est Verbum Dei, quod non potest intelligi illa exhinanitio [add. R marg. d.] de homine illo. Ille enim homo, si purus homo sit, non prius [post? cod.] fuit in forma Dei ut postmodum in similitudinem hominis fieret; sed magis e converso homo existens, particeps divinitatis factus est; in quo non fuit exinanitus sed exaltatus.

Riccoldo da Monte di Croce: BNF, CS, C 8.1173, f. 185rAncora. L'apostolo Paolo, Pilippesi 2,6-7: il Cristo, «pur essendo di natura divina, umiliò se stesso assumendo la condizione di servo eccetera». È dunque chiaro che se dividessimo il Cristo in due come fa Nestorio, cioè nell'uomo figlio adottivo e nel figlio naturale di Dio che è Verbo di Dio, sarebbe impossibile intendere il senso dell'umiliazione di quell'uomo. Questi infatti, se è puro uomo, non esisteva prima in forma di Dio per diventare successivamente simile ad uomo; piuttosto il contrario, essendo uomo fu fatto partecipe della divinità. E in questo non fu annientato ma esaltato.

Oportet igitur quod intelligatur de Verbo Dei quod primum fuerit ab eterno in forma Dei id est in natura Dei, et postmodum exinanivit semet ipsum in similitudinem hominum factus. Non potest autem intelligi exinanitio ista per solam inhabitationem Verbi Dei in homine Iesu Christo. Nam |223v| Verbum Dei in omnibus sanctis a principio mundi habitavit per gratiam, nec tamen dicitur exinanitum, quia sic Deus suam bonitatem creaturis comunicat, quod nichil ei suttrahitur sed magis quodammodo exaltatur, secundum quod eius sublimitas ex bonitate creaturarum apparet, et tanto amplius quanto creature fuerint meliores. Unde si Verbum Dei plenius habitavit in homine Christo quam in aliis hominibus sanctis, minus etiam in eo quam in aliis conveniret exinanitio Verbi.

Bisogna dunque pensare, circa il Verbo di Dio, che prima esistette dall'eternità in forma di Dio, ossia nella natura di Dio, e poi l'umiliò se stesso facendosi simile a gli uomini. Tale  annientamento o umiliazione non lo si può intendere per la sola inabitazione del Verbo di Dio nell'uomo Gesù Cristo. |223v| Il Verbo di Dio infatti abitò tramite la grazia in tutti i santi fin dal principio del mondo, e tuttavia ciò non equivale ad annientamento; poiché Dio nel comunicare la sua bontà alle creature non ne è depauperato, ma piuttosto esaltato, in quanto la sua grandezza risplende nella bontà delle creature; e tanto più, quanto  più perfette appaiono le creature. Se dunque il Verbo di Dio abitò più pienamente nell'uomo Cristo che negli altri santi, in lui meno che negli altri si può attribuire l'annientamento del Verbo.

Manifestum est igitur quod unio Verbi ad humanam naturam non est intelligenda secundum solam habitationem Verbi Dei in homine illo, ut Nestorius dicebat, sed secundum hoc quod Verbum Dei vere factum est homo. Sic enim solum locum habebit exinanitio, ut scilicet dicatur verbum Dei "exinanitum", id est "parvum factum", non amissione proprie magnitudinis sed assumptione humane parvitatis; sicut si anima preexisteret corpori et diceretur fieri substantia corporea, que est homo, non mutatione proprie nature sed assumptione nature corporee.

È evidente che l'unione del Verbo con la natura umana non va intesa semplice abitazione del Verbo di Dio in quell'uomo, come diceva Nestorio, ma nel senso che il Verbo di Dio veramente si è fatto uomo. In quel caso avremmo la sola locazione dell'annientamento, come se dicessimo Verbo di Dio "annientato" o "rimpicciolito" non per perdita della propria grandezza ma per l'assunzione della piccolezza umana. Come se ad esempio l'anima preesistesse al corpo e si dicesse che diventa sostanza corporea che è l'uomo, non per mutazione della propria natura ma per assunzione della natura corporea.

