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(... 1. Problemi cronologici...)

L'alfabetizzazione a scopo d'ordinamento redazionale, oltreché nella Extractio questionum, è adottata nella sezione dei santi non solenni del sermonario di cod. D, ff.  373r ss, disposti appunto secondo l'iniziale alfabetica, e ancora nelle Distinctiones, di cui ci è pervenuta soltanto la lettera A. La cosa comportava consapevolezza e uniformità dell'alfabeto latino del tempo. Tommaso d'Aquino in uno strumento di lavoro quale la Tabula libri Ethicorum (cf. EL 48) nel recensire i lemmi tecnici dell'Ethica Nicomachea mostra evidenti segni di fluttuazione e incertezze nell'ordinare le lettere. Remigio ne fa uno strumento privilegiato per i propri scopi di ordinamento redazionale e di consultazione. Dice espressamente che il suo alfabeto è composto di 23 lettere e ne dà la lista:

 a  b  c  d  e  f  g  h  i  k  1  m  n  o  p  q  r  s  t  u  x  y  ç.

Talune abbreviazioni o sigle più comuni nella scrittura del tempo sono mantenute nell'ordinamento alfabetico: Xus [= Christus] appare sotto la lettera x nella Extractio questionum, e la festa “De X [= decem] milibus virginum” sotto la x nel santorale non solenne di cod. D; y, fluttuante talvolta sotto la penna dei copisti (Ytalia, Italia), è tenuta costante nella maggior parte dei casi, specie nelle sezioni ordinate per alfabeto: la questione “De ydea” dell'Extractio questionum compare coerentemente sotto la lettera y. Se non foss'altro per queste ragioni, ogni edizione che adottasse la normalizzazione nel latino di Remigio incapperebbe in stridenti controsensi; così è in parte accaduto all'edizione della Tabula dell'Extractio questionum dove le questioni “De aeternitate” e “De idea” sono costrette a comparire, nell'ordinamento alfabetico, rispettivamente sotto le  lettere e ed y.

Sempre nel contesto di strumenti d'utilizzazione, menzioniamo un espediente di mnemotecnica. Mi era rimasto a lungo senza risposta il rebus d'un testo del De via paradisi: «Unde versus: reve scandafigu peridubi consciprelicir» (cod. C, f. 234vb). La traccia di soluzione dell'abracadabra è stata fornita da un brano del sermone VIII De pace aggiunto in margine da mano B e omesso dall'editrice De Matteis. Nel sermone si illustrano otto modi secondo i quali la pace può esser conseguita nel «corpo metaforico della città» a somiglianza della sanità del corpo fisico. Come ricordare gli otto punti della divisione della predica? A fine sermone Remigio richiama di proprio pugno gli otto membri della divisione e conia con le sillabe iniziali il cue mnemonico per il predicatore. Trascrivo in corsivo gli elementi sillabici che vanno a comporre l'espediente mnemonico.

Unde ista faciunt sanum: medicus sapiens, infirmus obediens, calor ad naturam rediens, signum ostendens, munimen defendens, medicina affligens, dieta subtrabens, clistere emictens, proportio conrespondens. Meinca simua diclipro (cod. C, f. 360r, mg. sup, mano B).

Ritornando al caso del De via paradisi e scorrendo il testo che precede il verso criptografico, s'individua, nel contesto delle aggravanti della colpa ai fini della pena, una partizione di nove membri secondo nove aggravanti:

 reverentia, scandalum, significatio vel figura, periculum, dubium, conscientia, preceptum, licitum, circumstantia.

L'acrostico sillabico dei brani che illustrano tali aggravanti dà luogo al verso mnemotecnico: reve scandafigu peridubi consciprelicir! Così altrove busanfe nano pro (cod. D, f. 405rb) del sermone IV su san Zanobi (Ego flos) fissa alla memoria del predicatore i membri della divisio, le sei ragioni per cui il fiore si addice al santo: «ratione humilitatis, sanctitatis, festivitatis, nativitatis, nobilitatis, proprietatis »(cod. D, ff. 404va-405rb). Tali espedienti di mnemotecnica non sono dunque espunti dall'edizione finale delle opere, talvolta anzi sono aggiunti in margine da mano B.

copista A, autore B; edizione e consultazione

Sulla base degli elementi suesposti, non si è lontani dal vero penso - se ci si rappresenta l'attività del copista A e la supervisione di mano B (Remigio) come di chi attenda all'edizione dell'Opera omnia, corredata di tutti gli ausili utili alla più ampia e pratica consultazione. Difatti, se si astrae dalle Postille super Cantica e Distinctiones conservate in una sezione di codice confezionato tardivamente (le Postille anche in una seconda copia tardo-trecentesca), e dal quaresimale arrivatoci - solo in copia tardo-trecentesca (Studio 252-55, 264-65, 267-70; Il Repertorio dello Schneyer... MD 11 (1980) 646-48), nei quattro codici in questione Remigio raccoglie e cura l'edizione della propria Opera omnia.

