Una questione disputata, sia essa ordinaria che quodlibetale, è - come si sa - opera di magister (P. Glorieux, La littérature quodlibétique I, c. 1, Paris 1925, pp. 1l ss; ID., L’enseignement 123-36). Ma dei tre pilastri della didattica teologica medievale - lectio, disputatio, praedicatio - anche la disputa rientra negli obblighi del baccelliere, sebbene confinata tra le attività scolastiche che precedono l’inizio delle lectiones, tra l’Esaltazione della Croce (14 settembre) e la San Dionigi (10 ottobre). È il periodo dei principia, cui attendono sia studenti che altri baccellieri. Esso prevede, oltre alla collatio incentrata nella commendatio del libro delle Sentenze o della teologia, una disputa scolastica. Una disputa che sarebbe l’evoluzione della stessa collatio e che il Glorieux chiama quaestio collativa da distinguere dalla quaestio magistralis.
■ Glorieux, L’enseignement 97-80, 138-41. ID., art. Sentences in «Dict. Théol. Cath.» 14/2 (1941) 1862. A. Teetaert in «Dict. Théol. Cath.» 12/2 (1935) col. 1892: «Les principia se tenaient avant que le bachelier commençât son commentaire sur les Sentences et se composaient d'une collatio et d'une disputatio. Dans la collatio, le bachelier devait faire la louange de la théologie et de Pierre Lombard. La disputatio est constituée par l'exposé scientifique d'une question théologique, traitée par le bachelier d'après certaines normes déterminées. Cette disputatio, qui constitue proprement le principium, se distingue de la collatio... Tandis que la collatio constitue un discours sur une dispute théologique proprement dite, préliminaire au commentaire de chaque livre des Sentences». Vedi i testi tardivi degli statuti di Bologna (1362) e Parigi (1366) in «Dict. Théol. Cath.» 14/2, col. 1862. A. Combes in Jean de Ripa, Lectura super Primum Sententiarum [1354-55], Paris 1961, XX-XXI. Nella raccolta remigiana di BNF, Conv. soppr. G 4.936, la sezione che contiene i sermoni commendatizi del libro oggetto della lectio va sotto la rubrica «Prologi super totam bibliam seu sacram scripturam seu super librum Sententiarum» (ff. 268v-345r): Il Repertorio...., «Memorie Domenicane» 11 (1980) 636 ss.
Ora il De subiecto theologie di Remigio dei Girolami è frutto d’una questione disputata, come il testo palesemente testimonia, tenuta prima del titolo magistrale, quando appunto Remigio era a Parigi «bachelarius incipiens Sententias» (cf. rr. 510-11) in ordine al conseguimento del magistero. Il che dissuade dall’omologare la questione De subiecto theologie con altra produzione letteraria termine di dispute magistrali, i due quodlibeti e le determinationes (ultimo e precipuo atto della quaestio) quali De uno esse in Christo (ed. «Estudis Franciscans» 34 (1924) 257-77) e Venditio ad terminum (ed. «Bullettino Istituto Storico Italiano per il Medio Evo» 70 (1958) 299-363). Questi, in altre parole, suppongono il magistero di Remigio (1303-1304), cosa che non tiene per la questione collativa De subiecto theologie.
