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- Appendici al "De subiecto theologie" -

c) Sermone Unum scio
BNF, Conv. soppr. G 4.936, ff. 89v-90rb

originale latino

volgarizzamento (2007) di EP

|89va| Dominica IV in Quadragesima, feria IV, sermo I:

Unum scio quia cum cecus essem modo video. Io. 9[, 25],

|89va| Domenica quarta di quaresima, mercoledì, sermone primo:

Una cosa so: prima ero cieco, ora ci vedo. Giovanni 9,25.

Omnes creature sive sint corporales sive spirituales sive superiores... de se sunt bone, iuxta illud [I] Thim. [4,4] «Omnis creatura Dei bona». Et si homo isto bono utatur sapienter, ut debet, cedit in bonum sui utentis... Si autem utatur ipso insipienter, ut non debet, cedit in malum suum (…).

Tutte le creature, siano esse corporali, spirituali o superiori..., di per sé sono buone, come dice I Timoteo 4,4 «Tutto ciò che è stato creato da Dio è buono». E se uno usa sapientemente tale bene, tornerà a suo vantaggio... Se lo usa insipientemente, gli si convertirà in male (…).

Deus autem contulit isti civitati septem bona quasi singularia quibus homo si male utatur, sicut frequentius accidit, excecatur, si vero debite illuminatur, scilicet habundantiam pecunie, nobìlitatem monete, multitudinem populi, civilitatem vivendi[1], opificium lane et artificium armature et domifìcationem contrate in comitatu vel in |89vb| districtu.

Sette specialissimi doni ha elargito Dio a questa città. Ne è accecato chi se ne fa cattivo uso, com'è il caso più frequente. Ne sarà illuminato, se ne farà buon uso. Essi sono: ricchezza, nobiltà di moneta, moltitudine di popolo, saggio ordinamento politico, industria della lana, produzione di armi, espansione edilizia nel contado e nel |89vb| distretto.

Circa primum notandum est quod pecunia, si quis utatur ea avare, excecat avarum quia terra est in oculis eius, iuxta illud Ps. [16,11] «Oculos suos statuerunt declinare in terram» (…). Sed illuminat pium per elemosinas...

Circa il primo dono, ossia abbondanza del danaro, nota che il danaro accecca l'avaro che ne fa uso avaro; la terra infatti è davanti al suo sguardo, a detta di Salmo 17,11 «Puntano gli occhi a terra per abbattermi» (…). Illumina invede l'uomo pio che dà in elemosina...

Circa secundum nota quod nobilitas monete apparet ex triplici parte, scilicet ex parte materie quia aurum tarenorum est bonum, sed aurum augustalium[2] est melius, sed aurum florenorum est optimum; et ex parte sculpture, quia ex una parte habet beatum Iohannem Baptistam de quo Dominus dixit Mt. 11[,11] «Inter natos» etc., et ex alia parte habet lilium, quod est res magne excellentie[3]; unde et Christus et mater sua lilio comparantur in Cant. Tertio ex parte cursus, quia quasi per totum mundum, etiam inter Saracenos, currit[4].

Circa il secondo dono, nota che nobile è la moneta per tre ragioni: materia, incisione, corso. Quanto alla materia: buono è l'oro dei tarì, migliore quello degli augustali, ottimo quello dei fiorini! Quanto all'incisione, da un lato ha san Giovanni Battista, del quale disse il Signore, Matteo 11,11 «Non vi è più grande tra i nati di donna» eccetera; dall'altro ha il giglio, segno di grande eccellenza, visto che Cristo e la madre sono comparati al giglio in Cantico dei Cantici 5,13. Quanto alla circolazione, i fiorini hanno corso quasi per il mondo intero, perfino presso i saraceni!

Hac igitur nobilitate excecatur elatus et vanagloriosus (…); quia dum vanagloriosus vult accipere quod suum est Deo, |90ra| iustum est ut oculis privetur ab eo. Et Aman etiam vanaglorioso fasciati sunt oculi et suspensus est, ut habetur Hester 6 [= c. 7] (…). Unde cecus iste illuminatur quia lutum factum ex sputo, idest bonum ex Dei dono, mictitur in nata<toria> idest in humilitate, quia est parva aqua in qua non potest notari nec ad gallam  ‑  ut vulgo dicitur  ‑  iri[5].

Il presuntuoso e vanitoso si fa accecare da tale nobiltà (…); e laddove il presuntuoso si arroga ciò che è di Dio, giusto è che sia privato della vista. Aman il presuntuoso, gli fasciarono gli occhi e lo impiccarono, Ester c. 7. (…). E il noto cieco (Giovanni 9, 6-7) ritrova la luce perché il fango è dalla saliva, ossia un bene che è dono di Dio; entra nella piscina, ossia nell'umiltà, perché scarsa è l'acqua dove non si riesce a nuotare "andare a galla" - come diciamo in parlata nostrana.

Circa tertium nota quod ex moltitudine populi excecatur confidens in ipsa (…).

Circa il terzo dono, nota che chi ripone fiducia nella moltitudine del popolo rischia cecità (…).