La fine della trascrizione dei sermonari è sicuramente databile entro estremi ragionevolmente ridotti: cod. G4 tra 29.XI.1314 e 6.VIII.1315; cod. D tra 25.V.1314 e 29.VIII.1316 (se non addirittura 29.VIII.1315). Della trascrizione della Extractio questionum per alphabetum di cod. G3 è stato possibile fissare soltanto il termine ante quem, 25.X.1317. Ma per ragioni di critica interna, si è accertato anche che cod. G3 è stato trascritto dopo cod. G4. Il codice delle opere trattatistiche, cod. C, non offre elementi utili a datarne la trascrizione. Ma vista l'unità codicologica e letteraria, l'interdipendenza redazionale e di consultazione dei quattro codici, visto il fatto che la trascrizione è opera d'uno stesso copista (eccetto ff. 1r-74r di cod. C), vista la natura direttiva, correttiva e coordinatrice dell'attività dispiegata da mano B (Remigio) in tutt'e quattro i codici, si può ritenere con molta verosimiglianza che anche cod. C sia stato trascritto dall'amanuense A nei medesimi anni in cui attendeva alla composizione degli altri tre codici (Studio  29-34; e per cod. G3 vedi Dibattito..., AFP 50 (1980) 92).

In che ordine sono stati composti i quattro codici? Dati i tempi sufficientemente ravvicinati dell'attività di mano A (1314-16 per i due sermonari, ante ottobre 1317 per la Extractio), la questione non ha dopotutto un interesse decisivo ai fini della cronologia della composizione delle opere di Remigio. Ecco comunque alcuni dati sulla questione. L'explicit del de tempore, fatte le scuse per la redazione imperfetta di taluni sermoni, ha: «Et simile dico de sermonibus de sanctis». Il luogo parallelo del de sanctis ha: «sicut dixi de sermonibus de tempore» (Studio 25, 32). Il che fa propendere a pensare che cod. G4 sia stato scritto dall'amanuense prima di cod. D. L'Extractio di cod. G3 suppone la trascrizione di cod. G4, come ho mostrato a partire dai testi sulla durata legale delle ammonizioni dei capitoli dei frati Predicatori. In cod. C il copista A subentra al lavoro d'altra mano a partire da f. 74v per portare a termine tutto il codice. In contrasto coi numerosissimi rimandi reciproci tra cod. G4 e cod. D, e di ambedue a cod. C, quest'ultimo porta un solo rimando ad altro codice; avviato con forma generica da mano A, completato col riferimento a specifico sermone in cod. D da mano B:

In corsivo la parte dovuta a mano B e scritta in margine destro con richiamo: «... iuxta illud Io. 3 “Sic Deus dilexit mundum...”. In cuius expositione ostenditur intensissimus amor, sicut alibi notatum est sciticet in sermone secunde ferie post Pentecosten “Sic Deus dilexit” etc. » (De via paradisi: cod. C, f. 222rb).

Si potrebbe dunque proporre il seguente ordine cronologico di composizione dei codici: cod. C, cod. G4, cod. D, cod. G3.