Sull’aspetto tematico e sulla soluzione data da Remigio al problema del soggetto della teologia non mi soffermo. Il testo è di suo limpido nella stesura redazionale e netto nella scelta dottrinale: Deus, sub nulla ratione speciali, subiectum theologie. Le note che corredano il testo mirano a offrire elementi base delle coesistenze dottrinali e cronologiche entro cui si sviluppò il dibattutissimo tema del «de subiecto». Da Alessandro d’Hales in poi, nessuno scolastico si sottrae al dibattito, specie nel commento al prologo delle Sentenze del Lombardo. La strada imboccata da Tommaso d’Aquino di dare uno statuto scientifico alla teologia a partire dalla nozione aristotelica di scienza come negli Analitici posteriori, sconvolge il volto della «sacra doctrina». I testi che dibattono il subiectum theologiae sono la spia privilegiata per chi volesse rincorrere le audacie e i rischi, i consensi e i sospetti che siffatta operazione doveva necessariamente alimentare. Superata la fase degli inefficaci tentativi di mediazione eclettica (le questioni «de theologia» conservate nel ms. Todi 39, tra 1270 e 1280, ne sono un’interessantissima testimonianza: G.H. Tavard, St. Bonaventure’s disputed question «De theologia», «Recherches de Théol. Anc. et Méd.» 17 (1950) 187-236. H.-F. Dondaine, L’auteur de la Question «De theologia» du manuscrit Todi 39, ib. 19 (1952) 244-70), elaborazioni più originali e più complesse - penso a Egidio Romano (a lui mira il nostro De subiecto theologie rr. 4-9, 419-22), Enrico da Gand (rr. 392-401), Giovanni Duns Scoto - dovettero porre non pochi problemi nuovi alla prima discepolanza di Tommaso, da Bernardo da Trilia a Giovanni da Parigi, da Roberto d’Orford a Giovanni da Napoli, da Tommaso da Sutton a Remigio dei Girolami. Così il testo di Remigio, se da una parte risolve con vigore e senza esitazioni a favore della tesi «Dio, senz’alcuna specìficazione, soggetto della teologia-scienza» al modo che le potenze e gli abiti sono specificati dall’oggeto formale, dall’altra risulta animato dall’urgenza di mettere a fuoco le categorie chiavi che concorrono all’assetto aristotelico di scienza quando trasferito alla sacra dottrina. Lo spazio concesso alla chiarificazione della nozione di subiectum, l’identità sostanziale della teologia di Dio, dei beati e del teologo asserita sull’unità del soggetto (specificazione ex parte habitus), la loro distinzione gerarchica rimessa al modus cognoscendi, testimoniano un’attività teologica che il magistero tomasiano non rende né ripetitivo né pedissequo. Del resto, più si dispone dei testi della prima discepolanza tomasiana - diciamo dagli anni dei Correctoria a quelli del dibattito intorno a Durando da Saint-Pourçain - più viene confermato quanto già intuito dagli storici del primo tomismo: una letteratura difficilmente riducibile a un’unità dottrinale compatta e monolitica. Vi prevale vivacità intellettuale, franchezza nel definire i termini d’assenso, varietà di soluzioni sia entro i dati testuali del corpus tomasiano sia rispetto al moto evolutivo impresso da taluni grandi nomi tra gli oppositori dell’Aquinate. Giovanni da Parigi, ad esempio, integra anonimamente nel commento alle Sentenze brani testuali di Tommaso, ma non rinuncia, all’occorrenza, a elaborazioni e soluzioni personali che si distaccano dai dati testuali di Tommaso.
La cosa mi sembra di qualche importanza per intendere un processo storico-dottrinale non ancora del tutto chiaro; il processo che dal “corpus tomasiano” nella sua oggettività testuale e varietà tematico-cronologica, condurrà alla detemporalizzazione ermeneutica del medesimo corpus prossima al “sistema tomistico”. L’utilizzazione che l’insegnamento teologico istituzionale farà dell’opera tomasiana, produrrà - entro il fenomeno generale della detemporalizzazione - selezione tra i prodotti letterari di Tommaso, così come riformulazione di tesi dove la composizione in praesentia dei frammenti evolve in sistema. Ma prima ancora di tali fasi - diciamo anteriormente alla canonizzazione di Tommaso 1323 - qualcosa di simile era stato abbozzato, almeno nella sfera dell’esegesi dei testi tomasiani. Esegesi del resto su cui faceva pressione sia l’intento dei discepoli di sottrarre talune tesi alle condanne del 1270 e 1277 (“Tommaso non intendeva ciò che Stefano Tempier e Giovanni Peckham condannano”), sia gli attacchi provenienti da correnti teologiche ostili.
