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De bono pacis

Il bene della pace

originale latino

volgarizzamento (2007) di EP

[3] Secunda ratio accipitur ex parte mundi.

Seconda ragione o argomentazione da parte del mondo.

Bonum enim mundi consistit in pace idest in ordinata tranquillitate partium ad invicem; sicut enim dicit Augustinus in libro XIX De civitate Dei, «Pax corporis est ordinata temperatura partium», et «pax omnium rerum est tranquillitas ordinis». Et in hoc ordine consistit bonum mundi, secundum Philosophum in XII Methaphisice[1]; unde dicit quod «omnia coordinata sunt aliqualiter». Sed bonum totius prefertur bono partis. Ergo pro bono pacis pretermictendum est temporale bonum particularium personarum.

Il bene del mondo consiste nella pace, ossia nell'ordinata tranquillità delle parti tra loro; come dice Agostino, La città di Dio XIX, 13, 1.10-11 (CCL 48, 678.679; PL 41, 640): «Il benessere di un organismo è l'ordinata temperatura delle singole membra»; «la pace di tutte le cose è la tranquillità nell'ordine». E proprio in questo ordine consiste il bene dell'universo, secondo Aristotele, Metafisica XII(L), 10 (1075a 11-17); il quale riassume: «tutte le cose in un certo modo sono interconnesse». Ma il bene della comunità precede quello dei singoli cittadini. Dunque per il bene della pace, si può soprassedere sul bene materiale della singola persona.

Sed contra. Iniuria nulli est facienda, neque malum pene sine culpa alicui est irrogandum propter maius bonum; non enim licet auferre possessiones ab homine peccatore vel minus bono ut dentur iusto qui melius uteretur eis. Ergo contra voluntatem particularis hominis non potest licite ipse homo privari possessionibus suis propter maius bonum totius comunis, quod dicitur esse pax; privatur autem eis dum ei non restituuntur et fit de ipsis remissio.

Obiezione.

Nessuna ingiustizia è mai lecita contro chicchessia, né è lecito infliggere una pena senza colpa, per ottenere un bene maggiore; e non è lecito confiscare le proprietà del cittadino trasgressore o meno responsabile per devolverle a chi ne farebbe miglior impiego. Contro dunque il volere del singolo cittadino, non è lecito privarlo dei beni per il superiore vantaggio di tutta la comunità politica, che usiamo chiamare pace; e si opera privazione di beni quando si fa condono della restituzione.

Et dicendum quod, secundum veritatem loquendo, talis ablatio non debet reputari iniuria nec penosa quamvis contra voluntatem alicuius fiant [sic], quia multa beneficia prestantur invitis, sicut ponit multa exempla beatus Augustinus in libro Ad Vincentium donatistam, et habentur 23, q. 5, Nimium[2]; freneticus enim contra voluntatem suam retinetur ne se precipitet, et puer verberibus compescitur.

Risposta.

A rigor di verità, tale esproprio non equivale a ingiustizia o sanzione, quantunque contraria alla volontà della persona. Anche molti benefìci li si danno contro volontà del beneficiato; ne fa molti esempi sant'Agostino, nel libro A Vincenzo il donatista, riportati nel Decretum (1130-40 ca.) di Graziano, Causa 23, questione 4, cànone 37 dall'incipit Nimium; il farneticante lo teniamo a bada suo malgrado, perché non precìpiti; un ragazzo lo teniamo a freno con qualche frustata!

Talis autem ablatio que fit pro pace, que est bonum comunis, est in maius bonum particularis persone quam si ei non auferretur, quia scilicet bonum totius est maius bonum partis, in quantum pars est, quam sit bonum proprium ipsius partis. Esse enim partis in quantum pars est, et per hoc omne bonum quod consequitur ad esse, dependet ab esse et bono totius tamquam a priori.

Siffatta sottrazione di beni eseguita ai fini delle pace, bene della comunità, si risolve in superiore bene della singola persona, più che se la sottrazione non ci fosse stato. Il bene infatti del tutto è superiore bene della parte in quanto tale, più che il bene stesso della parte. L'essere della parte in quanto parte, e di conseguenza ogni bene che ne sussegue, dipende dall'essere e dal bene del tutto come dal suo principio.

Pars enim extra[3] totum existens non est pars sicut dicebatur dum esset in toto. Manus enim abscisa non est manus nisi equivoce, puta sicut lapidea aut depicta, sicut patet per Philosophum in II De anima et in VII Methaphisice et in I Politice; non enim habet operationes manus, puta sentire tangibilia, cibum ori porrigere, scalpere et huiusmodi; unde Philosophus in I Politice «Prius namque civitas quam domus et unusquisque nostrum est; totum enim prius necessarium est esse parte.

