Umberto Vicaretti

La terra
irraggiungibile

PARTE PRIMA
Come l'Araba Fenice

 

Copyleft © Emilioweb  settembre 2006

Fortezza nel deserto. Scrutano all'orizzonte ospiti sconosciuti, tra le mura riducono schiavi ospiti benemeriti (cf. Sap. 19,14)g La Terra irraggiungibile

                                        Exodus

Salpare è forse l'ultima scommessa,

gettare il cuore oltre la linea d'ombra

ad inseguire il sole ad occidente.

Chissà se limpida è la rotta a prua

e se la stella brilla ancora a Nord,

ma il guscio vacillante che ci culla,

seme affidato ai vortici del mare,

è già salvezza,

                           è già Terra Promessa.

L'onda che incombe ad innalzare muri

- sipario che rabbrivida e sgomenta ­

è forse tempio aperto che ci salva

o forse è già presagio:

rinasceremo in terre amiche, oppure

torneremo all'abbraccio di conchiglie,

ai serti insanguinati di corallo

(azzurro e vasto come il cielo è il mare

- urna segreta, scrigno di memorie ­

solo un poco più buio e più profondo).

Ecco, è già tempo di scalare il cielo:

l'approdo ha braccia immense,

attese immemorabili

(il pane ha dita rosa in cima al sogno

antico di chi parte).

Fu lungo il viaggio,

                                incerto l'orizzonte.

Ora ci accoglie un chiuso labirinto

ed il silenzio è grido che lasciamo

agli usci abbandonati delle case.

Eppure ancora splende ammaliatrice

la Terra irraggiungibile che chiama

alle incantate luci delle torri

(noi temerari che sfidammo il vento,

diseredati fummo anche del sogno).


PARTE PRIMA

Come l'Araba Fenice

g Come l'Araba Fenice

Quello che resta del giorno che declina

e indifferente assiste ad altre

oscure morti

è questa ostinata mia chimera

rosa porpora e oro

tremula e

incerta se fiorire ancora o

per sempre appassire.

Quello che resta

di questo giorno dissacrato

è il turpe scempio

che consuma Achille ancora

ancora e ancora

(rappresi in grumi urlano i sogni

e il corpo di Ettore sparso

sopra la terra!).

Quello che resta ormai

di questo giorno acuminato

è il livido sudario

che avvolge in una sola notte

il canto la luce la memoria

(riccioli di seta chiuse labbra

spenti sorrisi abbracci inconsumati).

Cenere è la colomba

reliquia inaccessibile

sepolta tra le antiche pietre

delle città perdute.

Dispersa messaggera

dell’iride e del grano

segreta immemore compagna

del mio tempo martoriato

scampata alfine

alla dimenticanza e al buio

tu possa

come l’Araba Fenice

(tenacemente ricordando il sole)

sopra terre redente e indivisibili

nuovamente rinascere e volare.


g Ragazza di Srebrenica

Ragazza di Srebrenica

scampata agli obici alle mine

ma non alla tua grazia,

alla bellezza triste

dei tuoi occhi.

Ragazza di Srebrenica

indenne tra tempeste

di fuoco e di cemento

e fango e acciaio

eppure arresa al verde intrico

dei lecci e dei castagni

(scala ammiccante,

sentiero per il cielo,

i mostri ricacciati nell'abisso).

Ragazza di Srebrenica

dolce e disperata,

dimmi se adesso,

al vento lieve della sera,

più leggera è la tua pena

e se la luna, dimmi,

la luna che sognavi

nei tuoi sogni di bambina

è più vicina,

ora che in cima al ramo del castagno

hai steso ad asciugare

le tue lacrime

e lì a dimora hai posto

il giunco sottile e acerbo

del tuo corpo.

Ora dalla terra ti separa

appena un palmo,

un palmo di dolore e di coraggio.

Un palmo appena,

ma profondo quanto basta

per segnare il limite,

l'estremo margine, incolmabile distanza

tra la luce dei tuoi occhi

e il Male.

Ma ora fermati. Basta.

Scendi, ti prego. Aspetta.