E annotiamo ancora un particolare di qualche interesse. Le carte dei codici registrano “in praesentia”, nell'immobilità indifferente di chi forza due tempi in uno, la concorrenza tra scrittura A e scrittura B. Ma restituiti tempo e successione ad A e a B, s'intravedono d'un tratto scene e incidenti di scrittoio tra Remigio e il buon frate che presumibilmente gli ha messo a servizio la propria arte di scriptor. L'insieme dei quattro codici consta di circa 1.282 carte di fittissima e abbreviatissima scrittura gotica a due colonne, di circa 40 righe per colonna. Il copista deve aver impiegato molti mesi per portare a termine la considerevole mole di lavoro. Lavoro, nell'insieme, di buona fattura per nettezza di testo e regolarità di carte, colonne e scrittura. Vi si notano, ovviamente, fasi di stanchezza nel lavoro di copia e talune pagine insolitamente tormentate, specie nei sermonari. Remigio soprintende alla trascrizione e interviene man mano che il copista procede nel lavoro. C'è stato, in altre parole, un lasso di tempo di lavoro sincrono di Remigio e del copista. La restituzione del tempo a taluni intrecci delle due scritture può documentare la sincronia? Credo di sì. Il copista, ad esempio, scrive il corpo dei sermoni; mano B marca al margine in modulo minuto la rubrica e il numero seriale dei sermoni sotto la medesima rubrica, o specifiche forme di partizione in caso di opere trattatistiche. Successivamente mano A deve esser tornata indietro a vergare in colonna lettere capitali, rubriche, numeri, o altre partizioni. Se le cose fossero andate diversamente, a che scopo B avrebbe dovuto “doppiare” rubriche, numeri seriali eccetera? Taluni spazi destinati alle lettere capitali iniziali, annotate in modulo piccolissimo da mano B a scopo di promemoria per A, sono rimasti in bianco: il copista s'è dimenticato di tornare indietro a rifinire il testo. Si hanno casi in cui A scrive sermoni nel margine, prevalentemente inferiore, delle carte; potrebbe trattarsi di pezzi sfuggiti in un primo tempo allo stesso copista o all'autore-coordinatore, ma anche di sermoni passati da Remigio allo scrittoio all'ultimo momento, proprio come chi oggi passerebbe al linotipista un pezzo nuovo da aggiungere alle prime bozze. L'inserzione di nuovi sermoni doveva rispettare l'ordine del ciclo liturgico. Non restavano che gli spazi ai margini delle carte!

Gl'incidenti seguenti non lasciano dubbi sul periodo di lavoro sincrono delle due mani. In cod. G4, f. 280v e f. 401r, mano B aggiunge in margine, con debito richiamo al testo in colonna, due lunghe integrazioni. Ma esse risultano troppo esposte verso il bordo laterale della carta e dunque agli inconvenienti soliti nelle estremità dei fogli. Difatti nel primo caso la rifilatura del fascicolo (o del codice) ha tagliato il bordo laterale di qualche millimetro asportando una o due lettere; nel secondo caso il testo è compromesso dalla slabbratura terminale della carta. Il copista A sa il proprio mestiere e rimedia all'imperizia di Remigio. Ricopia per intero i due passi subito sotto l'esemplare; nel primo caso - margine sinistro di foglio verso - incolonna il testo più all'interno; nel secondo caso - margine destro di foglio recto - incolonna a sinistra sulla medesima linea dell'esemplare ma verga righi più corti (gli 11 di B diventano 13 di A). In ambedue i casi ottiene congruo spazio di protezione tra testo ed estremità laterale del foglio. Altrove Remigio è colto in atto di documentazione mentre il copista attende a scrivere il testo. Nel De via paradisi (cod. C, f. 312ra) ci s'imbatte in questo incidente: A scrive in colonna «Exemplum Tullii in libro V De tuscolanis questionibus, ubi dicit sic», lascia più di mezzo rigo in bianco, poi riprende a scrivere, ma non quanto aveva annunciato con «ubi dicit sic». La lunga citazione dal De tuscolanis si trova trascritta, sempre da mano A, nel margine inferiore di f. 312r e corre per tutto il margine inferiore di f. 312v; mentre il raccordo tra annuncio della citazione («ubi dicit sic») e seguito del racconto è scritto da mano B in colonna, nello spazio lasciato in bianco da A: «Dyonisius, adulescentuto [quem diligebat, dicitur semel gladium tradidisse...]». L'esemplare da cui A copiava annunciava la citazione ma non riportava il testo dell'exemplum. Il copista tira avanti. Nel frattempo Remigio provvede il testo della citazione da De tuscolanis di Cicerone. Troppo tardi. Non può essere inserita nel testo in colonna. Il copista la trascrive al margine inferiore.

Tali casi di sincronia, in ogni modo, toccano soltanto frammenti dell'attività di mano B, e non turbano i criteri base di valore cronologico delle due scritture ai fini della datazione delle opere di Remigio.

copista A, autore B: tempi di lavoro e criteri cronologici

Da siffatti dati codicologici e redazionali, si possono stabilire i primi criteri generali circa gli estremi temporali dei testi scritti da mano A e da mano B. Da quanto si è venuto esponendo, risultano ovvi, ma dato l'uso che se ne farà non è superfluo formularli.