Preterea. Manifestum est quod Spiritus sanctus in homine Christo habitavit; dicitur enim Luc. 3 quod «Iesus plenus Spiritu sancto regressus est a Iordane». Si igitur incarnatio Verbi secundum hoc solum intelligenda est quod verbum Dei in homine illo plenissime habitavit, necesse est dicere quod etiam Spiritus sanctus est incarnatus, quod est omnino alienum a doctrina fidei.

È evidente che nell'uomo Cristo abitava lo Spirito santo; si dice in Luca 4,1: «Gesù pieno di Spirito santo si allontanò dal Giordano». Se l'incarnazione del Verbo dovesse essere intesa unicamente nel senso che il Verbo di Dio abitò in pienezza in quell'uomo, si dovrebbe concludere che anche lo Spirito santo si è incarnato. Il che è assolutamente estreaneo alla dottrina della fede.

Preterea. Opportebit[2] dicere quod etiam Spiritus sanctus sit exhinanitus, quia in nobis habitat per gratiam, et homo est templum Spiritus sancti, I Cor. 3.

Inoltre, bisognerà dire che anche lo Spirito santo si è annientato o umiliato, poiché abita in noi per grazia, e l'uomo è tempio dello Spirito santo, I Corinzi 3,16.

Preterea. De Patre et Filio dicitur Io. 14[,23] «Ad eum veniemus et mansionem apud eum faciemus». Item ipse Spiritus sanctus missus est super Christum <in specie> columbe et super apostolos in specie ignis, nec tamen dicitur exhinanitus vel minoratus ab angelis nec factus columba vel factus ignis.

Del Padre e Figlio dice Giovanni 14,23 «Verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui». Lo stesso Spirito santo è stato inviato sul Cristo sotto parvenza di colomba, e sugli apostoli sotto parvenza di fuoco; e tuttavia non lo si dice annientato o minorato dagli angeli, né fatto colomba o fatto fuoco.

Preterea. Angeli leguntur missi ad homines in specie humana et moram aliquam fecisse <et exercuisse opera, ut Raphael Tbobie, nec dicitur propter hoc>[3] minoratus ab aliis angelis, nec factus homo nec incarnatus; numquam deposuit quod assumpsit, nec in vita nec in morte. Ergo etc.

Si legge degli angeli che furono inviati agli uomini sotto parvenza di perone umane, fecero sosta e agirono, come Raffaele a Tobia (Tobia 5,5), né per questo Raffaele ne uscì menomato rispetto agli altri angeli, né fatto uomo o incarnato; mai di disfece di quanto acquisito, né in vita né in morte. Dunque eccetera.

Adhuc. Manifestum est Verbum Dei in sanctis angelis habitare, qui participatione Verbi intelligentia replentur. Dicit autem Apostolus Heb. 2[,16] «Nusquam angelos apprehendit sed semen Habrahe». Manifestum est igitur quod assumptio humane nature a Verbo non est secundum solam habitationem accipienda.

È noto che il Verbo di Dio dimora anche nei santi angeli, i quali per partecipazione sono ripieni dell'intelligenza del Verbo. Eppure l'Apostolo afferma, Ebrei 2,16: «Egli non s'impadronì affatto gli angeli, ma prese il seme di Abramo». Ne segue che l'assunzione della natura umana da parte del Verbo, non è limitata alla sola inabitazione.

Item Apostolus Heb. 3 dicit «Considerate apostolum et pontificem confessionis nostre Iesum, qui fidelis est sicut Moyses». Et postmodum: «Ampliori iste gloria pre Moyse dignus habitus est, quanto ampliorem <honorem> habet domus qui fabricavit illam»; unde ostendit ibi quod Iesus excedit Moyse(n) quanto opifex excedit opus vel domum, vel dominus servum. Igitur homo Christus fabricavit domum Dei, quod consequenter Apostolus probat subdens: «Omnis namque domus fabricatur ab aliquo, qui autem omnia creavit, Deus est». Sic igitur Apostolus probat quod homo Christus fabricavit domum Dei per hoc quod «Deus creavit omnia». Que probatio nulla esset nisi Christus esset Deus creans omnia. Sic igitur homini illi attribuitur creatio omnium, quod est proprium opus Dei. Est igitur homo Christus ipse Deus secundum ypostasim et non ratione inhabitationis solum.