Verrà tua madre,

povera smarrita assente,

persa nel labirinto del dolore.

Ora nel gioco delle parti

(tu madre lei bambina)

il Tempo vi assegna un'altra vita.

Corrile incontro, abbracciala

e portala per mano,

tu che conosci già la strada.


g Fiori di New York

Mia città caduta,

attonita silente inebetita.

Mia città straziata,

fuoco ferro sangue cemento

e il corpo di Abe cenere e fumo.

Mia città ospitale,

città delle cento genti,

terra promessa, crocevia dei popoli.

Mia città gentile,

città delle cento mani,

delle cento mani tese nel vento,

bandiere dolenti per l'ultimo addio.

Mia città superba,

città delle cento torri,

acciaio pietra luci cristallo.

Ora tra fango e polvere

gemono i tuoi fiori più lucenti

(ah! il sangue mescolato ai sogni

di Gerico e Guernica

Hiroshima e Nagasaki,

città dell'anima
città della memoria!).

Ascoltaci, Dio dei Popoli

(smarrita è la voce)

questa è la preghiera:

che il cerchio del dolore sia concluso!

Regalaci l'arcobaleno,
la fatica dei giorni, la gioia del vivere,

la giusta misura di grano,

l'innocenza e lo splendente sorriso

dei bambini.


g Fiori di Madrid

a Pablo Neruda, Federico Garcia Lorca, Rafael Alberti

"... Guardate la Spagna a pezzi:/...// Chiederete perché la tua poesia/ non ci parla del sogno, delle foglie/ dei grandi vulcani del paese dove sei nato?// Venite a vedere il sangue per le strade/ venite a vedere/ il sangue per le strade,/ venite a vedere il sangue/ per le strade!"
Pablo Neruda, "Spiego alcune cose".

Sognata e favolosa terra mia,

avrei voluto certo anch'io cantare,

come Rafael Pablo e Federico,

l'ombra assolata dell' Andalusia,

il Guadarrama con i suoi smeraldi

e gli occhi bruni delle tue ragazze.

Ma stanotte sui treni,

con passo di giaguaro, occhi di vento

ed il mantello d'ossido e di lamine,

saliva la Signora.

Non era ancora primavera e già

scoppiavano vermigli alle stazioni

fiori pulsanti di corallo e nichel

e per le strade, Pablo,

la porpora gridava come allora,

con voce soffocata di conchiglia.

Oh Federico, come per Ignacio,

è ferma l'ora a tutti gli orologi

e la c1essidra invano

scandisce, smemorata, il tempo dato

e tutto, tutto, tutto consumato!

Dov'è, Rafael, dov' è la tua colomba

e dove sono, amici, gl' incendiari

che appiccavano fuochi inestinguibili

di passione furore desiderio?

Voi che accendeste soli rutilanti

sulle terre di Spagna e sui suoi fiumi,

tornate a questo giorno senza voli,

agl'inesausti altari del dolore:

piange la Spagna e oggi, come ieri,

battono le campane di Madrid

alle porte abbrunate delle case.

Tornate, amici, qui le vostre cetre

struggenti e desolati hanno silenzi.

Che possa l'elegia mutarsi in canto

e che a fiorire tornino gli ulivi.


g Fiori di Beslan

Al-te  le  brac-cia  ma-ni  sul-la  te-sta!...

Giocano con i grandi, nella scuola,

a un gioco nuovo i bimbi di Beslan.

Viaggiatori già pronti alla partenza,

hanno zaini leggeri come piume

(bagagli lievi a favorire il volo)

con dentro scorte trepide di baci

di madri inquiete al tarlo dell'attesa.

- Al-te le brac-cia ma-ni sul-la te-sta

que-sti sol-da-ti gio-ca-no- con no-i!... ­

cómpita col sorriso la maestra

a seminare grani di coraggio.

Certo, fu troppo vero e duro il gioco,

Olga Dimitri Boris Katerina,

troppo profondo il cielo da scalare

(sospeso Golgota, irredento calice).

Ma voi, così splendenti come il sole,

sicuro sapevate cosa avviene

se si mescola il giallo con il rosso:

è un po' come succede nei tramonti,

coi raggi ad infiammare cieli e terre.