1) I testi scritti da mano A hanno come termine ante quem gli anni della trascrizione dei rispettivi codici.

2) I testi scritti da mano B sono da collocare, in linea di principio, tra gli anni di composizione del rispettivo codice e anno di morte di Remigio, 1319. Ho detto «in linea di principio». Di fatto i sermoni d'occasione scritti da mano B al margine delle carte e sicuramente databili cadono tutti tra composizione dei codici e morte di Remigio (Studio 20-21, 230-32). Correzione di sviste, messa a punto delle citazioni, rimandi ad altri scritti, casi evidenti di ritocco del testo e d'ampliamento sono attività redazionali legate all'intervento correttivo e glossatorio di Remigio. Ma quando ci si trova davanti a vera integrazione d'omissione entro continuità testuale, niente vieta che il testo, omesso da A in fase di copia, facesse parte della redazione originale dell'opera (il che riporta all'elementare distinzione tra tempo di composizione e tempo di trascrizione). Il problema potrebbe sorgere per i sermoni scritti da mano B e che non esigono datazione posteriore alla composizione dei codici. Chi può negare a priori che nella trascrizione di centinaia di sermoni sciolti, qualche sermone fosse sfuggito (così come si constatano casi di trasposizione) e poi succesivamente trascritto da Remigio? Il sermone in morte di fra Loth, Divisus est Loth (cod. G4, f. 397v, mg., mano B), illustra bene la questione. Se esso è in morte (22.XI.1295) di fra Lotto da Sommaia (e non risultano altre verosimili identificazioni) bisognerà ammettere che, sfuggito alla trascrizione, fosse posteriormente trascritto in margine da Remigio, a lavoro compiuto di mano A (Studio 214). Ma quando non sussistessero positivi sospetti che tale distrazione di copia sia di fatto occorsa, è legittimo assumere - mi pare - che i sermoni trascritti da mano B siano posteriori agli anni in cui A attendeva a vergare il testo base del rispettivo codice. I molti sermoni databili e trascritti da mano B stanno ampiamente a favore di tale presunzione.

3) I rimandi ad altra opera di Remigio scritti da mano A nel testo base del codice stabiliscono il termine ante quem di composizione dell'opera rispetto agli anni della trascrizione del codice in cui appaiono i rimandi.

4) I rimandi ad altra opera di Remigio scritti da mano B stabiliscono il termine ante quem di composizione dell'opera rispetto agli anni d'attività di mano B: fra trascrizione dei codici e morte di Remigio.

Una parola sui rimandi (cf. Studio 32-40). Intendo per “rimandi” i rinvii interni al corpus remigiano: sermone, opera ecc., rinviano ad altro sermone o opera del medesimo autore, sia entro il medesimo codice che da codice a codice. Mi pare altamente improbabile che rimandi del tipo «de hoc vide..., require...» e simili da un sermone ad altro sermone o opera, possano risalire al testo originale del sermone predicato, e dunque al tempo di composizione. In tali casi i rimandi portano evidenti caratteri di raccordi redazionali stabiliti al tempo del riordinamento delle opere e finalizzati all'utilizzazione più ampia del materiale dei codici. Ora tali raccordi potevano stabilirsi anche ignorando e scavalcando la succesione temporale della composizione dei sermoni o opere termini di rimando (da quello in cui è il rimando a quello a cui si rimanda). E questo vale sia per i rimandi scritti da mano A che, a maggior ragione, per quelli di mano B. Ma rimandi in opere trattatistiche scritti da mano A nella continuità del testo in colonna, entro il tessuto regolare del discorso, che implichino utilizzazione contenutistica d'altra opera e che escludano evidenti tracce di raccordi redazionali del tempo del riordinamento delle opere, possono ben sostenere rapporti temporali di composizione tra opera del rimando attivo e quella del rimando passivo. Il loro valore cronologico va, certo, vagliato caso per caso. Ma non si possono - mi pare - liquidare a priori unicamente sulla presunzione che potrebbero essere stati introdotti al tempo del riordinamento delle opere. Il punto e stato toccato in Studio 38-40, e vi ritorneremo tra breve.

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