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De subiecto theologie

Il soggetto della teologia

originale latino

volgarizzamento (2007) di EP

 <7. Deus est obiectum absolutissime et sue scientie et beatorum et nostre, ed. rr. 455- 506>

<7. Dio è oggetto massimamente assoluto sia della sua scienza che della scienza dei beati e della nostra>

Nos autem dicimus quod penitus eodem modo Deus est obiectum absolutissime et sue scientie et beatorum et nostre. Ad cuius evidentiam considerandum est quod scientia est quidam habitus cognitivus. Potest ergo diversificari scientia vel in quantum habitus vel in quantum cognitivus tantum. In quantum autem habitus, diversificatur ex diversitate obiecti; in quantum vero cognitivus, diversificatur ex diversa ratione luminis, quia lumen est ratio cognoscendi in omni cognitione tam sensitiva quam intellectiva, iuxta illud Philosophi, in II De anima, omnia que videntur in lumine videntur; et ad Eph. 5[,13] «Omnia que arguuntur a lumine manifestantur».

Nostra opinione è che Dio in quanto Dio è oggetto in senso assoluto sia della sua scienza che della scienza dei beati e della nostra. Illustriamo la cosa. La scienza è una certa attitudine conoscitiva. Può diversificarsi dunque, la scienza, o in quanto attitudine oppure soltanto in quanto conoscitiva. Nel primo caso, si diversifica a partire dalla differenza degli oggetti. In quanto conoscitiva, si diversifica a motivo della luce, essendo la luce la ragione d'ogni atto conoscitivo, sia sentivo che intellettivo, secondo l'adagio d'Aristotele, Dell'anima II, 7 (418b 2): tutto quanto vediamo, lo vediamo nella luce; ed Efesini 5,13 «Tutte le cose che vengono condannate sono svelate dalla luce».

Dicimus ergo quod scientia Dei, beatorum et nostra, est eadem ex parte illa qua habitus est propter ydemptitatem formalis obiecti, sed est alia et alia propter diversam rationem luminum, sicut verbi gratia aliquis actus moralis ex parte actus potest esse idem |94ra| specie propter idem obiectum formale, et ex parte qua moralis potest esse diversus specie propter diversitatem finis; sicut videre corpus Christi vel audire divinum officium in ecclesia, licet ex parte actus utrumque sit idem in specie propter idem obiectum formale scilicet colorem et sonum, tamen ex parte qua moralis potest recipere diversitatem utrumque eorum, puta si hoc fiat propter devotionem vel fiat propter aliquem malum finem, silicet propter cupiditatem lucri sicut facit avarus, vel propter vanam gloriam sicut facit ypocrita.

Diciamo dunque che la scienza di Dio, dei beati e nostra, è medesima in quanto attitudine a motivo dell'identità dell'oggetto formale; è invece altra e altra in rapporto alla qualità della luce. Esempio: un atto morale in quanto atto può appartenere alla medesima |94ra| specie a causa del medesimo oggetto formale, mentre in quanto atto morale può essere di specie diversa a causa della diversità del fine. Così vedere il corpo di Cristo o udire il divino uffizio in chiesa, sono sì identici per specie a motivo del medesimo oggetto formale quale colore e suono, tuttavia per qualità morale possono entrambi diversificarsi: se uno lo fa per devozione, oppure per un fine biasimevole, quale smania di denaro come fa l'avaro o vanagloria come fa l'ipocrita.

Nec hoc dico quasi in Deo sit aliquis habitus, quia sicut est sine qualitate bonus  -  secundum Augustinum  -  ita est sine habitu sciens; sed quia si consideretur per modum cuiusdam habitus inherentis, sicut dicimus quod non habet diversitatem in specie ab eo cui inheret[1].

E non intendo asserire che in Dio vi sia abito o attitudine, perché come egli è buono senza qualità accidentale - a detta di Agostino -  parimenti è onniscente senza abito o attitudine; lo dico invece in linguaggio ipotetico, ossia quando l'abito lo si considerasse simile ad una attitudine inerente, così come diciamo che non ha diversità specifica da colui cui inerisce.

