BNF, Magl. II.IV.53: cm 30 x 22,5, cartaceo, composito. La prima unità, ff. 1-51 (XIV s.), d’una stessa mano in regolata minuscola documentaria a una sola colonna; tutto il contenuto in volgare toscano. Nota di mano ottocentesca, f. 34v, marg. inf.: «Comprato per Publica R. Libreria Magliabechiana da me Vincenzio Follini Bibliotecario dal Cavaliere Francesco Buonamici di Prato per mezzo del Prete Giovanni Pagni Fiorentino il dì 8 Marzo 1806». Contiene:
ff. 1r-26r: volgarizzamento del Liber peregrinationis (= LP) di Riccoldo (distinto dall’altro: cf. Ricerche, AFP 58 (1988) 65-77); acefalo
ff. 26r-33v: volgarizzamento di Epistola I di Riccoldo
ff. 34r-v: volgarizzamento della lettera di prete Ianni a Federico imperatore; mutilo (cf. La lettera di prete Gianni, a c. di G. Zaganelli, Parma 1990, 48)
ff. 35r-43v: descrizione e spiegazione di edifici, luoghi sacri, termini amministrativi di Roma antica; termina in tronco
ff. 44r-48v: orazioni, ritmi religiosi; a f. 48v intervento latino d’altra mano
ff. 49r-51r: guida alla confessione generale
La seconda parte, cartulata I-CXXI (talune carte in bianco), contiene a ff. I-CI la Cerusia volgarizzata di Guglielmo da Saliceto, finita di trascrivere il 27.III.1476. «Ex libris Antonii Magliabechi, 1714» (cf. f. ijr).
L’attuale f. 1 è brandello su supporto di restauro, salvi cm 2/3 di scrittura del margine esterno; vi si individua il volgarizzamento di LP a partire da f. 3rb del testo latino (visita al fiume Giordano). Il testo riprende regolarmente a inizio f. 2r «in monte Tabor, lo quale per verità è in Galilea», corrispondente a LP f. 3vb. Tra le attuali carte 5 e 6 è caduto un fascicolo: f. 5v integro termina in tronco con Et quinde (= LP f. 5va: Et exeuntes... ) e f. 6r inizia ex abrupto «per cotale modo, cioè che abitando elli» (= LP f. 9rb); è andato perduto un consistente blocco di scrittura che va dalla visita al santo sepolcro ad un buon terzo della trattazione sui tartari (LP ff. 5va-9ra). Tra carta 24 e 25 caduta d’un altro fascicolo, con troncamento e riattacco dalle medesime caratteristiche del caso precedente; manca LP ff. 19vb-23rb, sezione confutazione dell’islâm, compreso inizio capitolo sui miracula saracenorum. Il brano finale è a f. 25r-v con clausola di fine opera, cui fanno subito seguito i due capitoli additivi su mostri e sabei (ff. 25v-26r), secondo la sequenza del codice d’autore LP ff. 23va-24rb. Al volgarizzamento di Ep. I (ff. 26r-33v) segue l’annuncio di Ep. II: «Anco epistola con lamento sopra la preditta materia alla Vergine Maria», ma la pagina resta bianca. Da f. 34r la «pistola del preste Ianni d’India» anch’essa mutila a f. 34v. La foliazione sette-ottocentesca 7-17 convive con una più antica che numerava 2-11; nelle attuali carte 13-17 appare una terza foliazione mirante a rettificare la primitiva; così ad esempio carta 17 porta tre differenti numeri di foliazione: 11, 21, 17.