Circa quartum nota quod civilitas excecat si declinet ad malum, puta luxuria, gula (…).

Circa il quarto dono, nota che la vita cittadina acceca se scivola verso il male, esempio lussuria, gola (…).

Circa quintum notandum est quod opificium lane excecat si quis utatur hoc in ypocrisim quasi nolens malum lucrum facere usurarum et huiusmodi, sed sub hoc velamine commictens periuria, fraudes, usuras et huiusmodi (…).

Circa il quinto dono, nota che l'industria della lana acceca se uno l'usa ipocritamente, quasi che non mirasse a lucri illeciti d'usura e simili, ma sotto tale parvenza commettendo ingiustizie, frodi, usure, eccetera (…).

Circa sextum nota quod armatura excecat si quis utatur ea contra Deum... sed illuminat si quis utatur ea contra inimicos Dei (…).

Circa il sesto dono, nota che l'armifattura  acceca se uno l'usa contro Dio..., ma illumina se uno l'usa contro i nemici di Dio (…).

Circa septimum nota quod domificatio districtus excecat improvidum, qui scilicet totam vel magnam partem suarum divitiarum ponit in huiusmodi domificatione, sed illuminat providum qui scilicet, cum sit ditissimus, solatium sibi accipit de parte aliqua (…).

Circa il settimo dono, nota che l'edilizia acceca l'imprevidente, ossia chi investe tutto o gran parte del proprio capitale in siffatta impresa, ma illumina la persona accorta, colui cioè che, pur ricchissimo, si concede congruo ristoro (…).


[1] «civilitatem vivendi»: le traduzioni latine medievali rendono con civilitas, civilis, l’aristotelico politeía, politikós. Cf. «Aristoteles Latinus», XXVI/1‑3, p. 604b.

[2] tarenorum = tarì, moneta usata nel regno di Sicilia al tempo dei Normanni.
augustalium  = augustali, moneta coniata da Federico II, 1231, di breve durata.

Postille super Cantica Canticorum (ante 1315), Firenze, Bibl. Medicea Laurenziana, Conv. soppr. 516, f. 229vb: «bonum quidem aurum est depuratum aliqualiter, ut aurum tarenorum, sed melius est quod depuratius, ut aurum augustalium, sed optimum est quod est depuratissimum, ut aurum florinorum».

[3] Villani [† 1348], Nuova cronica VII, 53: «I quali fiorini... dall'uno lato era la 'mpronta del giglio, e dall'altro il san Giovanni» (nov. 1252).

[4] Villani, Nuova cronica VII, 53; ed. G. Porta, Parma 1990-91, pp. 346-47: «Cominciati i detti nuovi fiorini a spargersi per lo mondo, ne furono portati a Tunisi in Barberia; e recati dinanzi al re di Tunisí, ch'era valente e savio signore, sì gli piacque molto, e fecene fare saggio, e trovata di fine oro, molto la commendò, e fatta interpetrare a' suoi interpetri la 'mpronta e scritta del fiorino, trovò dicea "Santo Giovanni Batista" e dal lato del giglio "Fiorenzia". Veggendo era moneta di Cristiani, mandò per gli mercatanti pisani che allora erano franchi e molto innanzi al re (e eziandio i Fiorentini si spacciavano in Tunisi per Pisani), e domandogli che città era tra' Cristiani quella Florenza che faceva i detti fiorini. Rispuosono i Pisani dispettosamente e per invidia, dicendo «Sono nostri Arabi fra terra», che tanto viene a dire come nostri montanari. Rispuose saviamente il re: «Non mi pare moneta d'Arabi; o voi Pisani, quale moneta d'oro è la vostra?». Allora furono confusi e non seppono rispondere. Domandò se tra lloro era alcuno di Florenza; trovovisi uno mercatante d'Oltrarno ch'avea nome Pera Balduccí, discreto e savio. Lo re lo domandò dello stato e essere di Firenze, cui i Pisani faceano loro Arabi; lo quale savíamente ríspuose, mostrando la potenzia e la magnificenzia di Fiorenza, e come Pisa a comparazione non era di podere né di gente la metà di Firenze, e che non aveano moneta d'oro, e che il fiorino era guadagnato per gli Fiorentini sopra loro per molte vittorie. Per la qual cagione i detti Písani furono vergognatí, e lo re per cagione del fiorino, e per le parole del nostro savio cittadino, fece franchi i Fiorentini, e che avessono per loro fondaco d'abitazione e chiesa in Tunisi, e privilegiogli come i Pisani. E questo sapemo di vero dal detto Pera, uomo degno di fede, che cci trovammo co llui in compagnia all'uficío del priorato» .

[5] «ad gallam iri»: calco sul volgare «andare a galla». Ricordiamo: i sermonari erano allora redatti nella lingua "colta" del latino; ma i sermoni erano recitati in lingua volgare (se facciamo eccezione per quelli scolastici o universitari). E di volgare è comunemente impastata la redazione scritta dei sermoni medievali.



Villani, Nuova cronica VII, 53: «I quali fiorini... dall'uno lato era la 'mpronta del giglio, e dall'altro il san Giovanni» (nov. 1252).
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