La questione De subiecto theologie di Remigio dei Girolami - intellettualmente robusta e dalle mature scelte teologiche - ci permette d’intravedere qualche fase di questo processo tutto da ricostruire. Notiamo anzitutto che il nucleo assertivo della tesi di Remigio rimonta a quanto Tommaso d’Aquino aveva decantato, con lucida brevità, nella Summa theologiae I, q. 1, a. 7. Se s’ignora l’ultimo paragrafo («Quidam vero attendentes...») del corpo dell’articolo, che ricorda fugacemente le obsolete soluzioni di Pietro Lombardo, Ugo da San Vittore e Cassiodoro, il testo tomasiano è integralmente utilizzato da Remigio in due prestiti anonimi.
Tommaso |
Remigio |
Respondeo dicendum quod Deus est subiectum huius scientiae. Sic enim se habet subiectum ad scientiam, sicut obiectum ad potentiam vel habitum. Proprie autem illud assignatur obiectum alicuius potentiae vel habitus, sub cuius ratione omnia referuntur ad potentiam vel habitum: sicut homo et lapis referuntur ad visum in quantum sunt colorata; unde coloratum est proprium obiectum visus. Omnia autem pertractantur in sacra doctrina sub ratione Dei vel quia sunt ipse Deus, vel quia habent ordinem ad Deum, ut ad principium et finem. Unde sequitur quod Deus vere sìt subiectum huius scientiae. Quod etiam manifestum fit ex principiis huius scientiae, quae sunt articuli fidei, quae est de Deo: idem autem est subiectum principiorum et totius scientie, cum tota scientia virtute contineatur in principiis (Summa theologiae I, q. 1, a. 7). |
[Tertia conditio subiecti est quod sub eius ratione tractatur quicquid in scientia tractatur]. Et huius causa est quia cum scientia sit quidam habitus potentie intellective, eo modo comparatur subiectum ad scientiam sicut obiectum ad potentiam vel habitum. Proprie autem assignatur obiectum alicuius potentie vel habitus, illud sub cuius ratione omnia referuntur ad potentiam vel habitum, sicut homo vel lapis et lignum referuntur ad visum in quantum sunt colorata; unde coloratum est proprium obiectum visus. Omnia autem tractantur in sacra scriptura sub ratione Dei vel quia sunt ipse Deus vel quia habent ordinem ad Deum, sicut ad principium vel sicut ad finem (rr. 152-62). [Huius scientie subiectum est Deus absolute]. Secundo idem potest manifestari ex parte principiorum istíus scientie, que sunt articuli fidei, que quidem de Deo est. Idem autem est subiectum príncipiorum et totius scientie, cum tota scientia virtute contíneatur in principiis (rr. 118-121). |
■ I medesimi brani di Tommaso presi anonimamente a prestito anche da GIOVANNI DA PARIGI OP, Reportatio in I Sent. (1292-96), prooem. q.1 (Utrum in theologia Deus sit subiectum): ed. J.-P. Muller, Roma («Studia Anselmiana» 47) 1961, 5 rr. 30-35, 37-39. Il brano tomasiano del testo di Remigio rr. 152-62 entrerà tra gli argomenti «contra» nella soluzione di GIOVANNI DUNS SCOTO, In I Sent. (1296-1302), prol. pars 2, q.3, nn. 67-69: Opera omnia XVI, Città del Vaticano 1960, 26-27; Ordinatio (1302-08), prol. pars 3, q.3 nn. 146-49: Opera omnia I, (1950) 99-101. |
Accertati tali prestiti, mi sembra difficilmente contestabile che il lungo brano De subiecto theologie rr. 448-502 miri a “interpretare” la soluzione data da Tommaso al medesimo problema nell’In I Sententiarum, da cui gli avversari traggono materia di obiezione. «Ponunt enim quod ens divinum cognoscibile per inspirationem est subiectum» (De subiecto theologie rr. 448-50) richiama alla lettera il testo di Tommaso:
«Si autem volumus invenire subiectum quod haec scientia omnia comprehendat, possumus dicere quod ens divintim cognoscibile per inspirationem est subiectum huius scientiae» (In I Sent., prol. a. 4).
