PARTE PRIMA |
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Copyleft © Emilioweb settembre 2006 |
Exodus
Salpare è forse l'ultima scommessa,
gettare il cuore oltre la linea d'ombra
ad inseguire il sole ad occidente.
Chissà se limpida è la rotta a prua
e se la stella brilla ancora a Nord,
ma il guscio vacillante che ci culla,
seme affidato ai vortici del mare,
è già salvezza,
è già Terra Promessa.
L'onda che incombe ad innalzare muri
- sipario che rabbrivida e sgomenta
è forse tempio aperto che ci salva
o forse è già presagio:
rinasceremo in terre amiche, oppure
torneremo all'abbraccio di conchiglie,
ai serti insanguinati di corallo
(azzurro e vasto come il cielo è il mare
- urna segreta, scrigno di memorie
solo un poco più buio e più profondo).
Ecco, è già tempo di scalare il cielo:
l'approdo ha braccia immense,
attese immemorabili
(il pane ha dita rosa in cima al sogno
antico di chi parte).
Fu lungo il viaggio,
incerto l'orizzonte.
Ora ci accoglie un chiuso labirinto
ed il silenzio è grido che lasciamo
agli usci abbandonati delle case.
Eppure ancora splende ammaliatrice
la Terra irraggiungibile che chiama
alle incantate luci delle torri
(noi temerari che sfidammo il vento,
diseredati fummo anche del sogno).
Come l'Araba Fenice
g Come l'Araba Fenice
Quello che resta del giorno che declina
e indifferente assiste ad altre
oscure morti
è questa ostinata mia chimera
rosa porpora e oro
tremula e
incerta se fiorire ancora o
per sempre appassire.
Quello che resta
di questo giorno dissacrato
è il turpe scempio
che consuma Achille ancora
ancora e ancora
(rappresi in grumi urlano i sogni
e il corpo di Ettore sparso
sopra la terra!).
Quello che resta ormai
di questo giorno acuminato
è il livido sudario
che avvolge in una sola notte
il canto la luce la memoria
(riccioli di seta chiuse labbra
spenti sorrisi abbracci inconsumati).
Cenere è la colomba
reliquia inaccessibile
sepolta tra le antiche pietre
delle città perdute.
Dispersa messaggera
dell’iride e del grano
segreta immemore compagna
del mio tempo martoriato
scampata alfine
alla dimenticanza e al buio
tu possa
come l’Araba Fenice
(tenacemente ricordando il sole)
sopra terre redente e indivisibili
nuovamente rinascere e volare.
Ragazza di Srebrenica
scampata agli obici alle mine
ma non alla tua grazia,
alla bellezza triste
dei tuoi occhi.
Ragazza di Srebrenica
indenne tra tempeste
di fuoco e di cemento
e fango e acciaio
eppure arresa al verde intrico
dei lecci e dei castagni
(scala ammiccante,
sentiero per il cielo,
i mostri ricacciati nell'abisso).
Ragazza di Srebrenica
dolce e disperata,
dimmi se adesso,
al vento lieve della sera,
più leggera è la tua pena
e se la luna, dimmi,
la luna che sognavi
nei tuoi sogni di bambina
è più vicina,
ora che in cima al ramo del castagno
hai steso ad asciugare
le tue lacrime
e lì a dimora hai posto
il giunco sottile e acerbo
del tuo corpo.
Ora dalla terra ti separa
appena un palmo,
un palmo di dolore e di coraggio.
Un palmo appena,
ma profondo quanto basta
per segnare il limite,
l'estremo margine, incolmabile distanza
tra la luce dei tuoi occhi
e il Male.
Ma ora fermati. Basta.
Scendi, ti prego. Aspetta.
Verrà tua madre,
povera smarrita assente,
persa nel labirinto del dolore.
Ora nel gioco delle parti
(tu madre lei bambina)
il Tempo vi assegna un'altra vita.