Dice l'apostolo Paolo, Ebrei 3,1-3: «Fissate bene lo sguardo in Gesù, apostolo e sommo sacerdote della fede, il quale è fedele come Mosè». E aggiunge: «Ma a confronto di Mosè, egli è stato giudicato degno di tanta maggior gloria quanto l'onore del costruttore della casa supera quello della casa stessa». E mostra che Gesù supera Mosè così come l'artefice supera il manufatto o la casa, e il signore supera il servo. Il Cristo uomo dunque ha fabbricato la casa di Dio, come coerentemente l'Apostolo conclude dicendo: «Ogni casa infatti viene costruita da qualcuno; ma chi ha creato tutte le cose, è Dio» (Ebrei 3,4). Qui pertanto l'Apostolo prova che l'uomo Cristo ha fabbricato la casa di Dio per il fatto che «Dio ha creato tutte le cose». Conclusione che sarebbe inconsistente, se Cristo non fosse Dio creatore dell'universo. A tale uomo perciò viene attribuita la creazione dell'universo, che è opera propria di Dio. E dunque l'uomo Cristo è lo stesso Dio secondo ipostasi (unicità di persona), e non già soltanto a motivo dell'inabitazione.

Amplius. Manifestum est quod homo Christus loquens de se multa divina dicit |224r| et supernaturalia, ut est illud Io. 6[,40] «Ego resuscitabo eum in novissimo die», et Io. 10[,28] «Ego vitam eternam do eis». Quod quidem esset summe superbie, si ille homo loquens non esset secundum ypostasim ipse Deus sed solum haberet Deum inhabitantem. Hoc autem homini Christo non competit, qui de se dixit Mt. 11[,29] «Discite a me quia mitis sum et humilis corde». Est ergo eadem persona hominis et Dei[4].

Ancora. Parlando di se stesso, l'uomo Cristo si attribuisce molte proprietà divine |224r| e soprannaturali; ad esempio Giovanni 6,40: «Io lo risusciterò nell'ultimo giorno»; Giovanni 10,28: «Io do loro la vita eterna». Ora, siffatte parole sarebbero d'estrema superbia se chi le pronuncia non fosse per ipostasi Dio stesso, ma avesse la sola inabitazione di Dio. Comportamento non attribuibile all'uomo Cristo, il quale di se stesso dice, Matteo 11,29: «Imparate da me, che sono mite ed umile di cuore». Medesima dunque è la persona dell'uomo e di Dio.

Preterea. Si Christus secundum eos dividatur in duo supposita, scilicet in Deum et hominem, oportet unum ex illis suppositis esse Dominum et aliud servum. Dicit autem ipse se esse dominum, Io. 13[,13]: «Vos vocatis me magister et domine, et bene dicitis, sum etenim». Numquam tamen dicit se esse servum Dei, quod maxime decebat secundum perfectissimam humilitatem, cum tamen secundum humanitatem possit quodammodo dici servus Dei. Non tamen hoc voluit dicere ne daret occasionem errori, ne divideretur in duo.

Se Cristo, a giudizio di costoro, fosse diviso in due suppositi o persone, ovvero in Dio e in uomo, bisognerebbe che uno di essi sia Signore e l'altro servo. Egli chiama se stesso Signore, Giovanni 13,13: «Voi mi chiamate maestro e signore, e dite bene, perché lo sono». Mai invece disse di sé servo di Dio, che pure si addiceva a perfetta umiltà, sebbene in quanto alla natura umana lo si possa in qualche modo chiamare servo di Dio. Si astenne dal dirlo, tuttavia, per non dare occasione d'errore e non fosse diviso in due.

