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De bono comuni

Il bene comune

originale latino

volgarizzamento (2007) di EP

14. Idem probatur ex parte temporalis utilitatis

Capitolo 14. Il bene comune va anteposto al bene privato del singolo: prove tratte dalle cause che muovono ad amare, e tra queste da parte dell'utilità materiale.

Tertia causa movens hominem ad naturaliter amandum alium hominem est temporalis utilitas, et hoc ex natura defectibilitatis sive defectuositatis. Omnis enim homo naturaliter defectivus est, iuxta illud Ps. 72[,26] «Defecit caro mea et cor meum». Et ideo talis amor specialiter invenitur in senibus, qui maxime sunt vallati defectibus, et natura iam deficit in eis; unde Philosophus in VIII Ethicorum «Maxime autem in senibus talis videtur amicitia fieri. Non enim |102ra| delectabile tales persecuntur sed utile».

Terza causa che muove per impulso naturale l'uomo ad amare un altro essere umano è l'utilità materiale, a motivo dei limiti e difetti. Ogni essere umano per sua natura è difettoso, secondo il detto di Salmo 73,26 «Vien meno la mia carne e il mio cuore». Questo tipo di amore lo si riscontra specialmente negli anziani, i più accerchiati da difetti, visto che la natura in essi già vien meno. E pertanto Aristotele, Etica nicomachea VIII,3 (1156a 24-26): «Soprattutto nelle persone anziane sembra sorgere una tale amicizia. Costoro infatti non cercano tanto il |102ra| dilettevole bensì l'utile».

Sed et iam fere omnes homines propter solum utile videntur amare, iuxta illud Prov. 14[,20] «Amici divitum multi»; et Seneca dicit: «Mel musce, frumenta formice, cadavera lupi; predam sequitur ista turba non hominem». Sic enim etiam infideles Christum amabant, sicut legitur[1] de Tyberio imperatore quod amabat Iesum sperans ab ipso sanari a lepra, sicut et postea per eius beneficium sanatus est.

Ma quasi tutti sembrano coltivare l'amicizia per il solo utile, secondo Proverbi 14,20 «Numerosi sono gli amici dei ricchi!»; e (Pseudo-)Seneca, De remediis fortuitorum X,4: «Le mosche vogliono il miele, le formiche le granaglie, i lupi i cadaveri; cerca la preda, la turba, non l'uomo». In questa maniera amavano il Cristo anche gl'infedeli, come si legge dell'imperatore Tiberio, che amava Gesù sperando che lo sanasse dalla lebbra, come poi di fatto accadde.

Et christiani etiam sic diligunt Sarracenos vel Iudeos a quibus lucrantur, et e converso. Sic etiam una civitas amat aliam propter mutuum adiutorium ad compugnandum et alia utilia invicem faciendum. Et ex hac natura civis preamat sibi comune suum. Utilitas enim partis dependet ab utilitate totius, sicut de esse et consequentibus ad esse dictum est supra.

E anche i cristiani amano saraceni ed ebrei, coi quali fanno affari e viceversa; e anche un città ama un'altra per il mutuo soccorso in guerra o altri reciproci tornaconti. Nella medesima maniera il cittadino antepone il suo comune all'amore di sé. L'utilità della parte dipende infatti da quella del tutto, al modo che s'è detto sopra circa essere e suoi conseguenti.

Quod etiam apparet ex hoc quia homines naturaliter congregantur et faciunt civitatem vel aliud comune propter utilitatem propriam ad subveniendum defectibus vite humane quibus unus subvenire non potest, ut alter suppleat ubi alter deficit, quia unus facit calciamenta, alius domos, alius vestimenta, alius colit terram, alius facit arma, et sic de ceteris quibus indiget humana vita.

Nemo enim sibi satis est, eget omnis amicus amico.

Si non vis aliis parcere, parce tibi,

sicut dicit Esopus de membris et stomaco, et dictum est supra.

Parimenti per impulso naturale gli esseri umani tendono alla socialità, costruiscono la città o altra forma di comunità politica, per propria utilità e per venire incontro alle deficienze della vita umana che sorpassano le capacità del singolo. Lì, nella città, un cittadino supplisce a quel che l'altro non sa fare, c'è chi fa il calzolaio, un altro fa il muratore, un altro fa il sarto, un altro fa l'agricoltore, un altro fa l'armaiolo, e così via secondo i bisogni dell'umana esistenza.