Corrile incontro, abbracciala
e portala per mano,
tu che conosci già la strada.
Mia città caduta,
attonita silente inebetita.
Mia città straziata,
fuoco ferro sangue cemento
e il corpo di Abe cenere e fumo.
Mia città ospitale,
città delle cento genti,
terra promessa, crocevia dei popoli.
Mia città gentile,
città delle cento mani,
delle cento mani tese nel vento,
bandiere dolenti per l'ultimo addio.
Mia città superba,
città delle cento torri,
acciaio pietra luci cristallo.
Ora tra fango e polvere
gemono i tuoi fiori più lucenti
(ah! il sangue mescolato ai sogni
di Gerico e Guernica
Hiroshima e Nagasaki,
città dell'anima
città della memoria!).
Ascoltaci, Dio dei Popoli
(smarrita è la voce)
questa è la preghiera:
che il cerchio del dolore sia concluso!
Regalaci l'arcobaleno,
la fatica dei giorni, la gioia del vivere,
la giusta misura di grano,
l'innocenza e lo splendente sorriso
dei bambini.
a Pablo Neruda, Federico Garcia Lorca, Rafael Alberti
"... Guardate la Spagna a pezzi:/...// Chiederete perché la tua poesia/ non ci
parla del sogno, delle foglie/ dei grandi vulcani del paese dove sei nato?//
Venite a vedere il sangue per le strade/ venite a vedere/ il sangue per le
strade,/ venite a vedere il sangue/ per le strade!"
Pablo Neruda, "Spiego alcune cose".
Sognata e favolosa terra mia,
avrei voluto certo anch'io cantare,
come Rafael Pablo e Federico,
l'ombra assolata dell' Andalusia,
il Guadarrama con i suoi smeraldi
e gli occhi bruni delle tue ragazze.
Ma stanotte sui treni,
con passo di giaguaro, occhi di vento
ed il mantello d'ossido e di lamine,
saliva la Signora.
Non era ancora primavera e già
scoppiavano vermigli alle stazioni
fiori pulsanti di corallo e nichel
e per le strade, Pablo,
la porpora gridava come allora,
con voce soffocata di conchiglia.
Oh Federico, come per Ignacio,
è ferma l'ora a tutti gli orologi
e la c1essidra invano
scandisce, smemorata, il tempo dato
e tutto, tutto, tutto consumato!
Dov'è, Rafael, dov' è la tua colomba
e dove sono, amici, gl' incendiari
che appiccavano fuochi inestinguibili
di passione furore desiderio?
Voi che accendeste soli rutilanti
sulle terre di Spagna e sui suoi fiumi,
tornate a questo giorno senza voli,
agl'inesausti altari del dolore:
piange la Spagna e oggi, come ieri,
battono le campane di Madrid
alle porte abbrunate delle case.
Tornate, amici, qui le vostre cetre
struggenti e desolati hanno silenzi.
Che possa l'elegia mutarsi in canto
e che a fiorire tornino gli ulivi.
Al-te le brac-cia ma-ni sul-la te-sta!...
Giocano con i grandi, nella scuola,
a un gioco nuovo i bimbi di Beslan.
Viaggiatori già pronti alla partenza,
hanno zaini leggeri come piume
(bagagli lievi a favorire il volo)
con dentro scorte trepide di baci
di madri inquiete al tarlo dell'attesa.
- Al-te le brac-cia ma-ni sul-la te-sta
que-sti sol-da-ti gio-ca-no- con no-i!...
cómpita col sorriso la maestra
a seminare grani di coraggio.
Certo, fu troppo vero e duro il gioco,
Olga Dimitri Boris Katerina,
troppo profondo il cielo da scalare
(sospeso Golgota, irredento calice).
Ma voi, così splendenti come il sole,
sicuro sapevate cosa avviene
se si mescola il giallo con il rosso:
è un po' come succede nei tramonti,
coi raggi ad infiammare cieli e terre.