Dominum autem se dixit et alia sublimia que pertinent ad divinitatem, quia suppositum erat divinum; unde et David appellavit Christum Dominum suum dicens «Dixit dominus domino meo etc.», Glosa: id est «Pater filio qui est dominus meus etiam secundum quod homo»;  «sede»: eius enim sedere cuius fuit labor passionis et mortis; «a dextris» [ad destris cod.] autem Dei est esse equalis Deo. Sed hec duo, scilicet «sedere» et «a dextris», ad idem suppositum pertinent. Ergo in Christo est idem suppositum divinitatis et humanitatis.

Chiamò se stesso Signore, e con altri titoli eccelsi spettanti alla divinità, perchè divino era il supposito o persona. E David chiamò Cristo suo Signore, dicendo «Parola del Signore al mio Signore, eccetera» (Salmo 110,1); e la Glossa biblica commenta: «Il Padre al figlio che è mio signore anche in quanto uomo»; «siedi»: si riferisce a chi sostenne il peso della passione e morte; «alla destra» di Dio, che equivale a identità con Dio. Ora le due espressioni, «sedersi» e «alla destra», spettano alla medesima persona o supposito. Dunque in Cristo, identico è il supposito della divinità e della umanità.

Et dicunt quod sublimia omnia que dicuntur de Christo, dicuntur secundum divinitatem habitantem in eo, humilia vero propter humanitatem quam habet; et quod hec pertinent ad diversum suppositum in Christo, scilicet divinum et humanum.

Sostengono, i nestoriani, che tutte le qualità eccelse riferite a Cristo, le si intendono in ragione della divinità che in lui risiede, mentre le qualità umili in ragione della sua natura umana. E questo a motivo del diverso supposito in Cristo, quello umano e quello divino.

Sed contra. Cum quilibet homo sanctus habeat Spiritum sanctum inhabitantem, secundum hoc quilibet homo sanctus erit duo supposita, scilicet divinum et humanum; et quilibet homo sanctus poterit illa excellentissima de se dicere propter divinitatem inhabitantem in se, ut dicat: "Ego descendi de celo", "Ego resuscitabo eum", "Ego sum Deus" etc. Sed nullus est ausus hoc dicere de se; immo dicebat Habraham «Loquar ad Dominum meum» etc.

Obiezione. Se ogni uomo santo ha lo Spirito santo inabitante, e ogni uomo santo è due suppositi o persone, umano e divino, allora ogni uomo santo potrà dire di se stesso parole eccelse a motivo dell'inabitazione divina: "Sono disceso dal cielo", "Io lo risusciterò", "Io sono Dio" eccetera. Ma nessuno ha osato dire di sé tali cose. Al contrario Abramo disse: «Ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere» eccetera (Genesi 18,27).

Preterea. Apostolus ad Heb. 1 ostendit quod divina et humana natura in Christo pertinent ad idem suppositum. Commendat enim Christum alternatim secundum utramque naturam, et utramque ponit de Christo intransitive et sub eodem relativo, immo sub eadem relatione. Dicit enim de Deo: «Locutus est nobis in Filio quem constituit heredem universorum», ecce humana; «per quem fecit et secula», ecce divina; «qui cum sit splendor glorie», ecce divina; et post «tanto melior angelis effectus», ecce humana, quia |224v| secundum divinam non est «effectus» sed eternaliter genitus.

L'apostolo Paolo, Ebrei 1, mostra che la natura divina e umana in Cristo appartiene al medesimo supposito. Tesse le lodi del Cristo alternativamente secondo entrambe le nature; ed entrambe le attribuisce al Cristo in senso intransitivo e sotto il medesimo pronome relativo, perfino sotto la medesima relazione. Dice infatti di Dio: «Ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose» (Ebrei 1,2), ed ecco la natura umana; «per mezzo del quale ha fatto anche il mondo», ecco la natura divina; «egli è lo splendore della sua gloria» (1,3). E poi: «diventato tanto superiore agli angeli» (1,4), ed ecco la natura umana, perché |224v| secondo quella divina egli non è «diventato» ma era generato dall'eternità.

