La nota di possesso «Conventus S. Marie Novelle de Florentia ordinis Predicatorum» in cod. C, ff. 1r e 352/1v, non è «di mano contemporanea», come asserisce Introduz. p. XXII n. 3; essa ricorre in molti altri codici del fondo librario di SMN e fa parte del riordinamento del fondo stesso tra fine ’400 e inizio ’500; è di mano «quattro-cinquecentesca», stima giustamente POMARO, Censimento I, 329 e 333 (e nota di possesso della medesima mano ib. nelle tavole fuori testo, Tav. II.2).
Guarda con i tuoi occhi: BNF II.IV.167, f. 78v «Explicit vita beate Villane de Florentia scripta per me fr. Iohannem Karoli de Florentia OP anno Domini 1452 completa die 9 augusti feliciter»; cui segue la nota di possesso librario Conventus S. Marie Novelle de Florentia ordinis Predicatorum
L’annotazione di mano B (Remigio) in cod. C, f. 231v, mg. d., importante perché testimonia la differenza di persona tra mano A e mano B, dice:
«Hic fuit erratum per scriptorem quia hoc exemplum positum est supra eodem passu» (non eodem parte) (cf. Introduz. XXVII n. 13).
La nota è in De via paradisi, II° passu, in riferimento all’exemplum del giocatore di dadi che stringe un patto col demonio («Contingit in diocesi... »: f. 231va-b) raccontato per intero. Il medesimo racconto era stato già trascritto per intero, sempre da mano A, nel medesimo «passu» della medesima opera (il De via paradisi è composto di dieci «passus») a f. 227rb-va. L’incidente, oltre alla ragione detta, è significativo ai fini d’intravvedere lo stato del testo da cui il copista A copiava (ricordiamo che nei codici remigiani non ci sono tracce d’errori d’ecografia o da dettatura ma solo di copia, pertanto gli amanuensi trascrivevano da un esemplare). A giudicare dal caso or ora menzionato, si deve supporre che l’esemplare da cui il trascrittore A copiava non riportava - almeno per esteso - il testo degli exempla; questi dovevano esser richiamati al margine come promemoria del copista. Nel nostro caso il copista ha trascritto l’exemplum due volte nel «II° passu » del De via paradisi, la seconda volta per errore. Lo testimonia esplicitamente la nota di Remigio: «Hic fuit erratum per scriptorem...». Lo conferma un altro incidente nella medesima opera, cod. C, f. 312ra: il copista annuncia nel testo in colonna «Exemplum Tullii in libro V De tuscolanis questionibus, ubi dicit sic», poi lascia più di mezzo rigo in bianco e riprende a scrivere, ma non quanto aveva introdotto con «ubi dicit sic». La lunga citazione dell’exemplum dal De tuscolanis si trova trascritta, sempre da mano A, nel margine inferiore di f. 312r e corre per tutto il margine inferiore di f. 312v; mentre il raccordo tra annuncio «ubi dicit sic» della citazione e seguito del racconto è scritto da mano B nello spazio lasciato in bianco da mano A: «Dyonisius, adulescentulo... ». L’esemplare da cui A copiava annunciava la citazione ma non riportava il testo dell’exemplum; lo provvede Remigio in fase di trascrizione, ma troppo tardi perché possa essere inserito dal copista nel testo in colonna; costui lo trascrive in calce alla carta.
E lo stato del testo remigiano servito da antigrafo è d’estremo interesse, come si può intuire; sebbene vada subito detto, quanto al valore del testo tramandatoci, che gli attuali codd. C, D, G3, G4, E, della Nazionale di Firenze e cod. 516 della Laurenziana sono codici d’autore: rivisti, corretti, integrati e corredati di rimandi dallo stesso Remigio. Le caratteristiche degli interventi di mano B sono di chi soprintende all’edizione delle proprie opere (cf. Un’introduzione, MD 1981, 29-31). Rispetto ad esse l’editore si trova di fronte all’originale curato dall’autore, non autografo nel testo base, autografo nei numerosi testi di mano B. Il che, se restituisce alle debite misure il valore dell’antigrafo a noi non pervenuto, non sottrae allo storico la curiosità d’intravvedere la forma dei testi trascritti dai copisti. La cosa sarà in parte possibile quando si potrà disporre d’una notevole massa di opere in edizione critica, dove tutti gl’incidenti paleografici, grafologici e redazionali siano descritti in apparato (e sotto questo aspetto l’edizione del Tamburini è encomiabile). Notiamo il caso di Contra falsos 43,28-30; mano A scrive:
Circa primum nota quod ita sanatur quis per credita, sicut sanatur [segue un intero rigo in bianco, poi a inizio del seguente] oculorum
Mano B interviene, integra il rigo in bianco e sostituisce obiectorum a oculorum. Il testo sarà:
Circa primum nota quod ita sanatur quis per credita, sicut sanatur oculus infirmus per aspectum viridium et conformium obiectorum.