<8. in theologia Deus absolutissime sumptus est subiectum, ed. rr. 483-506>

<8. in teologia Dio è soggetto in senso massimamente assoluto, ossia senza specificazione alcuna >

Hoc etiam addendum est quod Deus et beati non habent scientiam de Deo secundum quod nos loquimur de scientia, prout scilicet est quidam habitus quo discurritur de principiis in conclusiones. Et ideo dicimus quod in theologia, que est prima scientia simpliciter eo modo quo nos loquimur de scientia, primum idest Deus absolutissime sumptus est subiectum, quia sine omni additione specialis rationis quantum est ex parte obiecti; sed additiones que sunt ibi, sunt ex parte modi cognoscendi, puta quia Deus scit se infinite, et illum eundem Deum beatus scit finite sed clare, et illum eundem scit theologus finite et obscure.

Aggiungiamo. Dio e i beati non posseggono la scienza di Dio secondo il nostro significato di scienza, ossia attitudine conoscitiva che procede dai princìpi verso le conslusioni. Per questo motivo asseriamo che in teologia, prima scienza in sé così come noi l'intendiamo, soggetto primo senza specificazione alcuna è Dio, ovvero senza giunta specificativa d'una qualsiasi qualità da parte dell'oggetto. Eventuali addizioni e specificazioni possono provenire da parte del modo di conoscere:  Dio conosce sé stesso senza limiti; i beati conoscono il medesimo Dio limitatamente ma con chiarezza; il teologo lo conosce in modo finito e oscuro.

Et sic quod dicitur ‘creditum’ et ‘scitum’ non sunt conditiones addite subiecto sed sunt conditiones diverse ex parte modi cognoscendi. Et per hoc patet responsio ad id quod dicebatur de secundo illorum principio[2] et etiam ad id quod dicebatur de eorum positione, quia «ens divinum» non est aliud quam Deus essentialiter; et quod additur «cognoscibile per inspirationem»[3], non additur ut pars subiecti sed ex parte modi cognoscendi. Et ideo ne reputaretur esse pars subiecti, melius fuit dicere quod Deus sine omni additione[4] est subiectum in theologia, sicut secundo dictum est.

Di conseguenza, "creduto" e "conosciuto" non sono condizioni sopraggiunte al soggetto, bensì condizioni differenti dovute al modo di conoscere. E rispondiamo così a quanto si diceva del loro secondo principio, nonché a quanto si diceva della loro posizione, perché l'essere divino non è altro che Dio nella sua essenza; e "conoscibile per ispirazione" non sopravviene quale parte del soggetto ma dalla maniera di conoscere. Perché dunque non apparisse parte del soggetto, era meglio la formulare la tesi: " Dio, senza specificazione alcuna, è soggetto in teologia", come detto sopra.

Ad illud vero quod obicitur de primo principio[5], dicendum est quod ista subalternatio scientie ad scientiam intelligitur non quia habitus subalternetur habitui sed quia cognitio subalternatur cognitioni, |94rb| sicut manifestius apparebit in sequentibus.

Quanto all'obiezione circa il primo principio, diciamo: siffatta subalternazione di scienza a scienza non va intesa che attitudine si subalterna ad attitudine, ma che conoscenza si subalterna a conoscenza, |94rb| come risulterà evidente da quanto segue.


[1] Paragrafo «Dicimus ergo quod scientia Dei ... ab eo cui inheret» (rr. 465-82): cf. obiezione e relativa risposta in DURANDO DA SAINT POURçAIN, In I Sent., prol. q. 5, che ammette la differenza anche «ex parte obiecti», non solo «ex parte modi cognoscendi» (ed. Lugduni 1569, f. 7va, f. 9ra).

[2] «de secundo illorum principio» =  quod nichil potest esse simul scitum vel visum et creditum ab eodem et secundum idem: sopra c. 6, rr. 441-43.

[3] «cognoscibile per inspirationem»: sopra c. 6, rr. 448-50.

[4] «Deus sine omni additione». La tesi è comune nella discepolanza tomasiana. Ma evolve anche la formulazione. Nella Defensio (1307-09) di Erveo Nédellec si ha «Deus sub ratione Deitatis» (E. KREBS, Theologie und Wissenschaft... cit. pp. 77*-81*). Sotto questa formula la tesi è respinta nella Summa (1307-17) di Gerardo da Bologna («Rech. Théol. Anc. Méd.» 1956, 69-70). Diventa «Deus sub ratione absoluta» in GIOVANNI DA NAPOLI, Quaestio XX (ed. D. Gravina, Napoli 1618, pp. 172-81).

[5] «de primo principio» = quod nostra scientia subalternatur scientie Dei et beatorum: sopra c. 6, rr. 437-39.


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