Patet igitur quod Christus etiam secundum quod homo est «Dominus David» et etiam «melior angelis», licet non ex <e>o quod homo; et est filius non adoptivus, et «facit angelos suos spiritus» etiam suppremos scilicet seraphy(m); unde «et ministros flammam ignis», et habent preceptum quod «adorent eum omnes angeli»; et quod est unum suppositum tantum. Unde et caldei habent ibi in epistola ad Hebr. "beacnoma", quod sonat "unum suppositum" et non duo in Christo.

Chiaro dunque che Cristo, anche in quanto uomo, è «il Signore di David» e «superiore agli angeli», sebbene non a motivo della sua umanità; ed è figlio non adottivo; «ha fatto i suoi angeli pari agli spiriti o ai venti» (1,7), inclusi gli angeli supremi quali i serafini, «e i suoi ministri come fiamma di fuoco» (1,7b), prescrivendo che «lo adorino tutti gli angeli» (1,6); ed è pertanto un unico supposito. Cosicché i caldei (cristiani siriaco-orientali), a inizio dell'epistola agli Ebrei 1,3, usano la parola "beacnoma", che significa "unico supposito", non due in Cristo.

Preterea, sicut legitur in scripturis quod homo ille est exaltatus - dicitur enim Act. 2[,33] «Dextera igitur Dei exaltavit illum etc.»  - ita legitur quod Deus sit "exinanitus", Phil. 2[,7]. Sicut igitur sublimia possunt dici de homine illo ratione unionis, ut quod "sit Deus", quod "resuscitet mortuos" etc., ita de Deo possunt dici humilia, scilicet quod sit natus de virgine, passus mortuus et sepultus.

Nella Scrittura si legge sia che quell'uomo è esaltato  -  Atti degli Apostoli 2,33, «Innalzato alla destra di Dio, ecc.»  -  sia che Dio si è «annientato», Pilippesi 2,7. Perciò a motivo dell'unione, come si possono dire di quell'uomo cose sublimi, ossia che è Dio, che risuscita i morti, eccetera, così di Dio si possono dire cose umili, ossia che è nato dalla Vergine, che ha sofferto, che è morto e sepolto.

Adhuc. Relativa tam verba quam nomina idem suppositum referunt. Dicit autem Apostolus Col. 1[,16] loquens de filio «In ipso condita sunt omnia in celo et in terra, visibilia et invisibilia»; et post subdit «et ipse est caput ecclesie qui est principium, primogenitus ex mortuis [mortuus cod.]». Manifestum est quia hoc quod dicitur «in ipso condita sunt universa» ad Verbum Dei pertinet; quod autem dicit «primogenitus ex mortuis» homini Christo competit; sic igitur Dei Verbum et homo Christus sunt unum suppositum et per consequens una persona; et quicquid dicitur de homine illo, de Verbo Dei dicatur et e converso.

Sia i verbi che i nomi relativi si riferiscono a un identico supposito. Scrive l'Apostolo, parlando del figlio di Dio, Colossesi 1,16: «In lui sono state create tutte le cose in cielo e in terra, quelle visibili e invisibili». E aggiunge (1,18): «Egli è anche il capo della Chiesa, il principio, il primogenito (dei risuscitati) dai morti». Ora, è evidente che l'espressione «in lui sono state create tutte le cose» spetta al Verbo di Dio; mentre «primogenito dai morti» spetta a Cristo uomo. Perciò il Verbo di Dio e l'uomo Cristo sono un unico supposito, e quindi un'unica persona; e quanto viene attribuito a quell'uomo va attribuito al Verbo di Dio, e viceversa.

Item Apostolus dicit I Cor. 8[,6] «Unus est Dominus Iesus Christus per quem omnia»; manifestum est autem quod "Iesus" est nomen illius hominis, "per quem omnia" convenit Verbo Dei; sic igitur Verbum Dei et homo ille sunt unus Dominus nec duo Domini nec duo filii, ut Nestorius dicebat. Et ex hoc ulterius sequitur quod Verbi Dei et hominis sit una persona et unum suppositum.

