Nel 1864 un viaggio da Strasburgo (Alsazia) ad Annennkovo (governatorato di Simbirsk) non era proprio fatto per sollazzo dello spirito inquieto dei turisti. Erano tremila chilometri di strada ferrata e le ansimanti vaporiere del secolo scorso li coprivano con la poco incoraggiante corsa di sei settimane. E in realtà Sofia non aveva affrontato quel massacrante viaggio per soddisfare alle velleità dei giramondo.
Alla stazione di Strasburgo, con uno schianto al cuore aveva abbracciato, forse per l'ultima volta, la mamma e i fratelli minori. Era una ventenne alsaziana dalla rigogliosa capigliatura biondo-oro e dagli occhi grandi e melanconíci: vi si leggeva la precoce pensosità di chi è passato dalla fanciullezza alla maturità senza provare i brividi dei sogni iridescenti della giovinezza. Suo padre era morto lasciando la moglie e i figli nelle precarietà e nelle ristrettezze economiche. La vedova si era sentita d'un colpo sulle apalle tutto il peso dei figli ancora piccoli. Lavorò come poté, con tutte le sue forze, tirando sù, fra stento e sudore, i figli. Ma durò poco. Le forze non le bastarono a lungo, e la responsabilità della famiglia ricadde tutta su Sofia.
Ma nella Francia dell'800 il lavoro di una donna - anche per chi lavorasse a denti stretti - era male retribuito e allora lo sguardo si volge altrove, verso speranze appena intraviste, e l'anima si matura per grandi cose... Una dama russa - la signora Ivanoff - cerca un'istitutrice per i propri figli. Sofia si consulta, soppesa le difficoltà, coglie l'occasione, vince lo strazio del cuore per un allontanamento senza data e parte per la Russia.
È il dicembre del 1864. Fino a Varsavia il viaggio è sopportabile. Da Varsavia ad Annennkovo i treni sono senza corridoi e i viaggiatorì sono costretti a una penosa immobilità. L'inverno è inoltrato. La locomotiva sbuffa, resiste al fendineve, perde fiato nell'aria glaciale. Sui vetri si formano spessi strati di ghiaccio, il paesaggio è spaventoso; un'immensità desolata e bianca, dì un biancore che stringe il cuore. Solo piccoli abeti di un verde cupo e stormi di cornacchie.
Sofia si sente un groppo alla gola. Ma la notte le porta coraggio. Nell'oscurità si pone a sedere, solleva la coperta, trae dalla tasca la corona del Rosario e sente la pace e la speranza riaffiorarle nell'anima. In una di queste notti, tra il frastuono assordante delle rotaie e il mugghio pauroso della tormenta, la giovane fa la sua prima ora di guardia alla Madonna. Aveva ascoltato anni prima nella cattedrale di Strasburgo una predica sulla Vergine SS. e sul Rosario. Le parole infocate del predicatore - P. Chardon - avevano rivelato a Sofia meraviglie dell'anima: la Madonna, sua Madre e sua Protettrice; il Rosario, la preghiera più gradita a Maria. P. Chardon aveva illustrato la recita ininterrotta del Rosario condotto sui grani di una corona senza fine misteriosamente riunita: il Rosario Perpetuo. Sofia se ne innarnora; e s'era inserita, come un anello, nella celeste catena del Rosario Perpetuo. Le ore del giorno rassorbivano nel febbrile lavoro che garantiva il pane ai suoi; aveva scelto perciò tra le ore notturne la sua ora di guardia.
Ora in Russia, tra gente di altra fede, senza contatti con sacerdoti cattolici, senza sacramenti, senza assistenza religiosa, le rimane solo il Rosario. La sua fede è ormai affidata ai deboli graní di una corona.
Il dovere la tiene tutto il giorno impegnata. I bambini e la signora Ivanoff si sono affezionati a questa dolce figura di francese e ne ricercano la compagnia anche nelle sue ore di libertà.
Ma la notte si ritrova sola nella sua cameretta, accende le candele davanti alla statua della Vergine e cade in ginocchio con la corona tra le mani.