La fascicolazione non aiuta a illuminare le traversie della primitiva unità (ff. 1-51) del codice attuale. Evidenti segni di risarcimento alla piega dei fogli in legatura lasciano aperta la possìbilità che il restauro (non recentissimo) non abbia riprodotto la fascicolazione originaria, e i fogli entro il fascicolo. Cartulazioni concorrenti e fascicoli mancanti mostrano che il codice trecentesco fosse in pessimo stato, in parte slegato, mutilo di molte carte, quando sottoposto al restauro. La tipologia delle mutilazioni nel LP depone a favore d’un originale stato del codice che contenesse l’integrale volgarizzamento dell’opera riccoldiana. Lo confermano i rinvii del volgarizzatore a quanto raccontato «sopra», assenti nell’originale latino. Quattro rinvii, «come comincianmo a ddire» (15r 11), «come di sopra dicenmo» (16r 4ult), «ma come di sopra dicenmo» (19v 10), «come noi già ditto abbiamo» (22v 5), trovano regolare riscontro nelle sezioni precedentemente tradotte. Un quinto, di fatto il primo della serie, non ha riscontro nelle attuali carte del codice: «Ma quazi ad mezza via [tra Mosul e Baghdad] trovanmo una cità nella quale erano molti heretici maroniti dal monte di Libano, li quali - come dicenmo di sopra - diceno che Cristo fu pure una volontà» (14v), che traduce LP ff. 13vb-14ra (vedi sotto, brano numerato 11a). Rinvia a quanto antecedentemente annotato sui maroniti nel corso del viaggio da Acri alla Cilicia: «Inde... vidimus... montem Libani, ubi sunt maronite, qui dicunt in Christo unam esse voluntatem» (LP f. 6ra). Il volgarizzatore aveva di certo tradotto questo brano, se vi rinvia di sua iniziativa e con esattezza. Il brano era della sezione a ridosso del racconto lasciato in tronco a fine carta 5v, là dove, tra carta 5 e 6, risulta caduto un fascicolo.
La medesima mano che scrive i volgari LP ed Epistola I (e l'intera sezione ff. 1-51 del primitivo codice, salva nota latina a f. 48v) svolge anche attività correttoria sugli usuali errori di copia. Un esempio:
Er<r>ano anco indel misterio della santa ternità dicendo che Padre e Fìgliuolo e Spirito santo sono tre qualitadi. Unde in lingua arabica la chianzano thelace safat, che viene a ddire tre qualitadi. Anco li giacobini... (14r)
Quanto in corsivo è scritto al margine destro con segno di richiamo: ripara omissione di copia per omeoteleuto su tre qualitadi. Altri casi li si leggono nelle note in calce a edizione di Ep. I.
Ma sempre la medesima mano dispiega anche attività scrittoria non riducibile a correzione d’errori di copia. Per intendere appieno tali interventi metto a fronte testo latino e suo volgarizzamento; quest’ultimo trascritto secondo i criteri di ed. Ep. I, salvo quando rappresentazione paleografica consigli trascrizione diplomatica. Annoto che il volgarizzatore, in linea col genere letterario, esplica talvolta ai propri lettori passaggi dottrinali dalla tecnica concisione o quanto l’originale latino suppone risaputo.
Liber peregrinationis |
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1. Et ibi accepimus ramos olivarum, benedicentes et dantes omnibus; et descendimus per viam per quam descendit Christus cum processione in die Olivarum et venimus ad Portam Auream, per quam intravit Dominus cum processione (LP 3vb) | E prendendo de’ rami delli ulivi
benidicenmoli e demone a tutti, e discendenmo con essi per quella
via Barra che e vi sovrascrive per lla qual. |
2. Inde, redeuntes - ij miliaria - ut iremus ad domun Zaccarie, qui habitabat extra Iherusalem per tria miliaria, et invenimus primo locum ubi Elysabet occurrit Marie et exultavit infans in utero eius, postea invenimus domum Çacharie (4rb-va) | E partendoci quinde per andare
alla casa che fu di Zaccaria
Barra profeta. |
