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Un titolo corrente in lettere maiuscole di stile epigrafico, avviato a inizio opera di Teodorico al margine superiore della carta e ripetuto in recto e verso, Prima pars, Secunda pars ecc., prosegue regolarmente con Octava pars oltre il Liber de vita et obitu e il De modo orandi corporaliter per terminare in cima a f. 159r. Raccoglie pertanto sotto di sé anche parte del successivo materiale agiografico: dalla Legenda de translatione sancti Dominici a metà De ymagine sancte Marie que est Rome in ecclesia sororum Sancti Sixti, il cui testo occupa ff. 158va-160ra. Bisogna concluderne che nelle intenzioni del raccoglitore anche questo materiale facesse parte di libro VIII del Liber de vita et obitu di Teodorico?

Così intendono Koudelka, Les dépositions  63-64, e Montanari, Iordanis Oratio 13 § 0.2.4.1.

Non credo. Il titolo corrente (supposto che possa esser attribuito al copista dell’intero codice - la morfologia delle capitali, per quanto scarso il materiale comparativo, suggerirebbe di retrocederlo a tardo Trecento) non presenta incastri che coinvolgano le intenzioni dell’editore-ordinatore della silloge. Chi infatti, ai fini di facilitare la consultazione della lunga opera di Teodorico e il rapido reperimento dei capitoli, ha avviato il titolo corrente, lo ha prolungato per attrazione di continuità seriale oltre le rubriche capitolari del Liber de vita et obitu. Meccanica e indebita iterazione di rubricazione generale: perché la titolazione s’interrompe nel bel mezzo del De ymagine sancte Marie que est Rome senza riguardo alla guida delle rubriche preposte ai singoli item, peraltro non sempre perspicue all’occhio che corre sulla pagina; e perché il prolungamento contravviene alle formali istruzioni delle precedenti rubriche: «Expliciunt capitula octave partis libelli de ortu et vita et obitu et miraculis sancti Dominici» dice il fine tabula di parte VIII (f. 102ra); «Explicit liber de vita et obitu et miraculis sancti Dominici etcetera» a chiusa dell’ultimo capitolo, De modo orandi corporaliter, dell’opera di Teodorico (f. 133va).

La cosa è di qualche importanza quando si voglia raccogliere con esattezza la testimonianza del ms modenese e le intenzioni del compilatore che ne ha progettato il contenuto. Costui conosceva a metà Trecento (di certo dopo l’anno 1326, come vuole il pezzo n° 8) il Liber de vita et obitu di Teodorico da Apolda costruito in otto parti; l’ottava già inglobante, a mo’ di ultimo capitolo, il De modo orandi corporaliter. Quel che segue, a partire dalla Legenda de translatione (ff. 133va ss) in poi, non fa parte dell’opera di Teodorico trasmessa nel medesimo ms: né secondo le intenzioni del compilatore né tantomeno secondo un ipotetico testimone della tradizione manoscritta che il compilatore avrebbe raccolto e trasmesso. Riflette semplicemente interessi agiografici e intenti divulgativi del compilatore.

Nell’appendere all’opera tedericiana l’ulteriore materiale agiografico, domenicano e non (ma anche quest’ultimo poteva interessare il calendario liturgico domenicano o servire la predicazione al popolo), il compilatore guida il lettore con rubriche diffuse e informative. Disponibile anche al registro colloquiale della lingua, se è lecito trarne indizio dal solenne anacoluto esibito senza rimorsi a rubrica di n° 9 (ff. 156va-158va); che tuttavia non compromette il senso. All’occorrenza il compilatore stabilisce anche raccordi tra le differenti unità compositive. La rubrica n° 10 è formulata: De ymagine sancte Marie que est Rome in ecclesia sororum Sancti Sixti de qua fit mentio supra ubi est tale signum (ff. 158va-160ra). Di fatto nessun segno di richiamo, né interlineare né marginale, completa il raccordo. Non è difficile rintracciare il luogo mirato dall’editore: De transitu monialium Sancte Marie de Transtiberim sive Sancte Marie in Tempoli ad Sanctum Sixtum, cap. 8 di parte II del Liber de vita et obitu di Teodorico (f. 32ra-vb); dove si racconta di Domenico che trasferisce processionalmente la sacra icona al monastero di San Sisto:

«desiderantissimam illam ac dulcissimam virginis Matris ymaginem propriis humeris reverentissime deportavit, quam sorores nudis pedibus in oratione posite expectantes eandem cum lacrimis et cordis iubilo susceperunt. Que permanet usque hodie apud ipsas (f. 32va)… Collocata est itaque apud Sanctum Sixtum per almum Christi confessorem Dominicum et duos cardinales venerabiliter inter virgines ymago virginis genitricis Dei et domini Iesu Christi» (f. 32vb).