Nei pochi momenti liberi della giornata, scosta le tendine della finestra, spinge lo sguardo oltre la distesa intatta di neve e fissa le cupole verdi della chiesa ortodossa. Tagliata fuori dal mondo cattolico, la chiesa russa le ricorda la meravigliosa cattedrale di Strasburgo di cui conserva nel cuore l'eco delle navate in risposta alla parola del P. Chardon: «Il Rosario è qualcosa di grande, è Gesù e Maria presenti nel mondo in quindici misteri, e il susseguirsi di questi quindici misteri forma tutto il Cristianesimo...».
E veramente il Rosario fu per Sofia il compendio di tutta la sua fede: fu Bibbia nelle parole dell'Ave, fu Teologia nei misteri di Cristo, fu Sacramento nel profluvio di grazie... Di esso si nutrì l'anima della giovane nel suo lungo esilio: e il Rosario le insegnò a vivere, come Maria, la vita di vittima consacrata ai suoi cari che vivevano del suo lavoro a tremila chilometri di distanza, al di là di quell'immenso oceano di neve...
Cinquant'anni trascorse in Russia, Sofia.
Per cinquant'anni, nelle pallide notti glaciali, tremolarono, dietro i vetri di una finestra, due piccole lingue di fuoco dinanzi alla statua della Vergine. Per cinquant'anni, dall'una alle due di ogni primo giorno del mese, Sofia fu inappuntabilmente fedele al suo incontro notturno con Maria, aggiungeva un altro anello alla misteriosa catena del Rosario Perpetuo...
I misteri della
fede in Claudel, |
Tra due Magnificat è racchiusa la «vita» di Paul Claudel. Il primo fu quello che ascoltò la notte del 25 dicembre del 1886 a Nôtre-Dame dalle voci argentine dei chierichetti del Seminario Minore di St. Nicolas-du-Chardonnet. Claudel amerà sempre ricordare quella notte di grazia: «Credetti con una tal forza di adesione, con un tal sollevamento di tutto il mio essere, con una convinzione così potente, con una certezza tale...» che nulla scosse più il suo Credo.
Il secondo risonò sul suo feretro la mattina del 28 febbraio del 1955. Dopo il «Libera me, Domine» doveva seguire, secondo le prescrizioni liturgiche, il «De Profundis»; si sentirono invece le note del Magnificat. Un fremito percorse la folla; in un attimo tutti capirono. Non era che l'eco lontana (69 anni erano trascorsi) del primo Magnificat: il canto del Premio in risposta al canto della Grazia.
Paul Caude non era stato sempre credente. In giovinezza era rimasto abbacinato dal freddo lucore del razionaliamo e del positivismo. Ancora studente al Collegio Louis-le-Grand aveva ricevuto un premio e un bacio da Ernesto Renan, un bacio che più tardi gli brucerà come un contatto immondo. Nello stesso collegio si era imbevuto, con la solita sconsiderata acquiescenza dell'acriticismo dei giovani, delle dottrine di Taine, di Berthelot e di Kant.
La grazia di Dio e l'esperienza artistica lo ricondussero sulla breccia di Cristo. Rimbaud gli aveva comunicato i brividi del viandante di fronte aIla vacuità della realtà, alla labile maschera delle apparenze del mondo. Mallarmé gli aveva svelato i segreti dell'arte che trasfigura le parole in iridescenza di rubini radiali dal sole; il castello magico della poesia sorto dal chimismo dei misteri sconosciuti della Parola. Ma Claudel seppe intravedere la sconfitta di Mallarmé che aveva legato il volo alle sue «ali senza piume», e seppe caratterizzare il dramma dell'amico con l'espressione «catastrofe d'Igitur». Claudel aveva trovato la strada: fede e poesia. Chi vorrà scindere il poeta dal credente lo definirà, di conseguenza, o «gorilla cattolico» o «Eschilo da boulevard».
Tre amori occuparono, come uno solo, il cuore di Claudel: la penna, la Bibbia, la Madonna.
La sua produzione artistica è vastissima: prosa, liriche e drammì. La Bibbia gli fu spesso fonte d'ispiralzione poetica oltre che nutrimento di fede. Commentò Isaia, Ruth, l'Apocalisse, il Cantico dei Cantici. (Papini gli rimproverò di «raschiare la scabbia del prossímo con le scaglie del Sinai e con i cocci i Giobbe» invece d'addolcirla con gli unguenti e i balsami evangelici. L'accusa ha una parte dì vero, ma è quella stessa che si potrebbe rivolgere contro lo scrittore fiorentino).