L'apostolo Paolo, I Corinzi 8,6: «C'è un solo signore Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose». È evidente che "Gesù" è nome di quell'uomo, e "per mezzo del quale tutte le cose esistono" appartiene al Verbo di Dio. Il Verbo di Dio e quell'uomo sono pertanto un unico Signore, e non due Signori o due figli, come diceva Nestorio. Ne segue che il Verbo di Dio e quell'uomo sono un'unica persona e un unico supposito.

Nestorius autem pro certo posuit in Christo unam personam et duo supposita, et nestorini orientales idem sentiunt. Dicunt enim quod Christus est unum "sciax" et duo "acnum", quod sonat "una persona et duo supposita". Cuius contrarium legitur apud eos in epistola ad Hebr. in principio: ubi nos habemus de Christo «qui cum sit splendor glorie», ipsi exprexe [sic] "beacnuma", quod sonat unum suppositum; et in nullo loco scripture habent, quod sit duo "acnum".

Nestorio ripose in Cristo una persona e due suppositi, e così pure ritengono i nestoriani orientali. Asseriscono che Cristo è un solo "sciax" (šakhs ) e due "acnum" (= aqânîm), che sta per "una persona e due suppositi". E si contraddicono, perché a inizio della lettera agli Ebrei, laddove noi abbiamo «egli è lo splendore della sua gloria» (Ebrei 1,3), essia hanno espressamente "beacnuma", che significa "unico supposito". E in nessun luogo della Scrittura leggono che vi siano due "acnum".

Preterea optime convincuntur per Apostolum ad Hebr. 1° et 2° capitulo, ubi ostendit preminentiam Christi etiam secundum humanitatem ad omnes sanctos patres et ad omnes angelos; quod stare non posset nisi ipse esset verus Deus et unum tantum suppositum.

I nestoriani orientali sono efficacemente contraddetti dall'Apostolo in Ebrei capitoli 1 e 2, dove asserisce la preminenza del Cristo anche quanto alla natura umana, rispetto ai tutti i santi padri e a tutti gli angeli. Tesi insostenibile se egli non fosse vero Dio e unico supposito.

Et cum |225r| queritur ab eis, que differentia est inter personam et suppositum, dicunt "Nescimus". Quando dicitur eis quod ponant aliquod exemplum de aliquo quod sit una persona et duo supposita, dicunt "Nescimus". Quando dicitur eis quod solvant rationes positas supra, dicunt "Nescimus". Et ita tota fides eorum quantum ad incarnationem fundatur supra ignorantiam, contra illud [I] Petri 3[,15] «Parati semper ad satisfactionem omni poscenti [pascenti cod.] vos rationem de ea que in vobis est fide etc.».

Se poi |225r| domandi loro la differenza tra persona e supposito, dicono "Non sappiamo". Quando domandi loro di fare un esempio di qualcuno che sia una sola persona e due suppositi, dicono "Non sappiamo". Quando domandi loro di rispondere agli argomenti sopra esposti, dicono "Non sappiamo". E così tutte le loro credenze in materia d'incarnazione si basano su "Non sappiamo"; contraddicendo I Pietro 3,15: «Pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della vostra fede, eccetera».

   


[1] In questa pagina web, i brani (discontinui) prestito da Tommaso d’Aquino, Contra Gentes  IV, c. 34, rispondono ai §§ 3715-3716, §§ 3717-3720, 3721-3723.

[2] Tutti e tre i §§ seguenti, "Preterea. Opportebit..., Preterea. De Patre..., Preterea. Angeli...", sono aggiunti da mano R (= Riccoldo) al margine inferiore con richiamo. Assenti nel Contra Gentes  IV, c. 34, di Tommaso.

[3] Il corsivo è linea resecata al marg. inf.; testo recuperato dal ms Oxford, Bodl. Libr., Canon. Par. lat. 142, f. 64r.

[4] Qui si arresta prestito da Tommaso, Contra Gentes  IV, c. 34, § 3720, per riprendere con § 3721 Preterea, sicut legitur in scripturis..., fino a una persona et unum suppositum § 3723.


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