Tommaso è ancora disposto a una concessione che configuri, con le debite distinzioni, anche un soggetto “comprensivo”, capace di dar posto a tutti i vari soggetti che una venerabile tradizione teologica aveva proposti. Procedimento caratteristico delle soluzioni di Alessandro d’Hales, Bonaventura da Bagnoregio, Alberto Magno ecc. Ne soffre la nettezza epistemologica che tiene insieme il rigoroso tessuto delle categorie aristoteliche “oggetto-atto-abito-potenza intellettiva”. Remigio difende con determinazione la soluzione della Summa theologiae I, q. 1, a. 7: Dio, senz’alcuna specificazione (ratio specialis), soggetto della teologia-scienza. Avendo introdotto la distinzione ex parte subiecti ed ex parte modi cognoscendi, rimette il «cognoscibile per inspirationem» di Tommaso delle Sentenze tra le determinazioni che intervengono ex parte modi cognoscendi. Resta così assicurata la radicale unità del soggetto formale della teologia (cf. De subiecto teologie rr. 483-502 «Hoc etiam addendum...»). E non si hanno remore reverenziali a liquidare il «cognoscibile per inspirationem»:
«Et ideo ne reputaretur esse pars subiecti, melius fuit dicere quod Deus sine omni additione est subiectum in theologia, sicut secundo dictum est» (ib., rr. 500-02).
Melius fuit dicere - si noti. La tentazione di concordare i testi tramite l’elaborazione d’un tertium quid che riconcili l’In I Sententiarum con la Summa - a spese delle distanze ermeneutiche e cronologiche dei testi - è rimossa in radice. Richiami filologici («melius fuit dicere») e affinità mentali non possono non evocare alla memoria gli Articuli in quibus frater Thomas melius in Summa quam in Scriptis. L’operazione di Remigio è molto affine all’ispirazione dell’anonimo autore tomista degli Articuli (1280 ca.). Con la differenza che costui si era limitato a inventariare i testi tomasiani non omologhi - con l’acuta avvertenza a non sottoporli a contaminazione dottrinale -; Remigio invece dà sostegno intellettuale alla soluzione ritenuta «melior» allargando l’indagine sulle categorie aristoteliche inservienti allo statuto scientifico della teologia. Un fedele tomista, Pietro de la Palu, nel primo decennio del '300 non resiste alla tentazione. Concorda la soluzione tomasiana della Summa con quella del commento alle Sentenze facendo rifluire nella definizione di subiectum sia la ratio tratta «ex parte cognoscibilis» sia quella tratta «ex parte scientis». I dati testuali della Summa e dell’In I Sententiarum sono ricomposti in praesentia prevaricando l’ordine del tempo e l’ordine dei significati. Non è il primo passo del lungo percorso da “corpus tomasiano” a “sistema tomistico”? Ecco in ogni modo i testi, i quali fanno intravedere, nel frammento del dibattito «de subiecto», un processo molto più complesso.
Si autem volumus invenire subiectum quod haec omnia [scil. res et signa, totum Christum, Deum, credibile] comprehendat, possumus dicere quod ens divinum cognoscibile per inspirationem est subiectum huius scientiae.
Respondeo dicendum quod Deus est subiectum huius scientiae. (…) Omnia autem pertractantur in sacra doctrina sub ratione Dei vel quia sunt ipse Deus, vel quia habent ordinem ad Deum, ut ad principium et finem.
In primo libro [Sententiarum] d. 1, q. 4 in pede [= in corpore], quod ens divinum cognoscibile per inspirationem est subiectum in theologia. In prima parte Summae, q. 1, a. 7, in pede, dicit quod Deus est subiectum (ed. R.-A. Gauthier, «Recherches de Théol. Anc. et Méd.» 19 (1952) 300).
Et sic subiectum in theologia ponitur esse Deus non sub aliqua ratione speciali - ut volunt quidam - sed absolute in quantum Deus (rr. 281-83).