3. Exeuntes autem tartari de montibus, statim fecerunt consilium quomodo possent sibi subiugare totum orbem. Et dixit magnus chan, cuius nomen Cinciscanus: Duobus solum indigetis, scilicet obedientia ad principem et concordia ad invicem (9vb) | E poi che’ ditti tartari funno
usciti de’ ditti monti, feceno e ebeno sonsiglio per che modo
potesseno suggiugare tutto ’l mondo. E essendo insieme congregati li
principali, lo loro signore maggiore, lo quale si chiamava cane
Ciascuno [leggibile anche Ciastuno], si levò a aringare e
disse loro: Se voi volete esser
Barra signori e vi sovrascrive vincitori. |
4. Ex quo non comedis aurum sed panem sicut ceteri homines, quare tantum aurum congregasti quod toti mundo sufficeret? Et dixit: Ego istud non congregavi sed solum conservavi; nam sic congregatum inveni ab antecessoribus meis. Et dixerunt... (10va) | <Poi> che tu non mangi horo ma
pane come li altri homini, perché ài congregato tanto horo che
vasterebbe a tutto ’l mondo? E rispondendo elli che quello tezauro
non avea congrecato ma avealo conservato e così l’avea trovato
congregato da Barra un, aggiunge -i a suo, muta e finale in i; ottiene: da’ suoi anticessori. |
5. Et tunc scripsit per omnes civitates orientis quod omnes captivi dimitterentur (11rb) | Unde elli allora scrisse per tutte
le terre |
6. Et hoc est expressum argumentum contra indos, qui mentiuntur dicentes quod diluvium tempore Noe non pervenit ad eos (11rb) | Unde questo è expresso argomento
contra quelli d’India che
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7. Inde procedentes per regnum Persarum venimus ad gratissimam et pulcram planitiem que dicitur planities delatacca, ubi sunt lapides qui habent a Deo virtutem sanandi et consolidandi omnem incisuram, ut non sit eis opus medico vel alia medicina (11va) | Quinde procedendo per llo regno di
Persida perveninmo a una bella e grasiosa pianura la quale si chiama
piano della taccha, indel quale sono certe pietre presiose
e c’ànno da Dio
virtù di sanare e di consilidare ogni tagliatura sì che non v’è
bizogno pió altro medico o medicina (10r)
Barra la congiunzione e. |
8. irati curti ascenderunt supra magnum montem qui est super monasterium et diruerunt maximum saxum per montem ut veniret recto cursu super monasterium ut ipsum dirueret et monacos occideret. Predictum autem saxum cursu precipiti ruit in monasterii murum altum. et fortem, et nullum damnum fecit sed fregit de muro quantum erat ipsius saxi magnitudo, et ipsum saxum remansit muratum in muro ut ipse murus fortior esset (12va-b) | turbati molto saglitteno sopra un
grande monte, lo quale preveniva ed era sopra lo ditto monesterio, e
precisono e cavanno un molto grande saxo e fecelo diruinare e venire
a inpetto verso il monesterio credendo per certo che per questo modo
lo saxo percotendo indel monesterio per diritto corso il monasterio
disfacesse e lli monaci ucidesse. Ma come piaqque a dDio, diceno che
orando li monaci del luogo,
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9. Turba vero aliorum monacorum «turbati sunt insipientes corde» et excitaverunt sedictionem non modicam; et factus est tantus clamor et tantus tumultus inter eos ut timeremus ne se mutuo interficerent (13rb) | Ma l’altra moltitudine de’ monaci
ydioti e rozzi con grande tumulto e romore contradisseno e
concitonno non picciola sedictione; e tante grida e strida là si
levonno fra loro che noi temenmo che non s’ucidesseno
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10. Patriarcha tamen eorum primo publica disputatione a nobis, imo a Deo, totaliter superatus, tandem nobiscum plene in omnibus concordavit (...). Et convocato clero et magno populo in Ninive civitate grandi, in platea propter multitudinem populi, predicavimus fidem catholicam arabice (13va) | Ma pur lo loro patriarca convinto
[convintto scr.] da noi in plubica disputassione, anzi da
Dio, in tutto vinto e mutato, pienamente ad noi s’arendette (...).