Ora le vostre bocche e gli occhi grandi

e il cuore sparso tra i quaderni e l'erba

(reliquie palpitanti, accese stelle

a splendere soltanto nella notte)

giocano al gioco antico del silenzio,

senza nemmeno più segrete intese

né sguardi con bagliori d'innocenza.

Carne tradita, figli della Terra,

fiori non corrisposti dalla luce!

Che voi possiate risanare il sangue

e insieme ai cari, trapassati inermi

(barriera vana intorno ai vostri sogni),

dimenticare i mostri e il sortilegio,

vincere il buio e rifiorire altrove.


g Niños de rua

                         ai "ragazzi di strada" del Brasile

Niños de rua

(giorni e sorrisi strappati

al buio ed al silenzio,

soffio misterioso della vita)

niños de rua rubano il sole, a Rio,

in Avenida Presidente Vargas.

Niños de rua,

argento vivo corrono giocano,

come gli altri niños ridono perfino,

solo a volte un poco tristemente.

Niños de rua

imprendibili folletti

intralciano giardini e plazas,

corrompono la vista di Rio

meravigliosa.

Ma questa notte

il piede dei soldati batterà le strade

e all'alba splenderanno indenni

nette avenidas e superbe aiole

(concimate col sangue dei bambini,

concimate col sangue caldo dei bambini!...).

Ah! niños de rua,

carne senza memoria,

grido inascoltato della terra!

Io non sono che un poeta

e altro non ho per voi che le parole:

ora che la notte è più profonda

(più non vi duole il cuore né brucia la ferita)

venite invisibili a percorrere,

immemore e leggero il passo,

le strade della Terra.

Entrate nella nostra vita

(ignoti vi sono il rancore e la vendetta)

e insieme agli altri niños senza nome,

dolcemente e per sempre

(per sempre)

conquistate il mondo.


g Ulivi di Babilonia

Se il vento si fa voce della Terra

(memoria mutilata d'Hiroshima

è il Tempo, immobile nella clessidra)

Se il vento si fa voce ammutolita

del tempio profanato della carne

(sale azzurrino il fumo dai camini

oggi, nell'aria immemore, a Dachau,

ma incerta ancora è l'anima del legno)

Se il vento si fa voce d'ogni pietra,

cuore sepolto di città cadute

(bruciano torri a Gerico e New York)

Se il vento si fa voce dei bambini

che scalarono i cieli di Beslan

palpitanti coriandoli di cuori...

Se il vento si fa voce d'ogni grido

e cerca approdi e scampo dai naufragi

fatti orecchio di Dio,

                                    caldo arenile:

c'è da piantare ulivi a Babilonia,

c'è da crescere il grano e da scrostare

ossido e pece dalle vie del cuore.

C'è da spegnere incendi e risarcire,

con occhi nuovi, indenni dal dolore,

la porpora redenta della rosa.


g Naufrago alla deriva

                               alla Cometa di Hale-Bopp

Cometa gentile,

esploratrice del Cosmo,

messaggera di Mondi ignoti,

tu lo conosci il Fuoco

che avvampa gli Universi

e incenerisce le ombre

degli abissi

dove la Luce redime cieli

e accende nuove Stelle

con le sue dita azzurre e adamantine.

Cometa gentile,

freccia d'argento

sfuggita alla faretra

degli Astri addormentati

(scintilla zampillata alla fucina

dell' Armonioso Fabbro?)

tu certo ricordi

la profondità del buio

e il dolore dei Mondi

al crepuscolo dei Soli.

Dacci allora

un po' della tua luce

e non lasciare inascoltato

il grido della nostra notte.

Segna perciò,

ti prego,

il piccolo punto della Terra

sulla mappa

delle tue segrete rotte

e annota:

naufrago alla deriva

nel cielo della Via Lattea.

Ché al tuo ritorno,

dalla capitaneria della tua galassia,

salpi qualcuno che venga

a traghettarci in salvo.


g

PARTE SECONDA
Metamorphosis

 

 

precedente successiva