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14. Grafia, parte integrante del sistema linguistico

Nei criteri di edizione del Contra falsos ci si propone di «rispettare sostanzialmente» la grafia del codice (p. LX); ma si fanno eccezioni per le quali non si vedono ragioni: «è stato ridotto il nesso np in mp ed è stato restituito l’uso delle doppie» (ib.). Così forme di scrittura costante nei codici remigiani (e in moltissimi casi comuni al dettato del mediolatino del Due-Trecento) quali comunis e derivati, gramatica, litera, abreviatio, glosa, quatuor («quatuor dicitur quasi "qua tueor"», cod. D, f. 391v) ecc., sono sistematicamente ricondotte alla forma normalizzata communis, grammatica, littera, abbreviatio, glossa, quattuor... Ma va aggiunto che l’editore non è stato del tutto fedele ai suoi stessi propositi, e non solo perché avrebbe dovuto per simmetria grafologica restituire le scempie dove sono usate costantemente le doppie (es. legittimus: 21,56 e passim) od occasionalmente (occeanus: 78,40), ma perché conserva scritture scempie quali apropriare, aproprianter (3,76; 46,65), sucursu (20,22), oportunum (39,8; 56,57), excomunicati (63,54; excommunicandi in 66,27)... Né i criteri d’edizione motivano la sistematica riduzione di efficatia di Remigio in efficacia (21,77; 59,68; 55,210-11; 56,23; 57,2.3; 58,49) o di sotius e derivati in socius ecc. Va annotato comunque che l’edizione in questione offre al lettore, tra testo e apparato critico, tutti i dati della scrittura e incidenti di copia, cosicché il lettore può intravedere lo stato delle cose.

Ma il discorso sul sistema della lingua dei codici remigiani, al di là delle norme della critica del testo («Elle [l’orthographe] n’est qu’un des éléments de la langue de l’auteur et il va de soi qu’une édition scientifique se doit de respecter cet élément exactement au même titre que les autres; il n’y a donc qu’à appliquer les mêmes lois de la critique que partout ailleur»: R.-A. Gauthier, in TOMMASO D’AQUINO, Opera, ed. Leonina 48, B 27a), può acquistare ben più consistente valore filologico qualora una recensione delle caratteristiche di scrittura individuasse il fondo costante e lo strato variante del sistema linguistico di Remigio. La cosa sarebbe di notevole importanza non solo per guidare le scelte dell’editore (non più conteso a rilevare ‘errori’ sulla tipologia classico-umanistica del dettato latino) su casi che sollecitassero un intervento emendatorio, ma per rintracciare evoluzioni e innovazioni entro la vasta produzione letteraria del frate fiorentino. La cosa è tanto più pertinente, e storicamente preziosa, se si tien conto della fortunata forma della tradizione delle opere di Remigio; infatti, ad eccezione del quaresimale e della copia tardiva delle Postille super Cantica della Laurenziana cod. 362 (Studio 252-54), il blocco dei codici che ci trasmettono le opere remigiane sono manoscritti d’autore: scritti da amanuensi sotto la supervisione di Remigio, il quale è intervenuto per correggere errori, integrare omissioni, inserire aggiunte, trascrivere talvolta al margine sermoni interi (mano B). “Manoscritti idiografi”, nel lessico della filologia umanistica: S. Rizzo, Il lessico filologico degli umanisti, Roma 1973, 101; R. Bessi - M. Martelli, Guida alla filologia italiana, Firenze 1984, 1.

cod. C (opere trattatistiche) di mano X a ff. lr-74r; tutto di mano A da f. 74v in poi;

cod. D (sermonario de sanctis et festis solemnibus) di mano A;

cod. E (De modis rerum) di mano Z;

cod. G3 (Extractio questionum per alphabetum) di mano A;

cod. G4 (sermonario de tempore et de diversis materiis) di mano A;

Postille super Cantica (Laurenziana, Conv. soppr. 516, ff. 221r-226v) di mano Y;

Distinctiones (ib. ff. 226v-268v: ed. in Studio 271-83) di mano B (Remigio).

E aggiungo BNP = Parigi BN lat. 3557, ff. 203r-209v; contiene il sermone remigiano Vado ad Patrem che porta correzioni marginali di mano B (Remigio) a  ff. 204ra, 205vb, 206va, 207vb, 208ra interl. (cf. Il Repertorio dello Schneyer, MD 11 (1980) 649-50).

Summa Britonis = GUILLELMI BRITONIS, Expositiones vocabulorum biblie, ed. L.W. e B.A. Daly, Padova 1975. GILS, S. Thomas écrivain (1992)

L’importanza del sistema di scrittura nel caso specifico risulta da due fattori concorrenti: da una parte almeno quattro copisti (mani A, X, Y, Z) scrivono sotto supervisione dell’autore (mano A trascrive l’84,5% circa di tutto il corpus remigiano), dall’altra l’autore (mano B) consegna ai margini dei codici - oltre ai pezzi integralmente autografi delle Distinctiones, del trattato-sermone De nomine usure e di molti sermoni - una massa considerevole d’interventi autografi. Questo stato di cose permette: a) di fissare le caratteristiche di scrittura dell’autore; b) di verificare la fedeltà o meno dei copisti sui testi autografi dell’autore.