La parte fuori dal suo tutto non è la medesima cosa di quando sussiste nel tutto. Una mano troncata non è mano se non in senso equivoco, al pari di quella lapidea o dipinta; così Aristotele in Dell'anima II,1 (412b 20-22); Metafisica VII,10 (1035b 24-25); Politica I,2 (1253a 20-21). Impotente, è una mano siffatta, a operazioni manuali quali avere percezioni tattili, accostare cibo alla bocca, scalpellare e simili. Aristotele pertanto in Politica I,2 (1253a 19-24): «Lo stato è anteriore alla famiglia e a ciascuno di noi perché il tutto dev'essere necessariamente anteriore alla parte.

Interempto enim |107va| toto nec erit pes nec manus nisi equivoce, velut si quis dicat lapideam; corrupta enim erit talis. Omnia enim opere diffinita sunt et virtute; quare non iam talia existentia non dicendum eadem esse sed equivoca», quia scilicet carent operatione et virtute per quam diffiniuntur; sicut, verbi gratia, diffinitio pedis[4] est quod est membrum organicum habens virtutem ad ambulandum.

Soppresso il tutto, |107va| non ci sarà più piede o mano se non per equivoco lessicale, come se si dicesse "mano di pietra"; e tale sarà una volta distrutta. Ora, tutte le cose le definiamo dalla loro funzione e proprietà; sicché quando non fossero più tali, la medesima denominazione risulterebbe equivoca»; mancano cioè della funzione e proprietà che le definiscono. Per intenderci: definiamo "piede" l'organo dalle proprietà ambulatorie.

Unde destructa civitate, quod quidem fit per civium dissensionem quia civitas dicitur quasi civium unitas[5], ut dicit Hysidorus [Hysidorum cod.] libro XV, remanet civis lapideus aut depictus, quia scilicet caret operatione et virtute quam prius habebat, puta miles in militaribus, mercator in mercationibus, artifex in artificialibus artis sue, officialis in officialibus, pater familias in familiaribus, et universaliter liber in operibus liberis, puta ire ad podere suum, facere ambasciatas, habere dominia aliarum civitatum et huiusmodi.

Distrutta dunque la città-stato - disastro provocato dalla discordia tra i cittadini, perché città sta per "unità di cittadini", a detta d'Isidoro, Etimologie XV,2 § 1 -, sopravvive il cittadino scolpito o dipinto, incapace cioè di azioni prima esercitate: ad esempio il militare nelle imprese militari, il mercante nelle transazioni, l'artigiano nei manufatti del suo mestiere, il funzionario nel suo ruolo pubblico, il capofamiglia nelle questioni familiari; in somma ogni libero cittadino nelle sue libere iniziative, quali andare al proprio podere, fare ambasciate, governare (da podestà o capitano) altre città, eccetera.

[4] Tertia ratio accipitur ex parte hominis.

Terza ragione o argomentazione da parte dell'uomo-cittadino.

Homo enim naturaliter inclinatur ad faciendam congregationem cum alio vel aliis hominibus in civitate vel castro vel alia comunitate; est enim animal naturaliter gregale et politicum, ut dicit Philosophus in VIII Ethicorum et in I Politice[6]. Ista autem congregatio ad pacem congregatorum ordinatur, dum scilicet unusquisque locum suum tenendo unus subvenit alteri qui sibi non sufficit, et e converso diversimode, tam in corporalibus quam in intellectualibus quam etiam in civilibus. «Pax enim civitatis est», ut dicit Augustinus libro XIX De civitate Dei, «imperandi ordinata atque obediendi concordia civium».

L'essere umano per sua natura è portato a far società con altro o con altri esseri umani, in città, in castello o in altre forme di comunità civile. L'uomo infatti per natura è essere socievole e politico, asserisce il filosofo per eccellenza Aristotele, Etica nicomachea IX,9 (1169a 18-19); Politica I,2 (1253a 2-3). Tale socialità si costruisce in ordine alla pace: ciascun cittadino, pur vicendo nel proprio ruolo, soccorre chi non è auotosufficiente, e viceversa, in maniera molteplice: nei bisogni materiali e intellettuali e sociali. «La pace della città consiste nella concordia dei cittadini, ordinata al governo giusto e all'osservanza legale», dice Agostino, La città di Dio XIX, 13, 8-9 (CCL 48, 679; PL 41, 640).

Sed apropriatio possessionum est ex iure positivo, quia secundum ius naturale «comunis est possessio omnium», sicut dicit Ysidorus in libro VII Ethimologiarum[7]. Item Augustinus Super Iohannem, et habetur dist. 8, c. 1, «Iure humano hoc dicitur “Hec villa mea est, hic servus meus est, hec domus mea est”. Iura autem humana iura inperatorum sunt»[8].