Et ideo dicimus quod in theologia, que est prima scientia simpliciter eo modo quo nos loquimur de scientia, primum idest Deus absolutissime sumptus est subiectum, quia sine omni additione specialis rationis quantum est ex parte obiecti; sed additiones que sunt ibi, sunt ex parte modi cognoscendi, puta quia Deus scit se infinite, et illum eundem Deum beatus scit finite sed clare, et illum eundem scit theologus finite et obscure. Et sic quod dicitur ‘creditum’ et ‘scitum’ non sunt conditiones addite subiecto sed sunt conditiones diverse ex parte modi cognoscendi. Et per hoc patet responsio ad id quod dicebatur de secundo illorum principio et etiam ad id quod dicebatur de eorum positione, quia «ens divinum» non est aliud quam Deus essentialiter; et quod additur «cognoscibile per inspirationem», non additur ut pars subiecti sed ex parte modi cognoscendi. Et ideo ne reputaretur esse pars subiecti, melius fuit dicere quod Deus sine omni additione est subicctum in theologia, sicut secundo dictum est (rr. 486-502).
Sic Deus, ut clare visus et comprehensibilis, est obiectum scientiae suae; et ut clare et immediate apprehensibilis, scientiae beatorum; ut mediate scibilis, scientiae naturalis; ut credibilis non evidens, scientiae viatorum. Et haec est expresse intentio Thomae in prima parte [Summae] ubi assignat rationem formalem subiecti sacrae scripturae, dicens, quaestione prima, artìculo septimo, quod cum omnia quae tractantur in sacra scriptura, tradantur sub ratione Dei vel quia sunt ipse Deus vel quia habent ordinem ad Deum sicut ad principium vel finem, ideo dicit Deum esse absolute subiectum in ista scientia ex parte scibilis. Sed quaestione prima, articulo tertio [I, q. 1, a. 3 ad 2], ubi assignat formalem rationem ex parte scientis, dicit quod ea quae tractantur in diversis scientiis, potest sacra doctrina, una existens, considerare sub una ratione, in quantum sunt divinitus revelata et revelabilia. Et ideo si coniungamus istud cum hoc quod dicit in Scripto [super I Sent., prol. a. 4], ubi ponit quod ens divinum est subiectum et dicamus ens divinum revelabile, habebimus completam assignationem rationis formalis subiecti huius scientiae, quia formalem rationem ex parte scibilis in hoc quod dicit ens divinum, et completam rationem ex parte scientis in hoc quod dicitur revelabile (ed. G. Groppo, «Salesianum» 23 (1961) 285-86 ).
L’attitudine intellettuale di Remigio non sacrifica al magistero di Tommaso né personalità né senso critico. La cosa è documentabile anche altrove. Vi si riscontrano i medesimi tratti ermeneutici: discernimento e rispetto delle distanze tematiche e cronologiche dei testi tomasiani, valutazione delle differenti soluzioni, franco assenso a quella ritenuta più soddisfacente. Nessuna operazione di concordismo.
In secundo libro [Sententiarum] d. 1, a. 3, in pede, quod Deus potuit communicare creaturae potentiam creandi in virtute causae primae. In prima parte [Summae], q. 45, a. 5, in pede, dicit quod non. [Idem dicit libro II Contra Gentiles, cap. 21. Hoc idem dicit in quaestionibus De potentia] (ed. R.-A. Gauthier, «Recherches de Théol. Anc. et Méd.» 19 (1952) 305).
Sed quorundam theologorum fuit opinìo quod creatura ministerialiter possit creare ex comunicatione Dei. Et istius opinionis fuit Magister [= Pietro Lombardo] in IV Sententiarum [d. 5, c. 3] et frater Thomas de Aquino scribens super II Sententiarum [d. 1, q. 1, a. 3]; postea autem scribens super IV [d. 5, q. 1, a. 3, q.la 3] mutavit opinionem tenens contrariam partem, asserens tamen aliam partem possibilem sustineri; postmodum vero in Summa [I, q. 45, a. 5] et in aliis que postmodum scripsit asseruit aliam partem esse omnino impossibilem; cui assentio, et auctoritate scilicet Augustini qui dicit in III De Trinitate quod nec boni angeli nec mali possunt creare (BNF, Conv. soppr. G 3.465, f. 113 marg. sin.).