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 A proposito del referendum

Fede e Stato
Documenti a confronto
,

«Vita sociale» 31 (1974) 105-110; 267-70.

 

Introduzione,
firmata dalla Redazione di «Vita sociale» (penna di Armando Verde OP?)

1 modelli statuali 4 intervento dei lettori: Valentino Ferrari OP [† 26.VIII.2012]
2 diritto familiare 5 risposta
3 libertà religiosa (Vaticano II) ë  
       

Non c'è dubbio che la questione che sta al fondo del referendum popolare per l'abrogazione o il mantenimento della legge che ha introdotto [1970] il divorzio in Italia più che in termini di indissolubilità o solubilità dell'istituto matrimoniale, è in termini di rapporto tra Stato e Chiesa: la legislazione di uno Stato dev'essere tanto ampia e della stessa qualità di quella che una Chiesa dà a se stessa facendola derivare dal proprio orizzonte di valori, e, nel caso della Chiesa Cattolica, dalla propria fede?

Nessuna meraviglia che tale problema sia presente e si faccia acuto a proposito dell'istituto matrimoniale. Questo, nella sua natura, è un fatto di amore e, come tale, imperituro. Ma è anche un fatto sociale e, perché tale, regolabile secondo il contesto sociale in cui si situa, sia sul piano civile che su quello delle istituzioni religioso-culturali. Per questo motivo la società civile come la società religiosa intendono regolare un fatto così fondamentale per la propria costituzione e per la propria crescita.

E' così che uno stesso fatto possa essere visto in uno stesso modo se la società civile e quella religiosa s'identificano; ma se queste due si diversificano, e non soltanto sul piano giuridico, ma anche sul piano della cultura e dei valori, non viene più visto allo stesso modo; da qui deriva una diversa legislazione. Se invece si vuole continuare a mantenere un'unica legislazione per uno stesso fatto, che è visto e vissuto su piani completamente diversi, si verifica un conflitto, che suona appunto conflitto tra Stato e Chiesa. Il nostro redattore ha messo a raffronto alcuni testi, che sono espressione della storia delle fasi attraverso cui quel conflitto è sorto, si è andato sviluppando e si va risolvendo, oltre a proiettare lo stesso conflitto nel più ampio rapporto delle diverse religioni tra loro. Le affermazioni conciliari che chiudono il raffronto dei testi indicano la strada che dev'essere seguita affinché la Chiesa possa continuare ad assolvere, a livelli più alti e più profondi, la sua missione educatrice: è solo in quella prospettiva di rispetto della diversità che la sua voce di fede può ancora risuonare ed essere udita.

Si deve dire però, che se la «dichiarazione sulla libertà religiosa» del 7-XIl-1965 ha costituito uno dei punti più salienti e più ispirati del Concilio Vaticano II, essa non è stata la formulazione di una prassi universalmente vigente nell'ambito della Chiesa Cattolica, ma si è posta come punto di riferimento e come valore da raggiungere dall'intero suo corpo. A distanza di nove anni conserva ancora questa caratteristica profetica: molti strati della Chiesa Cattolica, soprattutto in Italia, sono rimasti lontano da quella prospettiva. Questo è il motivo per cui il referendum per l'abrogazione della legge Fortuna-Baslini [legge approvata dalla Camera il 1°.XII.1970] che poteva essere per la Chiesa Cattolica Italiana un momento qualificante di predicazione di fede, anche nel senso specifico della propria visione dell'istituto matrimoniale, si sia trasformato per molti settori cattolici in un'occasione dimostrativa della propria forza numerica. E' chiaro, però, che la strada caratteristica della Chiesa Cattolica nel suo insieme è quella espressa dalla «dichiarazione sulla libertà religiosa».

La Redazione


<1. Modelli statuali>

Dalla «Unam Sanctam» di papa Bonifacio VIII (1302)

«La Chiesa è un sol corpo con un sol capo - non due, quasi fosse un mostro - e cioè Cristo, e Pietro suo vicario, ed il successore di Pietro…

Il potere (potestas) è esercitato da due spade, la spirituale e la temporale. Questa per la Chiesa, quella dalla Chiesa. La spada spirituale nella mano del sacerdote, la temporale in quella dei re e soldati, ma usata a beneplacito (ad nutum et patientiam) del sacerdote. È necessario infatti che una spada sia sottomessa all’altra e l’autorità temporale a quella spirituale (...).

