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Due mamme e un Rosario,
 «Il Rosario» genn. 1960, pp. 13-15.

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ASMN  I.C.102 A 77r Sanctificamini (resp. in vig. Nativ. Dni)Villa S. Sebastiano: un paese adagiato sui dislivelli marsicani a pochi chilometri da Tagliacozzo ed Avezzano, la bella cittadina abruzzese. Il 24 agosto del 1936 nella chiesa del paesello marsicano si svolgeva un'insolita cerimonia: la pubblica abiura del protestantesimo di un ministro wesleyano. La chiesa era ornata a festa. Anche la popolazione era tutta in festa nell’accogliere nella Casa comune colui che aveva, nello stesso paese, esercitato il ministero protestante.

In chiesa l'ex-ministro wesleyano, Carlo Zardi, sale i gradini dell'altare (il cuore gli martella in petto per l'emozione) e davanti al Vescovo dei Marsi e ai numerosissimi fedeli legge la ritrattazione degli errori protestanti. In fondo alla chiesa, con la corona del Rosario tra le mani, la madre dello Zardi piange della gioia calma e profonda di chi per armi e anni ha atteso questo istante; e fra quelle lagrime la vecchia madre ritorna col pensiero agli anni innocenti del suo Carlo, agli anni turbinosi, agli anni di sviamento e di adesione alla Chiesa di Wesley, agli armi di pastorato protestante. E lei, sempre fedele, sempre vicina, col cuore stretto dall'angoscia per l’aberrazione del figlio, ma con la ferma fiducia che, anche dopo lunga attesa, l'avrebbe ricondotto all'ovile: la santa pertinacia di chi vuol salvare, costi quel che costi! Del resto, la signora Zardi non era sola a vivere per il ravvedimento del figlio: si era associata alla Madre celeste, e lo stesso Zardi confessò più tardi la profondissima devozione della madre per la Madonna e la sua fedeltà alla recita del Rosario e alle altre pratiche mariane. DalI’unione del cuore della mamma terrena con quello della Mamma celeste si sprigionò una misteriosa forza che perseguitò, in un processo lento e continuo, l'anima dell'apostolo. Ecco una confessione dello Zardi: «L'incontro di due cuori mi ha fatto risorgere dalla morte e innestare, come tralcio alla vite, nel mistico Corpo».

Carlo Zardi era nato da una benestante famiglia ferrarese e, anche nei periodi più travagliati e più penosi della sua vita, conservò sempre il ricordo della santità del suo focolare domestico, benedetto nella pietà e nella fede della mamma. Il babbo, invece, era l'esponente del mangiapretismo del tempo.

A quattordici anni Carlo fu mandato, da solo, a Reggio Emilia presso una grande azienda di suo zio. Qui, ormai senza più freni, fu travolto dai primi bollori giovanili e precipitò nei borri vergognosi del libertinaggio dei suburbi. Ben presto però ne ebbe fin in gola degli stravizi cittadini, e un giorno fu colpito dalla lettura della parabola del figliol prodigo. Ne seguì una profonda crisi religiosa e i primi contatti con dei protestanti wesleyani. Costoro, i meno settari e i meno antiromani fra tutti i protestanti, attirarono alla loro chiesa il giovane Carlo. Dopo quattro anni di studi teologici a Roma, fu promosso pastore.

A nulla valsero le preghiere e le lagrime della madre desolata. Carlo, che si era getta to nella nuova vita col trasporto e la sincerità di un rigenerato, non diede peso ai richiami della madre e partì per le prime esperíenze pestorali nella Valsesia. La signora Zardi non perde tempo: nuova Monica, fa le valige e raggiunge il figlio a Domodossola. Vive così al fianco del figlio immerso nell'attività protestante. Non gli rivolge un rimprovero, non esige una chiarificazíone, non esercita alcuna pressione: gli sta vicino, lo serve come sempre, come se nulla fosse cambiato, lo avvolge del suo amore santificatore e redentore. Anche Carlo le usa la stessa liberalità, nonostante le critiche dei suoi parrocchiani: ella può frequentare liberamente la chiesa cattolica. In casa, quando è libera dalle faccende domestiche, si ritira in camera e s’inginocchia dinanzi all’immagine della Vergine scorrendo i grani della corona. La sera, quando il figlio si è coricato, entra piano piano nella stanza, lo bacia in fronte, come quando era bambino, e gli fa il segno della Croce...

Ma il sogno di Carlo, di una vera evangelizzazione fra i protestanti, svanisce ben presto (  .  .  .  ).