Nessuno basta a se stesso, l'amico ha bisogno dell'amico.

Non vuoi far grazia ad altri? Falla a te stesso,

dice Esopo [= Gualtiero Anglico, Romuleae fabulae 1177 ca., LV] nella favola su membra e stomaco, già  sopra riportata.

Qualem enim utilitatem potest modo habere civis florentinus? Sotietates enim sunt dissotiate, fundacha  -  ut ita dicam  -  sunt exfundata, apoteche sunt abortate idest otiose et apostemate, artes sunt artheticate, mercationes facte sunt marcide, medicine sunt facte mendice[2], leges sunt ligate, curie decurtate, opera exoperata, laboreria sunt libera idest defecerunt, vicini sunt exvicinati, concordes sunt excordati, amici sunt inimicati, omnes fides sunt exfidate, corda sunt accorata et facta crudelia, voluntates sunt facte venenate, concivantes sunt exconcivati, ut ex destructione civitatis iam unus civis nec sibi nec alteri civi possit esse utilis sed dampnosus.

E ora, ditemi, che utilità ha oggi il cittadino fiorentino? Le società si son dissociate, i fòndachi - come dire? - sfondati, le botteghe sbottegate, disattivate, incancrenate; le arti si son disarticolate, i mercantaggi marciti, le medicine mendìche, le leggi rilegate, le curie decurtate, le opere disoperate,  le officine disofficiate, i vicini svicinati, i concordi discordati, gli amici disamicati, le fedi sfiduciate, i cuori accorati e incruditi, le volontà avvelenate, i compatrioti scompatriati!
La
città si è decomposta? Un cittadino non potrà essere utile né a sé né ad altri. Soltanto dannoso.

Et sic bene, immo male, “Florentia” mutata est in “Firençe” quia ubi ex odore fame extranei etiam de longinquis partibus suas pecunias propter |102rb| utilitates temporales et lucra pecuniaria propria deponebant, nunc ex fetore infamie etiam cives inde auferre que posuerunt conantur et  -  quod miserabilius est  -  rehabere sua non possunt.

E così Fiorenza è mutata in Firenze. Bene, anzi male! Un tempo per l'odore della sua fama i forestieri venivano da lontano a depositarvi i loro soldi per ricavarne |102rb| vataggi e profitti; oggi per il tanfo della sua infamia perfino i fiorentini cercano di portarsi via i loro depositi, e - peggio ancora -  non riescono a riavere il suo!

15. Idem probatur ex parte similitudinis

Capitolo 15. Il bene comune va anteposto al bene privato del singolo: prove tratte dalle cause che muovono ad amare, e tra queste da parte della somiglianza.

Quarta causa que movet naturaliter hominem ad amandum alium hominem est similitudo, iuxta illud Eccli. 13[,19]  «Omne animal diligit sibi simile»; et Philosophus dicit in VIII Ethicorum «Similem amicum aiunt ut similem, et coloium ad coloium»[3]. Et hoc ex natura entitatis. De natura enim omnis creature est entitas.

Quarta causa che muove per impulso naturale l'uomo ad amare un altro essere umano è la somiglianza; Ecclesiastico (Siràcide) 13,19, «Ogni animale s'accorda col suo simile»; e Aristotele, Etica nicomachea VIII,1 (1155a 34-35) «Dicono alcuni che i simili sono amici e cercano il simile, e la cornacchia cerca la cornacchia». E questo in forza della natura stessa dell'essere; l'essere infatti è della natura costitiva di ogni creatura.

Et ideo cum omnis creatura naturaliter amet se, naturaliter etiam amat omne illud in quo entitas reperitur; et quanto potior est entitas et sue entitati vicinior tanto magis naturaliter ipsum amat; puta maior[4] est amor quo grave existens in loco suo amat aliud grave existens ibi similiter quam amet ipsum grave existens extra locum suum actu, quia scilicet maior est entitas actualis quam potentialis.

Ogni creatura pertanto ama se stessa per natura, e per natura ama parimenti ogni realtà costituita di essere; e quanto più eccellente è l'essere e più prossimo al proprio essere, tanto più l'ama. Un corpo grave esistente nel proprio luogo, ad  esempio, si sente più affine a un altro grave nel medesimo luogo; meno invece se l'altro grave fosse in atto fuori del luogo proprio.  L'essere in atto è superiore a quello potenziale.