Perché A ha lasciato il rigo in bianco operando una lacuna all’interno di un’unità significativa della frase? Non era riuscito a interpretare la scrittura (corsiva-personale o di non professionista) dell’esemplare? Oculorum in luogo di obiectorum è da spiegare con un’insufficiente perspicuità grafica tra ocl’orum (oculorum) e ob’orum (obiectorum)?
Per i sermonari, data la natura del testo, gl’incidenti di scrittoio (di copia come d’ordinamento) risultano più frequenti; essi vanno dalla trasposizione alla diplografia alla collocazione d’interi sermoni fuori la debita sezione o rubrica a rimandi topici errati rispetto all’ordine finale dei sermonari ecc. Tali incidenti dovrebbero esser recensiti sistematicamente qualora si volesse far luce sullo stato dei sermoni da cui copiava A. Ma se si dovesse anticipare un’ipotesi di lavoro a partire dai dati di cui già si dispone, sarei più incline a pensare che A non si trovasse a copiare una collezione di sermoni raccolti, ordinati in quaderni già confezionati in codice, ma piuttosto sermoni sciolti, scritti su carte o quaderni indipendenti, sui quali Remigio aveva segnato le note-guida d’ordinamento delle ricche sezioni dei sermonari. Ma la complessità delle rubriche d’ordinamento e la vastità del materiale (410 carte per il de tempore cod. G4, 406 carte per il de sanctis cod. D, pari a 1.632 pagine!) induceva una notevole media d’errori di copia e d’ordine nel corso della trascrizione, per quanto diligente e coscienzioso appaia il copista A. Il sermone Aliud cecidit in morte del cardinale Pietro Ispano († Avignone il 20.XII.1310; sepoltura romana 14.II.1311), trascritto per errore tra i sermoni del mercoledì delle Ceneri (cod. G4, f. 50r-v), è soppresso con un va-cat; una nota di mano B indica che il luogo debito è sotto la rubrica dei sermoni funebri nella sezione de diversis materiis, dove in realtà il sermone è fatto trascrivere una seconda volta (cod. G4, ff. 382va-383rb). Nella serie di diciassette sermoni per Tuttisanti, ordinati secondo il testo delle beatitudini del vangelo di Matteo, il sermone XVI (Mt. 5,9) risulta trascritto tra il IX (Mt. 5,2) e il X (Mt. 5,3); una nota di mano B avverte «iste sermo ponatur in loco suo» (cod. D, f . 338vb); e nel luogo che spettava al sermone: «Beati pacifici... Mt. 5[,9]. Require supra eodem post nonum sermonem» (ib. f. 346r, mg. d., mano B). Tra i prologhi sulla sacra scrittura, ordinati nel codice secondo la successione dei libri biblici, quello sui Salmi è trascritto dopo quello sulle Lettere canoniche (cod. G4, ff. 335vb-337ra); mano B avverte che il luogo debito è tra prologo a Giobbe e quello ai Proverbi: «Quere infra post epistolas canonicas» (cod. G4, f. 310r, mg. sup.). E l’elenco degli esempi potrebbe allungarsi, specie per i sermonari (recensione dei sermoni remigiani in J.B. Schneyer, Repertorium der lateinischen Sermones des Mittelalters für die Zeit von 1150-1350, vol. V, Münster Westfalen 1974, 65-134; Il Repertorio, MD 1980, 634-45). Di qualche sermone di cui è pervenuta una seconda copia si può documentare che fosse trascritto - con tutta probabilità - non dal testo tramandato nelle sillogi curate e edite dall’autore ma da esemplari ad esse anteriori o indipendenti (cf. Il Repertorio 645-50). Taluni rimandi del tipo «vide, require... supra, infra» scritti nel testo in colonna da mano A sono risultati incongrui all’assetto finale dell’ordinamento dei sermonari; così il supra appare cassato o perché il rimando terminava a sermone (talvolta a trattato) trascritto in altro codice o perché il sermone, sia pur nel medesimo sermonario, risulta non supra ma infra (cf. Un’introduzione, MD 1981, 64 n. 90). La lista degli articoli dei quodlibeti si trova trascritta non a fine di quest’ultimi (cod. C, ff. 71r-90r) ma dopo il De subiecto theologie a ff. 95vb-96ra; mano B interviene e guida il lettore a rintracciare la tabula più sotto, a fine testo del De subiecto theologie (cod. C, f. 71r, mg. sup.).
