De subiecto theologie |
Il soggetto della teologia |
originale latino |
volgarizzamento (2007) di EP |
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<... 6. obiezioni e risposte ## 5-8> |
5. Item «scientie secantur quemadmodum et res», ut dicitur in III De anima. Ergo cum scientia creata et increata sint distincte et similiter scientia creata beatorum et viatorum, sequitur quod obiecta eorum sint distincta. Ergo Deus non erit subiectum in istis tribus scientiis nisi aliter et aliter accipiatur[1]. |
Obiezione 5. «Le scienze si distinguono in base agli oggetti», dice Aristotele, Dell'anima lII, 8 (431b 24-25). Ma poiché scienza creata e increata sono distinte, e parimenti quella creata dei beati e dei terrestri, ne segue che i loro oggetti sono distinti. Dunque Dio non è soggetto in queste tre scienze se non in differenti significati. |
Et posset dici quod istud argumentum non accipitur secundum intentionem Philosophi. Textus enim Philosophi est iste: «Secantur igitur scientia et sensus in res; que quidem potentia, in ea que sunt potentia; que vero actu, in ea que sunt actu»[2]. Unde vult dicere quod scientia et sensus dividuntur in actum et potentiam ad modum rerum de quibus sunt. Sed sic dicere est utcumque evadere sed non est solvere, quia predicta verba Philosophi in sensu tacto in arguendo comuniter |93va| accipiuntur[3]. Et preterea veritas hoc habet, quia habitus sicut specificantur ita distinguntur per obiecta. |
Risposta. La premessa argomentativa non coglie il pensiero d'Aristotele. Costui aveva scritto: «Scienza e sensazione si distinguono in rapporto agli oggetti: considerate in potenza, esse corrispondono ai loro oggetti potenziali; considerate in atto, corrispondono ai loro ogetti attuali». Intende dire dunque che scienza e sensazione si distinguono in atto e potenza a seconda degli oggetti di cui trattano. E tuttavia così dicendo sarebbe evadere l'obiezione anziché risolverla, perché di fatto le suddette parole del Filosofo vengono correntemente |93va| intese come nell'obiezione. Inoltre, vero è che le attitudini si specificano e si distinguono in rapporto agli oggetti. |
6. Et ideo aliqui respondent aliter, dicentes quod idem est habitus scientie in Deo, in beatis et theologis viatoribus, quia diversitas eius non est ex parte obiecti cum sit unum; neque ex parte subiecti, quia idem accidens in specie potest esse in diversis subiectis differentibus non solum in specie sed in genere, sicut albedo in homine et equo et lapide; neque ex parte luminum, quia differunt solum secundum intentionem et remissionem, sicut visus in noctua, homine et aquila sunt eadem potentia propter idem obiectum formale, differens solum secundum intentionem et remissionem claritatis[4]. |
Cosicché altri rispondono diversamente. Dicono che identica è la attitudine della scienza in Dio, nei beati e nei teologi in vita, visto che la sua diversità non deriva dall'oggetto, che è unico; né deriva dal soggetto, perché la medesima proprietà nell'ordine della specie può trovarsi in più soggetti, differenti non solo nella specie ma anche nel genere, come il bianco nell'uomo, nel cavallo e nella pietra. Né deriva, la diversa qualità della scienza, da parte delle sorgenti luminose, perché queste differiscono per intensione e remissione; così, ad esempio, la vista nella civetta, nell'uomo e nell'aquila sono della medesima potenzialità a ragione del medesimo soggetto formale, differenti soltanto per intensità o meno della luminosità. |
Sed isti non bene dicunt quia magis et minus non solum dicunt diversitatem accidentalem sed etiam quandoque differentiam essentialem, sicut dicimus quod angelus est magis nobilis substantia quam homo et homo quam asinus; quod advertens Philosophus in libro Predicamentorum dixit: «Videtur autem substantia non suscipere magis et minus. Dico autem hoc non quia substantia non est a substantia magis et minus; hoc autem dictum est quia est»[5]. |
Non convince tuttavia quel che dicono costoro. Più e meno non esprimono soltanto diversità accidentale ma talvolta anche contrarietà essenziale; così come diciamo che l'angelo è sostanza più nobile dell'uomo, e l'uomo dell'asino. Cosa che Aristotele così esplicita in Categorie c. 5 (3b 33-35): «La sostanza non sembra suscettibile di misura maggiore o minore. Non intendo dire che una sostanza non può esser tale in misura maggiore di un'altra sostanza; si è già detto che questo è possibile». |
Et ita est in proposito, quia lumen viatorum quod in sua ratione includit obscuritatem, alterius rationis est a lumine beatorum quod in sua ratione includit claritatem; et similìter lumen creatum et increatum, cum unum includat finitatem et aliud infinitatem. Non autem ita se habet visus in noctua, homine et aquila, quia nichil prohibet aliquam noctuam clarius videre quam aliquem hominem, et aliquem hominem clarius quam aliquam aquilam. Sed nullus viator potest ita clare videre sicut quicumque beatus, nec quicumque beatus sicut Deus. |