Insieme co· llui
partendoci quinde, ritornanmo verso le contrade di Ninive e
Insieme co· llui aggiunto in soprarrigo; barrato perveninmo e sostituito in soprarrigo con convocanmo. |
11a. In medio tamen invenimus mangnam civitatem ubi erant multi maranite et archiepiscopus maranitarum. Sunt autem maranite heretici de monte Libani, qui dicunt in Christo unam tantum esse voluntatem (13vb-14ra) | Ma quazi ad mezza via trovanmo una
cità che si chiama Vencorit
nella quale erano molti h<e>retici maroniti del monte di Libano, li
quali - come dicenmo di sopra - diceno che Cristo fu pure una
volontà (14v)
Quanto evidentiato è aggiunto in interlinea con segno d'inserzione. |
11b. dicunt enim quod ad licteram habuerunt canem magne virtutis. Est autem nomen prediete civitatis Techerith. Invenimus etiam... (14ra) | unde diceno che a llittera così fu che perché ebeno un cane molto molto valente e ardito indel suo stato, sì lli hedificarono la ditta chiesa. Trovanmo anco... (14v) |
12. Et licet [nestorini] in multis errent, maxime tamen in Christo, quem dicunt natum esse de virgine Maria purum hominem, postea vero adeptum fuisse filiationem Dei per baptismum et per sancta opera que fecit (14rb) | Li quali errano in molte cose,
maximamente in ciò che diceno che lla vergine Maria non porturitte
Cristo cioè Dio Dio,
cioè Cristo naqque di lei pure homo mai [= ma] nel batismo ricevette
gratia sìe per llo batismo e ssì per lle sue precedenti sante
operassioni (15r) Barra Cristo cioè Dio. Conservo mai nel batismo del codice anziché interpretare ma inel batismo; mai (= ma) compare in redazioni pisane: Guittone d’Arezzo, Gente noiosa e villana v. 65; Galletto Pisano, Credeam’ essere lasso v. 40 (ed. G. Contini, Poeti del Duecento, Torino 1976) |
13. Et requisitus ex parte califfe semel et iterum quod veniret, venire distulit. Tertio vero requisitus quod statim veniret, tandem venit deferens coram califfa et toto clero sarculum et palam et ystrumenta ad fodiendam terram (15ra) | Unde fu incontenente richiesto da
parte del califfo che venisse dinanti
Barrato
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14. et ipsum patriarcham verbis asperis increpantes et improperantes quod factus erat francus et adversarius Nestorii, iactaverunt se quod possent nos disputatione publica superare (16va) | e riprendendo e riproverbiando
aspramente lo ditto patriarca e riproverandoli ch’elli era fatto
franco, cioè di nostra gente, e aversario di Nestorio, richiersenoci
da capo anco disputare con noi, vantandosi che in plubica
disputassione ci
vincerebbeno (19r)
Aggiunge con- in soprarrigo con segno d’inserzione, ottiene convincerebbeno. |
15. Et commissa responsione cuidam archiepiscopo, cum conveniremus... (16va) | E acettando noi la disputassione,
comnisesi la risposta a un loro
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16. Ibidem sunt magna monasteria illorum sarracenorum qui appellantur megerrede, quod interpretatur contemplativi. Nos igitur... (17ra) | E spetialmente vi sono certi
monesterii di quelli saracini li quali son chiamati magerede,
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17. In Baldacco ubi infatuantur multi propter maximum calorem habent iuxta civitatem pulcerimum locum pro ipsis fatuis et providetur eis optime in comuni de cibo et servitoribus et optimo medico quibus omnibus solvitur a comuni (18ra) | Anco indella ditta cità di
Baldaccha per che molti inpassano.