D’ordinario i rimandi nei sermonari sono costituiti da due elementi: festa liturgica (secondo il calendario domenicano) e tema del sermone; nella sezione de diversis materiis di cod. G4 la ricorrenza liturgica è sostituita dalla rubrica sotto la quale sono ordinati i sermoni (Il Repertorio, MD 1980, 635-43). Il sistema dispensa da indicazioni topiche, numerali o di foliazione, e risulta altamente funzionale. Centinaia di siffatti rimandi sono disseminati nei due sermonari de tempore e de sanctis; e il facile riscontro conferma la razionalità sia del criterio d’ordinamento che del sistema di consultazione. Ma c’è traccia d’una serie di rimandi con elementi anomali rispetto al sistema suddetto e di cui non saprei suggerire il codice di lettura, a meno che non si debba pensare a notazioni d’ordinamento anteriore alla disposizione ottenuta nella confezione finale dei sermonari. Ecco i casi in cui mi sono imbattuto. Trascrivo i brani strettamente necessari ad intendere l’eventuale significato dei rimandi; inserisco tra parentesi quadre il riscontro quando mi è stato possibile stabilirlo con certezza.
In Nativitate Domini, XII: Omnibus omnia factus sum (I Cor. 9,22). (…) Et primo sui temporalem nativitatem quia factus, Io. 1 «Verbum. caro factum est». Vide supra e(odem) in precedenti sermone de incarnatione [= In Nativit. Domini, IX: Verbum caro factum est: cod. D, f. 41ra-vb]. Item infra 5 in sermone de nativitate Virginis Bene omnia fecit [= De Nativit. Marie Virg., VIII: Bene omnia fecit: cod. D, ff. 284va-289rb]. Item infra 8 in sermone de dorninica infra octavam Nativitatis Ubi venit plenitudo temporis [= Infra oct. Nativit., I: Ubi venit plenitudo temporis: cod. G4, ff. 12rb-16va]. Item infra f. 6. in sermone de vigilia Natalis Cras faciet Dominus etc. [= De vig. Natalis, V: Cras faciet Dominus: cod. D, ff. 22va-25rb]. (…) Vide infra in sermone de Resurrectione Mane facto [= In die Pasche, V: Mane facto: cod. D, ff. 138vb-141rb]. (…) Vide infra f. X. in sermone Cosme et Damiani Nos reliquimus omnia [= De Cosma et Damiano, I: Nos reliquimus omnia: cod. D, ff. 301vb-306va]. (…) Vide supra e(odem) 7 in sermone de Natali Ecce enim evangeliço [= In Nativit. Domini, VII: Ecce enim evangeliço: cod. D, ff. 39ra-40va] (f. 42rb-va).
In Nativitate Domini, XIV: Ortus est sol (Ps. 103,22).
(…) Et certe sol est [Salvator] loquendo similitudinaliter, quod quidem patet ex tribus. Vide supra f. 6. j. [= In Nativit. Domini, VI: Ortus est sol: cod. D, f. 38va] (f. 43va). (…) Circa secundum nota quod sol calefaciendo frigida inflammat, iuxta illud Eccli. 43 «Sol tripliciter exurens montes». Sic iste. Vide supra f. 6. j. et 7. (…) Vide de omnibus in tractatu de mundo, ubi supra, et f. 6 et 7 (f. 44ra).
In Nativitate Domini, XV: Videamus hoc verbum quod factum est, quod fecit Dominus et ostendit nobis (Luc. 2,15).
Circa puerum natum tanguntur sex, scilicet ipsius visibilitas quia Videamus, singularitas quia hoc, personalitas quia verbum, temporalitas quia quod factum est, supermirabilitas quia quod fecit Dominus, et fructuositas quia et ostendit nobis. De primo Baruc 2 [3,38] «Post hec in terris visus est» etc. Vide supra f . 6. 9. [= In Nativit. Domini, VI: Ortus est sol: cod. D, ff. 38va-39ra]. De secundo ibidem, «Hic est Deus noster» etc. Vide supra ibidem 8. De tertio I Io. 5 «Tres sunt qui testimonium» etc., supra ibidem 8. De quarto Gal. 4 «Misit Deus filium suum» etc. Vide supra ibidem. De quinto Ierem. 30 [31,22] «Creavit Dominus novurn super terram» etc., supra ibidem. De sexto Luc. 2 «Natus est nobis hodie Salvator» etc. Ysa. 9 «Parvulus natus est nobis et filius datus est nobis» etc. Vide supra E. 14. 2. et in legendis (f. 44rb; sermone intero).
