quod est clerico littera, hoc est laico pictura |
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Una comunità riunita in nome del Cristo; che il Cristo intende annunciare e testimoniare. Nella città. Si guardi una miniatura corale (ASMN I.C.102): illeggibile rimane l'icona senza il fuori campo del testo liturgico compendiato dal miniatore in pochi millimetri quadri; muto rimane al laico il latino del chierico senza le parole dell'immagine. |
Perché pitture murali nelle chiese? - si chiedeva san Gregorio Magno († 604). Perché gli illetterati, guardandole, leggano nelle pareti quel che non sanno leggere nei libri, «ut hi qui litteras nesciunt saltem in parietibus videndo legant que legere in codicibus non valent» (Ep. IX, 105: PL 77, 1027-1028). Prodotto d'arte invocato strumentalmente e relegato ad ausilio degli umili? C'è qualcosa di più là dove Gregorio articola senza gerarchie due atti mentali
in un'unica funzione: «in parietibus videndo legant». Felice ricomposizione dell'immagine e della parola. Entrambe concorrenti, e necessarie, al medesimo atto conoscitivo. Cosicché il teologo e predicatore non ha difficoltà a concludere che «da esse dipinture si trae autorità grande siccome si trae di libri» (Giordano
da Pisa, 6.I.1306). Irriverente evocare ad esempio il sistema semantico dei fumetti?, striscia intessuta con disegno
della figura e con parole della nuvoletta. E quando la vignetta di prima pagina si dispensa dalla parola, è l'accadimento di ieri a prestare referente esterno; oppure la risata non scoppia.
Ma via!, chi non riconosce dai soli segni nella
scena centrale il sacrificio d'Abramo
(ASMN I.C.102, B)? Eppure l'ordine del percorso iconografico
a partire dal tondo superiore dell'asta verticale di L miniata,
giù giù fino ai due tondi nella striscia di base (ovale il destro) e alla scena centrale (e finale!), lo si ricostruisce soltanto riandando i testi liturgici, lezioni incluse, della domenica di quinquagesima. Al termine si rimane stupefatti della
sintesi istoriata del racconto: dietro ordine del Signore, Abramo, bordone in mano, abbandona patria e parenti (Gen. 12); attende numerosa discendenza da Sara moglie sterile (Gen. 15); presso la quercia di Mamre (un tronco e tre rami) accoglie tre sconosciuti e uno riverisce (Gen. 18), mentre addita la lettura cristiana del mistero trinitario (senso anagogico dell'esegesi medievale) nella mandorla a fronte. Il tratto conclusivo
dell'iniziale figurata si richiude per raccogliere il senso di sé; e della storia della salvezza: Abramo pronto a sacrificare l'unico figlio Isacco nell'ubbidienza di fede (Gen. 22). Il tutto in esiguità estrema
di mezzi espressivi, spazio e materia. Un ultimo spunto. I molteplici esiti iconografici hanno ordinariamente dietro di sé la secolare tradizione di leggere la bibbia sulla stratificazione dei quattro sensi scritturistici. Esiti talvolta a noi imprevisti, talaltra liquidati come accomodatizi. Erano divenuti invece usuali categorie esegetiche della cultura premoderna. Li volgarizzavano liturgia e pulpito. Senso historícus (o litteralis), allegoricus, tropologicus (o moralis), anagogicus; gli ultimi tre designati collettivamente sensus spiritualis. Un esempio, David uccide Golia: «Historice intentum, intelligitur de occisione Goliath... Allegorice significat Christum víncentem demonem... Tropologice denotat bellum justorum contra demonem de carne tentantem... Et anagogice ímportatur victoria Christi in die judicii, quando novissime inimica mors destruetur». E il David di Michelangelo a guardia del palazzo dei Signori? Riconciliare segni e parole, liberarne ispirazione d'arte e obbedienza di fede, come nelle miniature. È quanto sottintende il percorso "icone&fede" attraverso gli spazi precipui (e urbani) d'una comunità domenicana: chiesa e convento. |