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18. Nam hoc maxime osservant quod nichil notabile faciunt vel dicunt vel scribunt quod non incipiant a nomine Domini; unde in suis literis omnibus quas sibi invicem mittunt, reverenter nomen Domini prius scribunt (18ra) | Onde questo osservano
singularmente che nulla notabile cosa fanno né diceno né scriveno
che non sia lo ’ncominciamento dal nome di Dio; unde maximamente
indelle lettere che
si mandano
Barra
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19. Tanta est eis gravitas in moribus quod numquam videas ibi hominem saracenum incedentem capite elevato vel oculis sublimibus vel collo erecto vel pectore tenso vel navigando braciis, sed incessu maturo sicut perfecti religiosi et graves moribus, etiam pueri parvi (18rb) |
Inde’ costumi ànno tanta gravità e
maniere che mai non vedreste un saracino andare a capo levato e con
collo steso né con occhi vani e alti o ad petto
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Epistola I |
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20. et mirabilia opera (5, numero di § della presente edizione) | e mirabile sono le
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21. et veniam usque ad solium tuum (5) | saglire fine alla
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22. Et nec ferocissimam bestiam evacuavit, quin pocius e contrario bestia Machometus fratres Predicatores missos ad predicandum occidit in Morrocho et aliis locis (19) | Ma di ciò fare, non soltanto di
ciò non li prometesti e non sconfisse la ditta bestia Macometto,
ansi per contrario li frati suoi mandati a predicare contra lui ài
promisso che siano ucisi da
un saracino in
Morroccho e in Acchari e in altre parte molte (19)
Sopprime un, vi sovrascrive suoi, muta o in i; ottiene da’ suoi saracini. |
23. mutatus in crudelem (27) | diventato crudele (27) | Sopprime -tato, sovrascrive -uto e ottiene divenuto. |
24. nec cedulam aliquam responsionis accepi (30) | nulla minima risposta n’abbo
avuta (30)
Espunge a-, sovrascrive rice. e ottiene ricevuta in luogo di avuta. |
Nei brani 1, 4, 10, 11a, 18, 22, 23, 24 gl’interventi su testo già trascritto non si risolvono in attività correttoria di trascorsi di copia. Implicano palesemente lavoro di traduzione. Due volte il pronome il quale è preferito a che (nn. 1, 18); divenuto preferito a diventato (23); ricevuta mira a maggior proprietà lessicale, e forse anche ad eliminare l’abbinamento delle due forme verbali di “avere” usate tre righi sopra (24).
Taluni interventi inoltre implicano il ricorso al testo latino; perché soltanto il controllo dell’originale poteva permettere d’eliminare imprecisioni nella resa: restituzione del plurale (4); restituzione di convocanmo voluto dal latino in luogo di perveninmo introdottosi là dove il volgarizzatore aveva esplicitato sia lo spostamento d’azione dal monastero Mâr Mattâ a Mosul (criptico nel testo riccoldiano), sia il trasferimento dello stesso patriarca («insieme con lui»), il quale difatti riappare nel racconto della predica nella piazza di Mosul (10). In 11b non compariva il nome della città dato dal latino; lo si inserisce a inizio racconto, con una soluzione giudiziosa ed economica al tempo stesso (11a). La libertà d’impostazione sintattica rispetto al modello in 22 porta alla costruzione passiva «siano ucisi da un saracino» contro «Machometus... occidit»; un saracino al singolare, perché replica Machometus, ma ambiguo entro il nuovo periodo, cosicché lo si muta in plurale; con perfetta resa, poiché il latino Machometus è antonomastico di sarraceni.