Se il potere terreno devìa cade sotto il giudizio di quello spirituale; se devìa il potere spirituale di grado inferiore cade sotto il giudizio del superiore; se poi devia la massima autorità questa è sottoposta al giudizio di Dio e di nessun altro» (testo orig. lat., Corpus Iuris Canon., ed. Friedberg II, 1245-46).

Concilio Ecumenico di Vienne (1311-1312)

Decreto n. 25: «È un’offesa al nome di Dio ed un insulto (opprobrium) alla fede cristiana il fatto che in regioni soggette a prìncipi cristiani dove saraceni (= musulmani) vivono ora isolati ora frammisti ai cristiani, i loro sacerdoti (sic), in determinate ore del giorno, nei loro templi o moschee (mesquitis) in cui i saraceni si radunano per adorare il falso Maometto (adorent perfidum Machometum), invochino e proclamino ad alta voce il nome di Maometto e facciano pubblica professione di fede in lui... Poiché cose siffatte sono d’offesa alla maestà divina e quindi da non tollerare, noi, con l’approvazione del Santo Concilio, strettamente proibiamo che si ripetano tali cose in terre cristiane (in terris christianorum), e ordiniamo a ciascuno e a tutti i prìncipi cristiani, sotto la cui giurisdizione sono detti saraceni e dette pratiche hanno luogo, che essi, quali veri cattolici e zelanti promotori della fede cristiana (christianae fidei seduli zelatores), in considerazione dell’ignominia (opprobrium) che ricade non solo su loro ma altresì sugli altri cristiani, rimuovano tale disonore dai loro territori... e proibiscano espressamente (inhibendo expresse) che la suddetta pubblica professione dei sacrilego Maometto (ipsius sacrilegi Machometi) abbia in alcun modo luogo per l’avvenire...» (testo orig lat., Conciliorum Oecumenicorum Decreta, Bologna 1973, 380).

Costituzione della Repubblica Italiana (1 gennaio 1948), art. 7

«Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale».

Patti Lateranensi (11 febbraio 1929)

I - Trattato fra la S. Sede e l’Italia. art. 1: «L’Italia riconosce e riafferma il principio consacrato nell’articolo... pel quale la religione cattolica apostolica e romana è la sola religione dello Stato». Art. 23 § 2: «Avranno senz’altro piena efficacia giuridica anche a tutti gli effetti civili, in Italia le sentenze ed i provvedimenti emanati da autorità ecclesiastiche ed ufficialmente comunicati alle autorità civili, circa persone ecclesiastiche o religiose e concernenti materie spirituali o disciplinari».

II -  Convenzione finanziaria.

III -  Concordato per regolare le condizioni della Religione e della chiesa in Italia.

Art. 3: «I chierici ordinati “in sacris” ed i religiosi, che hanno emesso i voti, sono esenti dal servizio militare, salvo il caso di mobilitazione generale...». Art. 5: «In ogni caso i sacerdoti apostati o irretiti da censura non potranno essere assunti né conservati in un insegnamento, in un ufficio od in un impiego, nei quali siano a contatto immediato col pubblico». Art. 17, 18, 23, 26, 30: benefici, mense e congrue agli enti diocesani e parrocchiali. Art. 34: «Lo Stato italiano, volendo ridonare all’istituto del matrimonio, che è base della famiglia, dignità conforme alle tradizioni cattoliche del suo popolo, riconosce al sacramento del matrimonio, disciplinato dal diritto canonico, gli effetti civili... Le cause concernenti la nullità del matrimonio e la dispensa del matrimonio rato e non consumato sono riservate alla competenza dei tribunali e dei dicasteri ecclesiastici». Art. 36: «L’Italia... consente che l’insegnamento religioso (secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica) ora impartito nelle scuole pubbliche elementari abbia un ulteriore sviluppo nelle scuole medie, secondo programmi da stabilirsi d’accordo tra la Santa Sede e lo Stato» (da G. MIGLIORI, Codice concordatario, Milano 1959).