Il possesso personale di beni fa parte del diritto positivo, mentre è del diritto naturale la «comune proprietà di tutti i beni», come dice Isidoro, Etimologie V, 4 § 1. Parimenti Agostino, Super Iohannem, ma lo si legge nel Decretum (1130-40 ca.), distinzione 8, cànone 1: «È in forza del diritto umano che diciamo "Questa villa è mia, questo servo è mio, questo casa è mia". E il diritto umano è il diritto degli imperatori».

Ius autem naturale prefertur iuri positivo sicut principium prefertur principiato; unde dist. 9, c. ultimo dicitur «Constitutiones ergo, vel |107vb| ecclesiastice vel seculares, si naturali iuri contrarie probantur, penitus sunt excludende»[9]. Ergo propter bonum pacis potest fieri licite ablatio possessionum contra voluntatem possessorum.

Il diritto naturale precede quello positivo come il principio precede il principiato. Leggiamo pertanto nel Decretum, distinzione 9, cànone 11: «Le costituzioni, siano esse |107vb| ecclesiastiche o secolari, se contrarie al diritto naturale, vanno abolite». Per il bene della pace dunque è lecito procedere a espropri contro la volontà dei proprietari.

Sed contra. Illud quod suplet defectum alterius videtur preminere deficienti. Sed ius humanum supplet determinando ius naturale a qua determinatione ius naturale deficit, puta quod tale peccatum tali pena puniendum est; ex iure enim naturali solum in comuni habemus quod omne peccatum est puniendum. Ergo ius naturale non prefertur iuri positivo sed potius e converso.

Obiezione.

Quanto svolge ruolo di supplenza risulta preminente rispetto a quanto soffre difetto. Ma il diritto umano supplisce laddove specifica materia di diritto naturale da questo lasciata indeterminata; esempio: tale peccato va punito con tale pena; mentre il diritto naturale stabilisce solo in termini generali che ogni peccato va punito. Dunque il diritto naturale non va anteposto a quello positivo, semmai viceversa.

Et dicendum quod principium in quantum huiusmodi simpliciter loquendo semper prefertur principiato in quantum huiusmodi, licet secundum quid contrarium esse possit, quia principiatum in quantum huiusmodi quicquid habet, habet a principio; unde licet qui congnoscit conclusionem cognoscat plura quam qui cognoscit solum principium, tamen cognitio principii est nobilior et certior quam cognitio conclusionis.

Risposta.

Il principio in quanto tale ed in senso assoluto precede la cosa principiata in quanto tale, sebbene in senso relativo può darsi il contrario; la cosa principiata infatti in quanto tale, ottiene dal principio tutto quel che ha. E sebbene chi conosce la conclusione conosca molte più cose di chi conosce solo il principio, tuttavia la conoscenza del principio è superiore e più sicura della conoscenza della conclusione.

Et licet numerus premineat unitati quantum ad quantitatem, tamen unitas preminet numero simpliciter quantum ad nobilitatem. Ius autem humanum derivatur a iure naturali vel sicut conclusio a principio, puta cum prohibet homicidium  -  ius enim naturale prohibet alteri esse nocendum  -  vel sicut determinativum a comuni, puta cum precipit tale peccatum tali pena puniri; ius enim naturale precipit in comuni omne peccatum puniri.

E inoltre, sebbene il numero sorpassi l'unità in fatto di quantità, l'unità tuttavia eccelle sul numero in fatto di dignità. Il diritto umano promana dal diritto naturale o come conclusione da un principio, quando - ad esempio - proibisce l'omicidio, laddove il diritto naturale proibisce qualsiasi nocumento a terze persone; oppure come specificativo da un genere, quando - ad esempio - dispone di punire tale peccato con tale pena, laddove il diritto naturale dispone in termini generali di punire ogni peccato.


[1] Metaphysica XII(L), 10 (1075a 11-17). Florilège 1,277: «Bonum universi consistit in ordine...».

[2] Decretum C. 23, q. 4, c. 37 (Corpus iuris canonici, ed. Ae. Friedberg I, 916).

[3] Il brano Pars enim extra ... aliarum civitatum et huiusmodi è parallelo a De bono comuni c. 9, 60-79.

[4] «diffinitio pedis»: vedi De bono comuni c. 9, 72-74n.