Negli altri brani le modifiche testuali restano prevalentemente entro la continuità scrittoria del rigo, senza ricorso cioè a giunte interlineari, non s’impongono comunque con pari evidenza come revisione della traduzione; e se non avessimo l’inequivoca testimonianza dei brani summenzionati a favore d'attività ricognitiva della traduzione, dovremmo spiegarli come residui di perplessità del copista di fronte al modello, presumibilmente già portatore di varianti. Perché appare già evidente che l’originale del volgarizzamento è lì dietro l’angolo, antigrafo del nostro apografo fiorentino: come spiegare altrimenti le numerose soppressioni di lezioni non riconducibili a esclusivi errori di copia e concorrenti con lezioni alternative che terminano a modificare o migliorare la traduzione? Il volgarizzatore ha voluto spiegare ai lettori di quale Zaccaria si parli (n. 2): ve n’è uno profeta e uno padre di Giovanni il Battista; è più verosimile che il grafema padre abbia generato profeta o che il volgarizzatore nell’atto d’individuare il personaggio (aveva poco prima incontrato «lo luogo nel quale abitava Helia profeta», 2r 3ult) si fosse lasciato scappare profeta e avesse subito corretto in padre? E vincitori di n. 3 ha indotto il copista a leggere erroneamente signori? Gengiscan sta esortando i suoi uomini all’obbedienza e unità, condizioni necessarie per conquistare il mondo. Prima di diventar signori del mondo, bisogna sconfiggere i nemici sul campo di battaglia; di qui sì esce più propriamente vincitori. La variante tradisce scrupolo di traduzione. Nel brano n. 8 compare un errore diplografico che anticipa su cadenza omeoteleutica luogo; pretto errore di copia. Ma la riscrittura introduce una novità: quant’elli era invece di quant’era; si è voluto richiamare col pronome elli il soggetto saxo, sfocato dalle concorrenze sintattiche con muro e luogo. In n. 9 c’è iterazione per attrazione di persistenza col precedente fra loro oppure si vuole sopprimere la cacofonica ripetizione e sostituirla con insieme? Senza peraltro perdita semantica, perché il volgare “insieme” significava anche “vicendevolmente” (v. brano n. 3, 18; Ep. I n. 9). Del califfo ricompare, soppresso, con la preposizione dal seguìto da da lui (n. 13); anziché diplografia bisognerà vedervi intenzione ricognitiva della traduzione: da lui evita ripetizione del termine califfo. In n. 14 l’aggiunta è minuta ma l’esito è semanticamente notevole: convincere[1] termine tecnico degli uomìni di scuola, e diversamente dall’accezione moderna “persuadere”, equivale a stabilire perentoriamente un asserto tramite procedimento sillogistico o dialettico contro tesi contraria. Convictus è colui contro il quale è stato dimostrato un asserto; nel linguaggio forense, l’imputato provato colpevole; poco importa se ne esca o no soggettivamente persuaso. Il più generico «superare» del modello latino s’era spontaneamente prolungato in vincerebbeno; ma «superare nella disputa» risveglia in convincerebbeno sorprendente proprietà e tecnicità di linguaggio. Già antecedentemente, convinto aveva tradotto, sempre in contesto di pubblico dibattimento, superatus di Riccoldo (n. 10). Che viene a dire (n. 16) dava per scontato che fosse seguìto da semplice lessema; il volgarizzatore decide di spiegare ai profani chi siano i «contemplativi», risolve aprendo proposizione relativa. In n. 17 ànno ordinato potrebb’essere banale trasposizione d’anticipo nell’atto di copìa, sebbene non si scorgano cadenze omografe che l'abbiano generata. Ma se ci rappresentiamo il dettato latino sprovvisto d’interpunzione, l’incidente può esser fatto risalire con altrettante buone ragioni al primo tentativo di traduzione: «propter maximum calorem» retto da «habent» (= ànno ordinato) anziché da «infatuantur». In n. 18 è difficile stabilire con certezza se quanto barrato, insieme leq, sia tutto frutto d’incidente di copia oppure trascini con sé residui di variante di traduzione, le q[uali], prevista nell’antigrafo e mal riordinata dal copista. Certo è che l’incidente convive con l’intento di ritoccare la traduzione: le quali si sostituisce che si. In n. 19 il secondo steso si è replicato nell’atto di trascrizione per attrazione di ritardo col primo, oppure la revisione ha cercato un'alternativa all’aggettivo precedentemente impiegato? Cose è già impiegato più volte per rendere il plurale neutro mirabilia nel testo che segue immediatamente brano n. 20; lo si sostituisce con opre ricuperando il latino opera.
Che interpretazione proporre?
