Sia Girolamo che Mompuccio rientrano in Firenze per comparire in tribunale e difendersi dall’imputazione. Mompuccio viene assolto, Girolamo condannato; i beni di costui sono per metà aggiudicati agli eredi di parte lesa, per metà incamerati dal comune (§2). Quando fu esattamente emessa la sentenza di condanna? Filippo del fu Girolamo di Salvi dei Girolami impugna la validità della sentenza sulla base dell’anno d’immunità accordato dalle leggi fiorentine ai priori. Al diritto d’immunità aveva fatto ricorso, inutilmente, anche Dino Compagni.
Palazzo del podestà 7.V.1302: «In nomine Domini, amen. Constitutus in presentia d. Cantis [dei Gabrielli] potestatis Florentie, Dinus Compagni dixit et protestatus fuit quod sibi domino potestati placeret nullum processum facere contra dictum Dinum vel eius bona occasione aliquorum confinium qui dicerentur dati dicto Dino, maxime cum ipse Dinus sit infra tempus anni sui prioratus, infra quod tempus gravari non potest vel molestari realiter vel personaliter, vetante forma capitulorum et ordinamentorum iustitie. Et ad hoc produxit instrumentum dicti prioratus publice scriptum per Antonium Bonsegnoris Guecçi notarium» (ASF, Notar. antecos. 3140, f. 66v; rubrica al marg. sin.: Protestatio Dini Compagni).
Con Dino, Girolamo era stato priore nell’ultimo bimestre dei bianchi, 15 ottobre 14 dicembre 1301. Ma il priorato non fu portato a termine perché il partito vincente depose i priori bianchi e insediò il 7 novembre i neri (Stefani rubr. 224, 229; Davidsohn IV, 282-83; G. Arnaldi, Dino Compagni, DBI XXVII, 629-47). Questi di fatto rimasero in carica fino al 14 dicembre dello stesso anno; portarono dunque a termine l’interrotto priorato dei bianchi; dal 15 dicembre altri entrarono in carica e riavviarono la regolarità del bimestre (Stefani rubr. 226 bis; in rubr. 229 l’ultima serie priorale è del 15 dic. 1301 14 febbr. 1302). La condanna fu dunque pronunciata non oltre il 14 dicembre 1302, data di scadenza dell’anno d’immunità successivo al priorato. Ma si noti l’espressione usata da Filippo: «cum dictus Girolamus esset infra tempus anni quo deponere debuit offititun prioratus» (§3); che vale qualcosa come: non era ancora trascorso un anno dal termine in cui Girolamo avrebbe dovuto terminare il bimestre priorale. In altre parole Filippo computa nell’anno d’immunità tutto il periodo della durata legale del bimestre, quindi anche i giorni dal 7 novembre al 14 dicembre che avrebbero dovuto far parte del priorato di Girolamo se non fossero stati insediati i priori neri. La condanna ha avuto luogo più esattamente tra 7 novembre e 14 dicembre 1302; non molto prima del 14 dicembre, data di scadenza dell’anno d’immunità, se vogliamo dar tempo ai Girolami di rientrare a Firenze da Venezia non appena avuto notizia dell’accusa mossagli per l’omicidio perpetrato proprio in novembre. In quel tempo fr. Remigio è in Firenze.
La difesa di Filippo è principalmente impostata sull’illegalità della messa in stato d’accusa a motivo dell’immunità dei priori, ché le altre due argomentazioni di supporto appaiono palesemente fragili: che Girolamo non avrebbe potuto commissionare l’omicidio mentre si trovava in Venezia, e che l’esecutore materiale fosse maggiore del mandante (§3). Ignorato invece un argomento di notevole peso: perché Girolamo e Mompuccio da un sicuro rifugio sarebbero volontariamente rientrati a Firenze per comparire in tribunale, in novembre-dicembre 1302 tempo dell’assoluto predominio dei loro avversari politici, se fossero stati i mandanti del delitto? Il loro volontario rientro in città non prova che i due contavano su un processo equo che ne riconoscesse l’innocenza? Ma Filippo insiste sull’immunità. Gli Ordinamenti di giustizia (se a questi Filippo intende riferirsi con «contra ordinamenta iustitie») confermano soltanto in termini generali l’immunità dei priori e rinviano agli «statuti e ordinamenti del capitano» per la legislazione specifica. Ora nello Statuto del capitano l’immunità non è garantita per l’imputazione d’omicidio o di ferite con effusione di sangue. Filippo - o il giurista che gli ha prestato la consulenza del caso - sembra consapevole dell’importante dettaglio, e argomenta in subordine: ammesso pure che Girolamo fosse stato posto sotto accusa per omicidio (caso non contemplato dall’immunità), non poteva esser perseguito senza il consenso dei priori in carica. E qui il dispositivo dell’immunità gli dà ragione. Ora tale consenso - prosegue Filippo - non vi fu.