Qui, al margine delle carte, ripetuta notazione di notabilia .N., o .H., tagliata da uno o più tratti trasversali. In f. 158va il copista ha dimenticato d’eseguire il segno di risposta al rinvio. Ma il caso rafforza ad evidenza l’intento ordinatore del compilatore del nostro codice: nello stendere la rubrica del De ymagine sancte Marie, estranea all’opera di Teodorico, egli ha in mente d’offrire al pio lettore ulteriore materia per illustrare l’icona acherotipa di San Sisto («utpote non opere carnalium manuum sed Dei omnipotentis virtute est depicta»: f. 158vb) incontrata sopra, 126 carte avanti. L’incidente insinua anche che il compilatore-editore della silloge sia persona distinta dal copista; molto più probabile, quasi spontaneo, per costui dissociare la trascrizione delle parole di rinvio dall’esecuzione del segno di richiamo (dissociazione tra grafema e significato insita nella psicologia di base dell’atto di copia). Né obiettano le saltuarie indicazioni marginali delle fonti, ché non è dissonante dalla tradizione scrittoria lasciar tale complemento al copista su segnalazione affidata all’antigrafo. Il testo poi del De ymagine sancte Marie legittima e documenta nelle intenzioni dell’editore la correzione (d’informazione non d’autenticità, qui come altrove) indrodotta sul testo di Teoderico: si tratta di «Sancta Maria in Tempoli» non «Sancta Maria de Transtiberim». Secondo il racconto infatti, il primo dei tre mitici fratelli, Tempulus Servulus et Cervulus (f. 158vb), venuto in possesso dell’immagine la ripone nella chiesa prossima alla sua abitazione; «et ex hinc miraculis ibidem propter nominatam ymaginem crebrescentibus, accepit vocabulum Sancte Marie in Tempulo» (f. 159ra).

Per il resto, specie per gli item 2-10 susseguenti all’opera di Teodorico, l’intento d’una silloge d’agiografia domenicana delle origini (posteriore alla morte di Domenico) è palese. E tradizione domenicana testimonia la giunta del lettore quattrocentesco in calce a f. 156va «Et dicitur hanc orationem fecisse beatus Thomas de Aquino eiusdem ordinis Predicatorum». Di nessun peso, certo, in fase di accertamento d’autenticità dell’Oratio ad beatum Dominicum, ma spia delle appartenenze dei frequentatori del libro; fors’anche dei proprietari.

Contro ogni apparenza, anche il n° 14, Passio sanctarum undecim milium martirum in nove lezioni d’ufficio liturgico, potrebbe aver a che fare col calendario domenicano; e con le sue significazioni extra-rituali. La primitiva liturgia dell’ordine celebrava la sola memoria delle Undicimila vergini e martiri, 21 ottobre (Ordinarium OP  264). Il capitolo generale Sisteron 1329, mentre designa la città di Colonia a sede del capitolo successivo, ordina la celebrazione della festa delle Undicimila vergini (patròne di Colonia luogo del martirio) col grado di tre lezioni; il capitolo 1331 approva definitivamente e sollecita il maestro dell’ordine a provvedere il testo liturgico entro il 1332 (MOPH IV, 189/ 20-21: 1329; 195/19-21: 1330; 207/7-9, 207/7-9: 1331). In maggio-giugno 1330, in pieno conflitto tra papato e Ludovico il Bavaro, il capitolo di fatto non poté riunirsi in Colonia e si trasferì a Maastricht nel ducato di Brabante. Le Undicimila sante vergini, insiene con san Servazio vescovo di Tongeren e forzato esule in Maastricht (ora anch’egli accolto nel calendario), erano lì a protezione dei frati contro il Bavaro  -  specularono i cronografi domenicani all’incrocio di devozione e rovescio politico.

«Eiectus autem de Tungris per malitiam inhabitantium, venit Traiectum…», città poi risparmiata dalle devastazionei degli Unni, si legge nel breviario domenicano AGOP XIV L 5 (aa. 1423-1455 ca.), f. 276vb, lectio II; AGOP XIV L 2, f. 553ra (tra le addizioni del sec. XIV/2). Simile, non identico, il testo in appendice a Iacopo da Varazze, Legenda aurea c. 241 (ed. Th. Graesse, Vratislaviae 1890 rpt Osnabrück 1965, 956). Del tutto diverso il testo in AGOP XIV L 6, f. 383v (breviario OP, sec. XIV/2).

Introduzione della celebrazione liturgica (13 maggio), capitolo generale Maastricht 1330: MOPH IV, 195 rr. 1-2. Bibliotheca hagiographica latina II, Bruxelles 1900-01, 1103-06.
Silloge agiografica OP (prov. Lombardia infer.), Vat. lat. 15237 (olim Bologna, Arch. conv. S. Domenico A; olim Conv. OP Cividale del Friuli) (xiv-xv), ff. 99v-102r (s. Servatii): ms recentemente acquistato (1992-93) dalla BAV presso antiquari (cf.
SOPMÆ IV, 290-91). Da apr. 1996 il codice Vat. lat. 15237 è tornato di nuovo a Bologna(!), Arch. conv. S. Domenico VII-10160.