L'anima di Carlo viene scossa da tante miserie e il suo cuore è di nuovo tempestato dal dubbio. Si sottrae alla vista degli uomini e vaga solitario e meditabondo in lunghe passeggiate. Una sera di un rosso crepuscolo estivo segue con gli occhi, dal Santuario di S. Caterina del Sasso, le meraviglie del Lago Maggiore: la Stresa, l'isola Bella, l'isola Superiore, l'isola Madre... A un tratto, in una misteriosa fusione di vero e di sogno, «scorgo sul Mottarone (è lui che racconta) una grande Croce, e Gesù, quello che io stesso ho crocifisso con i miei peccati... Ai lati del Figlio dell'uorno ci sono due ladroni. Ai piedi, un solo uomo, Giovanni: poi uno stuolo di donne... La Madre Dolorosa, pur vicina al Figlio agonizzante, sembra gnardarmi... Ma che vedo? che sento? Non vedo più la Madonna, ma al suo posto mi sembra di intravedere mia madre che dopo tanto tempo ritorna a me, condotta dalla Vergine, per additarmi la via della salvezza...».

Ha così la netta sensazione dell’assistenza di due mamme unite in un sol cuore.

In tali condizioni di spirito viene mandato nel 1933 a Vintebbio Sesia e, poco dopo, a Villa S. Sebastiano, baluardo del protestantesimo italiano. Ma qui, il fanatismo dei proseliti e il settarismo dei pastori danno il colpo di grazia alle sue incertezze e finiscono per ricondurlo alla casa del Padre.

Ora, dall'altare della chiesa cattolica di Villa S. Sebastiano, professa la sua fede nella Chiesa di Roma, legittima depositaria del Vangelo; rigetta le aberrazioni protestanti e proclama apertamente la sua venerazione e la sua riconoscenza alla Vergine Santissima... Lo sguardo gli corre istintivamente in fondo alla chiesa e si posa sulla sua vecchia madre che gli sorride con gli occhi gonfi mentre le mani stringono la corona del Rosario...

«Era deciso che io giungessi a Lui per mezzo di sua Madre, la Vergine SS.».


 

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Betania: Marta e Maria,
 «Il Rosario»  marzo 1960, 45-46, 49.

Predicare è sempre difficile. Ma predicare nell'aria greve di uno stanzone carcerario a delle detenute, seme e frutto di corruzione, e cosa che supererebbe le risorse oratorie di qualsiasi predicatore, se lo Spirito di Dio non lo investisse della Sua potenza. E P. Lataste Lo sentì in modo irresistibile lo Spirito di Dio quando predicò, la prima volta, alle detenute del carcere di Cadillac.

Era una fresca mattinata settembrina del 1864. Il Direttore del carcere aveva permesso il ritiro spirituale alle detenute, ma a condizione che il tempo delle prediche si togliesse alle ore del sonno. Tale premessa non era proprio fatta per incoraggiare un predicatore alle prime armi e P. Lataste quando entrò nell'interno buio e opprimente del carcere sentì una stretta al cuore e disperò del risultato dei ritiro. Erano le quattro dei mattino. In uno stanzone umido e disodorno stavano addossate circa trecento detenute. Vestivano un saccone grigio di stoffa grossolana e portavano in testa, stretto alle tempia, un panno rozzo e incolore. P. Lataste ebbe (lo raccontò egli stesso) un istintivo moto di ripugnanza. Ma fu solo un istante. Sentì in sé l'aiuto di Dio e cominciò a parlare.

«Mie care sorelle, tra di noi possiamo dirci la verità; siamo come in famiglia: voi siete povere donne... al bando della società. Se, uscite di qui, si sapesse di dove provenite sareste segnate a dito, tutti diffiderebbero di voi... lo, ministro di Dio, consacrato al servizio dei Suoi altari, senza attendere la vostra chiamata e tendendovi la mano, vi chiamo mie buone, mie povere, mie care sorelle... Sono ministro di un Dio che, malgrado le vostre colpe, vi ama di un amore senza pari quaggiù, di un Dio che vi insegue incessantamente col suo amore... Se sapeste quanto è buono questo Dio del Quale vi siete separate e che vi richiama a sé! Non conta aver peccato se si riesce a riconquistare la virtù...».

Il discorso fu più volte interrotto dai singhiozzi e dalle lagrime delle detenute. Il ghiaccio era rotto. La grazia di Dio si era fatta una breccia. E ritiro ebbe un risultato inaspettato: su trecentoquarantacinque detenute, trecencento si confessarono e comunicarono.

Ma in P. Lataste la gioia non durò a lungo. Un dubbio gli si era affacciato alla mente e gli aveva messo l'anima sossopra: «Ma... e quando saranno nel mondo, chi le riceverà? chi le accoglierà? Resteranno fedeli ai propositi di virtù, oppure la diffidenza e la corruzione del mondo le rigetteranno nella vita di prima senza possibilità, forse, di salvezza?...».