Copista e revisore della traduzione sono persone distinte? L’ipotesi si scontra con serie difficoltà. Poiché infatti medesima mano copia testo e verga varianti di traduzione, bisogna supporre che queste ultime fossero già tutte annotate nell’antigrafo. Ma perché il copista nel riportarle nell’apografo le fa convivere in così alta frequenza, per di più in casi d’immediata percezione visiva (nn. 1, 2, 3, 5, 6, 7, 9, 10, 13, 14, 15, 19, 20, 21, 23, 24), con la primitiva lezione, che poi è costretto a barrare? In Ep. I n. 8 «modo dicunt publice in populis orientalibus quod tu es impotens adiuvare nos» è tradotto: «diceno plubicamente biastimando che tu non se’ Dio e però non ài potuto aitare lo tuo populo delle lor mani»; biastimando, assente in latino, è stato aggiunto in soprarrigo. Il volgarizzatore ha l’abitudine di rincarare la dose spregiativa nei riguardi dei musulmani; «sarraceni», ad esempio, diventano «cani saracini» o «maladetti saracini» o «empi» (che peraltro non avrebbe suscitato le rimostranze di Riccoldo); ciò rende molto improbabile ascrivere al copista il nostro biastimando. In nn. 4 e 22 della lista la riduzione del singolare a plurale comporta ben tre interventi correttivi a brevissima distanza: è verosimile che nell’atto di trascrizione siano sfuggiti al copista tutti e tre gl’interventi, e per due volte? In n. 8, cadenze omeoteleutiche producono l’anticipazione di ruppene tanto quant’era lungo overo lato; questa la lezione che il copista leggeva nel modello; ma quando le parole vengono riscritte nel debito posto, invece di quant’era compare quant’elli era. L’aggiunta del pronome mira ad evitar confusione di rapporti sintattici e chiarire che il soggetto è sasso non muro o luogo. Attività di revisione della traduzione, non di copista. Tutto accade sulla carta del nostro codice. Dove trovar posto per l’intervento del revisore se unica è la mano che verga il tutto?
Copista e revisore della traduzione sono una stessa persona, distinta dal volgarizzatore? Lo si potrebbe sostenere, poiché lo stato puramente paleografico del testo non obietta; a condizione tuttavia d’una ipotesi previa: che il copista abbia oltrepassato il tradizionale ruolo che gli compete e si sia improvvisato traduttore. Gl’interventi infatti terminano a modificare la traduzione e talvolta esigono controllo dell’originale latino, nonché buona conoscenza del materiale del racconto (vedi casi 3, 10, 11). Inoltre il copista-revisore avrebbe dovuto constatare la consuetudine del volgarizzatore d’introdurre aggettìvazione dispregiativa (e soltanto la collazione col latino poteva rilevarla) perché aggiungesse in Ep. I n. 8 biastimando in consonanza col gusto del volgarizzatore.
Volgarizzatore, copista e revisore sono una stessa e unica persona? Si è tentati di dare risposta affermativa. Benché più audace nella finale valutazione del codice fiorentino (ma autografi di autori trecenteschi sono tutt’altro che rari!), l’ipotesi ha il vantaggio di spiegar meglio e più economicamente i dati paleografici e testuali. Il volgarizzatore è familiare col testo riccoldiano; trascritto in bella il volgarizzamento, ritorna a perfezionare il lavoro. Non ha difficoltà a risolvere brillantemente l’omissione del nome della città in brano 11b trasferendolo a inizio racconto concernente il medesimo luogo (11a), così come aveva esplicitato lo spostamento dell’azione in n. 10. Le più numerose varianti di traduzione comportanti sostituzione d’una o più parole gli sono di facile esecuzione nel corso stesso del lavoro di trascrizione: familiarità col testo originale, ora mentalmente confrontato con la traduzione che gli scorre sotto la penna, suggerisce migliorìe nell’atto di copia; la primitiva lezione, su cui il traduttore-copista si arresta perché insoddisfatto, viene abbandonata per far posto alla nuova; ma rimane nel testo, spesso nel medesimo rigo; la si sopprime con un tratto di penna. «Son chiamati megerede, che viene a dire»: doveva seguire contemplativi; che difficoltà ha il volgarizzatore-copista a cassare che viene a dire e introdurre la spiegazione con una relativa «cioè che vacano solamente...» (n. 16)? Il caso n. 8, resistente all’ipotesi che una persona lavori a rivedere la traduzione e l’altra a copiare, ottiene liquidissima spiegazione se sotto la medesima mano si nascondono volgarizzatore, copista e revisore della traduzione.
[1] Cf. R.-A. GAUTHIER, Préface a THOMAE DE AQUINO, Opera omnia XLV/1, Roma-Paris 1984, 289*-292*. Sul calco convicti confessique del sallustiano De coniur. Catil. c. 52, Bartolomeo da San Concordio: «convicti e confessi» (Volgarizzamenti del Due e Trecento, a cura di C. Segre, Torino 1980, 438).