E così è nel nostro caso. Il lume dei fedeli in terra nella sua proprietà include oscurità, ed è dunque di natura diversa dal lume dei beati, che nella sua proprietà include lucentezza. Parimenti il lume creato comporta finitudine, il lume increato include infinitezza. Non così il caso della vista nella civetta, nell'uomo e nell'aquila, perché nulla vieta che una civetta veda più chiaramente d'un uomo, e un uomo veda più chiaramente di un'aquila. Mentre nessun fedele ancora in vita è in grado di vedere tanto chiaramente quanto un qualsiasi beato, e né alcun beato quanto Dio. |
7. Et ideo alii dicunt quod diverse scientie bene possunt esse de eodem ita quod una deliberet de eo subtiliter et alia grosse, sicut se habet astrologia ad navalem - ut dicunt - sicut patet in I Posteriorum[6]. |
Altri allora dicono che più scienze possono ben trattare medesima materia: una la esamina più approfonditamente, un'altra in chiave introduttiva; caso dell'astrologia in rapporto all'arte navale, come risulta in Aristotele, Secondi analitici I, 13 (78b 40 - 79a 2). |
Sed isti non videntur bene dicere nec secundum intentionem Philosophi, quia de necessitate oportet quod si obiectum habitus est idem formaliter, quod habitus sit idem. Unde navalis distinguitur ab astronomia quia contrahitur subiectum eius per quedam signa apparentia. |
Ma convincono poco, costoro. E fraintendono la citazione aristotelica, perché laddove l'oggetto dell'attitudine è formalmente il medesimo, anche l'attitudine è la stessa. Di conseguenza l'arte navale si distinge dall'astronomia a motivo di maggiore contrazione del suo soggetto sul tracciato di taluni segnali visivi. |
8. Et ideo alii aliter dicunt, silicet[7] quod sit perfectum recipere comparationem, |93vb| ut dicatur perfectum perfectius perfectissimum, ita et absolutum ut dicatur absolutius absolutissimum. Dicunt ergo quod Deus sub absoluta consideratione est obiectum vel subiectum scientie nostre; sed sub absolutiori est obiectum scientie beatorum, sub absolutissima vero est obiectum scientie Dei. |
Altri pertanto argomentano diversamente e dicono: è segno di perfezione accettare la comparazione |93vb|, e dire perfetto, più perfetto, perfettissimo; e parimenti assoluto, più assoluto, assolutissimo. Dicono dunque che Dio sotto considerazione assoluta è oggetto e soggetto della scienza nostra; sotto considerazione più assoluta è oggetto della scienza dei beati; sotto considerazione assolutissima è oggetto della scienza di Dio. |
Et hoc dictum concordare videtur cum opinione illorum qui
ponunt Deum esse subiectum in theologia non sub aliqua ratione speciali. Quod apparere dicunt
ex duobus eorum principiis, et iterum ex eorum positione. |
E ciò sembra concordare
con l'opinione di quanti sostengono che Dio, senza specificazione alcuna, è
soggetto in teologia. Cosa che risulta, dicono, da due
loro princìpi e da una loro tesi. |
Aliud vero principium eorum est quod nichil potest esse simul scitum vel visum et creditum ab eodem et secundum idem. Unde vult quod ista duo obiecta formaliter differunt, scilicet scitum et creditum. Cum ergo scientia sit de Deo ut viso vel inspecto, ista autem sit de Deo ut credito, non potest esse quin sit alia ratio formalis obiecti. |
L'altro loro princìpio: nulla può essere simultamente conosciuto o veduto e creduto, dalla medesima persona e secondo il medesimo aspetto. Significa che i due oggetti, ossia conosciuto e creduto, differiscono formalmente. Poiché la scienza riguarda Dio in quanto veduto e studiato, questa invece (ossia la teologia) riguarda Dio in quanto creduto, non può non trattarsi di distinta ragione formale dell'oggetto, |
Secundo idem apparere dicunt ex eorum positione. Ponunt enim quod ens divinum cognoscibile per inspirationem est subiectum[8]. Si ergo hoc est idem quod ponere Deum subiectum - quod videtur ex hoc, quia hoc dicentes non retractant id quasi contrarium dixerint - sequitur quod Deus sit subiectum in theologia ut est creditum vel primo cognitum ab homine viatore; quod idem est. |
In secondo luogo, medesima conclusione sostengono a partire da una loro specifica tesi. Ritengono infatti che il soggetto è l'essere divino conoscibile per ispirazione. Se questo equivale a porre Dio per soggetto - e così è, visto che non ritrattano quanto avrebbero asserito pressoché in contrario - ne segue allora che Dio è soggetto in teologia in quanto creduto, o per primo conosciuto dall'uomo viatore; che è la medesima cosa. |
[1] Cf. TOMMASO D'AQUINO, In I Sent., prol. q. 4 corp.: «Tertia comparatio [subiecti ad sdentiam] est quod per subiectum distinguitur scientia ab omnibus aliis; quia "secantur scientiae quemadmodum et res", ut dicitur in III De anima; et secundum hanc considerationem, posuerunt quidam credibile esse subiectum scientiae». Ma In De anima, commentando il medesimo testo aristotelico III, 8 (431b 24-26), scrive: «Sensus enim et scientia dividuntur in res, id est dividuntur in actum et potenciam quemadmodum et res» (ed. Marietti 1925, p. 257 n. 788; ora ed. Leonina t. 45/1 (1984), p.235b). Remigio dirà: «Unde vult dicere [Philosophus] quod scientia et sensus dividuntur in actum et potentiam ad modum rerum de quibus sunt» (sotto rr. 386-87).