Dalla relazione del capo del governo al parlamento, 27 maggio 1929

«Essendo la quasi totalità del popolo italiano cattolica, essendo il cattolicesimo gloria e tradizione antichissima italiana, lo Stato, che nella Nazione italiana è l’organizzazione giuridica, rappresentante del suo spirito ed erede delle sue tradizioni, non è e non può essere che cattolico» (ib., op. cit., p. 51).

Costituzione della Repubblica Islamica del Pakistan (10-12 aprile 1973)

Dal preambolo: La sovranità sull’Universo intero appartiene solo all’Onnipotente Iddio (Almighty Allah). Il popolo del Pakistan, entro i limiti fissati da Dio, intende stabilire un ordine «in cui i musulmani possano dirigere la loro vita, nella sfera individuale e colletiva, secondo gl’insegnamenti e le esigenze dell’Islam come stabilito nel Corano e nella Sunna» (...). Ora perciò,... «fedeli alla dichiarazione del Fondatore del Pakistan, Muhammad Ali Jinnah, che il Pak. debba essere uno Stato democratico basato sui princìpi islamici della giustizia sociale (...) noi ci diamo questa Costituzione».

Art. 1: «Il Pakistan sarà una Repubblica Federale col nome di Repubblica Islamica del Pakistan…».

Art. 2: «L’Islam sarà la religione di stato del Pakistan».

Art. 19: «Ogni cittadino ha il diritto alla libertà di parola e di espressione; ci sarà altresì libertà di stampa; libertà soggette a ragionevoli restrizioni imposte dalla legge ad interesse della gloria dell’Islam...».

Art. 20: «Soggetto alla legge, all’ordine pubblico e morale, a) ogni cittadino ha il diritto di professare, praticare e propagare la propria religione; e b) ogni denominazione religiosa e setta ha il diritto di creare, mantenere e gestire proprie istituzioni religiose».

Art. 26 (1): «Quanto all’accesso a posti e cariche pubbliche, non intesi a scopo espressamente religioso, bon ci sarà alcuna discriminazione tra cittadini a motivo della razza, religione, casta, sesso, residenza o luogo di nascita».

Art. 31: «Saranno presi provvedimenti a che i musulmani del Pakistan ordinino, individualmente e collettivamente, la loro vita in conformità ai principi fondamentali dell’Islam ... Per quanto riguarda i musulmani del Pak. lo Stato procurerà: a) di rendere obbligatorio l’insegnamento del Santo Corano e della religione musulmana (Islamiat), d’incoraggiare e facilitare l’insegnamento della lingua araba e l’accurata pubblicazione del Santo Corano: b) di promuovere l’unità e l’osservanza dell’etica islamica; c) di determinare una corretta organizzazione della zakat [dècima a favore dei poveri, prevista dalla legge religiosa islamica], auqaf [donazioni pie] e moschee.

Art. 36: «Lo Stato garantisce i legittimi diritti ed interessi delle minoranze... ».

Art. 37: «Lo Stato( ... ) proibisce la consumazione di bevande alcooliche [interdette dalla sharî’a o legge religiosa islamica] eccetto a scopo medicinale e, in caso di non-musulmani, a scopo religioso».

Art. 41 (2): «Una persona non può concorrere alla carica di Presidente (della Repubblica) a meno che non sia musulmano, di età non inferiore ai 40 e membro dell’Assemblea Nazionale». [Anche il Primo Ministro dev’essere di confessione islamica: art. 91, 2].

Parte IX: Provvidenze islamiche (aa. 227-231; riassumiamo)

Art. 227: Tutte le leggi devono essere conformi o comunque non ripugnanti al Corano e alla Sunna. Quanto sopra, non riguarda la legislazione dello statuto personale dei cittadini non-musulmani.