Il terzo amore di Claudel: la Madonna. Oltre che occupare un posto notevolissimo nella sua vita, Maria è l'Ispiratrice di gran parte della produzione poetica di Claudel. Le dedicò lavori in prosa (La Rose et le Rosaire), ardenti liriche (La Vierge à midi) e numerose pagine di teatro. Vecchio, chiese un monumento in cui fosse rappresentato ai piedi della Vergine.
La vita e i misteri di Maria sono riassunti in una delle sue più felici creazioni artistiche, il dramma «L'annonce faite à Marie». I misteri dell'Annunziazione, dell'Incarnazione e della Natività sono il tema centrale, anche se nascosto, di questo dramma. La Madonna ne è, al fianco della meravigliosa figura di Violaine e velata sotto le sue spoglie, la con-protagonista.
Il dramma comincia, in un mattino d'estate, nel cortile di una fattoria francese, Combernon, «alla fine di un Medioevo convenzionale». Tra ì primi bagliorì di un'aurora di fuoco e i chiari rintocchi dell'Angelus, Violaine bacia un lebbroso, l'architetto Pietro di Craon. Vuol addolcire la misera esistenza di Pietro dividendo con lui, almeno per un istante, la sua gioia di fidanzata prossima alle nozze. Ma Violaine, nel suo fiat alla partecipazione del dolore di Pietro, rimane colpita dalla lebbra. Rinunzia alle nozze con Giacomo e si ritira nel bosco di Chevoche. Nell'isolamente e nell'abbandono dei lebbrosi matura in Violaine, come nel seno di Maria, il mistero del dolore e della redenzione.
Dopo otto anni il suo volto, su cui prima splendeva la bellezza di riflessi divini, è consumato dalla lebbra, ma l'anima esce più affinata dal grogiuolo del dolore. Una notte di Natale Violaine ospita nel suo lurido riascondiglio scavato tra le rocce, la sorella Mara che con i suoi oscuri maneggi è riuscita a sposare Giacomo. Mara ha con sé il corpicino ghiaccio della figlia Albina morta da alcune ore. Col grido in gola della disperazione chiede a Violaíne il míracolo della risurrezione. Suonano la campane di Natale. Mentre Mara legge le lezioni dell'Ufficio di Natale e gli angeli ne cantano i responsori, Violaine accoglie sotto i veli che coprono il suo corpo in disitruzione il cadavere di Albina e lo stringe al seno. Quando gli ultimi rintocchi lontani delle campane annunziano la nascita di un Bimbo, Violaine consegna a Mara il corpicino di Albina. Il miracolo della Vergine Madre è compiuto. «La mia piccina vive - grida Mara - Violaine! che vuol dir questo? I suoi occhi erano neri e ora sono azzurri come i tuoi. Ah! E questa goccia di latte sulle sue labbra?».
Una Vergine ha dato un Figlio al mondo, eppure non tutto è finito. C’è ancora il Calvario da montare e là, sulla cima, la Croce che si staglia sullo sfondo livído dei peccati del mondo...
Violaine, ormai cieca, viene condotta da una mano ben nota (della sorella Mara) in una cava di pietre. Si sente lo schianto di un puntello, il cígolìo di un carretto, e Violaine è schiacciata e sepolta sotto un carico dì rena. Ma il sacrificio della vittima genera sugli uomini grazie di vita nuova: Pietro di Craon guarisce dalla lebbra e riprende la costruzione delle meravigliose cattedrali; la Francia scaccia dal suo territorio i nemici; la Chiesa rínasce dallo scisma all'unità del legittimo Pastore. Anche le campane del monastero di Montevergine riprendono a suonare dopo lungo periodo di silenzio e di abbandono.
E appunto col suono dell'Angelus, come col suono dell'Angelus era cominciato, termina il dramma di Claudel. Le ultime battute, come le ultime note di una sinfonia, sembrano sollevare per un istante il velo del divino e illu<mi>nare più intensamente il tenue chiaroscuro del simbolismo: i misteri di Gesù s'intrecciano con i misteri di Maria.
«Vergos - L'Angelo squillante ancora una volta... dà l'annunzio usato. Pietro - Sì. Dio è nato! Vergos - Dio s'è fatto uomo! Giacomo - E' morto! Pietro - E' risuscitato!... Le tre note come un sacrificio ineffabile sono accolte nel seno de!la Vergine senza peccato».