Vista la natura della tradizione del testo, il lavoro d’edizione - tranne pochi casi - è da codex unicus; ma l’editore non può dispensarsi dal descrivere in apparato tutti gl’incidenti di scrittura, siano essi dei copisti che dell’autore. E gli errori che sollecitano interventi correttivi di mano B sono provvidenziali, poiché espongono il correttore-autore a esprimere positivamente le proprie scelte.

Un ampio spoglio dei codici remigiani, oltreché delle edizioni disponibili e controllate sull’originale, permette di proporre un primo abbozzo delle caratteristiche del latino di Remigio. Oltre all’interesse generale d’una testimonianza letteraria avallata da manoscritti d’autore con vaste sezioni di scrittura autografa, la cosa potrà risultare rilevante come guida all’editore per decifrare quando e dove siano veramente occorsi errori involontari (del copista o dell’autore) e corroborare i criteri d’eventuali interventi emendatori. Prenderò in esame soltanto l’aspetto grafologico del dettato remigiano, senza pregiudizio peraltro del relativo valore fonetico. Le opere trattatistiche di cod. C saranno citate col titolo, cui seguirà numero delle carte (da intendere sempre del detto codice); con numero della pagina e dei righi, o solo dei righi secondo il caso, si rinvierà alle opere edite. Quando il testo qui citato differisce dalle edizioni s’intenda corretto sull’originale. Sigle dei codici e indicazione delle edizioni sono state date in introduzione. Quando opportuno segnalerò la mano dei diversi copisti con le rispettive lettere maiuscole come segnalate qui sopra.

15. Impasto mediolatino/volgare fiorentino

Annotiamo anzitutto che la scrittura remigiana presenta le forme generali del mediolatino del XIII-XIV secolo comuni alla produzione letteraria della schota. Molto probabilmente talune peculiarità grafologiche, oltreché risentire della pressione esercitata sul latino dalla fonetica delle lingue romanze, testimoniano tratti derivati dal volgare fiorentino. Questo specifico aspetto dovrebb’esser studiato a parte, dopo sistematica recensione dei testi in volgare sparsi nei codici remigiani, specie nei sermonari. Del resto le due lingue - latino e volgare - vivevano in strettissima simbiosi culturale nell’uso quotidiano perché non dessero esiti dalle reciproche impronte. Caratteristiche quali l’uso (e la fluttuazione) delle consonanti scempie e geminate, la concorrenza tra grafie fonetiche e grafie etimologiche (si pensi alla h, y, al digramma ch), soluzioni della nasale preconsonantica, fenomeni fonetici che si riversano sulla scrittura (aferesi, protesi, epentesi, dittongazione ecc.), dissimilazioni vocaliche e consonantiche, fluttuazioni grafologiche per rappresentare suoni c e g velari o gl e gn palatali, o per assicurare nessi latini quali ct, mn, mpt corrosi dalla fonetica volgare, sono un terreno di comune e reciproca pressione linguistica tra latino e lingue romanze. Ne vedremo tra breve un caso tipico in augumentum.

Per suggerire qualche traccia del probabile influsso della fonetica romanza, e di volgarismi fiorentini in particolare, sul latino di Remigio si possono menzionare casi d’aferesi: stronomia <astronomia (Contra falsos 40,3) (la prima forma precedente la parentesi acuta sarà sempre quella dei testi remigiani), Scolapius<Esculapius (Divisio scientie 8,5.6), Scarioth<Iscarioth (Speculum f. 154rb); di crasi: preminere, preminens (Quolibet I, 1, f. 72ra; De bono pacis 63,14.26.27; cod. G3, f. 34rb; Contra falsos 52,80), proprissime (cod. G4, f. 300rb), perissem (Postille f. 228va); d’assimilazione regressiva in composti preposizionali: assit, assint<adsit, adsint (De bono comuni 47,14; De via paradisi f. 219ra; Contra fals. 60,4), iccirco<idcirco (De misericordia c. 18, f. 203vb), Herricus (De via par. f. 218v mg. inf., f. 240ra, f. 272rb), aggenerans (Div. sc. 2,38); della più rara assimilazione progressiva testimonia il volgare «con la palla in mano» di cui si dice che «est vulgare corruptum, idest con la palma» (cod. G4, f. 106rb); caduta di elementi preposizionali non assimilabili: astabam<adstabam (De peccato usure 625,2), oscurus (Contra fals. 47,11; altrove sempre obscurus: Contra fals. 47,12 e passim; Distinctiones 406, mano B), scultile<sculptile (De via par. f. 350/lrb), asque<absque (cod. G4, f. 3lrb), susistentia (De modis rerum f. 26vb) e sustantive (Quol. I, 3, f. 74vb) contro il regolare subsistentia e substantive, sustentandis (cod. G3, f. 124rb, ma substentationem pochi righi dopo). La tendenza è testimoniata anche dal caso contrario, quando cioè iperetimologismi presumono di arginare la corrosione della fonetica romanza: obsculatus<osculatus (cod. D, f. 278ra; obsculo in BIAGio BoCCADIBUE (Registri notarili) vol. I, fasc. 1 (1298-1300), a cura di L. De Angelis ecc., Firenze 1978, 72), subcessus<successus (Distinct. 25, mano B), obmicteret<omitteret (Distinct. 191, mano B). Esempi di protesi sono frequenti in testi volgari: ismarimento (cod. G4, f. 21ra), isbigottimento (ib.), iscusa (cod. D, f. 333va), isfiorito (cod. G4, f. 388rb), istagionevole (ib. f. 3ra), ma stagionato (cod. D, f. 397v, mg. s., B); metatesi: Alfagranus<Alfraganus (Contra fals. 6,38; in De pecc. us. 638,24 è abbreviato Alf.; Alfagrano anche in DANTE, Conv. II, XIII, 11: ed. Busnelli-Vandelli, Firenze 1934, I, p. 196 n. 9), Trimigestus<Trimegistus (Div. sc. 14, 34), ferneticus<phreneticus (Div. sc. 18,99; cod. D, f. 403vb, 404ra; ma freneticus in De bono pacis 61,8 che attinge dal Decreto); esito volgare s<x: testus<textus (cf. Studio 259 n. 43), esta<exta (Div. sc. 18,13), res<rex (cod. G4, f. 327ra); caduta regolare di c nel nesso ct di praticus< practicus, Arturus<Arcturus, dyaletica<dialectica... ; caratteristica dittongazione romanza di e tonica in sillaba aperta: Galienus, e più significativo ancora abhorriebit (Contra fals. 47,145) per abhorrebit.