Le amava già quelle povere anime sviate e le voleva salve a ogni costo. Le aveva capite e nei loro occhi aveva scorto un lontano bisogno di grazia, un nostalgico risveglio di bontà, un assetato fondo di amore vero e di fiducia fraterna: un istinto di rigenerazione e di ressurrezione. Che importava se il popolino le bollava globalmente col ripugnante appellativo di «ladre»? Ladra, veramente, non era stata nessuna. Ma erano infanticide, erano adultere, erano concubine, erano prostitute... Che importa! Non era ancora detta l'ultima parola, e poi portavano in sé un misterioso seme divino che avrebbe potuto rigenerarle e farne altrettante Maddalene penitenti... Il mondo le disprezzava. Cristo le amava. Le amava come amò la peccatrice in casa di Simone, la Samaritana al pozzo di Giacobbe, la Maddalena nella casa di Betania... La casa di Betania, sì. Marta e Maria: la pura e la peccatrice, e Gesù che vi riposa...

Fu conte un lampo improvviso nella mente confusa del P. Lataste: perchè non fare altrettante case di Betania in cui la pura e la peccatrice, riunite misteriosamente nell'amore di Cristo, si diano la mano, si abbraccino, siano l'una per raltra oggetto di consacrazione e fonte di rigenerazione? La giustizia umana colpisce, non redime. Stronca, non rigenera. La benevolenza rincoraggia. Lamore rialza. La grazia fa risorgere. Eppoi (e il P. Lataste pensa ai criminali nascosti sotto la maschera della legalità), eppoi le detenute «perdonano, dunque hanno cessato di essere criminali!...». «Ecco Betania: da una parte le anime pure, dall'altra quelle riabilitate, e Gesù in mezzo a loro!...». 

Agosto 1866: sono trascorsi due anni dal ritiro alle recluse di Cadillac e sorge a Frasnes-le-Château, dopo inimmaginabili difficoltà, la prima casa di Betania: le detenute dimesse hanno un tetto, hanno delle sorelle, hanno il perdono di Dio e l'amore degli uomini.

Appena quattro anni dopo la fondazione della prima casa, il P. Lataste muore all'età di 37 anni! Ma il seme ormai era stato gettato e l'Opera di Betania si sviluppò come un albero dalle radici feconde.

Dove attinse il P. Lataste la santità della vita e l'amore per le detenute?

A ventun anni, prima d'entrare in convento, scrive il testamento spirituale come atto di «irrevocabile donazione a Gesù per Maria». Ecco il segreto della sua vita. Nel testamento leggiamo: «Mi rimetto nelle vostre mani, o Vergine Immacolata, a vostra libera e totale disposizione. Consacro a Voi, e per mezzo Vostro a Gesù, la mia intelligenza, la mia memoria, la mia volontà, tutte le mie speranze, tutti i miei desideri, tutti i miei affetti... Eccomi dunque, o Maria, Vostro schiavo d'amore; eccomi ai Vostri piedi non avendo nesun altro rifugio che Voi!». La devozione e la consacrazione a Maria è vita. Ama una ragazza. I suoi rupporti con la fidanzata sono stabiliti sul piano dell'amore divino e, come segno sensibile, le offre una statuetta della Vergine. Ma la fidanzata muore e il giovane Lataste sente in sé, frammezzato al dolore della grave perdita, uno stimolo a qualcosa di più alto. A venticinque anni veste l'abito domenicano nel noviziato di Flavigny. La vita religiosa fu vita di consacrazione a Gesù per Maria, per la sua santificazione e per la salvezza delle anime più lontane da Dio. Gli tornavano alla mente le parole scritte, quasi profeticamente, cinque anni prima. «O Madre buona, Vergine Immacolata, vi offro il frutto di tutte le mie azioni e di tutte le mie preghierie a favore delle anime che Voi amate, sopratutto delle più povere, delle più tentate, delle più abbandonate, delle più afflitte».

E la Madonna lo condusse veramente a Gesù. L'amore di Maria si risolse nell'amore di Gesù. La Madre scomparve per lasciare posto al Figlio: è la missione di ogni madre. Sul letto di morte il P. Lataste fece una confessione che potrebbe sembrare strana se non corrispondesse alla misteriosa e umile opera di Maria: «Per l'innanzi avevo una devozione filiale per la Vergine SS.; mi rimettevo nelle Sue mani, assolutamente. A poco a poco questa devozione fu dominata da un'altra più radiosa e più feconda: l'amore di nostro Signore riempì la mia anima. Ora, tutto si è dileguato davanti ad un unico pensiero che assorbe la mia anima e che le s'impone con forza; il pensiero di Dio, di Dio solo... La mia anima si porta unicamente verso Dio per un atto di amore continuo...».

Fu questo amore, generato e nutrito da Maria, cresciuto e fruttificato in Cristo, che illuminò la vita del P. Lataste e lo ispirò nella meravigliosa Opera delle riabilitate di Betania:

«Penitenti o immacolate, nella bilancia divina ciò che vale è il peso del loro amore!...».


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