Et per eandem rationem maior et potior est amor amicitie, qui est ad rem que habetur actu, quam amor concupiscentie, qui habetur ad rem que habetur tantum in potentia; quia ens in actu est ens simpliciter, ens autem in potentia est ens secundum quid tantum, secundum Philosophum in I Phisicorum; sicut ovum est simpliciter ovum sed secundum quid tantum est animal.

Per la medesima ragione, maggiore è l'amore di amicizia verso un termine pienamente realizzato; laddove l'amore di concupiscenza ha per termine una cosa ancora potenziale. L'essere in atto è essere nella sua pienezza, mentre quello in potenza lo è solo parzialmente ossia in divenire, a giudizio di Aristotele, Fisica I,8 (191b 13-19); I,9 (192a 4-5). L'uovo, ad esempio, è semplicemente uovo in sé considerato; soltanto in senso relativo è un animale, ossia può divenire animale.

Et similiter maior est vicinitas que est in genere quam que est in entitate tantum, et adhuc maior que est in genere minus comuni, et adhuc maior que est in specie, et adhuc maior que est in substantia quam in accidente; et ideo homo naturaliter magis diligit animata, ut arbores, quam inanimata, ut lapides, et magis bestias vel aves quam arbores, et magis homines quam bestias, et magis consanguineos quam coalbos vel congramaticos.

Allo stesso modo, tra gli esseri è maggiore la prossimità che si trova nella comunanza nel genere rispetto a quella nella semplice esistenza; ancor maggiore nella comunanza nella specie, e ancor maggiore nella comunanza nella sostanza anziché nell'accidente. Cosicché l'uomo è portato per natura ad amare più gli esseri animati, come gli alberi, che quelli inanimati, come le pietre, e più le bestie e i volatili che gli alberi, e più gli esseri umani che le bestie, e più i consanguinei che i consimili nel color chiaro o nel parlar latino.

Et ex hac natura civis preamat civitatem sibi propter maiorem similitudinem quam habet pars ad totum quam habeat ad se ipsam, tum quia pars ut pars est ens in potentia tantum, ut dictum est, totum autem ut totum est ens in actu, tum etiam quia quantacumque sit vicinitas partis ad se ipsam tamen maior est partis ad totum, quia illa vicinitas dependet ab ista sicut et entitas, sine qua nulla vicinitas esse potest cum ens sit comunissimum.

In base a questa natura, il cittadino preama la città a se stesso a ragione della maggior somiglianza della parte al tutto che a se stessa; e inoltre perché la parte in quanto tale è ente solo in potenza, come detto, mentre il tutto in quanto tale è ente in atto. E ancora: quale che sia la prossimità della parte a se stessa, maggiore tuttavia è la prossimità della parte al tutto; quella infatti dipende da questa, al pari della sua entità. E senza entità non si dà prossimità alcuna, visto che l'essere è alla radice d'ogni comunanza.


[1] Cf. GIACOMO DA VARAZZE, Legenda aurea c. 53 (De passione Domini), che però non specifica il nome della malattia, dice solo «morbo gravi». Remigio, sulla questione chi fosse il Cesare di Mt. 22,21, «Reddite ergo que sunt Cesaris Cesari»: «Ubi notandum est quod secundum Ieronimum fuit Tyberius, sub quo passus est Dominus, privignus et filius adoptivus Octaviani imperatoris sub quo natus est Dominus; et post passionem Domini vixit 5 annis, et per virtutem ymaginis eius liberatus est a lepra, et fecit Pilatum ad se venire quem condempnavit ad mortem, ut habetur in legenda de passione» (cod. G4, f. 233ra).

[2] «medicine... mendice»: il gioco linguistico non è originale, se capita di leggere: «Dum sapiens fieri cupio medicusque videri / insipiens factus sum mendicare coactus. / Nunc mendicorum socius sum, non medicorum» (Carmina Burana a c. di E. Massa, Roma 1979, 47).

[3] L'aristotelico κολοιός (cornacchia) è semplicemente traslitterato nelle traduzioni latine. «Sunt autem quedam aves gregales sicut sturni», commenta - sulla scorta di Alberto Magno - Tommaso d'Aquino: Sententia libri Ethicorum VIII, 1, 128-29 (EL 47,444).

[4] «maior»: scrive magior e poi rimuove la g. Altrove ci s'imbatte in magestas, aquilegense (cod. D., ff. 207va, 263r marg. destro, mano B). Verosimilmente, dunque, non un lapsus ma fonetismo volgare riversato nel latino.


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