In Exaltatione Sancte Crucis, I: Ego si exaltatus (Io. 12,32).
[In riferimento alla fede e all’incredulità] Vide supra a. in sermone de beato Mathia Dabitur illi fidei [= De b. Mathia, I: Dabitur illi fidei donum. Sap. 3 d: cod. D, ff. 99va-103ra] (f. 295ra).
In Cena Domini, X: Si non lavero te (Io. 13,8).
(…) Iuxta illud Ps. [118,136] «Exitus aquarum deduxerunt oculi mei quia non custodierunt legem tuam» scilicet peccando. Dicit autem septics vel referendo ad septem genera peccatorum etc. Vide supra O. X. 3. (f. 129rb).
Dominica VI, sermo III: Non serviamus peccato (Rom. 6,6).
(…) Ex qua scilicet sola scientia habetur cognitio certissime veritatis, iuxta illud Augustini «Ergo enim fateor caritati tue» etc. Vide supra C. 5. in sermone super theologiam Radix sapientie [= Prologus IX: Radix sapientie: cod. G4, ff. 289ra-294va] (f. 182rb).
Prologus XII: Sicut protegit sapientia (Eccles. 7,13).
[explicit:] per assecutionern sapientie in vita futura ad quam etc. Vide supra a. 3. 6. (f. 302vb).
Come si vede, oltre ai due elementi abituali dei rimandi (festa liturgica o rubrica+tema) compaiono altre indicazioni, lettere e numeri, che o risultano pletoriche quando accompagnano gli elementi suddetti o restano criptiche ai fini della consultazione quando compaiono da sole. Il numero coincide solo raramente col numero seriale del sermone in casi di più sermoni sotto la medesima rubrica o festa liturgica. La lettera f quando precede un numero potrebbe far pensare a «folio»? Remigio ha usato una volta questo tipo di rimando in una nota marginale autografa in cod. G4, f. 392v, mg. sup.: «Prepositus etc. Quere supra in quarto folio» rimanda ai sermoni De prelatis inferioribus episcopo nel medesimo codice, quattro carte sopra (ff. 388vb-389va), dove a sua volta si annota, f. 388v, «Vide infra in quarto folio». E sarebbe così da interpretare «f. 6. j.» del sermone XIV per la Natività Ortus est sol, se il riscontro va trovato nel sermone VI della medesima festività e dal medesimo tema? Altrove né lettere né numeri guidano il lettore alla consultazione, cui pure l’autore mirava rinviando con un «vide... ».
Non si potrebbero spiegare queste forme insolite di rimandi per lettera e numeri come residui d’un primo sistema di raccordi tra sermoni sciolti o in quaderni ancora isolati? Si tratterebbe allora di residui rimasti (o passati) nel testo quando i sermoni hanno preso l’ordinamento definitivo nei cieli «de sanctis», «de tempore» e «de diversis materiis» dei sermonari di cod. D e cod. G4; qui, una volta adottati i rimandi per festa liturgica (o rubrica) e tema - sistema economico e razionale nello stesso tempo ai fini della consultazione - qualsiasi riferimento topico e numerale (cui lettere e numeri annuiscono) risultava inutile. Se così stessero le cose, avremmo un’altra spia per intravvedere lo stato del testo dei sermoni prima che questi fossero raccolti, trascritti e ordinati negli attuali sermonari di cod. D e G4. [ipotesi confermata]
E annoto un’ultima curiosità: le parole «C. 5. in sermone super theologiam Radix sapientie» del rimando contenuto nel sermone surriferito «In Cena Domini, X: Si non lavero» sono scritte - in parte su rasura - nel testo in colonna da mano B, lo stesso fra Remigio! Il riscontro col prologo Radix sapientie non è «supra» come vuole il rimando ma «infra», nella rubrica dei prologhi nella sezione de diversis materiis, più di cento carte dopo. Bisogna pensare che raccordi per lettere e numeri fossero ancora utilizzati - al punto che mano B ne inserisce uno nel testo - in fase di trascrizione dell’enorme mole di sermoni nei nostri due sermonari, prima cioè che i fascicoli delle diverse sezioni ottenessero l’ordinamento definitivo e fossero rilegati negli attuali codici.