■ Statuto del capitano del popolo II § 4: «Statuimus et ordinamus quod domini potestas vel capitaneus seu eorum vel alterius eorum iudices vel notarii seu aliquis alius officialis communis Florentie, qui nunc sunt vel pro tempore fuerint, non possint vel debeant dominos priores et vexilliferum iustitie et eorum notarios seu aliquem eorum, ratione eorum officii vel aliquo modo vel causa
que dici vel excogitari possent, durante eorum officio vel postea a die depositi officii ad unum annum, condennare gravare seu quomodolibet molestare seu dannificare personaliter vel realiter, nisi propter homicidium vel vulnus seu vulnera cum sanguinis effusione in persona alicuis, quod vel que commisissent in personam alicuius, de quo vel quibus accusaretur talis offensor ab iniuriam passo; in quo casu possit talis
offendens condennari secundum formam statutorum domini potestatis vel domini capitanei, et tunc de consensu dominorum et vexilliferi iustitie tunc in officio residentium. Et quod contra factum fuerit non valeat ipso iure» (Statuti della repubblica fiorentina, ed. R. Caggese, I, Firenze 1910, 89).
Cf. Ordinamenti di giustizia § 31 e 51 (ed. cit. pp. 417, 424-25).
Gherardo dei Bordoni occupa le proprietà di Girolamo site in Santo Stefano in Pane (pieve a nord-ovest della città, a destra del torrente Terzolle, oggi zona Rifredi) e altrove. «Et in loco dicto Montalto» (§3), aggiunge Filippo; non San Bartolomeo a Montalto, piviere Sant’Andrea a Doccia (oggi comune di Pontassieve), ché si sarebbe dato il nome del popolo; l’espressione «in loco dicto» è comune per semplici località; qui forse nel medesimo popolo Santo Stefano in Pane. Filippo non specifica oltre. Poco prima aveva detto che i beni del padre erano stati per metà aggiudicati agli eredi dell’ucciso e per metà incamerati dal comune. Possiamo pensare che Gherardo mettesse mano sulle terre andate al comune; sopruso nei beni pubblici che troverebbe appoggio sulle altre prevaricazioni di Gherardo, quella d’aver procacciato la condanna del Girolami senza consenso dei priori in carica (bimestre 15 ottobre 14 dicembre 1302) al procedimento d’accusa, e quella d’aver abusato dalla carica priorale per rappresaglie personali contro il Girolami. La condanna di costui fu dunque una cosa sbrigativa tra il Bordoni e il podestà Gherardo da Gambara («dum esset in abbatia comunis Florentie causa eundi ad mandata, condempnatus fuit per ipsum dominum potestatem», §2).
Il bresciano Gherardo da Gambara già podestà nel primo semestre 1300, periodo dei bianchi, e a fine mandato messo sotto accusa dai revisori del comune per aver condannato Chierico dei Pazzi, per i fatti del calendimaggio, a un’ammenda inferiore a quella prevista dalla legge; all’expodestà fu imposta una forte pena pecuniaria (Davidsohn IV, 149). Nel podestariato del secondo semestre 1302 sotto il governo dei neri, Gherardo «volle superare anche Cante de’ Gabrielli per vendicarsi della condanna inflittagli dai Bianchi in seguito al sindacato della sua gestione» (ib. IV, 293); in questo tempo avrebbe pronunciato 389 condanne a morte (ib. IV, 293; cf. V, 140, 195): ASF, Capitani di parte guelfa, numeri rossi 20, Libro del chiodo pp. 2470. Gherardo di Pagno dei Bordoni prende frequentemente la parola nei consigli opportuni tra 1302 e 1308. Consiglio dei cento 8.II.1303: «De termino prorogando usque ad kal. mensis aprillis proxime venturi de exbannitis et condempnatis offerendis, liberandis et cancellandis..., salvo quod condempnatis vel exbannitis a kal. novembris citra mccci predicta non prosint. Gherardus Bordonis [intendi «Pagni Bordonis»] consuluit secundum propositionem». Votazione: 66 voti favorevoli, 6 contrari (Consigli I, 80).