♦ (righi 377-506 di ed. a stampa, di qui a tutto cap. 8) Per l'evoluzione e i rinnovati problemi posti, tra fine XIII e inizio XIV secolo, dalla teologia come subalternata alla «scientia Dei et beatorum» vedi A. HAYEN, La théologie au XII, XIII et XX siècles, «Nouvelle Revue Théologique» 79 (1957) 1009-1028, specie pp. 1022-28; 80 (1958) 113-32. C. DUMONT, La réflection sur la méthode théologique, II. Le dilemme théologique, «Nouvelle Revue Théologique» 84 (1962) 22-35. Ma non mi sembra che il testo di Remigio testimoni l'imbarazzo di cui DUMONT, art. cit., pp. 22-32. J. BEUMER, Die Kritik des Johannes von Neapel O.P. an der Subalternationslehre des hl. Thomas von Aquin, «Gregorianum» 37 (1956) 261-70. Vedi anche M.-D. CHENU, La théologie comme science au XIIIe siècle, Parigi 1957, 71 ss.
[2] ARIST., De anima III, 8 (431b 24-26). Cf. traduz. greco-latina vetus di Giacomo da Venezia: «Secantur autem scientia et sensus in res; quae quidem potentia est, in ea quae sunt potentia, quae vero in actu, in ea quae sunt actu» (ed. C. Stroick in ALBERTI MAGNI, Opera... t. 7, Münster 1968, 223). Del tutto diversa la traduzione arabo-latina di Michele Seoto: in AVERROIS CORDUBENSIS, Commentarium magnum in Aristotelis De Anima, ed. F.S. Crawford, Cambridge Mass. 1953, 503 n. 38 rr. 1-4. Mentre la traduzione greco-latina di Guglielmo da Moerbeke non muta, nel nostro caso, il testo della vetus (da comunicazione di R.-A. Gauthier che ne prepara l'edizione; ora in ed. Leonina t. 45/1 (1984), p. 235a: «Secatur igitur scientia et sensus in res, que quidem potencia est in ea que sunt potencia, que vero actu in ea que sunt actu»). Il testo come dato sopra (rr. 187-88) e qui in obiezione 5, è dunque in forma d'adagio che suppone almeno la vetus; ricorre con frequenza nella letteratura coeva sulla natura della teologia. «Scientiae secantur quemadmodum res de quibus sunt scientiae» in Florilège p. 188, n° 162.
[3] «comuniter accipiuntur»: cf. GIOVANNI DA NAPOLI, Quaestio XX (Utrum Deus sit subiectum theologiae): «Verbum autem Philosophi quod adducebatur in arguendo, scilicet "Secantur scientiae [quemadmodum et res]" exponendum est hoc modo: Si res secantur quae sunt subiecta scientiarum, secantur et scientiae, sed non e converso» (in JOHANNIS DE NEAPOLI, Quaestiones variae Parisiis disputatae, ed. D. Gravina, Napoli 1618, 179a).
[4]
ENRICO DA GAND († 1293),
Quodlibet XII, q.1: «Ad rationem primam in
contrarium, quod nihil idem sub eadem ratione potest esse obiectum scientiae
infinitae et finitae etc., dico quod verum est si ratio illa infinitatis
intelligatur esse aliquid obecti scientiae; non autem est verum si intelligatur
tantummodo esse annexa obiecto secundum iam dictum modum. Intelligendum
tamen est, propter tacta in probatione maioris
illius, quod quaelibet scientia respicit duo: et obiectum scibile a quo
formatur in sciente et ad quod terminatur, et subiectum in quo formatur. Et ab
utroque determinatur sed diversimode, qui a secundum rationem obiecti
determinatur ad forman et speciem, secundum rationem autem subiecti determinatur
ad intensionem et remissionem. Verbi gratia, in videndo solem ab aquila et homine et noctua propter idem obiectum et secundum eandem rationem a parte sui
quod est lux sub ratione splendentis idest in se lucentis, est eadem visio
secundum speciem, quae tamen secundum speciem distinguitur a visione coloris. Si
tamen lux et color distinguuntur secundum speciem, semper enim secundum
diversitatem obiectorum diversificantur secundum speciem visionis et scientiae.
