Donne in convento? No, in città. Ma tra borgo, chiesa e convento, straordinaria è la presenza femminile nelle vicende umane e religiose d'un convento urbano. Madri o sorelle si prendono cura di frati. Mogli curano altare o tomba di famiglia. Vedove fanno donazioni in legati testamentari, talvolta di pochi spiccioli, in memoria del marito o figlio deceduto. Moltissime, delle donne sepolte in SMN, dispongo sepoltura "cum habitu ordinis", come testimonia Il «Libro dei morti» di SMN (1290-1436), MD 11 (1980) 15-218. Mamme vogliono i figli per sé e ne contrastano la vocazione religiosa. Donne pie o della Penitenza (le chiamavano pinzochere, beghine, "vestite nostre") donano qualcosa a favore di singoli frati "pro suis necessitatibus", a personale beneficio del frate non del convento. Destinatarie di non pochi trattatelli di teologia o di spiritualità, che il teologo del tempo redige con compiacenza in lingua volgare.

Le più dotate, se irrequiete, diventano appiccicose. I predicatori mettono in guardia dalle insidie. Specie dall'insidia dei "munuscula" (come tradurre? piccoli doni ripieni di grande affetto). La novellistica vi attinge; e si diverte. Eppure, tra repressione che teme contatti e frequentazione che trasgredisce, si assiste di norma a benefico reciproco sostegno affettivo; lungo gli affollati percorsi chiesa-casa e piccoli ordinari bisogni. Il religioso conferma la propria vocazione, ma acquista consapevolezza della complessità degli affetti, e della loro ricaduta nel reticolo comportamentale. Impara a leggere quel che s'interpone tra problema di vita e sua rappresentazione verbale. Senza saperlo, sa fare anche lo psicologo in confessionale, quando il confessionale degli psicologi non esisteva.

Splendido il caso Diamante. Santità nel consueto, né culto né lustro, dedizione al quotidiano femminile dei suoi tempi, umile estrazione sociale. Fa da mamma ai novizi, falciati dalla peste degli anni 1530; sopraggiunta ai drammatici capovolgimenti politici dei medesimi anni. I frati tradiscono ammirata commozione, benché trasmessa e trattenuta dal lessico d'un verbale conventuale (un secolo dopo, caso Maria Longa, cederanno invece alla tutela del proprio buon nome). Testimonianza, in cambio, salda; più credibile della legenda, più persuasiva del sermone. La castità, se virtuosa, non nega ma alimenta l'amicizia. Sostiene perfino la frequentazione. Ricordate le amicizie femminili di Gesù?

Gesù, per l'appunto. Provatevi a portare a spalla una bara da piazza del Grano a San Frediano. Sbotta fra Crisostomo da Perugia. Ma sedotto da Maria Bagnesi, ricupera la gioia della peregrinanza evangelica della propria vocazione: «mi pareva che questo fussi apunto come quando Giesù Cristo viveva et andava per le strade!».

Spiccata sensibilità della donna all'esperienza religiosa. Assidua frequentazione dei confessionali e dei pulpiti. Remote frustrazioni o emarginazioni da una società gestita da maschi, e che a costoro riserva esclusivi percorsi di promozione. Permessa, alla donne, più la chiesa che la piazza. Pie, mondane, vedove, penitenti, donne di nessuno e donne di tutti.

Fascino dissimulato da sembianze consuete; lo esibiscano nell'abbigliamento o nello sguardo; raramente nella corona. Intuitive sempre, talvolta astute. Tenaci, quando si propongono d'infrangere accerchiamenti della conservazione maschile. Donna forte e tenace, Diana dei Giambullari, quando ha da prender le redini della famiglia; senza rinunciare ai sentimenti materni.

La gioia della propria maternità, tuttavia, sanno prolungarla alla pietas per il dolore altrui. Da Maria di Nazaret a Maria di  Magdala. Da donna Diamante a Maria Longa. Loro immagini, e loro storie di vita, le raccontano pareti di chiese e tavole d'altare. A centinaia. Ne serbano traccia, soprattutto, le lunghe reali vicende di chiese, di sagrestie, di chiostri. Non solo i versi dello stil nuovo.

Qui una spigolatura.