Un esemplare caso di epentesi, da una parte documenta le esigenze della fonetica volgare, dall’altra illustra tipicamente il compito dell’editore di discriminare sviste involontarie da emendare e caratteristiche fono-grafologiche da rispettare. In Contra fals. 42,10-12 ci s’imbatte in augumentum, che l’editore corregge in augmentum; più sotto, 67,4, si ha augumentandum con la seconda u espunta. I due esempi occorsi nella medesima opera sarebbero già sufficienti per intravvedervi il fenomeno fonetico dell’epentesi così comune nel mediolatino e nelle lingue romanze. Il nesso velare gm, in questo caso preceduto da dittongo, presenta notevole asperità fonetica cui si rimedia sillabando la g con una u (per richiamo del medesimo suono nel dittongo): augumentum attenua l’asperità di augmentum. Nei testi remigiani il lessema appare di regola nella forma normalizzata di augmentum; ma i casi contrari che si possono raccogliere stanno ampiamente a favore non di un lapsus calami (del copista o dello stesso autore) ma d’una pronuncia epentetica sedimentatasi nella grafia. Augumentationes e augumentant si ha ancora in cod. D, f. 14rb e in Quol. I, 13, f. 80vb, e in ambedue i casi la seconda u è espunta; mentre senza espunzione la u epentetica si ritrova in augumentum (cod. G3, ff. 59rb, 59va più volte, 140vb) e nelle flessioni del verbo augumentare (De miser. c. 14, f. 199ra, c. 15, f. 202vb; cod. G3, ff. 59rb, 60va, 61va, 87vb; cod. G4, f. 361vb: Studio 201 v. 40). Il volgare italiano risolverà definitivamente sopprimendo, anziché sillabando, la g velare preconsonantica: aumento; ma augumento e augumentare hanno avuto lunga vita (cf. S. BATTAGLIA, Grande Dizionario della Lingua Italiana vol. I, Torino 1961, 842). Parimenti nel settore dell’epentesi rithimi (cod. G4, ff f. 406va, 407rb, mano A) coesiste con rithmi (cod. G4, f. 409rc, mano B); DANTE, De vulg. eloqu. II, XIII, ha rithimus e rithimari. (Per il fenomeno nel volgare cf. G. ROHLFS, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, Fonetica, Torino 1966, 465 ss.; A. CASTELLANI, Nuovi testi fiorentini del Dugento, Firenze 1952, 66-68).


Oh epèntesi! Ieri. E oggi? Non ne sappiamo né nome né significato, ma la pratichiamo lo stesso, anche noi che sappiamo leggere e scrivere.
Periodico "L'Espresso" 16.III.2006 (anno 52, n° 10), pp. 88-89, sezione «Personaggi / Lo psicoanalista d'assalto». L'articolo, ironico e simpatico, riferisce di «psicoanalista eretico» (p. 88 col. a), grande seduttore di «erranti orfane di ideologia» (p. 89 col. b). Tra le didascalie dell'immagine superiore in p. 89 (penna di giornalisti della redazione?) si legge: «scultura ispirata dallo pisicoanalista <Massimo Fagioli> a Roma». Pisicoanalista, proprio così. Ecco l'antichissima e medievale epèntesi!
A sproposito: ma che "eretico" non sia un lapisus per "erotico"?

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