Propter vero aliam dispositionem subiecti variam lympidior est visio aquilae
quam hominis, et hominis quam noctuae, quia semper actus activorum sunt in
patiente secundum rationem dispositionis ipsius secundum intensum et remissum,
quia quod recipitur, semper secundum modum recipientis recipitur et non secundum
modum eius quod recipitur. Et consimiliter dico in proposito quod Deus et
secundum eandem rationem, scilicet infinitatis ex parte sui, est obiectum
scientiae Dei et beatorum et hominum viatorum; et determinatur ad speciem ab
obiecto, determinatur tamen secundum intensionem et remissionem a dispositione
subiecti ut lympidius vel minus lympide videatur» (QuodIibeta, ed. Parisii 1518,
voI. Il, f. 484r V-X).
♦ «intentionem» (r. 401): altrove Remigio distingue: «...licet secundum usum
loquendi, qui in talibus observandus est, non dicatur tunc 'intentio' sed
'intensio', ut patet per Philosophum in pluribus locis. Quamvis enim hoc verbum
'intendo' habeat utrumque suppinum, scilicet intentum et intensum, tamen in
ista significatione acceptum facit suppinum 'intensum', ut dici Huguiccio» (De
modis rerum I, 23: cod. C, f. 37va). UGUCCIONE DA PISA, Derivationes
[1192-1200], 'Tendo': Firenze, BibI. Laurenziana, PIut. XXVII sin. 5, f. 82vb.
[5] ARIST., Categoriae c. 5 (3b 33-35). Traduz. di Boezio nella «editio composita»: AL l/1-5, p. 52; cf. ib., p. 91 la traduz. di Guglielmo da Moerbeke.
[6]
ARIST., Analytica posteriora I, 13 (78b 40 - 79a 2); tutto
c. 13 (78a 22 - 79a
16) per la natura epistemologica delle dimostrazioni (quia e propter quid) delle scienze
subaIternanti e subalternate.
EGIDIO ROMANO, In I Sent.
[1276-78] prol. pars 2a, q. 1, a. 1 corp.: «Tertius
modus subaIternationis est quando de eodem determinat scientia subaIternans et
subaIternata, sed subaIternans determinat de eo modo subtili, subaIternata autem modo
grosso, sicut ponit exemplum Philosophus [Anal. post. I, 13] de harmoniaca mathematica
et de ea quae est secundum auditum...; similiter etiam se habet apparentia ad
astrologiam; nam apparentia, sive scientia qua naute utuntur, considerat cursum
astrorum modo grosso, quem considerat astronomus modo subtili» (ed. Venetiis
1521, f. 4r D-E).
[7] silicet: cosi qui e altrove quando scritto in estenso, e anche nei testi paleografici geograficamente affini; più di frequente nel classico compendio .s., che sciolgo nel convenzionale scilicet.
[8] «ens divinum cognoscibile per inspirationem»: TOMMASO D'AQ., In I Sent., prol. a. 4 corp. Vedi sopra § II dell'introduzione. Mi sembra che al medesimo testo tomasiano miri la critica di EGIDIO ROMANO, In I Sent. [1276-78], prol. q. 3: «Tertia positio est quod subiectum in sacra pagina est scibile per inspirationem. Nec ista, ut apparet, subiectum accipit proprie, quia quodlibet per inspirationem sciri posset. Preterea multa per inspirationem habemus in sacra pagina que non sunt subiectum in ea nec est pars subiecti...» (ed. Venetiis 1521, f. 3v K). Cf. ERVEO NÉDELLEC OP, Defensio doctrinae fratris Thomae [1307-09] art. 18 (Utrum Deus sub ratione, qua veritas intelligibilis per fidem, sit obiectum theologiae); risposto negativamente, ammette che l'«intelligibilis per fidem» assegnerebbe alla teologia un oggetto formale meno proprio; poi: «et accipiendo sic formale obiectum, invenitur frater Thomas [de Aquino] quandoque, scilicet in primo Sententiarum, posuisse quod subiectum theologiae est revelabile per fidem» (in E. KREBS, Theologie und Wissenschaft nach der Lehre der Hochscholastik. An der Hand der Defensa Divi Thomae des Hervaeus Natalis, Münster 1912, 75*).