AFP 10 (1940) 367. Bonniwell 242-47; anche 34-35, 96, 109, 113 (Undicimila vergini tra le feste del prototipo OP assenti nei calendari della liturgia romana), 239, 254, 282-83, 323.

Bisogna attendere il 1419 per imbattersi in altre disposizioni capitolari: in quell’anno il grado liturgico delle Undicimila vergini è portato a totum duplex con nove lezioni tratte dal comune dei martiri (MOPH VIII, 160/14-15). Non tutte le tessere intermedie dell’elaborazione testuale della festività son disponibili per trarne indicazioni perentorie a favore del nostro codice. Di certo, insieme a uno spiccato interesse, s’intravedono tappe molteplici e dissonanti nella formazione del testo liturgico durante il secondo Trecento. Un breviario OP, medio sec. XIII con interventi posteriori, registra le Undicimila vergini col grado di memoria, ma la notazione mem(oria) è stata successivamente erasa senza che nulla l’abbia sostituita (AGOP XIV L 4, f. 5v calendario; cf. f. 310rb dove metà foglio è stato resecato). Un altro breviario, seconda metà Trecento, registra l’ufficio delle Undicimila Lauda Deum sancta Colonia con nove lezioni; lectio I, incipit «Undecim milia virginum passio hoc ordine fuit celebrata. In Britannia, namque scotica, rex christianissimus fuit» (AGOP XIV L 6, ff. 365rb-367vb. Il blocco ff. 351-383v aggiorna le celebrazioni introdotte nel corso del Trecento; suppone come data più recente il 1369, traslazione di san Tommaso d’Aquino); testo coincidente con la parte iniziale della relativa legenda in Iacopo da Varazze († 1298). Un terzo, databile tra 1423 e 1455, contiene la festa delle Undicimila a totum duplex e nove lezioni; lectio I, incipit «Gloriosa virgo Ursula moribus et genere nobilissima», dal testo diverso dal caso precedente (AGOP XIV L 5, ff. 5v, 353ra-vb; così anche AGOP XIV L 2, f. 574vb, tra le addizioni del secondo Quattrocento).

 In assenza d’originali note di possesso, l’esatto luogo di nascita della nostra compilazione rimane indefinibile entro i territori dell’Italia mediana. Ristabilito tuttavia il corretto raccordo del De modo orandi corporaliter nelle intenzioni del compilatore, non è la geografia di nascita di quel trattatello a rilasciare indicazioni d’origine dell’intera silloge del codice modenese; né l’individuazione del nostro compilatore, se pure fosse possibile, svelerebbe geografie e paternità del De modo orandi corporaliter.

De modo orandi corporaliter almi confessoris sancti Dominici attribuibile ad anonimo medioitalico, preferibilmente dell’area della provincia Lombarda; databile tra ultimo ventennio del Duecento e primissimo Trecento. Così formulerei lo stato della questione, finché evidenze probatorie non impongano di restringere credibilmente gli estremi. Formulazione atta a promuovere anziché inceppare ulteriori spazi d’indagine.

L.E. Boyle, “The ways of prayer of St Dominic”. Notes on ms Rossi 3 in the Vatican Library, AFP 64 (1994) 5-17.

Volgarizzamento toscano (1470 ca.) del De modo orandi corporaliter: Firenze, Bibl. Riccardiana 2105 (a. 1470), ff. 130v-134v.

Resiste, come unica pista a esplorare le aree geografiche della compilazione, il racconto del miracolo in San Domenico d’Arezzo. Estraneo, ricordiamolo, al testo sia pur dilatato del Liber de vita et obitu di Teodorico da Apolda; originale rispetto all’altro materiale accolto nella silloge; sconosciuto ad altre fonti, per quanto sappiamo, e proprio del ms modenese. Del genere della legenda, segnatamente sezione "miracula post transitum". Ma non ribelle a solidissimi ancoraggi cronici e topici: San Domenico d’Arezzo luglio-agosto 1326, fra Iacopuccio da Spoleto, fra Francesco da Trevi. Liberi comuni della Toscana sud-orientale, Umbria e terre del ducato spoletano. L’anonimo autore della silloge è venuto a conoscenza della relazione di Francesco da Trevi e l’ha accolta nella propria compilazione agiografica. Da sola, la narrazione di Francesco difficilmente avrebbe potuto contare su un’autonoma spinta diffusiva capace di valicare di molto i confini comunali del fatto e delle persone.

All’altro estremo a tutt’oggi conosciuto, la tradizione lucchese del nostro codice nel corso del Sette-Ottocento, entro le tenaci continuità dei patrimoni signorili. Insufficiente tuttavia a gettar la testata di ricongiunzione.

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