[5] Altrove, sermone Gloriosa dicta sunt de te, civitas Dei (Ps. 86,3): «Hic autem [beata Virgo] vocatur civitas propter tria propter que homines congregantur ad faciendum civitatem, secundum Philosophum in IV Politice, scilicet propter pacem in se ipsa iuxta illud Ps. [75,3] "In pace factus est locus eius"; unde secundum Hysidorum civitas dicitur quasi civium unitas» (cod. D, f. 121ra). Anche in Contra falsos c. 49,66-80 nel contesto della città luogo precipuo della giustizia. Cf. GUGLIELMO IL BRETONE, Expositiones vocabulorum biblie (1250-70): «Civitas secundum Papiam et Ysidorum est concors hominum multitudo [1], societas vinculo ordinata [2], sic dicta quasi civium unitas [3]» (ed. L.W. e B.A. Daly, Padova 1975, 133). Solo nn. 1 e 2 si ritrovano in ISIDORO DA SIVIGLIA († 636), Etymologiae XV,2 § 1 (PL 82, 536; ed. Lindsay, riproposta da J.O. Reta, Madrid 1982) e in PAPIA IL LOMBARDO, Elementarium s. v. (rist. Torino 1966, 66b). In Postille super Cantica (7,4) Remigio cita fedelmente Isidoro: «... iuxta illud Ysidori "Civitas est hominum multitudo societatis vinculo adunata"» (cod. cit. f. 257vb).
Civitas e civis si erano caricate in Firenze di ben più definiti contenuti amministrativi: «Et illi habeantur pro civibus, qui aut originarii de civitate Florentie, vel hii qui per decennium ipsi vel eorum patres vel avi solverunt libras et factiones in civitate Florentie, et etiam hii qui de comitatu vel de alio loco se transtulerunt ad civitatem Florentie et in ea steterunt cum eorum familia a quinque annis citra, saltem duobus mensibus cuiuslibet anni, dummodo extra burgos vel suburgos terram alienam non laborent» (Ordinamenti sulla libra del 1286: in G. SALVEMINI, Magnati e popolani, ed. 1899, 352-53). Statuto del podestà (1321) II,20: «Quicumque habitaverit in civitate Florentie, burgis aut suburgis, per decem annos in domo sua vel aliena sine querimonia et petitione status sue persone facta in curia de Comuni, per scripturam tantum, ipsum et omnes res eius libere et expedite et absolute permanere faciam a domino vel dominis, si quem vel si quos habuerit» (Statuti della repubblica fiorentina II, 100-01). Cf. J. PLESNER, L'emigrazione dalla campagna alla città libera di Firenze nel XIII secolo, Firenze 1979, 122-23, 163-65.

[6] Testo parallelo in De bono comuni 9, 82n. Cf. Ethica nicom. VIII, 14 (1162a 17-18), dove si dice «Homo enim in natura coniugale magis quam politicum» (tr. recogn.: Arist. Lat.  26, 538), famiglia anteriore allo stato, constesto dell'amicizia. Ma il riferimento più pertinente va a Ethica nicom. IX, 9 (1169b 18-19): «politicum est homo et convivere aptus natus» (Arist. Lat.  26, 557). Politica I, 2 (1253a 2-3): «homo natura civile animal est» (EL 48, A 77). Cf. Florilège 12, 187; 15,3. DANTE, Convivio IV, IV, 1: «E però dice il Filosofo che l'uomo naturalmente è compagnevole animale». GIORDANO DA PISA, predica Venit in civitatem suam, Firenze 8.X.1304: «Dice il Savio che naturale cosa e popria è all'uomo stare alla cittade, e la ragione si è che, come dice quel grande Savio, l'uomo è animale congregale e sociale, e non sa stare sanza compagnia» (ed. Moreni, II, 88).

[7] Etymologiae V, 4 § 1 (PL 82,199 B). Cf. Decretum D. 8, c. 1, Dictum Gratiani ante: «Differt etiam ius naturale a consuetudine et constitutione. Nam iure naturae sunt omnia communia omnibus... Iure vero consuetudinis vel constitutionis hoc meum est, illud vero alterius» (Corpus iuris canonici, ed. Ae. Friedberg I, 12).

[8] Decretum D. 8, c. 1 (Corpus iuris canonici... I, 13).

[9] Decretum D. 9, c. 11 (incipit Sana), Dictum Gratiani post (ib. I, 18). Glossa ordinaria in Decretum in locum, "Cum ergo": «Infert ex supradictis vel continuat ad inferiora hoc modo: Cum in iure naturali nihil praecipiatur vel vetetur quam quod Deus vult fieri vel non fieri, et in canonica scriptura nihil aliud quam quod in divinis legibus inveniatur, divinae vero leges natura consistunt, patet quod quae contraria divinae seu canonicae legi inveniuntur, iuri naturali contraria sunt, et iuri naturali postponuntur» (Decretum Gratiani una cum glossis, ed. Venetiis 1584, col. 39).


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