Morte di Gherardo dei Bordoni e condanna dei suoi consorti sblocca di colpo la situazione. Il fatto pone termine alla vicenda di Corso dei Donati e del suo più fedele seguace Gherardo dei Bordoni. Messi alle strette dalla fazione avversa, i due si asserragliano con i loro masnadieri in casa Donati in San Pier Maggiore. Persa la partita, tentano la fuga ma sono raggiunti e uccisi. La fine si tinge di crudeltà:
«Piero e messer Guiglielmino Spini, giovane cavalier novello, armato alla catalana, e Boccaccio Adimari e’ figliuoli e alcun suo consorto, seguitonli forte, giunsono Gherardo Bordoni alla Croce a Gorgo: assalironlo; lui cadde boccone; eglino, smontati, l’uccisono; e il figliuolo di Boccaccio gli tagliò la mano e portossela a casa sua. Funne da alcuno biasimato; e disse lo facea perché Gherardo avea operato contro a loro a petizione di messer Tedice Adimari, loro consorto e cognato del detto Gherardo. I fratelli scanparono; e il padre [Pagno] rifuggì in casa i Tornaquinci, ché era vecchio» (Compagni III, 20). «E per Boccaccio Cavicciuoli fu giunto Gherardo Bordoni in sull’Affrico, e morto, e tagliatagli la mano, e recata nel corso degli Adimari [attuale via dei Calzaioli] e confitta all’uscio di messer Tedice degli Adimari suo consorto, per nimistade avuta tra·lloro» (Villani IX, 96, 87-91).
È il 6 ottobre 1308. Bernardo di Pagno dei Bordoni, fratello di Gherardo, è priore nel bimestre 15 agosto 14 - ottobre 1308. Il 26 ottobre Filippo presenta il ricorso e ottiene giustizia. (In Davidsohn IV, 494 si dice che i Girolami «poterono, ora che l’uomo temuto [= Gherardo dei Bordoni] era morto, tornarsene a Firenze»; almeno Girolamo e Mompuccio, come attesta espressamente il nostro documento, erano rientrati in Firenze in nov.dic. 1302!). Le coincidenze cronologiche mostrano da sé che la scomparsa dalla scena cittadina del Donati e dei Bordoni crea le uniche condizioni politiche perche Filippo possa inoltrare il ricorso con la speranza d’un verdetto equo sulla causa del padre.
■ Qui, nell'originale a stampa, MD 16 (1985)
p. 79, sopprimi i righi 3-7 Oppure il ricorso ... eredità paterna?, e rinvia il richiamo nota 152 alle ultime parole del periodo precedente: del
padre 152. Il resto di nota 152 in calce diventa:
Il ricorso di Filippo del
fu Girolamo di Salvi dei Girolami non coincide semplicemente con la successione all’eredità paterna. Girolamo doveva essere deceduto notevolmente prima di ottobre 1308 perché Filippo asserisce d’aver a suo tempo versato al comune le imposte sul patrimonio del padre (§3 in fine). Dei confinanti con una casa nel popolo San Pancrazio locata il 2.VIII.1308, i figli di Salvi del Chiaro sono menzionati come titolari
ancora in solido dell’abitazione paterna: «a iiij° filiorum Albicçi Orlandini et filiorum Salvi del Chiaro» (ASF, Notar.
antecos. 13364, f. 95r); in novembre 1305 nel censimento della gabella delle pensioni: «Item alia domus d. Tesse pinzochere cui a j° via, a ij° heredum Clari Salvi, solvit l. 10 f.p.» (ASF, Estimo 1, p. 17). Mentre nel medesimo censimento Mompuccio risulta locante in proprio nel popolo Santa Lucia
d’Ognissanti casa con terreno coltivabile (ib. p. 106).