Art. 228: Costituzione d’un Consiglio dell’Ideologia Islamica (Council of Islamic Ideology)

Art. 2.30: Compiti del Consiglio Islamico: a) proporre suggerimenti (recommendations) al Parlamento ed Assemblee provinciali per quanto detto nel Preambolo e nell’art. 31 (vedi sopra); b) pronunciarsi, quando consultato dal Legislativo, circa la conformità o non di una legge alle ingiunzioni dell’Islam; c) proporre la revisione nel senso suddetto di leggi esistenti. (Testo orig. in inglese: Printing Corporation of Pakistan Press, Krachi 1973).

<2.> Diritto familiare nei paesi musulmani

Il diritto di famiglia nella legislazione islamica classica (fiqh) e negli Stati moderni a maggioranza musulmana è islamico per i cittadini musulmani, segue il codice familiare delle rispettive confessioni religiose per i cittadini non-musulmani. Solo la Turchia (codice del 1925) e la Tunisia (codice del 1957 e successivi interventi legislativi) hanno deconfessionalizzato, e quindi unificato, il diritto di famiglia sottraendolo ai tribunali religiosi e applicandolo a tutti i «cittadini» di qualsivoglia religione. Il Libano è il caso classico di questo tipo di legislazione tollerante in chiave multiconfessionale. Vi sono sanciti ed applicati una ventina di codici di diritto familiare secondo le confessioni o sette religiose rappresentate nel paese. E, si noti, altrettanti sono i tribunali religiosi competenti. Cinque statuti familiari per i musulmani: sunniti, sciiti, alawiti, ismaeliti e drusi; undici per i cristiani (legge del 2 aprile 1951): maroniti, greci ortodossi, melchiti greci cattolici, armeni gregoriani ortodossi, armeni cattolici, siriani ortodossi, siriani cattolici, assiri caldei nestoriani, caldei, latini, protestanti; uno per gli ebrei.

E quanto al «non-credente», o credente che non intende aggregarsi ad alcuna confessione religiosa? Costui non «esiste» giuridicamente. Deve, in ogni caso, simulare una fede religiosa pubblicamente riconosciuta perché il suo matrimonio sia regolato dal diritto. (Cfr. J. Schacht, An introduction to Islamic Law, Oxford 1964; M. Borrmans, Statut personnel et Famille au Maghreb de 1940 à nos jours, Univ. Lille 1972).

<3.> Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-65)

Dichiarazione sulla libertà religiosa (7 dicembre 1965), n. 2: «Questo Concilio Vaticano dichiara che la persona umana ha diritto alla libertà religiosa. Questa libertà consiste in ciò, che tutti gli uomini devono essere immuni da coercizione da parte sia dei singoli individui, sia di gruppi sociali e di qualsivoglia potestà umana, e in modo tale, che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza. Inoltre dichiara che il diritto alla libertà religiosa si fonda realmente sulla stessa dignità della persona umana, quale si conosce sia per mezzo della parola di Dio rivelata che tramite la stessa ragione. Questo diritto della persona umana deve essere riconosciuto e sancito come diritto civile nell’ordinamento giuridico della società». «Il diritto a questa immunità perdura anche in coloro che non soddisfano all’obbligo di cercare la verità e di aderire ad essa; e il suo esercizio, qualora sia rispettato l’ordine pubblico informato a giustizia, non può essere impedito» (ib.).

«Quindi la potestà civile... deve certamente rispettare e favorire la vita religiosa dei cittadini, ma evade dal campo della sua competenza se presume di dirigere o di impedire gli atti religiosi» (n. 3).

Decreto sull’apostolato dei laici (18 novembre 1965), n. 7: «Ai laici tocca assumere la instaurazione dell’ordine temporale come compito proprio... ; come cittadini cooperare con gli altri cittadini secondo la specifica competenza e sotto la propria responsabilità...».

Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane (28 ottobre 1965), n. 3: «La Chiesa guarda con stima i Musulmani... Se, nel corso dei secoli, non pochi dissensi ed inimicizie sono sorti tra Cristiani e Musulmani, il Sacro Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e a esercitare sinceramente la mutua comprensione...». 


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