Ora le vostre bocche e gli occhi grandi
e il cuore sparso tra i quaderni e l'erba
(reliquie palpitanti, accese stelle
a splendere soltanto nella notte)
giocano al gioco antico del silenzio,
senza nemmeno più segrete intese
né sguardi con bagliori d'innocenza.
Carne tradita, figli della Terra,
fiori non corrisposti dalla luce!
Che voi possiate risanare il sangue
e insieme ai cari, trapassati inermi
(barriera vana intorno ai vostri sogni),
dimenticare i mostri e il sortilegio,
vincere il buio e rifiorire altrove.
ai "ragazzi di strada" del Brasile
Niños
de rua
(giorni e sorrisi strappati
al buio ed al silenzio,
soffio misterioso della vita)
niños de rua rubano il sole, a Rio,
in Avenida Presidente Vargas.
Niños de rua,
argento vivo corrono giocano,
come gli altri niños ridono perfino,
solo a volte un poco tristemente.
Niños de rua
imprendibili folletti
intralciano giardini e plazas,
corrompono la vista di Rio
meravigliosa.
Ma questa notte
il piede dei soldati batterà le strade
e all'alba splenderanno indenni
nette avenidas e superbe aiole
(concimate col sangue dei bambini,
concimate col sangue caldo dei bambini!...).
Ah! niños de rua,
carne senza memoria,
grido inascoltato della terra!
Io non sono che un poeta
e altro non ho per voi che le parole:
ora che la notte è più profonda
(più non vi duole il cuore né brucia la ferita)
venite invisibili a percorrere,
immemore e leggero il passo,
le strade della Terra.
Entrate nella nostra vita
(ignoti vi sono il rancore e la vendetta)
e insieme agli altri niños senza nome,
dolcemente e per sempre
(per sempre)
conquistate il mondo.
Se il vento si fa voce della Terra
(memoria mutilata d'Hiroshima
è il Tempo, immobile nella clessidra)
Se il vento si fa voce ammutolita
del tempio profanato della carne
(sale azzurrino il fumo dai camini
oggi, nell'aria immemore, a Dachau,
ma incerta ancora è l'anima del legno)
Se il vento si fa voce d'ogni pietra,
cuore sepolto di città cadute
(bruciano torri a Gerico e New York)
Se il vento si fa voce dei bambini
che scalarono i cieli di Beslan
palpitanti coriandoli di cuori...
Se il vento si fa voce d'ogni grido
e cerca approdi e scampo dai naufragi
fatti orecchio di Dio,
caldo arenile:
c'è da piantare ulivi a Babilonia,
c'è da crescere il grano e da scrostare
ossido e pece dalle vie del cuore.
C'è da spegnere incendi e risarcire,
con occhi nuovi, indenni dal dolore,
la porpora redenta della rosa.
alla Cometa di Hale-Bopp
Cometa gentile,
esploratrice del Cosmo,
messaggera di Mondi ignoti,
tu lo conosci il Fuoco
che avvampa gli Universi
e incenerisce le ombre
degli abissi
dove la Luce redime cieli
e accende nuove Stelle
con le sue dita azzurre e adamantine.
Cometa gentile,
freccia d'argento
sfuggita alla faretra
degli Astri addormentati
(scintilla zampillata alla fucina
dell' Armonioso Fabbro?)
tu certo ricordi
la profondità del buio
e il dolore dei Mondi
al crepuscolo dei Soli.
Dacci allora
un po' della tua luce
e non lasciare inascoltato
il grido della nostra notte.
Segna perciò,
ti prego,
il piccolo punto della Terra
sulla mappa
delle tue segrete rotte
e annota:
naufrago alla deriva
nel cielo della Via Lattea.
Ché al tuo ritorno,
dalla capitaneria della tua galassia,
salpi qualcuno che venga
a traghettarci in salvo.
PARTE SECONDA
Metamorphosis