■ Nell’albero genealogico di Tratt. pol., MD 16 (1985) p. 69, soppresso il nome Tessa dalla linea di Girolamo di Salvi del Chiaro, integra il ramo di Biliotto di Girolamo. Tessa è sì figlia di un Girolamo, ma non di Girolamo di Salvi del Chiaro, bensì di Girolamo di Biliotto di Girolamo.
In anni d’arbìtri, sopraffazioni e faide consortili, spesso perpetrati con la copertura legale delle pubbliche istituzioni tanto nel periodo dei bianchi che in quello dei neri, non si può non sospettare corruzione delle pubbliche magistrature procacciata dall’una e dall’altra fazione. Gli argomenti di Filippo d’altronde son ben lontani dal provare convincentemente l’estrancità del padre all’omicidio. Ma va detto che il nostro documento non è un verbale processuale ma una petizione inoltrata alle autorità fiorentine, cui fa seguito la relativa provvisione. Bisogna supporre che i consigli opportuni abbiano vagliato nella debita sede le prove d’innocenza di Girolamo («examinatione et deliberatione prehabita diligenti» §5). Per chi dispone soltanto del nostro documento, il sospetto che il verdetto d’assoluzione del 26 ottobre 1308 fosse procurato con maneggio di parte è rimosso sulla base di tre fatti: a) l’intreccio della vicenda processuale con Gherardo dei Bordoni e lo sblocco succeduto immediatamente alla morte di Corso dei Donati e dello stesso Gherardo; b) il riconoscimento d’innocenza è pronunciato dal partito nero ancora al potere (l’arringatore ser Giovanni dei Siminetti, che parla a favore della provvisione, era stato priore in ottobre-dicembre 1304, anno più nero del predominio nero); c) la più ampia rappresentanza degli organi della repubblica fiorentina (collegio dei priori, consiglio dei cento, consiglio speciale e consiglio generale del capitano con partecipazione delle capitudini delle arti) emette la sentenza d’assoluzione. Priori, capitano, consiglieri (in numero totale di 286 fra i tre consigli) e capitudini delle arti accolgono tutto, «omnia et singula», quanto contenuto nella petizione di Filippo; riconoscono dunque e cassano anche quanto tramato da Gherardo dei Bordoni in abuso di pubblico potere: «omnia et singula per Gherardum Pangni Bordonis eiusque sotios in offitio prioratus, quocumque tempore quo idem Gherardus in ipso offitio prioratus prefuit, quocumque modo causa iure auctoritate bailia seu vigore edita provisa firmata et facta contra dictum Girolamum eiusque bona, et omnia et singula ex predictis quomodolibet subsecuta in preiuditium aut gravamen ipsius olim Girolami et bonorum suorum, cassentur et irritentur» (§4).
Un’ultima curiosità: perché, dei due fratelli imputati d’omicidio, Mompuccio fu assolto e Girolamo condannato nella sentenza d’autunno 1302? Una spiegazione la si potrebbe suggerire a partire da quanto sappiamo dei Girolami. Dei figli di Salvi del Chiaro, Girolamo spicca notevolmente sui fratelli per il peso politico e il pubblico prestigio; presumibilmente anche per la consistenza patrimoniale. Era stato inoltre priore nell’ultimo bimestre del governo bianco (ottobre-dicembre 1301), che tentò di opporre resistenza all’ascesa dei neri. «Facemmo, pe’ consigli, leggi aspre e forti e demo balìa a’ rettori contro a chi facesse rissa o tumulto, e pene personali imponemo; e che mettessero il ceppo e la mannaia in piazza per punire i malifattori e chi contrafacesse», racconta l’altro priore Dino Compagni (II, 13). Fu Girolamo - come è stato annotato tra le sue notizie - che propose nel consiglio generale 28 ottobre 1301 di protrarre le leggi speciali «nuper editis pro tranquillo statu comunis Florentie et pro seductionibus evitandis... usquequo princeps Karolus, olim regis Francie filius, venerit et steterit in civitate Florentie». Gli avversari politici, una volta al potere, colpirono Dino Compagni; e dei Girolami quello più politicamente esposto. L’assoluzione di Mompuccio avrebbe dato parvenza d’equità alla condanna di Girolamo.